Traduits de l´allemand par Philippe Préaux
(Poèmes extraits du Tunneleffekt, Galrev, 2000
PO&SIE, Rédacteur en chef Michel Deguy, numèreo
94, ALLEMAGNE 1800-2000)
Poesie in lingua italiana.
Traduzioni di:
Poezii
în limba
româná. Traducere
Andrei Zanca
Dieter Schlesak: Poezii,
Editura Univers, Bucuresti 2000
Traduits de l´allemand par Philippe Préaux
AU RÉVEIL
les entends-tu
qui bruissent alentour
quand la membrane cellulaire
de lâme
tombe?
Va te rendre à ceux-là
qui coulent les
horloges
en lumière au sens clair:
comme l´inquiétude
de bonne heure
tombée en toi
D´après Reneé Char
c´est lentente avec l´ange
notre plus grand souci
chaque jour
„je suis perdu sans elle"
se taire plutôt que de manquer de parole
maintenant
où es-tu sans moi?
cachée
au nord du coeur une bougie penchante
un moi meilleur
qu me laisse sombrer
L´INQUIÉTUDE
lacère ta journée
conformément au temps
que tu vis
comme une peine
Devant la paroi de l´oel
comme tout ce qu´il y avait jamais eu
ayant forme humaine
qund l´unique héritage
Se périme
Tout était déjà là, terminé,
même si la cloche
sonne Pâques, il y avait
longtemps avant le déchiffrage une fleur
Seule l´ Historie dresse
ses périscopes
(même ici sur ce mont)
comme s´il lui fallait
libérer le figuir –
la langue de Hegel rajoutée
avec un Bon Dieu
(Poèmes extraits du Tunneleffekt, Galrev, 2000
PO&SIE, Rédacteur en chef Michel Deguy, numèreo
94, ALLEMAGNE 1800-2000)
Dieter Schlesak
CIÒ CHE NON È
Solo il fruscio e lo sfogliarsi
delle immagini
nel cervello
ancora solo
è fedele
al desiderio disfatto, a nient'altro.
Mai si perde la donna
che è solo pensiero.
Amore mai stato
che pur mi seduce
Penelope. Sempre Scritta -
nessuna lettera
oltre al mio addio.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Oltrelimite
("Autoritratto al chiaro di luna")
Trasmutare, come
fosse la morte vissuta, la forma che dal
morire viene: Notturno d'ogni vita.
La luna, la bocca di Endimione,
scioglie il mondo in silenzio, ora
come dissolta in un tremito d'acqua è ogni cosa, che
vedesti svanita, qui è già s'oscura
la trasmutazione nel turchino colore
dell'ombra.
Odi la musica, nel cervello il Delta T,
in te il bambino, il pianto, poiché so ogni
tetto va la sonnambula quiete, tu da ottant'anni
la morte vegliasti e dormisti,
tu sai, presto dormirai dietro ogni forma,
come Terralba la decomporrai. OPUS maturità
chimica d'arte, dove il nulla altro diviene, e il cerchio dello zero
in un tremito scioglie l'invisibile oro
nel silenzio lunare,
in ogni uomo, e l'apparente bagliore
da sé dilaga il sogno, musica pulsante
di ogni cosa, che in limpido pensiero si conosce, ed in me sfiora
l'intimo, fluente, spazio, essenza, il lunare bagliore
apre e dilarga l'disco, l'esteriore si compie
nel trascendente aroma.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
LA MARIONETTA la tortuosa
pupilla chi
siamo noi. Senza carne
espongo le ossa al tuo sguardo
(ti mostro nell'occhio le ossa)
finché l'apparenza ci illude.
Chi porta in braccio i suoi occhi
madre derisa, l'infanzia
il grido.
Ma ora gridare è difficile.
Quel che ho
capito
mi oltrepassa mi domina/ il suo
occhio vitreo la mia parola...
Parola luogo
della cecità
occhio trafitto/ La Scrittura.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
A Carlo Mattioli, Parma
Già sembri
al di là della porta,
davanti la croce,
che stà oltre la morte.
Già sei
nella cornice della porta
di notte eterna
con un piede
La nipotina che ti abbraccia
resta nel bianco
della luce e ancora
ti trattiene.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
L'Emigrante
Lettere scambiate
al di là di ogni chiuso confine
la quiete illude in sembianze di morte
così come un fulmine
a te d'accanto s'infigge
l'indecifrato attimo
- per lei solo un alito lieve -
l'acuminata sosta
ad libitum.
Lo senti, e più ancora è
il ppressagio, uccelli ilenti,
forse viaggiatrici colombe,
portano il messaggio.
E ancora in rima concorde
coi nostri respiri spezziamo
le porte serrate.
A lungo restano ferme o si aprono poi quand'io
vengo quando di nuovo io vengo quanto a lungo
per sempre
occhi richiusi.
Su di noi e resto
l'antico confine dell'erba
e poi sempre
la quiete. Ancora è là sulla pista
di volo il tuo nero vestito,
il vento l'increspa nel vuoto dell'aria,
una corona di nota,
un punto,
ed in basso
anche un rumore di tuono.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
AYIN O AJIN
Occhio/ al di sotto
muovi tutta
la terra. Cavità vuote
aroma di radice
il nulla
cancella
ogni sguardo
infisso
nell'apparenza.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
IL PECCATO ORIGINALE
Copia i Mattioli: Cappella Sistina
L''inizio è un albero
nel suo alfabeto.
La bianca macchia
il Non-Ancora da compiere
si trova
su un'altra pagina
e su diversa foglia
incompiuta come la vita,
perché questa sia.
l peccato originale: chi la
possiede. Giacché perde allora
il possibile: la chiamano anche
Dio, il Signore,
che disse l'albero.
Ma chi può dirti libero
e ti assolve?
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
La musica di Michael Reudenbach è un'eco di questa poesia, scioglie di nuovo le parole e i nomi nella loro origine, nel suono. Lo sappiamo: il mondo nasce dal suono. A sua volta, la poesia fa eco a un'immagine di Carlo Mattioli, un pittore italiano contemporaneo, che dà un'intepretazione estremamente viva de "il pecato originale" della Cappella Sistina: noi perdiamo il mistero, se riusciamo ad esprimerlo.
La Cappella Sistina di Michelangelo è un'eco della Genesi, dunque un'eco di nomi, ebraici naturalmente; al cui centro sta appunto il mistero: EGLI, il NOME inesprimibile. Solo nel silenzio possiamo avvicinarci ad esso.
Qui la poesia serve alla musica come una specie d partitura; questa partitura è la sua forma INVISIBILE, interna; essa soltanto rende possibile l'imposibile, riesce per così dire a circoscrivere e mediare la "macchia bianca", che è un'altra cosa, sta su un'"altra pagina", e deve sottrarsi a ogni foma terrena di espressione, che intenda definirla una volta per tutte; Egl deve sottrarsi perchè ciò che Egli è: a possibilità pura, non sia destinata all'annientamento.
Il terzo capitolo nel secondo libro di Mosè, detto Esodo, chiarisce molto bene questo punto: Mosè, autore e protagonista insieme, chiede a Dio il Suo nome. La risposta è: "Io sono, colui che sono". Tuttavia questa affermazione si può meglio intendere come contraddizione pura e tradurre con una strana forma, chhe indica la possibilità: IO SONO, QUEL CHE SARÒ, SE IO SARÒ.
La forma intima e invisibile della poesia deriva a questo Non-Ancora, he tuttavia è già presente. Su di esso si edifica una costruzione ad anello che nega e supera e stessa; questa lavora col SIC ET NON di Abelardo; ad ogni passaggio viene revocato il già detto, per rendere possibile ciò che ancora deve avvenire, così la poesia consuma se stessa, e insieme anche il noe come agente. Viene dunque dissolto quel nome che attraverso il Verbo ha creato il mondo, rappresentato come albero nella tradizione ebraica ("All'inizio era il Verbo"). Questo albero-mondo pronunciato da Lui viene subito revocato da ciò che "è ancora da compiere" e cioè dalla "bianca macchia". Ciò che è ancora da compiere deve infatti rimanere "incompiuto", incompiuto come la vita, "perchè questa sia", altrimenti essa sarebbe già fissa e compiuta e dunque irrigidita e morta.
Perciò l'albero, che viene raffigurato all'inizio, ed il suo alfabeto, appaiono come falsificazioni umane, come ogni raffigurazione e ogni parolasu Dio. "Tu non devi farti immagine alcuna").
La caduta di Adamo si ripete ogni giorno per opera nostra, e consiste nel voler "possedere" questa macchia inaccessibile e bianca, nell'imprigionarla nei pensieri e nelle Chiese. Nel sottrarre la libertà a Dio e dunque anche a noi stessi, coll'atto di determinarlo una volta per tutte e renderlo in tal modo impossibile.
Così la poesia torna all'inizio, come una specie di Rondò, nella ripetizione di albero, foglia, albero, nel processo drammatico del dileguare. Colui che "disse albero" si mostra come un falso nome, ed esso stesso come un nominato ("Essi lo chiamarono anche Dio,il Signore") e così non può assolverci. Ma chi potrebbe assolverci, dire che siamo liberi? Forse proprio quel movimento di dissoluzione che si compie invisibile al di là di ciò che è espresso, nella struttura della poesia, della musica; lo stato del di-sciogliersi (Loslösen) quando disciogliamo in noi ogni pensato, rappresentato e saputo, e infine anche la poesia e la musica che ci hanno condotto fino a questo punto. Tutte le tradizioni antiche, dallo Zen alla mistica cristiana, conoscono questa catarsi, Dante l'ha espressa splendidamente nella Divina Commedia: prima che l'Io nel suo cammino celeste possa sostenere la luce irradiante e l'Amore, deve svanire, viene immerso dalla primavera nel Lethe, il monte della memoria crolla, e l'Io prende congedo da se stesso.
C'è ancora da dire che il
suono dei versi riconduce una variazione da A (Inizio - Anfang - Alfabeto),
ä,ü,ö, di nuovo ad A o all'UNO.
CAPPELLA SISTINA
Il profeta
Cappella, grande specchio incendiato
dell'universo il libro, un frusciare
della sue pagine, dove Buonarroti sogna,
il muro infrange,
dell'essere nel corpo la pena sospende:
anche in te vive il suo specchio,
un Sè messaggero del profeta
che non più il corpo flagella,
che non più vede se stesso, ma solo la luce
che ha creato la carne,
e ti conduce:
Un albero è cresciuto grande attraverso lo spazio,
i pensieri vi si arrampicano su e giù
ecco, tu sei assorbito. Luce
a colui che si avvicina, TSEMACH,
una parola, quasi un corpo di luce;
detto, fatto, ancora qui;
ti strofini gli occhi, ti meravigli;
ma certo! ogni albero è stato per una volta soltanto
verde pensiero,
germoglio nella sua foglia,
che tu puoi sognare, essere.
(Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
VIAGGIO IN GERMANIA, AD EST
A Volker Braun
1
Sopravviene il confine e ci sbarra il cammino,
una linea di sabbia canta
la bellezza del luogo inesistente.
Un albero è vero
E tu vuoi così leggero nella frase
fuggire?
Ma chi sfora e disturba i muri
con parole e pallottole?
Con la mente divisa, alla finestra,
e gà passato. Era dunque paessagio,
e smorta apparenza?
Così pensò un'ebrezza felice
la favola della libertà,
negando la divisione.
Solo attimi dura la gioia.
Stordisce. E muta il potere.
2
E il vuoto luogo abbatte.
Il uoto. In me. In te.
L'antica patria. Viva l'orribile morta.
È ormai tempo. Si vedono
i campi passare. E già da
molto è vecchio questo confine.
3
Come un canto verde e assai lontano: le semine -
gli stati nelle orecchie, un inno la bocca
un atque. Tutto così prosegue. E nulla
sarebbe accaduto? La nuova colpa copre l'antica.
Solo un cielo è concorde. Dice un padre là sopra
nella grande fossa comune. E conta
i caduti.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Grenzen Los. Notturno
("Autoritratto al chiaro di luna")
Der Übergang als wärs
der Tod erlebt, die Form, die Aus
dem Sterben kommt: Notturno jedes Leben.
Der Mond, der Mund Endymions,
zerschweigt die Welt, verzittert
wie unter Wasser Jetzt ist alles, was
du sahst veschwunden, Hier und dunkelt schon
der Übergang in blauer Schattenfarbe.
Hörst du Musik, im Hirn das Delta T,
in dir das Kind, das Weinen, denn über alle
Dächer geht die Mondsucht Ruh, du wachtest
schliefst seit vielen Jahen deinen Tod,
du weißt, bald ruhst du hinter jeder Form,
zerfällst sie, wie Terralba. OPUS Reife
Trancechemie, wo Nichts mehr ist nur NULL
das unsichtbare Gold im Mond verzittert
jeden Mann und Schatten löst uns auf, der Schein
verliert aus sich den Traum, den jedes Ding
Musik in sich verschwingt und selber ist
gedankenhell sich weiß, berührt in mir
den Innenraum, der fließt, Essenz, der Mondschein
klopft die Scheibe auf, das Draußen hat so
ausgedient im Duft der Transzendenz
Oltrelimite
("Autoritratto al chiaro di luna")
Trasmutare, come
fosse la morte vissuta, la forma che dal
morire viene: Notturno d'ogni vita.
La luna, la bocca di Endimione,
scioglie il mondo in silenzio, ora
come dissolta in un tremito d'acqua è ogni cosa, che
vedesti svanita, qui è già s'oscura
la trasmutazione nel turchino colore
dell'ombra.
Odi la musica, nel cervello il Delta T,
in te il bambino, il pianto, poiché so ogni
tetto va la sonnambula quiete, tu da ottant'anni
la morte vegliasti e dormisti,
tu sai, presto dormirai dietro ogni forma,
come Terralba la decomporrai. OPUS maturità
chimica d'arte, dove il nulla altro diviene, e il cerchio dello zero
in un tremito scioglie l'invisibile oro
nel silenzio lunare,
in ogni uomo, e l'apparente bagliore
da sé dilaga il sogno, musica pulsante
di ogni cosa, che in limpido pensiero si conosce, ed in me sfiora
l'intimo, fluente, spazio, essenza, il lunare bagliore
apre e dilarga l'disco, l'esteriore si compie
nel trascendente aroma.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
LA MARIONETTA la tortuosa
pupilla chi
siamo noi. Senza carne
espongo le ossa al tuo sguardo
(ti mostro nell'occhio le ossa)
finché l'apparenza ci illude.
Chi porta in braccio i suoi occhi
madre derisa, l'infanzia
il grido.
Ma ora gridare è difficile.
Quel che ho
capito
mi oltrepassa mi domina/ il suo
occhio vitreo la mia parola...
Parola luogo
della cecità
occhio trafitto/ La Scrittura.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
A Carlo Mattioli, Parma
Già sembri
al di là della porta,
davanti la croce,
che stà oltre la morte.
Già sei
nella cornice della porta
di notte eterna
con un piede
La nipotina che ti abbraccia
resta nel bianco
della luce e ancora
ti trattiene.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
L'Emigrante
Lettere scambiate
al di là di ogni chiuso confine
la quiete illude in sembianze di morte
così come un fulmine
a te d'accanto s'infigge
l'indecifrato attimo
- per lei solo un alito lieve -
l'acuminata sosta
ad libitum.
Lo senti, e più ancora è
il ppressagio, uccelli ilenti,
forse viaggiatrici colombe,
portano il messaggio.
E ancora in rima concorde
coi nostri respiri spezziamo
le porte serrate.
A lungo restano ferme o si aprono poi quand'io
vengo quando di nuovo io vengo quanto a lungo
per sempre
occhi richiusi.
Su di noi e resto
l'antico confine dell'erba
e poi sempre
la quiete. Ancora è là sulla pista
di volo il tuo nero vestito,
il vento l'increspa nel vuoto dell'aria,
una corona di nota,
un punto,
ed in basso
anche un rumore di tuono.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
GIORGIO CAPRONI
Pronomi, promesso alla persona
Invoco le varianti dell'Io
ad ogni notizia che si dice certa
ed è prova di morte
più di sempre
per noi pericolosa
anche se ormai traspare
che non si può provare
nè l'ES nè il mai
stato.
Come Lui anch'io
se mai non dovessimo tornare
sappiate con certezza:
qui Lui sopavvive:
nè mai fu lontano.
E lui dice il lungo viaggio
dal mio inizio:
" sono tornato là
dove non ero mai stato."
(Traduzione italiana. Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
VIAGGIO IN GERMANIA, AD EST
A Volker Braun
1
Sopravviene il confine e ci sbarra il cammino,
una linea di sabbia canta
la bellezza del luogo inesistente.
Un albero è vero
E tu vuoi così leggero nella frase
fuggire?
Ma chi sfora e disturba i muri
con parole e pallottole?
Con la mente divisa, alla finestra,
e gà passato. Era dunque paessagio,
e smorta apparenza?
Così pensò un'ebrezza felice
la favola della libertà,
negando la divisione.
Solo attimi dura la gioia.
Stordisce. E muta il potere.
2
E il vuoto luogo abbatte.
Il uoto. In me. In te.
L'antica patria. Viva l'orribile morta.
È ormai tempo. Si vedono
i campi passare. E già da
molto è vecchio questo confine.
3
Come un canto verde e assai lontano: le semine -
gli stati nelle orecchie, un inno la bocca
un atque. Tutto così prosegue. E nulla
sarebbe accaduto? La nuova colpa copre l'antica.
Solo un cielo è concorde. Dice un padre là sopra
nella grande fossa comune. E conta
i caduti.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
MA NIENTE È PIÙ SICURO
Per Luciano Fintoni in questo
ultimo autunno
1
Luciano, quando insieme eravamo nella luce, allora
in Parma, quella pianura dorata, immersi
nei quadri di Mattioli, ed un intimo vortice, una luce
penetrò i colori, e più lo spazio sifaceva oscuro,
più luminoso in noi s'accese
l'Uno, in ebbrezza, quasi il dipinto spazio fosse
cielo aperto, e gli occhi unico limite. ORA
i tuoi per sempre sono chiusi, ma tu mi vedi
in lui, Bianco: proprio nel cielo più profondo e vuoto
nei nostri sguardi rammemorati tu nel bianco della tua scrittura
ma ora là alla porta, rosso il suo peso acceca, inchina nella morte
il capo, quella croce, composizone di otturne insonnie,
è ogni uomo, come te, nella notte della morte,
soltanto quel corpo torturato, trascinato, ferito, abbandonata
carne, e dopo crocefissa, sospeso fino al giorno del Giudizio: di
nuovo, nella luce... Notte, o forse nulla. Tu scrivevi, ma tu SEI ora
l'estrema bellezza che alla luce dei giorni scrivevii,
acceca, l'Altro che s'interna
al mondo, e l'Uno in noi l'infiamma.
Dieter Schlesak
"NON SIAMO GLI ULTIMI"
1
Ma noi non siamo gli ultmi
Un disegno di Zoran Music nella mia casa di Agliano
Come crescerebbe l'erba,
come sarebbe bella, come buona,
come sarebbe dolce l'erba
se crescesse dal suo petto
Nessun grido. No, la bocca
è colma d'asfissia
ed essi proibiscono
anche il respiro
Egli respira ancora una volta
rantola l'ultimo resto di mondo
troppo debole per il grido
lo solleva ancora il dolore
è come se cadesse all'indietro
nel passo diritto e orgoglioso.
Non andar via va guardalo
senza croce alcuna
e tuttavia l'omicidio è visibile
invisibile è l'uomo
niente più che animale creatura.
Viviamo nella demenza
viviamo
ancora
respiriamo
2
Volti dei volti
Su un autoritratto di Zoran Music
Volti dei volti
sono una finestra dal nulla
i tanti morti si sono trasmutati
sono qui conficcati nella carne
come un Cristo già nero
dentro una cornice
Cosa avete cantato/ cuore
le vittime immolate non possono morire
riprendono coraggio:
si levano nel nuovo grigio
la cenere splende rossa nella luce
l'intimo ardore traccia
nel carbone
il profilo di un volto.
3
Il corpo già
svanito
in sottili contorni
nel paesaggio del volto
cerchi concentrici
fino alla fronte
intorno all'occhio chiuso/ rughe o lacrime
ma là dinanzi al respiro
esalato
nel doloro silenzioso del mondo
nessun grido ciò che era si ritrae dietro i corpi
la guancia è un monte ricolmo di buchi
Quanto accade nell'ultimo
attimo
che ancora sta
dinanzi alla caverna della bocca
sta
come fosse l'ombra che viene
e nero e maturo vede il nulla
dietro i denti
Solo lei solo lei
o nessuno/ bianca
fiammeggiante carta
e nessun cielo
nessun ma, nessun respiro
nella camera
mai noi spiriti inconsapevoli
rimasti/ qui
nel corpo
mai noi sempre ancora aspettiamo
aspettiamo la nostra
perduta
memoria
la morte
4
Per l'ultimo respiro
Nudo, vestito solo del grido
di corpi senza contorno
oppure sopra
rilucente nel vuoto
testa d'ebreo senza ombra
come il globo di una terra
bianca e già immersa nel nulla
Proprio così/ nero su bianco
cadendo fuori dal foglio
così è realmente: senti le mani
ritirale
sfila la tua pelle,
in anticipo.
(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
Dieter Schlesak
Sei qui e io non ti vedo più
sei in me e non ti vedo più qui
tu hai vissuto me e io non vivo più
tu stai accanto a me e io crollo.
Sta terminando quello che è stato
i sentimenti ancora segnano orme
a volte un fuoco che vuole ardere
sta nella notte e illumina la stanza.
Cani davanti alla finestra un'auto
va lontano oltre il mio udito una montagna
come grosso animale coricata
Io cerco il tuo respiro.
Com'è straniero tutto ciò
si rifiuta all'occhio al senso
all'udito
La fiducia vuole canto.
(Traduzione italiana. Luigia
Poli)
Dieter Schlesak
Dieter Schlesak
Le estasi di Maria Maddalena
de' Pazzi
Dieci giorni distesa sull'orlo,
lo sguardo al fondo. Nessuna vita
tra lei e la morte, angeli leccavano le sue ferite
con la sua bocca,
la sete.
Davanti all'altare gridava a Lui,
e la lingua sguarciava la sua croce,
un silenzio folle razziava -
veloci suoni argentei, per attimi duri come la luce/
e acqua accorreva,
e sangue nel verbo,
lei nuotava.
Senza sosta la sua voce per sette giorni -
narrava senza dormire, senza bere;
otto sorelleinsieme scrivevano,
lei mangiava se stessa là dentro,
nella parola non detta,
e irradia robuste frecce, è
rosso cattolico,
cuore pulsante
Gesù, tu stai saldo in cielo,
un raggio di luce scende
è Pentecoste.
Non c'è la morte, è
lei l'immagine del Suo cuore.
Lei ride, risuona; lei è.
Ascolto sarebbe la cavità della sua ferita:
la sua casa. Altrimenti in nessun posto,
della parola che subito muore nello spazio,
e che non vista addita le stimmate
della mano che non scrive.
Da lui la grande potenza del verbo che
ascottendo rende trasparente la Tavola,
mai più coperta di fango.
Trafitte le lunghe bianche membra,
stretta nell'iride la penna descrive
la terra senza terra, senza sguardo,
quello che lei ha visto è morte,
quella che noi tutti attende; il tempo è nulla.
La speranza qui, l'ultimo segno.
(Traduzione italiana: Luigia
Poli)
Dieter Schlesak
CASA CON L'ALBERO NELLO STEMMA. PARMA
a Carlo Mattioli, pittore
Porta due occhiali spessi
come lenti che guardano all'interno
l'albero che di continuo in lui
cresce.
Poiché non vede le illusioni
le ottiche del mondo
di nuovo le inventa per noi
e finalmente il tempo si ferma.
La scrittura nascosta
(Il corpo è scrittura di
ciò che è)
Come se tu non fossi qui
ma solo la tua luce,
perché noi siamo.
Mattioli ti rilegge
fatto di terra
e tu sei.
Lui legge nel legno
bruno nell'intreccio di fibre
ingiallite dal tempo:
è qui ciò che odora
quello che era soltanto ora esiste.
L'ANTICO, cade in noi
nuovo
come la semplicità, la vita.
Con spesse lent
la pena afferra
del non esserci
quel che non è ma era
e che non vuole
passare.
Così torniamo a casa,
nel declino.
(Traduzione italiana: Luigia Poli)
Dieter Schlesak
NON SO PIÙ CHI SEI
Sei qui e io non ti vedo più
sei in me e non ti vedo più qui
tu hai vissuto me e io non vivo più
tu stai accanto a me e io crollo.
Sta terminando quello che è stato
i sentimenti ancora segnano orme
a volte un fuoco che vuole ardere
sta nella notte e illumina la stanza.
Cani davanti alla finestra un'auto
va lontano oltre il mio udito una montagna
come grosso animale coricata
Io cerco il tuo respiro.
Com'è straniero tutto ciò
si rifiuta all'occhio al senso
all'udito
La fiducia vuole canto.
(Traduzione italiana. Luigia
Poli)
Le estasi di Maria Maddalena
de' Pazzi
Dieci giorni distesa sull'orlo,
lo sguardo al fondo. Nessuna vita
tra lei e la morte, angeli leccavano le sue ferite
con la sua bocca,
la sete.
Davanti all'altare gridava a Lui,
e la lingua sguarciava la sua croce,
un silenzio folle razziava -
veloci suoni argentei, per attimi duri come la luce/
e acqua accorreva,
e sangue nel verbo,
lei nuotava.
Senza sosta la sua voce per sette giorni -
narrava senza dormire, senza bere;
otto sorelleinsieme scrivevano,
lei mangiava se stessa là dentro,
nella parola non detta,
e irradia robuste frecce, è rosso cattolico,
cuore pulsante
Gesù, tu stai saldo in cielo,
un raggio di luce scende
è Pentecoste.
Non c'è la morte, è lei l'immagine
del Suo cuore.
Lei ride, risuona; lei è.
Ascolto sarebbe la cavità della sua ferita:
la sua casa. Altrimenti in nessun posto,
della parola che subito muore nello spazio,
e che non vista addita le stimmate
della mano che non scrive.
Da lui la grande potenza del verbo che
ascottendo rende trasparente la Tavola,
mai più coperta di fango.
Trafitte le lunghe bianche membra,
stretta nell'iride la penna descrive
la terra senza terra, senza sguardo,
quello che lei ha visto è morte,
quella che noi tutti attende; il tempo è
nulla.
La speranza qui, l'ultimo segno.
(Traduzione italiana: Luigia Poli)
Traduzione italiana: Tommaso Cavallo
CON UN OCCHIO PESTO guarda il mondo
il fantasma fattosì da sé
finora l'ha scampata.
La vecchia parvenza
in cui ci siamo solidificati
l'alba musica cosmica
il danaro.
Nella parvenza, crepe. Tutto
sorregge la banca. Disperati
s'incollano alla loro grande poesia. Esperti, leaders,
papi e psichiatri. Gli economisti,
a chiudere il corteo. La crepa intanto cresce.
La pausa per tirare il fiato bianca
un momento di passaggio.
Al di qua del presente - minacciosa
la mutazione.
PERCHE' QUESTO GUSCIO CHE NASCE DAL LINGUAGGIO
lotta per la visibilità con il già-stato
come se fossimo funzionari di musei
del nostro presente
con le sue morte esposizioni.
Il polo è freddo.
Torridi i tropici. Come
possiamo afferrare tutto
e non stringere mai nulla.
Fisica e Dio - è questo
l'abisso del nostro presente.
E' la definizione
di nord e sud:
la formula
delle guerre da gran tempo incominciate.
NELLA LUNGA ESTATE DELL'80
Poter scrivere una poesia/ che
così a fondo penetri nella nostra situazione
come se Il Capitale si lasciasse/ trasformare in sentimento -
e cauta tuttavia ci guidi/ con la sua massa indomita
inafferrabile/ lungo l'abisso.
Talvolta io sento/ il nostro sopravvivere
attualmente come un miracolo/ che quotidianamente l'ordine
interrompe non della natura, certo, ma le leggi
del mercato globale.
Dall'altra parte/ in questa lunga estate dell'80
c'era ancora speranza/ lo sciopero di Danzica
ma qui nel vecchio mondo, ogni speranza
è già miracolosa.
Ma la speranza è doppiamente fatta a pezzi
anche lo sciopero avvicina il nuovo
all'inconsolabile, sino a che forse
d'un colpo dilegua interamente.
"Ciò che non è ancora qui,
A questo bisogna badare"
Ah, utopia./ Anche Mao Tse Dong
nel frattempo han gettato al letame
ma quello che apprese da Laotse/ quello resta:
"Soffice l'acqua
Scava la dura roccia"
Ma 'soft' è/ l'interiorità del mondo esterno -
Il danaro.
COME PROCEDONO LE COSE
fuoriesce dall'immagine
Racconti
del vecchio Signore
di come governa
ciò che è visibile
ma senza più esistere.
PAESAGGIO BIANCO
"E da capo Sisifo
riprende sua fatica" Odissea, XI
Per Jürgen M.
1.
Un blocco di marmo bianco
Come un foglio di carta pesante
Si schiaccia duro sulla mia guancia.
Io la porgo così
Per fare una prova.
Era peggio a Carrara
Il bianco peso mortale dei blocchi/ - l'arte
ha già più volte ucciso degli schiavi.
I primi intellettuali
C'erano anche loro. Spaventosamente alto
Il pensiero/ e pesante,
Quasi irraggiungibile: proprio
come il Signore -
rotolandogli dunque quotidianamente
il macigno pieno di dubbi
come se fosse la pena
per il nostro essere svegli.
2.
Vennero alcuni scultori
scalpellini in sorte al genio
e pernottarono all'aperto
preferivano il peso delle stelle
alla caduta quotidiana
dei bianchi pensieri.
Egli venne come una pioggia/ da oltre
la Via Lattea e li stregò
con i suoi occhi./ Perché ormai era
tutto finito e non più rabberciabile.
Ci furono tentativi di trattenerlo nel blocco
ma questo per lo più conduceva
tuonando in basso./ E bianco egli vi giacque
sotto, il corpo e la vita schiacciati
dal macigno del pensiero al monte straniero
ch'egli aveva preteso spostare.
3.
Visto dal principio
ciò che qui ci spetta
in uno e via
questa è l'utopia
che mai tuttavia
potremo raggiungere
perché troppo vicina
é scritta nel nostro corpo
e respira constantemente con noi.
Imitarla/ senza prospettive
è questo lavoro coatto, schiavile.
Così arando ogni giorno
campi di parole sparse troppo lontane
schiacciate dal blocco
quando cade/ noi ci destiamo.
4.
Chi sa/ forse è
un cancro/ un incidente adesso
un morso di serpente/ chi sa
cos'è che ci tocca/ sì, forse
anche solo una guerra/ la bomba
più afferrabile forse: così universalmente
attesa/ che più d'uno pensa
di poterla dimenticare -
e con ciò addomestica la propria piccola morte.
Poiché la morte moltiplicato mille/ è storia.
Il blocco ha percettiilmente previsto
qualcosa come un volto
profilato.
L'orrore allora è già meno orrendo
se scavalca il suo primo abisso
consolazione della statistica/ ha già calcolato
ogni conseguenza: / ciò che così ci abbatte
è individuabile nell'apparato: / non più rotolato
dal vecchio Fato
inafferrabili solo noi stessi -
e sorpassati.
E tra le righe
rimasti sospesi/ un po' come
la speranza.
LEZIONE ESTOVEST
Che fare/ per non toccar più
niente/ di ciò che è fuori
e incombe su di noi / e ogni
giorno si avvicina -
Meglio forse
destarsi schiacciati
di nuovo nel blocco
che ogni giorno sospirando
sospingerlo in libertà
su monti/ che sono vuoti.
Sino a che
tra loro inconsolabili
ci seppelliscano
le idee liquidate.
Caro Dieter,
accogli gutmütig, queste traduzioni fatte senza ausilio di vocabolari, ieri di primo mattino (tra l'altro l'alba con cui aggettivo la "musica
cosmica", mi è stata suggerita proprio dall'ora antelucana a cui mi sono
messo alla scrivania, oltreché dal bianco dei paramenti indossati dai
preti la 'domenica in albis': ma esiste un'espressione idiomatica tedesca come in italiano l'andare 'in bianco' che vuol dire 'non farcela', lo si dice ad
es. quando uno non riesce a portare a letto una donna?? ) tirando un
po' via dove le difficoltà si addensano e sarebbe indispensabile il tuo aiutoŠ
certamente avranno bisogno di essere rilette, ripensate e corrette per
essere presentabili pubblicamente sappi comunque che sento leggendoti molte 'affinità' e trovo alcune idee davvero geniali ad esempio:
l'idea del 'blocco' che è il 'blocco' sovietico, ma è anche il blocco, il
macigno di Sisifo che ognuno di noi deve rotolare vanamente ogni giorno (o
con Valery forse possiamo farci coraggio e sperare se è vero che Sisifo
"si faceva i muscoli" e quindi un giorno sarebbe riuscito a liberarsi) ed è
il blocco bianco che attende Michelangelo per trasformarsi da orrendo in
sublimeŠ è davvero un paesaggio in cui mi sento almeno in parte a casa
mia.
come ho trovato quasi tutte belle le tue immagini osé nel gabinetto del
dottor amore; forse perché più feticista personalmente amo il nudo
sottolineato dalla lingerie o dalle calzeŠŠ ma ognuno penso abbia diritto
a sfrenare la sua fantasia, in genere anche troppo borniert, in eroticisŠ
Bene, appena riesco a liberarmi degli impegni accademici, torno di sicuro
nel tuo/nostro bianco paesaggio e ti spedisco quanto riuscirò a tradurre. Sappi che è comunque un vero piacere e un onore per me ospitarti nella nostra fantastica italica parlata.
a presto
un abbraccio anche a Linda
tommaso
t.cavallo
Dieter Schlesak
i nostri bravi calendari casalinghi.
Foglietti di carta senza bambini
in una soffitta
i vechi presentimenti
stanno volentieri in piedi
come tranelli.
(Traduzione italiana: MdS)
Dieter Schlesak
Traducere Andrei Zanca
IN LUNGA VARÃ A ANULUI 80
sã poti scrie un poem/care
atinge atît de profund starea noastrã realã
ca si cum capitalul s-ar lãsa/preschimbat în sentimente -
ne poartã totusi cu grijã/cu a sa
masã nedomolitã
necuprinsã/de-a lungul prãpastiei.
cîteodatã simt/supravietuirea noastrã
în aste vremuri ca pe-o minune/ce zilnic sparge
nu atît ordinea naturii/cît legile
pietii mondiale.
pe-de-altã parte/în astã lungã varã 80
mai exista sperantã/greva din Danzig
aici însã în vechea lume/fiecare sperantã
e ca o minune.
însã speranta/e-ndoit împãrtitã
si greva/apropie noul de
neconsolare/pînã ce, poate
dispare apoi cu totul odatã:
ce nu e încã aici, asupra acestuia
trebuie sã actionezi
ah, utopie. si Mao Te-Dung
l-au aruncat între timp/la gunoi
însã ce-a învãtat de la Laote/aceasta rãmîne
apa moale
gãureste piatra durã
moalele însã este/lumea lãuntricã a lumii exterioare -
banul.
(Traducere de Andrei Zanca)
iar sisif o ia de la capãt
Odiseea, XI
meleag alb
pentru Jürgen M.
1.
un bloc alb de marmurã
ca hîrtia grea
lipeste de obrazul meu.
îl întind/înspre mine
doar spre probã.
mai rãu a fost în
Carara.
alba povarã a mortii
a blocurilor/ - artã
care deja dintotdeauna a omorît
sclavii.
primii intelectuali
au fost de fatã/groaznic de sus abia de-atins:
gîndul/si greu
abia de-atins: exact
ca Domnul -
rostogolindu-l asadar zilnic
cãtre blocul plin de-ndoieli
ca si cum ar fi pedeapsa
pentru veghea noastrã.
2.
au venit unii sculptori
sã ciopleascã, în parte genii
si-au înnoptat în naturã
au ridicat povara stelelor mai lesne
decît zilnic cãzîndul
alb gînd.
ca o ploaie a venit el/de dincolo
de Calea Lactee si i-a înnebunit
cu cohii lor/cãci întotdeauna
deja totul
trecuse si nu mai era de tinut.
au existat încercãri de-a retine în bloc
aceasta însã a dus mai mult
la durduitorul povîrnis/si alb a zãcut el
dedesubt./ zdrobit cu trup si viatã
de blocul de gînduri muntele strãin.
pe care astfel îndrãznise
a-l muta.
3.
vãzut din fatã
ce ne asteaptã
într-una
asta-i utopie
pe care cu toate acestea nicicînd
n-o putem ajunge
fiind prea de tot
fãcutã pe mãsura-ne
si respirînd într-una cu noi.
a o imita/zadarnic
în astã muncã
silnicã si de rob
astfel arînd în fiece zi
cîmpuri de cuvinte, prea departe risipite
strivite de bloc
cînd cade/ne trezim
4.
cin stie/poate e
un cancer/un accident acum
o muscãturã de sarpe/ cine stie
ce ni se pregãteste/da,
poate
deasemenea doar un rãzboi/ bomba
mai pe-nteles poate: atît de general
asteptatã/ încît cîte unul e de pãrere
cã ar putea-o uita -
chiar propria micã moarte/ si cu aceasta domolit
cãci de-o mie de ani moartea/e
istorie.
blocul are socotit pe-nteles
ceva asemãnãtor, ca si desenat
o fatã.
este sperietura atunci/mai lipsitã de sperieturã
dacã face o punte peste prorpriul hãu
consolare a statisticii/si-a calculat deja
fiecare urmare:/ce ni se-ntîmplã
se recunoaste în ustensil./abia mai trece
bãtrîna soartã
peste el.
de ne-nteles, doar noi însine
si depãsiti.
si-ntre rînduri
agãtatã/ceva, ca
speranta.
LECTIE ESTVEST
ce sã faci/spre a nu mai
misca nimic/ce-i afarã
si pluteste peste noi/si
zilnic se-apropie -
mai bine poate
sã te trezesti zdrobit
din nou în bloc
decît gemînd zilnic
sã-l rostogolesti în libertate/sus
pe muntii/ce-s goi:
pînã ce
ideile-de-a-gata
ne-ngroapã neîmpãcati
sub ele.
Dieter Schlesak:Poezii, Editura Univers, Bucuresti 2000
de
Andrei Zanca
Timpul nu mai are timp
"Simtim cã, chiar dacã toate întrebãrile
stiintifice posibile ar fi rezolvate, problemele noastre vitale nici mãcar
n-ar fi atinse. Desigur, atunci, tocmai nu mai rãmîne nici
o întrebare; si chiar acest lucru este rãspunsul; rezolvarea
problemei vietii se observã la disparitia acestei probleme.(Nu este
acesta motivul, de ce oamenii - cãrora li s-a limpezit acest sens
al vietii, dupã îndelungi îndoieli -, de ce acestia,
n-au putut spune atunci, în ce consta aceast sens?)". (Ludwig Wittgenstein,
Tractatus).
Aceastã dîrã
de mireasmã a timpului-imemorial rãmîne. Esential este
miezul afectiv, care va declansa mai apoi verbalizarea, teoretizarea, mularea
ori spiralarea de unde a intonãrii, bunãoarã.
La Dieter Schlesak, se pot astfel
decanta - ca la orice creator autentic - obsesii mereu reluate: timpul,
granita (unul din infinitele chipuri ale timpului, de altfel), dorul
(în cazul sãu Himwih, varianta dialectului sãsesc,
ori Heimweh, corespondentul aproximativ al lui din germanã),
meleagul
natal (ca sursã reluatã a acestui dor, dar si ca imagine
a paradisului pierdut), moartea (dobîndind aici valentele
unei tranzitii într-un nou si încã nebãnuit spatiu),
golul.
Toate acestea se petrec sub auspiciile luciditãtii secondate de
sensibilitate, în învãluirea obsesiv reluatã
a timpului, a diversitãtii calitãtilor sale.
Se poate afirma cã în
fond e vorba de o misticã nesentimentalã - în care
eul nu este mai important decît multitudinea aparitiilor. Schlesak,
deconspirã iluzia cronologicã si istoricã, revelînd
multidimensionalitatea lumii - întreprinzînd un pelerinaj prin
diversitatea ei."Nimeni n-a fost în urmãtoarea secundã",
afirmã el, recunoscînd cã prezentul cuprinde toatã
eternitatea, cã nu existã alt loc si alt timp, în care
am putea fi si cã vicisitudinile istoriei, ne determinã de
regulã existenta, doar în mãsurã în care
"cãutãm" acest lucru.
Intr-un anume sens, Schlesak
ne înfãtiseazã la un nivel freatic (care scapã
uneori, gratie talentului din încorsetãrile oricãrei
linearitãti temporale, cauzale si de efect) - nepovestea
vietii sale (fiti mereu în început; Ev.). Reluãrile
acestea joacã rolul pe care îl joacã anumite teme la
Bach bunãoarã - mereu repetate, nicicînd aceleasi -
, încercînd a atinge obsesiv un punct vulnerabil al lumii din
infinitele puncte ale unui cerc, racordate aidoma unor spite acestui dureros-împrospãtor
punct, constituit din îngemãnarea notionalã a mortii,
granitei, abisului, iluzoriului vãl dintre moarte si viatã
- toate aglutinîndu-se-n dor, dorul de meleagul natal (recunoscut
fãtis si fãrã ifose, ori refulat si negat, ca la mare
partea din comilitonii sãi), acest dor, care în fond este
unul de tranzitie într-o lume vesnic întînjitã
a paradisiacului, a oazei pierdute.
De aceea, îi convine si
si-a ales starea de intermediaritate, de "intervietar", pe care
a bãnuit-o încã din Tarã, anticipînd-o
cu primul sãu volum de poezii intitulat semnificativ "Grenzstreifen"
(Fîsii de granitã).Ce dovadã mai concludentã
a faptului cã în noi, trecutul si viitorul, existã
doar într-un prezent, ce include toatã eternitatea?
Astfel, desi foarte preocupat
de filozofie, psihiatrie, artã, esteticã, ba chiar si de
fizica cuanticã si teologie, Schlesak, lasã sã transparã
cînd delicat, cînd ironic, cînd cu o anume furie, faptul
cã ele sînt mai degrabã ca o controversã cu
cuvinte si notiuni, ce n-au relationare cu experienta, o argumentare "desteaptã",
iscusitã (schlau, în lb. germanã), despre probleme,
care de fapt în marea lor majoritate izvorãsc din gramaticã
si din formele verbale. Intre lumea descrisã si cea aflatã
nemijlocit, senzualã, e un abis.
La el poate fi vorba de o centrare misticã nesentimentalã, cum am mai spus, în care eul nu este mai importante decît diversitatea aparitiilor, "jocurilor" lumii. In acest teritoriu al limitei în care trãieste si-n care vrea sã fie un Nemest (Nimeni, în dialectul sãsesc),
el realizeazã gingasa
delimitare dintre lumi, vãlul înselãtor dintre experienta
abia aburitã a supranaturalului si experienta senzualã, mediatã
a realitãtii în frumusetea dar si în grozãviile
ei, coplesitoare în linistea si tãcerea de colinã natalã
a cuvîntului si gîndului. In acest sens el poate fi considerat
ca un urmas în linie dreaptã al romanticilor germani, atît
de iubiti de el: Novalis, HÖlderlin, însã paradoxal,
si al stãruitoarei fermitãti si ordonãri kantiene
- dar si al îndîrjirii într-o anume aurã a unui
alchimist medieval - pînã înspre totala deschidere cãtre
vraja poematicã a de nedelimitatului Rilke.
Propria sa viatã, deschizîndu-se,
dar si absorbind lumea, îi pare lui Schlesak o nepoveste peste care
se apleacã cu lãcomia,deschiderea si neîncorsetarea
unui copil, pe care lumea l-a silit a îmbãtrîni, cãci
în fond chiar si în Agliano, el este acelasi copil transilvan
de odinioarã, dintr-o Sighisoarã, ce tinde sã-si creeze
o mitologie proprie prin obsesiva înturnare a copilului "silit" sã
devinã poet, Schlesak. Da, sã spui ceea ce e de nespus.
Ca o pasãre ce se loveste cu încãpãtînare
de sticla unei ferestre pînã la completa epuizare. Cea mai
mare parte a operei sale este de fapt si în realitate, liricã,
chiar si atunci cînd se-nvesmînteazã în prozã.
Cãci, dacã totul s-ar descuama si si-ar proba caducitatea
pe lume, un lucru rãmîne - în ciuda oricãror
previziuni a creieratilor - anume, miezul senin-jucãus si absorbitor
al poeziei. Vesnica noastrã reîntoarcere, undele vii ale vietii
în nucleul ei, oricînd preschimbabile în muzicã.
Schlesak e constient - prin
fãr de vîrsta curiozitãtii - cã durerea nu poate
fi separatã de bucurie, tristetea de rîsul slobozitor, viata
de moarte, cã a fi, ori a nu fi, sînt douã lucruri
care se conditioneazã reciproc. El este constient cã tot
ce ni se înfãtiseazã, ne înconjoarã, ne
învãluie în decursul vietii, ni se adreseazã
în simboluri (Gedankenbild = imagine-gînd, în traducere
directã, secvente, simboluri fulgurante), pe care ca fiinte ale
transcendentalului, avem obligatia si nevoia de-a le deslusi. De aceea
pentru el, teoria filozoficã, o adîncã cugetare, au
aceeasi fascinatie ca si înflorirea unui cires, înfrunzirea
si mireasma mãslinilor toscani, a prunilor si teiului transilvan,
a cîntatului unic al cocosului în zorii unei nesfîrsite
veri sighisorene din copilãrie.
Sã glumesti, sã te întristezã, sã rîzi, sã fii ironic, sã fii de-o naivitate dezarmantã, încît sã faci pînã si femeia sã dispere, în uluirea si nedumerirea-i furioasã: am de-a face cu un copil ori cu un bãrbat?
Cu amîndoi, pe rînd
si deodatã, pare a spune Schlesak, zîmbind cum numai în
calmul si molcomia sa ancestralã, o poate face un ardelean, un "siebenbürger"
veritabil, "asezat" - la care însã sentimentele si amintirea
sînt inextricabil întretãsute - cu luciditatea, dublatã
de o stiintã a administrãii, ordonãrii si culmea,
cu o apetentã a sistemului, a sistematicului! (acest lucru, care
denotã de fapt mica fatã mãrturisitã a temerii
existentiale a fiecãruia!). Cãci iatã, din punct de
vedere al stilului, acelasi Schlesak, este la înãltimea prozei
de cea mai bunã calitate a "companionilor" sãi dintr-o Germanie
a anemiei sentimentului, a cultivãrii neîncrederii, a statului-în-stat,
de parcã eforturile n-ar trebuie sã tindã la unisonitate
umanã si divinã, ci sã ducã fãrã
doar si poate doar la decantarea de "personalitãti" si a spiritului
de "grupulet", de gascã, cum s-ar spune la noi.
Prin nivelul stilistic, el se-ncadreazã
net în primele rînduri ale scriitorilor germani, a celor de
bastinã si-n acelasi timp mult în fata baricadei celor de
"gradul doi" ori "trei", prin declararea fãtisã a nostalgiei,
dorului si iubirii sale fatã de meleagul natal, pe care multi altii
se "forteazã" sã-l uite, considerîndu-l un adevãrat
handicap, un obstacol, un impedimeent în fata succesului, a cerintelor
"vestice" în ceea ce priveste arta, a "adevãratei" valori.
Intreaga creatie a lui Schlesak,
poartã cu sine o impregnare esticã, fapt care-i dãruie
stilului sãu prospetime, însã si o vigoare, a cãrei
sorginte cred cã nedumereste colegii sãi germani; spiritul
valaho-transilvan s-a impregnat si a devenit inerent unei creatii aflate
ea
însãsi într-o anume intermediaritate.
Schlesak este însã
constient de avantajul divin al trãirii si cunoasterii a douã
sisteme atît de diferite. El stie cã noutatea sa constã
în asumarea esticã si nu în desprinderea de ea, de ruperea
de ea Cãci e o iluzie, cã poti a te rupe de un trecut, ce
s-a impregnat pe nesimtite în carnea si spiritul tãu, lucru
care nu trebuie negat, ci dimpotrivã, lectia estului, trecutul,
trebuie asumate, întîmpinate.
Din acest punct de vedere, pînã
si transcomunicarea mi se pare a fi în mod pe undeva aproape inconstient,
o încercare de "reînviere" a mortilor, a unei lumi dispãrute,
pe care el nu o acceptã ca dispãrutã, pe care încearcã
- printr-o intensitate sporitã dureros a iubirii - sã o reitereze,
sã o readucã acolo unde i-a fost locul. Simtiri ce se-ntrupeazã
în fîsîitul arborilor, reflexele undelor, brizele dinspre
liziere.
Las lectorul sã ia contact
direct cu acest fenomen, încercînd cã conturez un profil
- lucru pe care îl consider în acest context mult mai important,
unic în aceastã dublã, ba triplã ipostazã:
de scriitor nãsut în Transilvania, care declarã fãtis
cã preferã mãnãstirile minuscule din Moldova,
catedralelor vestice, care scrie în limba germanã, prim traducãtor
în aceastã limbã al prietenului Nichita, hãlãduitor
vreme de douãzeci de ani într-un Bucuresti si-o atmosferã,
cãreia îi simte si azi lipsa, traducãtor al prietenilor
sãi, Norman Manea, a saizecisioptistilor, a optzecistilor -pe care-i
simte aproape temperamentului sãu, într-o antologie de peste
patrusute de pagini "Serpentine periculoase", un scriitor care preferã
a trãi în nordul Italiei, continuînd a scrie în
germanã, care nu este nici est-german, nici vest-german, un Nimeni
în satul cu frumos nume Agliano.
Un Nimeni, deci unul care stie
cã trebuie sã devii un Nimeni spre a lãsa sã
te pãtrundã toate efluviile lumii. Încît prejudecãtile
de orice naturã sã se poatã vesteji lent, cît
mai departe de fãptura ta, ce priveste o înserare de pe o
colinã din nordul Italiei, în mirosul de fîn si fum,
de ramuri uscate, neputînd niciodatã sã nu o asemuiascã
în închipuire, dureros, cu o altã înserare undeva
pe malul unui rîu, între colinele Transilvaniei, o înserare,
ce-i însoteste fiecare bãtaie de puls.
Literatura de emigratie, este
refacerea unitãtii pierdute dintre om si operã. Este o literaturã
cu destin, rotunjitã de umilinte, disperare, în vesnicã
disputã de afirmare cu memoria.
Cu ochii unui german transilvan
din Sighisoara, hãlãduit printr-o boemã bucuresteanã,
valahã, cutremuratã de nelinisti si grozãvii, traversînd
o vreme, pe cînd timpul era un capital - singurul - de nepretuit,
trãind experiente si legînd prietenii, neuitate prin ani,
trecînd în postura tranzitorie de exilat în Germania,
supravietuind doar prin intermediul patimei dintotdeauna, limba maternã,
si apoi stabilindu-se într-o Italie în care încearcã
de fapt sã regãseascã rezonante ale unei secvente
temporale si de meleag pe veci irepetabile, Schlesak, pare sã spunã:
sînt singur în acest cavou si mã nerabdã
o plecare, însã încotro?
La Cioran denotam undeva, complexul Ladima - a fi pînã dincolo de moarte îndrãgostit de o femeie frivolã - Tara în cazul lui Cioran - fenomen însotit la el de un complex de sentimente contradictorii, de la turpitudine si culpabilizare, la accese pãtimase de furie, adicã de toatã gama de sentimente ale omului ce iubeste încrîncenat si fãrã de potolire, care trebuie sã-si însuseascã în umilintã si cu deznãdejde o limbã strãinã,franceza, spre a ajunge mai apoi unul din cei mai strãluciti stilisti recunoscuti ai acesteia, care pînã si prietenilor sãi nu le mai scrie în românã, din motive lesne de înteles prin prisma acestui complex de sentimente, care stie cã orice act de iubire nu este sinonim cu orbirea si ridicarea în slãvi ci se apropie în disperarea mentinerii lui de o critica sporitã pînã la neaosa înjurãturã, care stie cã pînã la moarte nu se poate desprinde din mrejele unei iubiri coplesitoare, afurisind-o si afurisindu-se la rîndul lui.
La Schlesak, se poate vorbi în acest sens de o amortizare, un as în mînecã: limba germanã, limba în care scria si poate scrie si în Vest în continuare, în care îsi poate publica cãrtile în editurile germane, fapt vitalizator si care-i dã posibilitatea de
confruntare în aria de centru a limbii sale materne.
Ceea ce la Cioran e o iubire
ce frizeazã pe undeva fanatismul, disperarea, la Schlesak este o
iubire a meleagului natal, asemãnãtoare primei iubiri, care
nu se poate uita, însã cãreia aria unei culturi si
refugiul în limbã, o alinã, conferindu-i imbold si
adãpost.
Ambii au tras ponoasele unei lumi a pilatismului, a sustrageriii - fenomen tot mai extins, dincolo de orice granitã,, situare geograficã ori sistem - de la orice responsabilitate, a unei lumi dezabuzate, de un rafinament pîrjolitor a tot ce e natural, spontan, o lume a cultivãrii cu obstinatie a neîncrederii, înruditã cu muzeele, cu acest extins muzeu, Europa de Vest, o lume obositã si temãtoare, oblojindu-si prin goanã si epuizare singurãtatea la care singurã s-a condamnat, a unei lumi ce-si întoarece capul de la orice ar putea-o trezi, o lume ce se teme mai mult decît de orice de-a fi confruntatã cu sine, groaza de-asi privi în fatã irosirea, bîntuitã, de o spaimã grotescã la auzul cuvîntului rãgaz, o lume a zîmbetului obscen.
Ambii par a avea însã
în comun - ca si alti exilati de marcã - asertiunea: cine-si
cunoaste doar Tara, nu-si cunoaste Tara. Ei nu-si construiesc sisteme,
spre a nu devenii pionii lui, si stiu, cã pentru cel mai simplu
adevãr, asumat integral si nu doar verbal - cum e moda azi - îti
trebuie ani întregi de contemplare si de rãgaz, cã
nu trîmbitata disciplina de manipulare, ci acea - condamnabilã
din punct de vedere burghez, tocmai pentrucã nu vizeazã substratul
material, nu aduce "roade" - disciplinã a singurãtãtii
amare a lui Nimeni, cel de dincolo de timp, este cea valabilã.
Obsesia Est-Vest devine astfel
una din cele mai dureroase. Mai ales pentru cã se profileazã
faptul cã în vreme ce în Est, oamenii îi împing
la martirat pe cei pe care generatiile de mai tîrziu îi vor
venera, în Vest la ora actualã, cei care nu se compromit comercial,
sînt condamnati la martiriul singurãtãtii absolute
si al anonimatului ( în cadrul unei reciprocitãtii a "exceptiei").
Ori adiacent si în spritul acestui comentariu, ceea ce în Est
era plãcerea povestirii, în Vest e pe undeva povestirea
plãcerii (deci tot insinuarea nebãnuitã si rolul
timpului).
Astfel, între o luciditate
deseori împovãrãtoare si sfîsiat de sentimente,
pe care doar cel fãrã de meleag le poate pricepe, Schlesak
înceacã sã salveze o atlantidã.O cãutare
a timpului rãtãcit. Însã, pot aceste meleaguri,
prin ele însele sã reziste unei irepetabile armonii
de convietuire dintr-un meleag natal al unei Europe mijlocii, unui gol
de nemaîmplinit? Nu este si el - meleagul acesta atît de îndrãgit
- bîntuit la rîndul lui de un altfel de dor, mutilat pe undeva
de o întristare fãrã de leac?
Pe undeva luturile acelea s-au
închegat si din pulberea celor care au vietuit peste opt secole pe
aceste meleaguri, înãltînd un memento al cetãtilor,
oraselor, ogrãzilor si livezilor, traditiilor si obiceiurilor. Acolo
mai zac osemintele celor risipiti prin cimitire.
Dincolo de acestea, lumea ce
s-a contopit cu aceste meleaguri, fãurind reciproc un profl unic
în acest perimetru al unei unice frumuseti din Europa mijlocie, s-a
risipit, ceva le lipseste, vãduveste pe veci, aceste meleaguri,
în ciuda apetentei de reînnoire si a vitalitãtii naturii.
Lipseste - si aici intervine Schlesak ca scriitor - un dat metafizic.
Asa se explicã si reiterãrile, reluãrile obsesive, repetetãrile dînd ocol aceleiasi teme ca într-o adevãratã artã a fugii.
Tocmai aceastã tragicã si-nscrisã vãlurire individaulã si de comunitate, o surprinde Schlesak în jurnalele, proza si poemele sale, cãutînd cu disperare a retine de neretinutul, ca pentru a învesnici clipa si descoperind cu uimire cã ea mereau a fost si e prezentã, cã meleagul nostru natal, acel shab (munte, colinã în Zen si Tao), acel "acasã" al nostru nu este pe acest pãmînt. Cu totii sîntem în exil. Da, cu totii purtãm rana neînchisã a unui
saudade (dor, în portughezã) fãr de leac.
Schlesak devine astfel - fenomen
aproape unic- o port-voce a unei întregi comunitãti
rãtãcitoare, bîntuie de dor, de senzatia golului, si
dezrãdãcinãrii.
Insã dupã cum totul este asumare si mai nimic întîmplãtor, mesajul îndeamnã sã trãim din plin acest Acum, pe-aceste meleaguri unde "vom fi fost si noi cîndva oaspeti" - neuitînd, zic eu, a ne reaminti la aceatã orã 25 de vorbele citite undeva pe-o inscirpitie sigihsoreanã dintr-un locas de veci: ce esti, am fost, ce sînt, vei fi - memento de desprindere si de ACUM al lui Nimeni, poetul fãrã de meleag....
Fie-mi îngãduit,
ca la împlinirea în acest august a saizecisipatru de ani a
saizecisioptistului Dieter Schlesak, sã--i dãrui aceastã
mãrturisire de fraternizare si afectiune:
tãceri
"amintirea este singurul înger ce ne rãmîne"
poate toatã taina
vietii e sã suferi fãrã sã te plîngi,
i-a scris vincent fratelui sãu.-
dar dacã fãrã de stirea noastrã
am fost pricina durerii unuia nebãnuit,
taina petrecerii lui uluite?
dinspre moarte, totul devine trecut.
mereu în acum,
ea se desprinde de noi în ultima rãsuflare.
segreta, o zãreste doar muribundul si totusi
fiecare petrecut se adaugã nebãnuit sîngelui nostru
si doar în poala de septembrie a limbii sîntem acasã
lãsîndu-ne în unul din graiuri spre a ne împlini o lipsã
însã cine-i în
stare a tãlmãci ultima rãsuflare?
numãrate în morti ne sînt zilele. un mut fîlfîit ne desparte
iar noaptea-i o lespede. ziua
o nãzãrire a somnului.
cînd mulezi tipãtul arborilor vãlurind tulburarea de cîmp în florile-soarelui
cînd chipuri, lucruri, poame, sînt scoase din vreme
dãruindu-si la fel de uluite fata nebãnuitã
unei nerãbdãri ce scapã de doliul luminii
lent îngemãnîndu-ne
vincent, ce chip avea atunci inima ta?
ruinare. scormonind cu sîngele taina unei pietãti
departe de carminul pãtat al lumii.
o durere atît de palpabilã
încît sã-ti dãrui urechea învelitã în ziarul lins de vin,
gemãtului ei...
cum am stii însã cã viem, dacã nu ne-am fi petrecut odatã?
mã apropii de tine. tu dormi.
îti privesc fata tîrzie - pe cînd mai pãduream,
se aplecase lin peste a mea si-mi las mîna pe umãrul tãu.
te trezesti. cine a murit? mã întrebi.-
si era o zi seninã si pãsãri ciuguleau dintr-un ciob de oglindã
tãcere
- .. -
cum te mai aud, cugetã surdul
cum te mai vãd, cugetã orbul
cum te mai agrãiesc,
se tace dumnezeu....
tãcut mã-nclin si eu pãdurii
întru aceste mãrturisiri
pre moartea ei cãlcînd
tristetea va tine toatã viata, a mai scris vincent în ultima lui scrisoare...
am putea fi însã bîntuiti de-atîta amãrãciune
de n-am fi cunoscut vreodatã înseninarea?
vincent, ce chip are acum inima
ta?
andrei zanca, heilbronn, 1998
CU OCHI ALBASTRU vede lumea
fantoma de sine plãsmuitã
pînã acum a scãpat.
vechea aparentã
de care ne-am închegat
muzica cosmicã în alb
banul.
aparenta are fisuri. totul e tinut
de bancã. disperati se agatã
de marele lor poem. experti, sefi.
papi si psihiatri. economistii
cu totul la urmã. însã fisura avanseazã.
marele rãstimp de respirare
e o tranzitie.
dincoace de prezent - amenintãtoarea
metamorfozã.
FIINDCÃ ACEASTÃ COAJÃ CE-I DIN LIMBÃ
sleindu-se ca vizibilitate în lupta
cu ce-a fost
ca si cum am fi administratori ai muzeelor
propriului prezent
cu exponatele ei moarte
rece este polul.
tropicele fierbinti. ca tot
ce putem laolaltã cuprinde
si nicicînd apucãm.
fizica si dumnezeu - aceasta este
abisul acestui prezent.
aceasta este definitia
nordului si sudului:
formula
de mult purcesului rãzboi.
IN LUNGA VARÃ A ANULUI 80
sã poti scrie un poem/care
atinge atît de profund starea noastrã realã
ca si cum capitalul s-ar lãsa/preschimbat în sentimente -
ne poartã totusi cu grijã/cu a sa
masã nedomolitã necuprinsã/de-a lungul prãpastiei.
cîteodatã simt/supravietuirea noastrã
în aste vremuri ca pe-o minune/ce zilnic sparge
nu atît ordinea naturii/cît legile
pietii mondiale.
pe-de-altã parte/în astã lungã varã 80
mai exista sperantã/greva din Danzig
aici însã în vechea lume/fiecare sperantã
e ca o minune.
însã speranta/e-ndoit împãrtitã
si greva/apropie noul de
neconsolare/pînã ce, poate
dispare apoi cu totul odatã:
ce nu e încã aici, asupra acestuia
trebuie sã actionezi
ah, utopie. si Mao Te-Dung
l-au aruncat între timp/la gunoi
însã ce-a învãtat de la Laote/aceasta rãmîne
apa moale
gãureste piatra durã
moalele însã este/lumea lãuntricã a lumii exterioare -
banul.
iar sisif o ia de la capãt
Odiseea, XI
meleag alb
pentru Jurgen M.
1.
un bloc alb de marmurã
ca hîrtia grea
lipeste de obrazul meu.
îl întind/înspre mine
doar spre probã.
mai rãu a fost în Carara.
alba povarã a mortii
a blocurilor/ - artã
care deja dintotdeauna a omorît sclavii.
primii intelectuali
au fost de fatã/groaznic de sus abia de-atins:
gîndul/si greu
abia de-atins: exact
ca Domnul -
rostogolindu-l asadar zilnic
cãtre blocul plin de-ndoieli
ca si cum ar fi pedeapsa
pentru veghea noastrã.
2.
au venit unii sculptori
sã ciopleascã, în parte genii
si-au înnoptat în naturã
au ridicat povara stelelor mai lesne
decît zilnic cãzîndul
alb gînd.
ca o ploaie a venit el/de dincolo
de Calea Lactee si i-a înnebunit
cu ochii lor/cãci întotdeauna deja totul
trecuse si nu mai era de tinut.
au existat încercãri de-a retine în bloc
aceasta însã a dus mai mult
la durduitorul povîrnis/si alb a zãcut el
dedesubt./ zdrobit cu trup si viatã
de blocul de gînduri muntele strãin.
pe care astfel îndrãznise
a-l muta.
3.
vãzut din fatã
ce ne asteaptã
într-una
asta-i utopie
pe care cu toate acestea nicicînd
n-o putem ajunge
fiind prea de tot
fãcutã pe mãsura-ne
si respirînd într-una cu noi.
a o imita/zadarnic
în astã muncã silnicã si de rob
astfel arînd în fiece zi
cîmpuri de cuvinte, prea departe risipite
strivite de bloc
cînd cade/ne trezim
4.
cin stie/poate e
un cancer/un accident acum
o muscãturã de sarpe/ cine stie
ce ni se pregãteste/da, poate
deasemenea doar un rãzboi/ bomba
mai pe-nteles poate: atît de general
asteptatã/ încît cîte unul e de pãrere
cã ar putea-o uita -
chiar propria micã moarte/ si cu aceasta domolit
cãci de-o mie de ani moartea/e istorie.
blocul are socotit pe-nteles
ceva asemãnãtor, ca si desenat
o fatã.
este sperietura atunci/mai lipsitã de sperieturã
dacã face o punte peste prorpriul hãu
consolare a statisticii/si-a calculat deja
fiecare urmare:/ce ni se-ntîmplã
se recunoaste în ustensil./abia mai trece
bãtrîna soartã peste el.
de ne-nteles, doar noi însine
si depãsiti.
si-ntre rînduri
agãtatã/ceva, ca speranta.
LECTIE ESTVEST
ce sã faci/spre a nu mai
misca nimic/ce-i afarã
si pluteste peste noi/si
zilnic se-apropie -
mai bine poate
sã te trezesti zdrobit
din nou în bloc
decît gemînd zilnic
sã-l rostogolesti în libertate/sus
pe muntii/ce-s goi:
pînã ce
ideile-de-a-gata
ne-ngroapã neîmpãcati
sub ele.
CA-N NEBUNIE VOCI
mnemosine/muzele sînt doar pseudonime
sub silabe soptesc halucinatii.
aproape de marginea limbii germane doare.
acest spatiu ca vînãt-bãtut
oglindeste în noi însine dictate
de la multii morti.
tine oglinda curatã
întrerupe semnalizarea/furia
de care esti plin.
ea tulburã.
eu, pentru celãlalt înger -
vreau a mã aranja./ sã mã pun laoparte
si sã fiu cu totul linistit.