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Un progetto: il plurilinguismo passivo territoriale

Normalizzazione, standardizzazione, formazione di una koinè: percorsi fondamentali, obbligati, per portare una lingua ad una tutela giuridico-istituzionale, indispensabili per l'insegnamento e per l'utilizzo in campo tecnico, scientifico o comunque professionale. Ma quale convivenza, quale comunità di parlanti, quale identità in una società necessariamente plurietnica e multirazziale come la nostra? Preso atto della necessità di rifondare su base pluralistica le identità comunitarie tradizionali, al fine di tutelare i patrimoni culturali locali, in un'ottica di apertura etnica che esprime il concetto dì unità nella diversità, si vengono a focalizzare determinate condizioni. Risolti i problemi linguistici e lessicologici, come tutelare la libertà dei singoli, intesa come espressione delle proprie idee e dei propri pensieri nella lingua madre, l'unica, per molte persone, in grado di permettere un'espressione esattamente coincidente con il concetto che si vuole esprimere, nel quadro storico, geografico ed economico di un determinato ambito territoriale? Condizione necessaria è la possibilità di usare l'idioma locale, nell'ambito territoriale di diffusione, con il DIRITTO di essere compresi. Di conseguenza, DOVERE MORALE e CIVILE di colui che entra a far parte di una comunità, ai fini di una propria integrazione, sarà la capacità di comprendere le espressioni linguistiche del luogo di residenza e/o di attività. Brevemente, DIRITTO ad essere compresi e DOVERE di comprendere. Compito delle comunità sarà quello di favorire il coinvolgimento di ogni membro della collettività, evitando atteggiamenti di falso ed ipocrita antirazzismo, che si trincera dietro il classico "Poverino, non capisce: parliamo in italiano", precludendo la strada ad una coscienza di appartenenza identitaria che solamente la conoscenza di una cultura locale intesa in senso ampio, comprendente naturalmente anche i mezzi espressivi, può offrire al nuovo arrivato l'opportunità di interagire positivamente con la società che lo circonda. Capire un codice linguistico non deve essere quindi una facoltà, perché altrimenti la ben nota "legge del minimo sforzo", sicuramente applicabile anche in questo campo, porrebbe un impedimento occulto all'inserimento comunitario di colui che si trovasse nella condizione di scegliere se fare o meno una determinata azione, nella fattispecie imparare una nuova lingua, di non sempre facile e pronta acquisizione. Tutto ciò con la speranza, attiva e propositiva, di tutela e di promozione delle nostre lingue e delle nostre culture, che, nel panorama di un'Europa che altro non potrà essere se non un'Europa dei popoli, crocevia e punto d'incontro delle varie identità locali, verranno tutte considerate patrimonio comune, un vanto e mal più una minaccia per la convivenza.

MASSIMO DUCA


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