Poèmes

Traduits de l´allemand par Philippe Préaux

(Poèmes extraits du Tunneleffekt, Galrev, 2000

PO&SIE, Rédacteur en chef Michel Deguy, numèreo 94, ALLEMAGNE 1800-2000)
 
 

Poesie in lingua italiana.

Traduzioni di:

Mario Pezzella

Luigia Poli

Tommaso Cavallo

Altri
 
 



 
 
 

Poezii în limba româná. Traducere Andrei Zanca
 
 

  Dieter Schlesak: Poezii, Editura Univers, Bucuresti 2000


Dieter Schlesak

Poèmes

Traduits de l´allemand par Philippe Préaux

AU RÉVEIL

les entends-tu

qui bruissent alentour

quand la membrane cellulaire

de lâme

tombe?

Va te rendre à ceux-là

qui coulent les

horloges

en lumière au sens clair:

comme l´inquiétude

de bonne heure

tombée en toi

D´après Reneé Char

c´est lentente avec l´ange

notre plus grand souci

chaque jour

„je suis perdu sans elle"

se taire plutôt que de manquer de parole

maintenant

où es-tu sans moi?

cachée

au nord du coeur une bougie penchante

un moi meilleur

qu me laisse sombrer

L´INQUIÉTUDE

lacère ta journée

conformément au temps

que tu vis

comme une peine

Devant la paroi de l´oel

comme tout ce qu´il y avait jamais eu

ayant forme humaine

qund l´unique héritage

Se périme

Tout était déjà là, terminé,

même si la cloche

sonne Pâques, il y avait

longtemps avant le déchiffrage une fleur

Seule l´ Historie dresse

ses périscopes

(même ici sur ce mont)

comme s´il lui fallait

libérer le figuir –

la langue de Hegel rajoutée

avec un Bon Dieu

(Poèmes extraits du Tunneleffekt, Galrev, 2000

PO&SIE, Rédacteur en chef Michel Deguy, numèreo 94, ALLEMAGNE 1800-2000)
 
 
 
 
 
 


 
 

Dieter Schlesak

Poesie in lingua italiana.
 
 

CIÒ CHE NON È
 
 

Solo il fruscio e lo sfogliarsi

delle immagini

nel cervello

ancora solo

è fedele
 
 

al desiderio disfatto, a nient'altro.

Mai si perde la donna

che è solo pensiero.

Amore mai stato

che pur mi seduce

Penelope. Sempre Scritta -

nessuna lettera

oltre al mio addio.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 
 
 

Oltrelimite

("Autoritratto al chiaro di luna")
 
 

Trasmutare, come

fosse la morte vissuta, la forma che dal

morire viene: Notturno d'ogni vita.

La luna, la bocca di Endimione,

scioglie il mondo in silenzio, ora

come dissolta in un tremito d'acqua è ogni cosa, che

vedesti svanita, qui è già s'oscura

la trasmutazione nel turchino colore dell'ombra.
 
 

Odi la musica, nel cervello il Delta T,

in te il bambino, il pianto, poiché so ogni

tetto va la sonnambula quiete, tu da ottant'anni

la morte vegliasti e dormisti,

tu sai, presto dormirai dietro ogni forma,

come Terralba la decomporrai. OPUS maturità

chimica d'arte, dove il nulla altro diviene, e il cerchio dello zero

in un tremito scioglie l'invisibile oro

nel silenzio lunare,

in ogni uomo, e l'apparente bagliore

da sé dilaga il sogno, musica pulsante

di ogni cosa, che in limpido pensiero si conosce, ed in me sfiora

l'intimo, fluente, spazio, essenza, il lunare bagliore

apre e dilarga l'disco, l'esteriore si compie

nel trascendente aroma.

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 

LA MARIONETTA la tortuosa

pupilla chi

siamo noi. Senza carne

espongo le ossa al tuo sguardo

(ti mostro nell'occhio le ossa)

finché l'apparenza ci illude.
 
 

Chi porta in braccio i suoi occhi

madre derisa, l'infanzia

il grido.

Ma ora gridare è difficile.
 
 

Quel che ho

capito

mi oltrepassa mi domina/ il suo

occhio vitreo la mia parola...
 
 

Parola luogo

della cecità

occhio trafitto/ La Scrittura.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

A Carlo Mattioli, Parma
 
 

Già sembri

al di là della porta,

davanti la croce,

che stà oltre la morte.

Già sei

nella cornice della porta

di notte eterna
 
 

con un piede
 
 

La nipotina che ti abbraccia

resta nel bianco

della luce e ancora

ti trattiene.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

L'Emigrante
 
 

Lettere scambiate

al di là di ogni chiuso confine

la quiete illude in sembianze di morte

così come un fulmine

a te d'accanto s'infigge

l'indecifrato attimo

- per lei solo un alito lieve -

l'acuminata sosta

ad libitum.
 
 

Lo senti, e più ancora è

il ppressagio, uccelli ilenti,

forse viaggiatrici colombe,

portano il messaggio.

E ancora in rima concorde

coi nostri respiri spezziamo

le porte serrate.
 
 

A lungo restano ferme o si aprono poi quand'io

vengo quando di nuovo io vengo quanto a lungo

per sempre
 
 

occhi richiusi.

Su di noi e resto

l'antico confine dell'erba

e poi sempre

la quiete. Ancora è là sulla pista

di volo il tuo nero vestito,

il vento l'increspa nel vuoto dell'aria,

una corona di nota,

un punto,

ed in basso

anche un rumore di tuono.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)



 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

AYIN O AJIN

Occhio/ al di sotto

muovi tutta

la terra. Cavità vuote

aroma di radice

il nulla

cancella

ogni sguardo

infisso

nell'apparenza.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

IL PECCATO ORIGINALE

Copia i Mattioli: Cappella Sistina
 
 

L''inizio è un albero

nel suo alfabeto.
 
 

La bianca macchia

il Non-Ancora da compiere

si trova

su un'altra pagina

e su diversa foglia
 
 

incompiuta come la vita,

perché questa sia.
 
 

l peccato originale: chi la

possiede. Giacché perde allora

il possibile: la chiamano anche

Dio, il Signore,
 
 

che disse l'albero.

Ma chi può dirti libero

e ti assolve?
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 

La musica di Michael Reudenbach è un'eco di questa poesia, scioglie di nuovo le parole e i nomi nella loro origine, nel suono. Lo sappiamo: il mondo nasce dal suono. A sua volta, la poesia fa eco a un'immagine di Carlo Mattioli, un pittore italiano contemporaneo, che dà un'intepretazione estremamente viva de "il pecato originale" della Cappella Sistina: noi perdiamo il mistero, se riusciamo ad esprimerlo.

La Cappella Sistina di Michelangelo è un'eco della Genesi, dunque un'eco di nomi, ebraici naturalmente; al cui centro sta appunto il mistero: EGLI, il NOME inesprimibile. Solo nel silenzio possiamo avvicinarci ad esso.

Qui la poesia serve alla musica come una specie d partitura; questa partitura è la sua forma INVISIBILE, interna; essa soltanto rende possibile l'imposibile, riesce per così dire a circoscrivere e mediare la "macchia bianca", che è un'altra cosa, sta su un'"altra pagina", e deve sottrarsi a ogni foma terrena di espressione, che intenda definirla una volta per tutte; Egl deve sottrarsi perchè ciò che Egli è: a possibilità pura, non sia destinata all'annientamento.

Il terzo capitolo nel secondo libro di Mosè, detto Esodo, chiarisce molto bene questo punto: Mosè, autore e protagonista insieme, chiede a Dio il Suo nome. La risposta è: "Io sono, colui che sono". Tuttavia questa affermazione si può meglio intendere come contraddizione pura e tradurre con una strana forma, chhe indica la possibilità: IO SONO, QUEL CHE SARÒ, SE IO SARÒ.

La forma intima e invisibile della poesia deriva a questo Non-Ancora, he tuttavia è già presente. Su di esso si edifica una costruzione ad anello che nega e supera e stessa; questa lavora col SIC ET NON di Abelardo; ad ogni passaggio viene revocato il già detto, per rendere possibile ciò che ancora deve avvenire, così la poesia consuma se stessa, e insieme anche il noe come agente. Viene dunque dissolto quel nome che attraverso il Verbo ha creato il mondo, rappresentato come albero nella tradizione ebraica ("All'inizio era il Verbo"). Questo albero-mondo pronunciato da Lui viene subito revocato da ciò che "è ancora da compiere" e cioè dalla "bianca macchia". Ciò che è ancora da compiere deve infatti rimanere "incompiuto", incompiuto come la vita, "perchè questa sia", altrimenti essa sarebbe già fissa e compiuta e dunque irrigidita e morta.

Perciò l'albero, che viene raffigurato all'inizio, ed il suo alfabeto, appaiono come falsificazioni umane, come ogni raffigurazione e ogni parolasu Dio. "Tu non devi farti immagine alcuna").

La caduta di Adamo si ripete ogni giorno per opera nostra, e consiste nel voler "possedere" questa macchia inaccessibile e bianca, nell'imprigionarla nei pensieri e nelle Chiese. Nel sottrarre la libertà a Dio e dunque anche a noi stessi, coll'atto di determinarlo una volta per tutte e renderlo in tal modo impossibile.

Così la poesia torna all'inizio, come una specie di Rondò, nella ripetizione di albero, foglia, albero, nel processo drammatico del dileguare. Colui che "disse albero" si mostra come un falso nome, ed esso stesso come un nominato ("Essi lo chiamarono anche Dio,il Signore") e così non può assolverci. Ma chi potrebbe assolverci, dire che siamo liberi? Forse proprio quel movimento di dissoluzione che si compie invisibile al di là di ciò che è espresso, nella struttura della poesia, della musica; lo stato del di-sciogliersi (Loslösen) quando disciogliamo in noi ogni pensato, rappresentato e saputo, e infine anche la poesia e la musica che ci hanno condotto fino a questo punto. Tutte le tradizioni antiche, dallo Zen alla mistica cristiana, conoscono questa catarsi, Dante l'ha espressa splendidamente nella Divina Commedia: prima che l'Io nel suo cammino celeste possa sostenere la luce irradiante e l'Amore, deve svanire, viene immerso dalla primavera nel Lethe, il monte della memoria crolla, e l'Io prende congedo da se stesso.

C'è ancora da dire che il suono dei versi riconduce una variazione da A (Inizio - Anfang - Alfabeto), ä,ü,ö, di nuovo ad A o all'UNO.
 
 
 
 
 
 

CAPPELLA SISTINA
 
 

Il profeta
 
 

Cappella, grande specchio incendiato

dell'universo il libro, un frusciare

della sue pagine, dove Buonarroti sogna,

il muro infrange,

dell'essere nel corpo la pena sospende:

anche in te vive il suo specchio,

un Sè messaggero del profeta

che non più il corpo flagella,

che non più vede se stesso, ma solo la luce

che ha creato la carne,

e ti conduce:
 
 

Un albero è cresciuto grande attraverso lo spazio,

i pensieri vi si arrampicano su e giù

ecco, tu sei assorbito. Luce

a colui che si avvicina, TSEMACH,

una parola, quasi un corpo di luce;

detto, fatto, ancora qui;

ti strofini gli occhi, ti meravigli;

ma certo! ogni albero è stato per una volta soltanto

verde pensiero,

germoglio nella sua foglia,

che tu puoi sognare, essere.

(Mario Pezzella)
 
 
 
 
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

VIAGGIO IN GERMANIA, AD EST

A Volker Braun
 
 
 
 

1

Sopravviene il confine e ci sbarra il cammino,

una linea di sabbia canta

la bellezza del luogo inesistente.

Un albero è vero

E tu vuoi così leggero nella frase

fuggire?
 
 

Ma chi sfora e disturba i muri

con parole e pallottole?

Con la mente divisa, alla finestra,

e gà passato. Era dunque paessagio,

e smorta apparenza?
 
 

Così pensò un'ebrezza felice

la favola della libertà,

negando la divisione.
 
 

Solo attimi dura la gioia.

Stordisce. E muta il potere.
 
 
 
 

2

E il vuoto luogo abbatte.

Il uoto. In me. In te.

L'antica patria. Viva l'orribile morta.

È ormai tempo. Si vedono

i campi passare. E già da molto è vecchio questo confine.
 
 
 
 

3

Come un canto verde e assai lontano: le semine -

gli stati nelle orecchie, un inno la bocca

un atque. Tutto così prosegue. E nulla

sarebbe accaduto? La nuova colpa copre l'antica.

Solo un cielo è concorde. Dice un padre là sopra

nella grande fossa comune. E conta i caduti.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 

Grenzen Los. Notturno

("Autoritratto al chiaro di luna")
 
 

Der Übergang als wärs

der Tod erlebt, die Form, die Aus

dem Sterben kommt: Notturno jedes Leben.

Der Mond, der Mund Endymions,

zerschweigt die Welt, verzittert

wie unter Wasser Jetzt ist alles, was

du sahst veschwunden, Hier und dunkelt schon

der Übergang in blauer Schattenfarbe.
 
 

Hörst du Musik, im Hirn das Delta T,

in dir das Kind, das Weinen, denn über alle

Dächer geht die Mondsucht Ruh, du wachtest

schliefst seit vielen Jahen deinen Tod,

du weißt, bald ruhst du hinter jeder Form,

zerfällst sie, wie Terralba. OPUS Reife

Trancechemie, wo Nichts mehr ist nur NULL

das unsichtbare Gold im Mond verzittert

jeden Mann und Schatten löst uns auf, der Schein

verliert aus sich den Traum, den jedes Ding

Musik in sich verschwingt und selber ist

gedankenhell sich weiß, berührt in mir

den Innenraum, der fließt, Essenz, der Mondschein

klopft die Scheibe auf, das Draußen hat so

ausgedient im Duft der Transzendenz
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Oltrelimite

("Autoritratto al chiaro di luna")
 
 

Trasmutare, come

fosse la morte vissuta, la forma che dal

morire viene: Notturno d'ogni vita.

La luna, la bocca di Endimione,

scioglie il mondo in silenzio, ora

come dissolta in un tremito d'acqua è ogni cosa, che

vedesti svanita, qui è già s'oscura

la trasmutazione nel turchino colore dell'ombra.
 
 

Odi la musica, nel cervello il Delta T,

in te il bambino, il pianto, poiché so ogni

tetto va la sonnambula quiete, tu da ottant'anni

la morte vegliasti e dormisti,

tu sai, presto dormirai dietro ogni forma,

come Terralba la decomporrai. OPUS maturità

chimica d'arte, dove il nulla altro diviene, e il cerchio dello zero

in un tremito scioglie l'invisibile oro

nel silenzio lunare,

in ogni uomo, e l'apparente bagliore

da sé dilaga il sogno, musica pulsante

di ogni cosa, che in limpido pensiero si conosce, ed in me sfiora

l'intimo, fluente, spazio, essenza, il lunare bagliore

apre e dilarga l'disco, l'esteriore si compie

nel trascendente aroma.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 
 
 

LA MARIONETTA la tortuosa

pupilla chi

siamo noi. Senza carne

espongo le ossa al tuo sguardo

(ti mostro nell'occhio le ossa)

finché l'apparenza ci illude.
 
 

Chi porta in braccio i suoi occhi

madre derisa, l'infanzia

il grido.

Ma ora gridare è difficile.
 
 

Quel che ho

capito

mi oltrepassa mi domina/ il suo

occhio vitreo la mia parola...
 
 

Parola luogo

della cecità

occhio trafitto/ La Scrittura.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 

Dieter Schlesak
 
 

A Carlo Mattioli, Parma
 
 

Già sembri

al di là della porta,

davanti la croce,

che stà oltre la morte.

Già sei

nella cornice della porta

di notte eterna
 
 

con un piede
 
 

La nipotina che ti abbraccia

resta nel bianco

della luce e ancora

ti trattiene.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 

Dieter Schlesak
 
 

L'Emigrante
 
 

Lettere scambiate

al di là di ogni chiuso confine

la quiete illude in sembianze di morte

così come un fulmine

a te d'accanto s'infigge

l'indecifrato attimo

- per lei solo un alito lieve -

l'acuminata sosta

ad libitum.
 
 

Lo senti, e più ancora è

il ppressagio, uccelli ilenti,

forse viaggiatrici colombe,

portano il messaggio.

E ancora in rima concorde

coi nostri respiri spezziamo

le porte serrate.
 
 

A lungo restano ferme o si aprono poi quand'io

vengo quando di nuovo io vengo quanto a lungo

per sempre
 
 

occhi richiusi.

Su di noi e resto

l'antico confine dell'erba

e poi sempre

la quiete. Ancora è là sulla pista

di volo il tuo nero vestito,

il vento l'increspa nel vuoto dell'aria,

una corona di nota,

un punto,

ed in basso

anche un rumore di tuono.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)


Dieter Schlesak
 
 

GIORGIO CAPRONI

Pronomi, promesso alla persona
 
 

Invoco le varianti dell'Io

ad ogni notizia che si dice certa

ed è prova di morte
 
 

più di sempre

per noi pericolosa

anche se ormai traspare

che non si può provare

nè l'ES nè il mai stato.
 
 

Come Lui anch'io

se mai non dovessimo tornare

sappiate con certezza:

qui Lui sopavvive:
 
 

nè mai fu lontano.
 
 

E lui dice il lungo viaggio

dal mio inizio:

" sono tornato là

dove non ero mai stato."
 
 
 
 

(Traduzione italiana. Mario Pezzella)
 
 

Dieter Schlesak
 
 

VIAGGIO IN GERMANIA, AD EST

A Volker Braun
 
 
 
 

1

Sopravviene il confine e ci sbarra il cammino,

una linea di sabbia canta

la bellezza del luogo inesistente.

Un albero è vero

E tu vuoi così leggero nella frase

fuggire?
 
 

Ma chi sfora e disturba i muri

con parole e pallottole?

Con la mente divisa, alla finestra,

e gà passato. Era dunque paessagio,

e smorta apparenza?
 
 

Così pensò un'ebrezza felice

la favola della libertà,

negando la divisione.
 
 

Solo attimi dura la gioia.

Stordisce. E muta il potere.
 
 
 
 

2

E il vuoto luogo abbatte.

Il uoto. In me. In te.

L'antica patria. Viva l'orribile morta.

È ormai tempo. Si vedono

i campi passare. E già da molto è vecchio questo confine.
 
 
 
 

3

Come un canto verde e assai lontano: le semine -

gli stati nelle orecchie, un inno la bocca

un atque. Tutto così prosegue. E nulla

sarebbe accaduto? La nuova colpa copre l'antica.

Solo un cielo è concorde. Dice un padre là sopra

nella grande fossa comune. E conta i caduti.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 

Dieter Schlesak

MA NIENTE È PIÙ SICURO
 
 

Per Luciano Fintoni in questo ultimo autunno
 
 
 
 

1

Luciano, quando insieme eravamo nella luce, allora

in Parma, quella pianura dorata, immersi

nei quadri di Mattioli, ed un intimo vortice, una luce

penetrò i colori, e più lo spazio sifaceva oscuro,

più luminoso in noi s'accese

l'Uno, in ebbrezza, quasi il dipinto spazio fosse

cielo aperto, e gli occhi unico limite. ORA

i tuoi per sempre sono chiusi, ma tu mi vedi

in lui, Bianco: proprio nel cielo più profondo e vuoto

nei nostri sguardi rammemorati tu nel bianco della tua scrittura

ma ora là alla porta, rosso il suo peso acceca, inchina nella morte

il capo, quella croce, composizone di otturne insonnie,

è ogni uomo, come te, nella notte della morte,

soltanto quel corpo torturato, trascinato, ferito, abbandonata

carne, e dopo crocefissa, sospeso fino al giorno del Giudizio: di

nuovo, nella luce... Notte, o forse nulla. Tu scrivevi, ma tu SEI ora

l'estrema bellezza che alla luce dei giorni scrivevii,

acceca, l'Altro che s'interna

al mondo, e l'Uno in noi l'infiamma.
 
 

Dieter Schlesak
 
 

"NON SIAMO GLI ULTIMI"
 
 
 
 

1

Ma noi non siamo gli ultmi

Un disegno di Zoran Music nella mia casa di Agliano
 
 

Come crescerebbe l'erba,

come sarebbe bella, come buona,

come sarebbe dolce l'erba

se crescesse dal suo petto
 
 

Nessun grido. No, la bocca

è colma d'asfissia

ed essi proibiscono

anche il respiro
 
 

Egli respira ancora una volta

rantola l'ultimo resto di mondo

troppo debole per il grido

lo solleva ancora il dolore

è come se cadesse all'indietro

nel passo diritto e orgoglioso.
 
 

Non andar via va guardalo

senza croce alcuna

e tuttavia l'omicidio è visibile

invisibile è l'uomo

niente più che animale creatura.
 
 

Viviamo nella demenza

viviamo

ancora

respiriamo
 
 
 
 

2

Volti dei volti

Su un autoritratto di Zoran Music
 
 

Volti dei volti

sono una finestra dal nulla

i tanti morti si sono trasmutati

sono qui conficcati nella carne

come un Cristo già nero

dentro una cornice
 
 

Cosa avete cantato/ cuore

le vittime immolate non possono morire

riprendono coraggio:

si levano nel nuovo grigio

la cenere splende rossa nella luce

l'intimo ardore traccia

nel carbone

il profilo di un volto.
 
 
 
 

3

Il corpo già

svanito

in sottili contorni

nel paesaggio del volto

cerchi concentrici

fino alla fronte

intorno all'occhio chiuso/ rughe o lacrime

ma là dinanzi al respiro

esalato

nel doloro silenzioso del mondo

nessun grido ciò che era si ritrae dietro i corpi

la guancia è un monte ricolmo di buchi
 
 

Quanto accade nell'ultimo

attimo

che ancora sta

dinanzi alla caverna della bocca

sta

come fosse l'ombra che viene

e nero e maturo vede il nulla

dietro i denti
 
 

Solo lei solo lei

o nessuno/ bianca

fiammeggiante carta

e nessun cielo

nessun ma, nessun respiro

nella camera
 
 

mai noi spiriti inconsapevoli

rimasti/ qui

nel corpo
 
 

mai noi sempre ancora aspettiamo

aspettiamo la nostra

perduta

memoria
 
 

la morte
 
 
 
 

4

Per l'ultimo respiro
 
 

Nudo, vestito solo del grido

di corpi senza contorno

oppure sopra

rilucente nel vuoto

testa d'ebreo senza ombra

come il globo di una terra

bianca e già immersa nel nulla
 
 

Proprio così/ nero su bianco

cadendo fuori dal foglio

così è realmente: senti le mani

ritirale

sfila la tua pelle,

in anticipo.
 
 

(Traduzione italiana: Mario Pezzella)
 
 
 
 


Dieter Schlesak
 
 

NON SO PIÙ CHI SEI

Sei qui e io non ti vedo più

sei in me e non ti vedo più qui

tu hai vissuto me e io non vivo più

tu stai accanto a me e io crollo.
 
 

Sta terminando quello che è stato

i sentimenti ancora segnano orme

a volte un fuoco che vuole ardere

sta nella notte e illumina la stanza.
 
 

Cani davanti alla finestra un'auto

va lontano oltre il mio udito una montagna

come grosso animale coricata

Io cerco il tuo respiro.
 
 

Com'è straniero tutto ciò

si rifiuta all'occhio al senso

all'udito
 
 

La fiducia vuole canto.
 
 
 
 

(Traduzione italiana. Luigia Poli)
 
 
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

Le estasi di Maria Maddalena de' Pazzi
 
 

Dieci giorni distesa sull'orlo,

lo sguardo al fondo. Nessuna vita

tra lei e la morte, angeli leccavano le sue ferite

con la sua bocca,

la sete.
 
 

Davanti all'altare gridava a Lui,

e la lingua sguarciava la sua croce,

un silenzio folle razziava -

veloci suoni argentei, per attimi duri come la luce/

e acqua accorreva,

e sangue nel verbo,
 
 

lei nuotava.
 
 

Senza sosta la sua voce per sette giorni -

narrava senza dormire, senza bere;

otto sorelleinsieme scrivevano,

lei mangiava se stessa là dentro,

nella parola non detta,

e irradia robuste frecce, è rosso cattolico,
 
 

cuore pulsante

Gesù, tu stai saldo in cielo,

un raggio di luce scende

è Pentecoste.

Non c'è la morte, è lei l'immagine del Suo cuore.
 
 

Lei ride, risuona; lei è.
 
 

Ascolto sarebbe la cavità della sua ferita:

la sua casa. Altrimenti in nessun posto,

della parola che subito muore nello spazio,

e che non vista addita le stimmate

della mano che non scrive.
 
 

Da lui la grande potenza del verbo che

ascottendo rende trasparente la Tavola,

mai più coperta di fango.

Trafitte le lunghe bianche membra,

stretta nell'iride la penna descrive
 
 

la terra senza terra, senza sguardo,

quello che lei ha visto è morte,

quella che noi tutti attende; il tempo è nulla.

La speranza qui, l'ultimo segno.
 
 
 
 

(Traduzione italiana: Luigia Poli)
 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

CASA CON L'ALBERO NELLO STEMMA. PARMA

a Carlo Mattioli, pittore
 
 
 
 

Porta due occhiali spessi

come lenti che guardano all'interno

l'albero che di continuo in lui cresce.
 
 

Poiché non vede le illusioni

le ottiche del mondo

di nuovo le inventa per noi

e finalmente il tempo si ferma.
 
 

La scrittura nascosta

(Il corpo è scrittura di ciò che è)
 
 

Come se tu non fossi qui

ma solo la tua luce,

perché noi siamo.
 
 

Mattioli ti rilegge

fatto di terra

e tu sei.
 
 

Lui legge nel legno

bruno nell'intreccio di fibre

ingiallite dal tempo:

è qui ciò che odora
 
 

quello che era soltanto ora esiste.
 
 

L'ANTICO, cade in noi

nuovo

come la semplicità, la vita.
 
 

Con spesse lent

la pena afferra

del non esserci
 
 

quel che non è ma era

e che non vuole

passare.

Così torniamo a casa,

nel declino.
 
 

(Traduzione italiana: Luigia Poli)

Dieter Schlesak
 
 

NON SO PIÙ CHI SEI

Sei qui e io non ti vedo più

sei in me e non ti vedo più qui

tu hai vissuto me e io non vivo più

tu stai accanto a me e io crollo.
 
 

Sta terminando quello che è stato

i sentimenti ancora segnano orme

a volte un fuoco che vuole ardere

sta nella notte e illumina la stanza.
 
 

Cani davanti alla finestra un'auto

va lontano oltre il mio udito una montagna

come grosso animale coricata

Io cerco il tuo respiro.
 
 

Com'è straniero tutto ciò

si rifiuta all'occhio al senso

all'udito
 
 

La fiducia vuole canto.
 
 
 
 

(Traduzione italiana. Luigia Poli)
 
 
 
 
 
 
 
 

Le estasi di Maria Maddalena de' Pazzi
 
 

Dieci giorni distesa sull'orlo,

lo sguardo al fondo. Nessuna vita

tra lei e la morte, angeli leccavano le sue ferite

con la sua bocca,

la sete.
 
 

Davanti all'altare gridava a Lui,

e la lingua sguarciava la sua croce,

un silenzio folle razziava -

veloci suoni argentei, per attimi duri come la luce/

e acqua accorreva,

e sangue nel verbo,
 
 

lei nuotava.
 
 

Senza sosta la sua voce per sette giorni -

narrava senza dormire, senza bere;

otto sorelleinsieme scrivevano,

lei mangiava se stessa là dentro,

nella parola non detta,

e irradia robuste frecce, è rosso cattolico,
 
 

cuore pulsante

Gesù, tu stai saldo in cielo,

un raggio di luce scende

è Pentecoste.

Non c'è la morte, è lei l'immagine del Suo cuore.
 
 

Lei ride, risuona; lei è.
 
 

Ascolto sarebbe la cavità della sua ferita:

la sua casa. Altrimenti in nessun posto,

della parola che subito muore nello spazio,

e che non vista addita le stimmate

della mano che non scrive.
 
 

Da lui la grande potenza del verbo che

ascottendo rende trasparente la Tavola,

mai più coperta di fango.

Trafitte le lunghe bianche membra,

stretta nell'iride la penna descrive
 
 

la terra senza terra, senza sguardo,

quello che lei ha visto è morte,

quella che noi tutti attende; il tempo è nulla.
 
 

La speranza qui, l'ultimo segno.
 
 

(Traduzione italiana: Luigia Poli)


Traduzione italiana: Tommaso Cavallo
 

CON UN OCCHIO PESTO guarda il mondo

il fantasma fattosì da sé

finora l'ha scampata.

La vecchia parvenza

in cui ci siamo solidificati

l'alba musica cosmica

il danaro.

Nella parvenza, crepe. Tutto

sorregge la banca. Disperati

s'incollano alla loro grande poesia. Esperti, leaders,

papi e psichiatri. Gli economisti,

a chiudere il corteo. La crepa intanto cresce.

La pausa per tirare il fiato bianca

un momento di passaggio.

Al di qua del presente - minacciosa

la mutazione.
 
 
 
 
 
 

PERCHE' QUESTO GUSCIO CHE NASCE DAL LINGUAGGIO

lotta per la visibilità con il già-stato

come se fossimo funzionari di musei

del nostro presente

con le sue morte esposizioni.

Il polo è freddo.

Torridi i tropici. Come

possiamo afferrare tutto

e non stringere mai nulla.

Fisica e Dio - è questo

l'abisso del nostro presente.

E' la definizione

di nord e sud:

la formula

delle guerre da gran tempo incominciate.
 
 

NELLA LUNGA ESTATE DELL'80

Poter scrivere una poesia/ che

così a fondo penetri nella nostra situazione

come se Il Capitale si lasciasse/ trasformare in sentimento -

e cauta tuttavia ci guidi/ con la sua massa indomita

inafferrabile/ lungo l'abisso.

Talvolta io sento/ il nostro sopravvivere

attualmente come un miracolo/ che quotidianamente l'ordine

interrompe non della natura, certo, ma le leggi

del mercato globale.

Dall'altra parte/ in questa lunga estate dell'80

c'era ancora speranza/ lo sciopero di Danzica

ma qui nel vecchio mondo, ogni speranza

è già miracolosa.

Ma la speranza è doppiamente fatta a pezzi

anche lo sciopero avvicina il nuovo

all'inconsolabile, sino a che forse

d'un colpo dilegua interamente.

"Ciò che non è ancora qui,

A questo bisogna badare"

Ah, utopia./ Anche Mao Tse Dong

nel frattempo han gettato al letame

ma quello che apprese da Laotse/ quello resta:

"Soffice l'acqua

Scava la dura roccia"

Ma 'soft' è/ l'interiorità del mondo esterno -

Il danaro.
 
 
 
 

COME PROCEDONO LE COSE

fuoriesce dall'immagine

Racconti

del vecchio Signore

di come governa

ciò che è visibile

ma senza più esistere.
 
 



 
 

PAESAGGIO BIANCO

"E da capo Sisifo

riprende sua fatica" Odissea, XI
 
 

Per Jürgen M.

1.

Un blocco di marmo bianco

Come un foglio di carta pesante

Si schiaccia duro sulla mia guancia.

Io la porgo così

Per fare una prova.

Era peggio a Carrara

Il bianco peso mortale dei blocchi/ - l'arte

ha già più volte ucciso degli schiavi.

I primi intellettuali

C'erano anche loro. Spaventosamente alto

Il pensiero/ e pesante,

Quasi irraggiungibile: proprio

come il Signore -

rotolandogli dunque quotidianamente

il macigno pieno di dubbi

come se fosse la pena

per il nostro essere svegli.

2.

Vennero alcuni scultori

scalpellini in sorte al genio

e pernottarono all'aperto

preferivano il peso delle stelle

alla caduta quotidiana

dei bianchi pensieri.

Egli venne come una pioggia/ da oltre

la Via Lattea e li stregò

con i suoi occhi./ Perché ormai era

tutto finito e non più rabberciabile.

Ci furono tentativi di trattenerlo nel blocco

ma questo per lo più conduceva

tuonando in basso./ E bianco egli vi giacque

sotto, il corpo e la vita schiacciati

dal macigno del pensiero al monte straniero

ch'egli aveva preteso spostare.

3.

Visto dal principio

ciò che qui ci spetta

in uno e via

questa è l'utopia

che mai tuttavia

potremo raggiungere

perché troppo vicina

é scritta nel nostro corpo

e respira constantemente con noi.

Imitarla/ senza prospettive

è questo lavoro coatto, schiavile.

Così arando ogni giorno

campi di parole sparse troppo lontane

schiacciate dal blocco

quando cade/ noi ci destiamo.

4.

Chi sa/ forse è

un cancro/ un incidente adesso

un morso di serpente/ chi sa

cos'è che ci tocca/ sì, forse

anche solo una guerra/ la bomba

più afferrabile forse: così universalmente

attesa/ che più d'uno pensa

di poterla dimenticare -

e con ciò addomestica la propria piccola morte.

Poiché la morte moltiplicato mille/ è storia.

Il blocco ha percettiilmente previsto

qualcosa come un volto

profilato.

L'orrore allora è già meno orrendo

se scavalca il suo primo abisso

consolazione della statistica/ ha già calcolato

ogni conseguenza: / ciò che così ci abbatte

è individuabile nell'apparato: / non più rotolato

dal vecchio Fato

inafferrabili solo noi stessi -

e sorpassati.

E tra le righe

rimasti sospesi/ un po' come

la speranza.
 
 
 
 
 
 

LEZIONE ESTOVEST

Che fare/ per non toccar più

niente/ di ciò che è fuori

e incombe su di noi / e ogni

giorno si avvicina -

Meglio forse

destarsi schiacciati

di nuovo nel blocco

che ogni giorno sospirando

sospingerlo in libertà

su monti/ che sono vuoti.

Sino a che

tra loro inconsolabili

ci seppelliscano

le idee liquidate.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Caro Dieter,

accogli gutmütig, queste traduzioni fatte senza ausilio di vocabolari, ieri di primo mattino (tra l'altro l'alba con cui aggettivo la "musica

cosmica", mi è stata suggerita proprio dall'ora antelucana a cui mi sono

messo alla scrivania, oltreché dal bianco dei paramenti indossati dai

preti la 'domenica in albis': ma esiste un'espressione idiomatica tedesca come in italiano l'andare 'in bianco' che vuol dire 'non farcela', lo si dice ad

es. quando uno non riesce a portare a letto una donna?? ) tirando un

po' via dove le difficoltà si addensano e sarebbe indispensabile il tuo aiutoŠ

certamente avranno bisogno di essere rilette, ripensate e corrette per

essere presentabili pubblicamente sappi comunque che sento leggendoti molte 'affinità' e trovo alcune idee davvero geniali ad esempio:

l'idea del 'blocco' che è il 'blocco' sovietico, ma è anche il blocco, il

macigno di Sisifo che ognuno di noi deve rotolare vanamente ogni giorno (o

con Valery forse possiamo farci coraggio e sperare se è vero che Sisifo

"si faceva i muscoli" e quindi un giorno sarebbe riuscito a liberarsi) ed è

il blocco bianco che attende Michelangelo per trasformarsi da orrendo in

sublimeŠ è davvero un paesaggio in cui mi sento almeno in parte a casa

mia.

come ho trovato quasi tutte belle le tue immagini osé nel gabinetto del

dottor amore; forse perché più feticista personalmente amo il nudo

sottolineato dalla lingerie o dalle calzeŠŠ ma ognuno penso abbia diritto

a sfrenare la sua fantasia, in genere anche troppo borniert, in eroticisŠ

Bene, appena riesco a liberarmi degli impegni accademici, torno di sicuro

nel tuo/nostro bianco paesaggio e ti spedisco quanto riuscirò a tradurre. Sappi che è comunque un vero piacere e un onore per me ospitarti nella nostra fantastica italica parlata.

a presto

un abbraccio anche a Linda

tommaso

t.cavallo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 

Dieter Schlesak
 
 

METTIAMO DA PARTE

i nostri bravi calendari casalinghi.

Foglietti di carta senza bambini

in una soffitta

i vechi presentimenti

stanno volentieri in piedi

come tranelli.
 
 

(Traduzione italiana: MdS)

Dieter Schlesak
 
 
 



 
 
 
 



 
 
 
 

Poezii in limba româná.

Traducere Andrei Zanca
 
 

IN LUNGA VARÃ A ANULUI 80

sã poti scrie un poem/care

atinge atît de profund starea noastrã realã

ca si cum capitalul s-ar lãsa/preschimbat în sentimente -

ne poartã totusi cu grijã/cu a sa

masã nedomolitã necuprinsã/de-a lungul prãpastiei.
 
 

cîteodatã simt/supravietuirea noastrã

în aste vremuri ca pe-o minune/ce zilnic sparge

nu atît ordinea naturii/cît legile

pietii mondiale.
 
 

pe-de-altã parte/în astã lungã varã 80

mai exista sperantã/greva din Danzig

aici însã în vechea lume/fiecare sperantã

e ca o minune.
 
 

însã speranta/e-ndoit împãrtitã

si greva/apropie noul de

neconsolare/pînã ce, poate

dispare apoi cu totul odatã:
 
 

ce nu e încã aici, asupra acestuia

trebuie sã actionezi

ah, utopie. si Mao Te-Dung

l-au aruncat între timp/la gunoi

însã ce-a învãtat de la Laote/aceasta rãmîne

apa moale

gãureste piatra durã

moalele însã este/lumea lãuntricã a lumii exterioare -

banul.
 
 
 

(Traducere de Andrei Zanca)
 
 
 



 
 
 

iar sisif o ia de la capãt

Odiseea, XI
 
 
 
 

meleag alb
 
 

pentru Jürgen M.
 
 
 

1.

un bloc alb de marmurã

ca hîrtia grea

lipeste de obrazul meu.
 
 

îl întind/înspre mine

doar spre probã.

mai rãu a fost în Carara.
 
 

alba povarã a mortii

a blocurilor/ - artã

care deja dintotdeauna a omorît sclavii.
 
 

primii intelectuali

au fost de fatã/groaznic de sus abia de-atins:

gîndul/si greu
 
 

abia de-atins: exact

ca Domnul -

rostogolindu-l asadar zilnic
 
 

cãtre blocul plin de-ndoieli

ca si cum ar fi pedeapsa

pentru veghea noastrã.
 
 

2.
 
 

au venit unii sculptori

sã ciopleascã, în parte genii

si-au înnoptat în naturã

au ridicat povara stelelor mai lesne

decît zilnic cãzîndul

alb gînd.
 
 

ca o ploaie a venit el/de dincolo

de Calea Lactee si i-a înnebunit

cu cohii lor/cãci întotdeauna deja totul
 
 

trecuse si nu mai era de tinut.

au existat încercãri de-a retine în bloc

aceasta însã a dus mai mult

la durduitorul povîrnis/si alb a zãcut el

dedesubt./ zdrobit cu trup si viatã

de blocul de gînduri muntele strãin.

pe care astfel îndrãznise

a-l muta.
 
 

3.

vãzut din fatã

ce ne asteaptã

într-una
 
 

asta-i utopie

pe care cu toate acestea nicicînd

n-o putem ajunge
 
 

fiind prea de tot

fãcutã pe mãsura-ne
 
 

si respirînd într-una cu noi.

a o imita/zadarnic

în astã muncã silnicã si de rob
 
 

astfel arînd în fiece zi

cîmpuri de cuvinte, prea departe risipite

strivite de bloc

cînd cade/ne trezim
 
 

4.

cin stie/poate e

un cancer/un accident acum

o muscãturã de sarpe/ cine stie

ce ni se pregãteste/da, poate
 
 

deasemenea doar un rãzboi/ bomba

mai pe-nteles poate: atît de general

asteptatã/ încît cîte unul e de pãrere

cã ar putea-o uita -

chiar propria micã moarte/ si cu aceasta domolit

cãci de-o mie de ani moartea/e istorie.
 
 

blocul are socotit pe-nteles

ceva asemãnãtor, ca si desenat

o fatã.
 
 

este sperietura atunci/mai lipsitã de sperieturã

dacã face o punte peste prorpriul hãu

consolare a statisticii/si-a calculat deja

fiecare urmare:/ce ni se-ntîmplã

se recunoaste în ustensil./abia mai trece

bãtrîna soartã peste el.
 
 

de ne-nteles, doar noi însine

si depãsiti.
 
 

si-ntre rînduri

agãtatã/ceva, ca speranta.
 
 

LECTIE ESTVEST

ce sã faci/spre a nu mai

misca nimic/ce-i afarã

si pluteste peste noi/si

zilnic se-apropie -
 
 

mai bine poate

sã te trezesti zdrobit

din nou în bloc

decît gemînd zilnic

sã-l rostogolesti în libertate/sus

pe muntii/ce-s goi:
 
 

pînã ce

ideile-de-a-gata

ne-ngroapã neîmpãcati

sub ele.
 
 



 
 
 
 

Dieter Schlesak:Poezii, Editura Univers, Bucuresti 2000

Traducere si prefatã

de

Andrei Zanca
 
 



 
 
 
  PREFATÃ

Timpul nu mai are timp
 
 

"...acum se adaugã si ratata întîlnire cu peisajul copilãriei în Transilvania, pe care am simtit-o deja la prima - pînã acum si ultima - mea vizitã, acum saisprezece ani...amenintã un dublu abis, timpul zãgãzuit si acum cel curgãtor, se vor ciocni dupã toate previziunile cu vremea amintirii..." (eu neclintit în mersul vremii)
 
 

"Simtim cã, chiar dacã toate întrebãrile stiintifice posibile ar fi rezolvate, problemele noastre vitale nici mãcar n-ar fi atinse. Desigur, atunci, tocmai nu mai rãmîne nici o întrebare; si chiar acest lucru este rãspunsul; rezolvarea problemei vietii se observã la disparitia acestei probleme.(Nu este acesta motivul, de ce oamenii - cãrora li s-a limpezit acest sens al vietii, dupã îndelungi îndoieli -, de ce acestia, n-au putut spune atunci, în ce consta aceast sens?)". (Ludwig Wittgenstein, Tractatus).
 
 
 
 

Intr-adevãr, esenta unei opere - orice parametrii de clasificare s-ar prescrie teoretic - rezidã în final, în ceea ce am putea numi parfumul, mireasma indelebilã, care persistã mult dincolo de lecturã, ceea ce cu un cuvînt se poate denumi poezia pe care degajã. Acest lucru, ce tine de un anume inefabil, îl putem atribui oricãrei opere de artã, nu numai literaturii - Nietzsche, Cioran, Schopenhauer, Brâncusi, Van Gogh, Hegel, ori chiar numai citatul de sus al lui Wittgenstein, sînt tot atîtea exemple propuse sporadic, fãrã a mai vorbi de muzicã ca încununare. Poezia ce se degajã, acel inefabil-peren, este ceea ce ne determinã sã re-lecturãm, sã re-luãm, sã re-înviem, senzatia de odinioarã, în cele din urmã sã ne re-ligãm.

Aceastã dîrã de mireasmã a timpului-imemorial rãmîne. Esential este miezul afectiv, care va declansa mai apoi verbalizarea, teoretizarea, mularea ori spiralarea de unde a intonãrii, bunãoarã.
 
 

La Dieter Schlesak, se pot astfel decanta - ca la orice creator autentic - obsesii mereu reluate: timpul, granita (unul din infinitele chipuri ale timpului, de altfel), dorul (în cazul sãu Himwih, varianta dialectului sãsesc, ori Heimweh, corespondentul aproximativ al lui din germanã), meleagul natal (ca sursã reluatã a acestui dor, dar si ca imagine a paradisului pierdut), moartea (dobîndind aici valentele unei tranzitii într-un nou si încã nebãnuit spatiu), golul. Toate acestea se petrec sub auspiciile luciditãtii secondate de sensibilitate, în învãluirea obsesiv reluatã a timpului, a diversitãtii calitãtilor sale.
 
 

Se poate afirma cã în fond e vorba de o misticã nesentimentalã - în care eul nu este mai important decît multitudinea aparitiilor. Schlesak, deconspirã iluzia cronologicã si istoricã, revelînd multidimensionalitatea lumii - întreprinzînd un pelerinaj prin diversitatea ei."Nimeni n-a fost în urmãtoarea secundã", afirmã el, recunoscînd cã prezentul cuprinde toatã eternitatea, cã nu existã alt loc si alt timp, în care am putea fi si cã vicisitudinile istoriei, ne determinã de regulã existenta, doar în mãsurã în care "cãutãm" acest lucru.
 
 

Intr-un anume sens, Schlesak ne înfãtiseazã la un nivel freatic (care scapã uneori, gratie talentului din încorsetãrile oricãrei linearitãti temporale, cauzale si de efect) - nepovestea vietii sale (fiti mereu în început; Ev.). Reluãrile acestea joacã rolul pe care îl joacã anumite teme la Bach bunãoarã - mereu repetate, nicicînd aceleasi - , încercînd a atinge obsesiv un punct vulnerabil al lumii din infinitele puncte ale unui cerc, racordate aidoma unor spite acestui dureros-împrospãtor punct, constituit din îngemãnarea notionalã a mortii, granitei, abisului, iluzoriului vãl dintre moarte si viatã - toate aglutinîndu-se-n dor, dorul de meleagul natal (recunoscut fãtis si fãrã ifose, ori refulat si negat, ca la mare partea din comilitonii sãi), acest dor, care în fond este unul de tranzitie într-o lume vesnic întînjitã a paradisiacului, a oazei pierdute.
 
 

De aceea, îi convine si si-a ales starea de intermediaritate, de "intervietar", pe care a bãnuit-o încã din Tarã, anticipînd-o cu primul sãu volum de poezii intitulat semnificativ "Grenzstreifen" (Fîsii de granitã).Ce dovadã mai concludentã a faptului cã în noi, trecutul si viitorul, existã doar într-un prezent, ce include toatã eternitatea?
 
 

Astfel, desi foarte preocupat de filozofie, psihiatrie, artã, esteticã, ba chiar si de fizica cuanticã si teologie, Schlesak, lasã sã transparã cînd delicat, cînd ironic, cînd cu o anume furie, faptul cã ele sînt mai degrabã ca o controversã cu cuvinte si notiuni, ce n-au relationare cu experienta, o argumentare "desteaptã", iscusitã (schlau, în lb. germanã), despre probleme, care de fapt în marea lor majoritate izvorãsc din gramaticã si din formele verbale. Intre lumea descrisã si cea aflatã nemijlocit, senzualã, e un abis.
 
 

La el poate fi vorba de o centrare misticã nesentimentalã, cum am mai spus, în care eul nu este mai importante decît diversitatea aparitiilor, "jocurilor" lumii. In acest teritoriu al limitei în care trãieste si-n care vrea sã fie un Nemest (Nimeni, în dialectul sãsesc),

el realizeazã gingasa delimitare dintre lumi, vãlul înselãtor dintre experienta abia aburitã a supranaturalului si experienta senzualã, mediatã a realitãtii în frumusetea dar si în grozãviile ei, coplesitoare în linistea si tãcerea de colinã natalã a cuvîntului si gîndului. In acest sens el poate fi considerat ca un urmas în linie dreaptã al romanticilor germani, atît de iubiti de el: Novalis, HÖlderlin, însã paradoxal, si al stãruitoarei fermitãti si ordonãri kantiene - dar si al îndîrjirii într-o anume aurã a unui alchimist medieval - pînã înspre totala deschidere cãtre vraja poematicã a de nedelimitatului Rilke.
 
 

Propria sa viatã, deschizîndu-se, dar si absorbind lumea, îi pare lui Schlesak o nepoveste peste care se apleacã cu lãcomia,deschiderea si neîncorsetarea unui copil, pe care lumea l-a silit a îmbãtrîni, cãci în fond chiar si în Agliano, el este acelasi copil transilvan de odinioarã, dintr-o Sighisoarã, ce tinde sã-si creeze o mitologie proprie prin obsesiva înturnare a copilului "silit" sã devinã poet, Schlesak. Da, sã spui ceea ce e de nespus. Ca o pasãre ce se loveste cu încãpãtînare de sticla unei ferestre pînã la completa epuizare. Cea mai mare parte a operei sale este de fapt si în realitate, liricã, chiar si atunci cînd se-nvesmînteazã în prozã. Cãci, dacã totul s-ar descuama si si-ar proba caducitatea pe lume, un lucru rãmîne - în ciuda oricãror previziuni a creieratilor - anume, miezul senin-jucãus si absorbitor al poeziei. Vesnica noastrã reîntoarcere, undele vii ale vietii în nucleul ei, oricînd preschimbabile în muzicã.
 
 

Schlesak e constient - prin fãr de vîrsta curiozitãtii - cã durerea nu poate fi separatã de bucurie, tristetea de rîsul slobozitor, viata de moarte, cã a fi, ori a nu fi, sînt douã lucruri care se conditioneazã reciproc. El este constient cã tot ce ni se înfãtiseazã, ne înconjoarã, ne învãluie în decursul vietii, ni se adreseazã în simboluri (Gedankenbild = imagine-gînd, în traducere directã, secvente, simboluri fulgurante), pe care ca fiinte ale transcendentalului, avem obligatia si nevoia de-a le deslusi. De aceea pentru el, teoria filozoficã, o adîncã cugetare, au aceeasi fascinatie ca si înflorirea unui cires, înfrunzirea si mireasma mãslinilor toscani, a prunilor si teiului transilvan, a cîntatului unic al cocosului în zorii unei nesfîrsite veri sighisorene din copilãrie.
 
 

Sã glumesti, sã te întristezã, sã rîzi, sã fii ironic, sã fii de-o naivitate dezarmantã, încît sã faci pînã si femeia sã dispere, în uluirea si nedumerirea-i furioasã: am de-a face cu un copil ori cu un bãrbat?

Cu amîndoi, pe rînd si deodatã, pare a spune Schlesak, zîmbind cum numai în calmul si molcomia sa ancestralã, o poate face un ardelean, un "siebenbürger" veritabil, "asezat" - la care însã sentimentele si amintirea sînt inextricabil întretãsute - cu luciditatea, dublatã de o stiintã a administrãii, ordonãrii si culmea, cu o apetentã a sistemului, a sistematicului! (acest lucru, care denotã de fapt mica fatã mãrturisitã a temerii existentiale a fiecãruia!). Cãci iatã, din punct de vedere al stilului, acelasi Schlesak, este la înãltimea prozei de cea mai bunã calitate a "companionilor" sãi dintr-o Germanie a anemiei sentimentului, a cultivãrii neîncrederii, a statului-în-stat, de parcã eforturile n-ar trebuie sã tindã la unisonitate umanã si divinã, ci sã ducã fãrã doar si poate doar la decantarea de "personalitãti" si a spiritului de "grupulet", de gascã, cum s-ar spune la noi.
 
 

Prin nivelul stilistic, el se-ncadreazã net în primele rînduri ale scriitorilor germani, a celor de bastinã si-n acelasi timp mult în fata baricadei celor de "gradul doi" ori "trei", prin declararea fãtisã a nostalgiei, dorului si iubirii sale fatã de meleagul natal, pe care multi altii se "forteazã" sã-l uite, considerîndu-l un adevãrat handicap, un obstacol, un impedimeent în fata succesului, a cerintelor "vestice" în ceea ce priveste arta, a "adevãratei" valori.
 
 

Intreaga creatie a lui Schlesak, poartã cu sine o impregnare esticã, fapt care-i dãruie stilului sãu prospetime, însã si o vigoare, a cãrei sorginte cred cã nedumereste colegii sãi germani; spiritul valaho-transilvan s-a impregnat si a devenit inerent unei creatii aflate ea însãsi într-o anume intermediaritate.
 
 

Schlesak este însã constient de avantajul divin al trãirii si cunoasterii a douã sisteme atît de diferite. El stie cã noutatea sa constã în asumarea esticã si nu în desprinderea de ea, de ruperea de ea Cãci e o iluzie, cã poti a te rupe de un trecut, ce s-a impregnat pe nesimtite în carnea si spiritul tãu, lucru care nu trebuie negat, ci dimpotrivã, lectia estului, trecutul, trebuie asumate, întîmpinate.
 
 

Din acest punct de vedere, pînã si transcomunicarea mi se pare a fi în mod pe undeva aproape inconstient, o încercare de "reînviere" a mortilor, a unei lumi dispãrute, pe care el nu o acceptã ca dispãrutã, pe care încearcã - printr-o intensitate sporitã dureros a iubirii - sã o reitereze, sã o readucã acolo unde i-a fost locul. Simtiri ce se-ntrupeazã în fîsîitul arborilor, reflexele undelor, brizele dinspre liziere.
 
 

Las lectorul sã ia contact direct cu acest fenomen, încercînd cã conturez un profil - lucru pe care îl consider în acest context mult mai important, unic în aceastã dublã, ba triplã ipostazã: de scriitor nãsut în Transilvania, care declarã fãtis cã preferã mãnãstirile minuscule din Moldova, catedralelor vestice, care scrie în limba germanã, prim traducãtor în aceastã limbã al prietenului Nichita, hãlãduitor vreme de douãzeci de ani într-un Bucuresti si-o atmosferã, cãreia îi simte si azi lipsa, traducãtor al prietenilor sãi, Norman Manea, a saizecisioptistilor, a optzecistilor -pe care-i simte aproape temperamentului sãu, într-o antologie de peste patrusute de pagini "Serpentine periculoase", un scriitor care preferã a trãi în nordul Italiei, continuînd a scrie în germanã, care nu este nici est-german, nici vest-german, un Nimeni în satul cu frumos nume Agliano.
 
 

Un Nimeni, deci unul care stie cã trebuie sã devii un Nimeni spre a lãsa sã te pãtrundã toate efluviile lumii. Încît prejudecãtile de orice naturã sã se poatã vesteji lent, cît mai departe de fãptura ta, ce priveste o înserare de pe o colinã din nordul Italiei, în mirosul de fîn si fum, de ramuri uscate, neputînd niciodatã sã nu o asemuiascã în închipuire, dureros, cu o altã înserare undeva pe malul unui rîu, între colinele Transilvaniei, o înserare, ce-i însoteste fiecare bãtaie de puls.
 
 

Literatura de emigratie, este refacerea unitãtii pierdute dintre om si operã. Este o literaturã cu destin, rotunjitã de umilinte, disperare, în vesnicã disputã de afirmare cu memoria.
 
 

Cu ochii unui german transilvan din Sighisoara, hãlãduit printr-o boemã bucuresteanã, valahã, cutremuratã de nelinisti si grozãvii, traversînd o vreme, pe cînd timpul era un capital - singurul - de nepretuit, trãind experiente si legînd prietenii, neuitate prin ani, trecînd în postura tranzitorie de exilat în Germania, supravietuind doar prin intermediul patimei dintotdeauna, limba maternã, si apoi stabilindu-se într-o Italie în care încearcã de fapt sã regãseascã rezonante ale unei secvente temporale si de meleag pe veci irepetabile, Schlesak, pare sã spunã: sînt singur în acest cavou si mã nerabdã o plecare, însã încotro?
 
 

La Cioran denotam undeva, complexul Ladima - a fi pînã dincolo de moarte îndrãgostit de o femeie frivolã - Tara în cazul lui Cioran - fenomen însotit la el de un complex de sentimente contradictorii, de la turpitudine si culpabilizare, la accese pãtimase de furie, adicã de toatã gama de sentimente ale omului ce iubeste încrîncenat si fãrã de potolire, care trebuie sã-si însuseascã în umilintã si cu deznãdejde o limbã strãinã,franceza, spre a ajunge mai apoi unul din cei mai strãluciti stilisti recunoscuti ai acesteia, care pînã si prietenilor sãi nu le mai scrie în românã, din motive lesne de înteles prin prisma acestui complex de sentimente, care stie cã orice act de iubire nu este sinonim cu orbirea si ridicarea în slãvi ci se apropie în disperarea mentinerii lui de o critica sporitã pînã la neaosa înjurãturã, care stie cã pînã la moarte nu se poate desprinde din mrejele unei iubiri coplesitoare, afurisind-o si afurisindu-se la rîndul lui.

La Schlesak, se poate vorbi în acest sens de o amortizare, un as în mînecã: limba germanã, limba în care scria si poate scrie si în Vest în continuare, în care îsi poate publica cãrtile în editurile germane, fapt vitalizator si care-i dã posibilitatea de

confruntare în aria de centru a limbii sale materne.

Ceea ce la Cioran e o iubire ce frizeazã pe undeva fanatismul, disperarea, la Schlesak este o iubire a meleagului natal, asemãnãtoare primei iubiri, care nu se poate uita, însã cãreia aria unei culturi si refugiul în limbã, o alinã, conferindu-i imbold si adãpost.
 
 

Ambii au tras ponoasele unei lumi a pilatismului, a sustrageriii - fenomen tot mai extins, dincolo de orice granitã,, situare geograficã ori sistem - de la orice responsabilitate, a unei lumi dezabuzate, de un rafinament pîrjolitor a tot ce e natural, spontan, o lume a cultivãrii cu obstinatie a neîncrederii, înruditã cu muzeele, cu acest extins muzeu, Europa de Vest, o lume obositã si temãtoare, oblojindu-si prin goanã si epuizare singurãtatea la care singurã s-a condamnat, a unei lumi ce-si întoarece capul de la orice ar putea-o trezi, o lume ce se teme mai mult decît de orice de-a fi confruntatã cu sine, groaza de-asi privi în fatã irosirea, bîntuitã, de o spaimã grotescã la auzul cuvîntului rãgaz, o lume a zîmbetului obscen.

Ambii par a avea însã în comun - ca si alti exilati de marcã - asertiunea: cine-si cunoaste doar Tara, nu-si cunoaste Tara. Ei nu-si construiesc sisteme, spre a nu devenii pionii lui, si stiu, cã pentru cel mai simplu adevãr, asumat integral si nu doar verbal - cum e moda azi - îti trebuie ani întregi de contemplare si de rãgaz, cã nu trîmbitata disciplina de manipulare, ci acea - condamnabilã din punct de vedere burghez, tocmai pentrucã nu vizeazã substratul material, nu aduce "roade" - disciplinã a singurãtãtii amare a lui Nimeni, cel de dincolo de timp, este cea valabilã.
 
 

Obsesia Est-Vest devine astfel una din cele mai dureroase. Mai ales pentru cã se profileazã faptul cã în vreme ce în Est, oamenii îi împing la martirat pe cei pe care generatiile de mai tîrziu îi vor venera, în Vest la ora actualã, cei care nu se compromit comercial, sînt condamnati la martiriul singurãtãtii absolute si al anonimatului ( în cadrul unei reciprocitãtii a "exceptiei"). Ori adiacent si în spritul acestui comentariu, ceea ce în Est era plãcerea povestirii, în Vest e pe undeva povestirea plãcerii (deci tot insinuarea nebãnuitã si rolul timpului).
 
 

Astfel, între o luciditate deseori împovãrãtoare si sfîsiat de sentimente, pe care doar cel fãrã de meleag le poate pricepe, Schlesak înceacã sã salveze o atlantidã.O cãutare a timpului rãtãcit. Însã, pot aceste meleaguri, prin ele însele sã reziste unei irepetabile armonii de convietuire dintr-un meleag natal al unei Europe mijlocii, unui gol de nemaîmplinit? Nu este si el - meleagul acesta atît de îndrãgit - bîntuit la rîndul lui de un altfel de dor, mutilat pe undeva de o întristare fãrã de leac?
 
 

Pe undeva luturile acelea s-au închegat si din pulberea celor care au vietuit peste opt secole pe aceste meleaguri, înãltînd un memento al cetãtilor, oraselor, ogrãzilor si livezilor, traditiilor si obiceiurilor. Acolo mai zac osemintele celor risipiti prin cimitire.
 
 

Dincolo de acestea, lumea ce s-a contopit cu aceste meleaguri, fãurind reciproc un profl unic în acest perimetru al unei unice frumuseti din Europa mijlocie, s-a risipit, ceva le lipseste, vãduveste pe veci, aceste meleaguri, în ciuda apetentei de reînnoire si a vitalitãtii naturii. Lipseste - si aici intervine Schlesak ca scriitor - un dat metafizic.
 
 

Asa se explicã si reiterãrile, reluãrile obsesive, repetetãrile dînd ocol aceleiasi teme ca într-o adevãratã artã a fugii.

Tocmai aceastã tragicã si-nscrisã vãlurire individaulã si de comunitate, o surprinde Schlesak în jurnalele, proza si poemele sale, cãutînd cu disperare a retine de neretinutul, ca pentru a învesnici clipa si descoperind cu uimire cã ea mereau a fost si e prezentã, cã meleagul nostru natal, acel shab (munte, colinã în Zen si Tao), acel "acasã" al nostru nu este pe acest pãmînt. Cu totii sîntem în exil. Da, cu totii purtãm rana neînchisã a unui

saudade (dor, în portughezã) fãr de leac.

Schlesak devine astfel - fenomen aproape unic- o port-voce a unei întregi comunitãti rãtãcitoare, bîntuie de dor, de senzatia golului, si dezrãdãcinãrii.
 
 

Insã dupã cum totul este asumare si mai nimic întîmplãtor, mesajul îndeamnã sã trãim din plin acest Acum, pe-aceste meleaguri unde "vom fi fost si noi cîndva oaspeti" - neuitînd, zic eu, a ne reaminti la aceatã orã 25 de vorbele citite undeva pe-o inscirpitie sigihsoreanã dintr-un locas de veci: ce esti, am fost, ce sînt, vei fi - memento de desprindere si de ACUM al lui Nimeni, poetul fãrã de meleag....

Fie-mi îngãduit, ca la împlinirea în acest august a saizecisipatru de ani a saizecisioptistului Dieter Schlesak, sã--i dãrui aceastã mãrturisire de fraternizare si afectiune:
 
 
 
 
 
 

tãceri

"amintirea este singurul înger ce ne rãmîne"

poate toatã taina vietii e sã suferi fãrã sã te plîngi, i-a scris vincent fratelui sãu.-
 
 

dar dacã fãrã de stirea noastrã

am fost pricina durerii unuia nebãnuit,

taina petrecerii lui uluite?

dinspre moarte, totul devine trecut.

mereu în acum, ea se desprinde de noi în ultima rãsuflare.
 
 

segreta, o zãreste doar muribundul si totusi

fiecare petrecut se adaugã nebãnuit sîngelui nostru

si doar în poala de septembrie a limbii sîntem acasã

lãsîndu-ne în unul din graiuri spre a ne împlini o lipsã

însã cine-i în stare a tãlmãci ultima rãsuflare?
 
 

numãrate în morti ne sînt zilele. un mut fîlfîit ne desparte

iar noaptea-i o lespede. ziua o nãzãrire a somnului.
 
 

cînd mulezi tipãtul arborilor vãlurind tulburarea de cîmp în florile-soarelui

cînd chipuri, lucruri, poame, sînt scoase din vreme

dãruindu-si la fel de uluite fata nebãnuitã

unei nerãbdãri ce scapã de doliul luminii

lent îngemãnîndu-ne

vincent, ce chip avea atunci inima ta?

ruinare. scormonind cu sîngele taina unei pietãti

departe de carminul pãtat al lumii.

o durere atît de palpabilã

încît sã-ti dãrui urechea învelitã în ziarul lins de vin,

gemãtului ei...

cum am stii însã cã viem, dacã nu ne-am fi petrecut odatã?

mã apropii de tine. tu dormi.

îti privesc fata tîrzie - pe cînd mai pãduream,

se aplecase lin peste a mea si-mi las mîna pe umãrul tãu.

te trezesti. cine a murit? mã întrebi.-

si era o zi seninã si pãsãri ciuguleau dintr-un ciob de oglindã

tãcere

- .. -

cum te mai aud, cugetã surdul

cum te mai vãd, cugetã orbul

cum te mai agrãiesc, se tace dumnezeu....
 
 

tãcut mã-nclin si eu pãdurii

întru aceste mãrturisiri

pre moartea ei cãlcînd
 
 

tristetea va tine toatã viata, a mai scris vincent în ultima lui scrisoare...

am putea fi însã bîntuiti de-atîta amãrãciune

de n-am fi cunoscut vreodatã înseninarea?

vincent, ce chip are acum inima ta?
 
 
 
 
 
 

andrei zanca, heilbronn, 1998


CU OCHI ALBASTRU vede lumea

fantoma de sine plãsmuitã

pînã acum a scãpat.

vechea aparentã

de care ne-am închegat

muzica cosmicã în alb

banul.

aparenta are fisuri. totul e tinut

de bancã. disperati se agatã

de marele lor poem. experti, sefi.

papi si psihiatri. economistii

cu totul la urmã. însã fisura avanseazã.

marele rãstimp de respirare

e o tranzitie.

dincoace de prezent - amenintãtoarea

metamorfozã.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

FIINDCÃ ACEASTÃ COAJÃ CE-I DIN LIMBÃ

sleindu-se ca vizibilitate în lupta

cu ce-a fost

ca si cum am fi administratori ai muzeelor

propriului prezent

cu exponatele ei moarte

rece este polul.

tropicele fierbinti. ca tot

ce putem laolaltã cuprinde

si nicicînd apucãm.

fizica si dumnezeu - aceasta este

abisul acestui prezent.

aceasta este definitia

nordului si sudului:

formula

de mult purcesului rãzboi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

IN LUNGA VARÃ A ANULUI 80

sã poti scrie un poem/care

atinge atît de profund starea noastrã realã

ca si cum capitalul s-ar lãsa/preschimbat în sentimente -

ne poartã totusi cu grijã/cu a sa

masã nedomolitã necuprinsã/de-a lungul prãpastiei.

cîteodatã simt/supravietuirea noastrã

în aste vremuri ca pe-o minune/ce zilnic sparge

nu atît ordinea naturii/cît legile

pietii mondiale.

pe-de-altã parte/în astã lungã varã 80

mai exista sperantã/greva din Danzig

aici însã în vechea lume/fiecare sperantã

e ca o minune.

însã speranta/e-ndoit împãrtitã

si greva/apropie noul de

neconsolare/pînã ce, poate

dispare apoi cu totul odatã:

ce nu e încã aici, asupra acestuia

trebuie sã actionezi

ah, utopie. si Mao Te-Dung

l-au aruncat între timp/la gunoi

însã ce-a învãtat de la Laote/aceasta rãmîne

apa moale

gãureste piatra durã

moalele însã este/lumea lãuntricã a lumii exterioare -

banul.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

iar sisif o ia de la capãt

Odiseea, XI

meleag alb

pentru Jurgen M.
 
 

1.

un bloc alb de marmurã

ca hîrtia grea

lipeste de obrazul meu.

îl întind/înspre mine

doar spre probã.

mai rãu a fost în Carara.

alba povarã a mortii

a blocurilor/ - artã

care deja dintotdeauna a omorît sclavii.

primii intelectuali

au fost de fatã/groaznic de sus abia de-atins:

gîndul/si greu

abia de-atins: exact

ca Domnul -

rostogolindu-l asadar zilnic

cãtre blocul plin de-ndoieli

ca si cum ar fi pedeapsa

pentru veghea noastrã.

2.

au venit unii sculptori

sã ciopleascã, în parte genii

si-au înnoptat în naturã

au ridicat povara stelelor mai lesne

decît zilnic cãzîndul

alb gînd.

ca o ploaie a venit el/de dincolo

de Calea Lactee si i-a înnebunit

cu ochii lor/cãci întotdeauna deja totul

trecuse si nu mai era de tinut.

au existat încercãri de-a retine în bloc

aceasta însã a dus mai mult

la durduitorul povîrnis/si alb a zãcut el

dedesubt./ zdrobit cu trup si viatã

de blocul de gînduri muntele strãin.

pe care astfel îndrãznise

a-l muta.

3.

vãzut din fatã

ce ne asteaptã

într-una

asta-i utopie

pe care cu toate acestea nicicînd

n-o putem ajunge

fiind prea de tot

fãcutã pe mãsura-ne

si respirînd într-una cu noi.

a o imita/zadarnic

în astã muncã silnicã si de rob

astfel arînd în fiece zi

cîmpuri de cuvinte, prea departe risipite

strivite de bloc

cînd cade/ne trezim

4.

cin stie/poate e

un cancer/un accident acum

o muscãturã de sarpe/ cine stie

ce ni se pregãteste/da, poate

deasemenea doar un rãzboi/ bomba

mai pe-nteles poate: atît de general

asteptatã/ încît cîte unul e de pãrere

cã ar putea-o uita -

chiar propria micã moarte/ si cu aceasta domolit

cãci de-o mie de ani moartea/e istorie.

blocul are socotit pe-nteles

ceva asemãnãtor, ca si desenat

o fatã.

este sperietura atunci/mai lipsitã de sperieturã

dacã face o punte peste prorpriul hãu

consolare a statisticii/si-a calculat deja

fiecare urmare:/ce ni se-ntîmplã

se recunoaste în ustensil./abia mai trece

bãtrîna soartã peste el.

de ne-nteles, doar noi însine

si depãsiti.

si-ntre rînduri

agãtatã/ceva, ca speranta.

LECTIE ESTVEST

ce sã faci/spre a nu mai

misca nimic/ce-i afarã

si pluteste peste noi/si

zilnic se-apropie -

mai bine poate

sã te trezesti zdrobit

din nou în bloc

decît gemînd zilnic

sã-l rostogolesti în libertate/sus

pe muntii/ce-s goi:

pînã ce

ideile-de-a-gata

ne-ngroapã neîmpãcati

sub ele.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

CA-N NEBUNIE VOCI

mnemosine/muzele sînt doar pseudonime

sub silabe soptesc halucinatii.

aproape de marginea limbii germane doare.

acest spatiu ca vînãt-bãtut

oglindeste în noi însine dictate

de la multii morti.

tine oglinda curatã

întrerupe semnalizarea/furia

de care esti plin.

ea tulburã.

eu, pentru celãlalt înger -

vreau a mã aranja./ sã mã pun laoparte

si sã fiu cu totul linistit.