SEIZE THE TIME

di Valerio Evangelisti

Narcisismo

Non ce l'aspettavamo nemmeno noi. Oltre a vendere una quantità consistente di copie (malgrado l'assenza di una vera e propria distribuzione), il primo numero di Carmilla ha riscosso consensi che definirei entusiastici - l' Isaac Asimov SF Magazine l'ha addirittura definita "indispensabile" - e ha attirato collaborazioni di grande spessore, che non nomino per non creare involontarie gerarchie.
Ha anche suscitato la legittima protesta dei giallisti, che ci hanno giustamente accusati di avere sottolineato il potenziale libertario della letteratura fantastica, trascurando quello della letteratura poliziesca o del noir . È vero. Per fare ammenda, non solo ospitiamo l'intelligente replica di Loriano Macchiavelli, ma abbiamo arruolato un buon numero di giallisti (mio Dio, che brutta espressione!) di primissimo piano: dallo stesso Macchiavelli a Carlo Lucarelli, da Giampiero Rigosi a Loris Marzaduri. Per fare contenti tutti - ma anche perché ci credo davvero - dirò che è la letteratura "di genere" in senso lato a contenere un potenziale critico che il cosiddetto mainstream sembra avere smarrito. Forse perché, nel nostro paese, è costretta a farsi strada a fatica, visto il crocianesimo, e persino il "manzonismo degli stenterelli", ancora imperanti nella scuola e nell'accademia. Richiede quindi una convinzione davvero solida, e in tempi di superficialità e di inaridimento delle passioni ciò rappresenta di per sé un potenziale antagonistico. Che viene premiato da una libertà creativa nemmeno concepibile per chi si muove sotto gli occhi di una critica paludata e arcigna.

Prigionieri dell'irreale. Una digressione

Ma ci siamo già lodati abbastanza, ed è tempo di venire ai contenuti di Carmilla. Si noterà la scomparsa del sottotitolo "Una via italiana alla letteratura fantastica". Si trattava di un'espressione molto infelice, che si prestava a una quantità di equivoci. Nella società in cui viviamo non esiste una via italiana a niente: né al socialismo, né alla scrittura. Esiste invece un fantastico italiano che si colloca nel fantastico mondiale come la nostra società si colloca nel mondo. Vale a dire con peculiarità proprie (nel bene o nel male) e con similitudini dovute a una crescente integrazione (nel bene o nel male). Non era così quando quel sottotitolo fu concepito, una decina di anni fa ( Carmilla ha avuto una genesi lentissima). Oggi lo è. Non rimane che prenderne atto.
Dall'inizio degli anni '90 la dimensione del fantastico predomina in tutti i campi. Nel numero scorso di questa rivista parlavo di una colonizzazione dell'immaginario individuale, e dei suoi pericoli. Ma l'immaginario, inteso come il non-reale, l'ombra riflessa da qualcos'altro e forse da nulla, vede il proprio trionfo nella dimensione del sociale. L'economia, in particolare, costituisce il suo regno, in quella che è stata la più profonda (e inavvertita) rivoluzione dei giorni nostri.
Quando dico economia, mi riferisco in primo luogo all'economia politica, e nell'ambito di quest'ultima all'economia finanziaria dominatrice di questo scorcio di secolo. Viene raccomandato (a noi come a quasi tutti i popoli della terra) di tirare la cinghia per risanare il debito pubblico. Ma che cos'è il debito pubblico, se non qualcosa di assolutamente fittizio? Tirare la cinghia è un concetto brutalmente materiale. significa godere di meno, mangiare di meno, in qualche caso vivere di meno. Un tempo, tutto ciò era collegato a qualcosa di concreto: la produzione, l'economia, il lavoro umano per trarre sostentamento dalla natura. Il debito pubblico, invece, appartiene a un'altra sfera. Quella dei numeri, delle astrazioni, dell'"equivalente generale" - il denaro - assurto a vita propria e incontrollata. L'espediente contabile divenuto realtà, l'unica realtà che conti.
Si obietterà che il debito, come le altre grandezze della finanza, è un sistema di misurazione indispensabile, fondato su precise quantificazioni matematiche. Non è affatto così. Prendiamo non l'Italia, ma un qualsiasi paese africano o latinoamericano. Nove volte su dieci sarà indebitato con l'estero. Perché lo è? Perché è costretto a chiedere prestiti per procurarsi ciò che gli occorre. Dunque non produce nulla? Sì che produce, ma la sua produzione ha sui mercati un prezzo bassissimo. Un valore bassissimo? No, un prezzo. Il valore attiene alla sfera del reale, il prezzo a quella delle astrazioni: è la seconda sfera che conta. E chi determina i prezzi? Quegli stessi centri di potere che accordano i prestiti, e costringono il paese indebitato a pagare interessi altissimi, per far fronte ai quali deve indebitarsi sempre di più.
Si condensa un'entità irreale - il debito - che acquista sempre più spessore, e incide pesantemente sulla vita dei popoli. Per sfatarla basterebbe non credere nella sua esistenza. Invece tutti ci credono, o sono obbligati a farlo dai padroni dei sogni. L'esito è che l'economia non ha più nulla a che fare con la produzione e la distribuzione di risorse, né misura più niente di concreto. Determina però degli effetti concreti: l'attuale assetto della finanza mondiale uccide i popoli sottoposti alla sua tirannia. Qualcosa di immaginario, di impalpabile, di inesistente finisce così per concretarsi nel sangue, nella materialità di carne viva straziata, nell'oggettività di esistenze non dignitose e condannate all'agonia. L'irreale che uccide il reale.
Qualcuno pensa ancora che, in un mondo dominato dagli ectoplasmi, occuparsi di fantastico sia una perdita di tempo?

Mortalità degli dei

Ci si riempie la bocca col termine "realtà virtuale", che ci ha fornito una quantità sterminata di racconti in gran parte futili e noiosi. L'esempio dell'economia dimostra che non occorre infilarsi un casco in testa o indossare guanti ridicoli per accedere alla virtualità. Ce l'abbiamo intorno. Buona parte di quello che ci viene proposto come oggettivo e scientifico dalla stampa, dalla scuola, dalla società intera appartiene all'ambito dei virtuale. Presuppone cioè sensi distorti, capaci di vedere il fenomeno senza coglierne cause e diramazioni.
I "valori imprenditoriali" sono veri valori? La "legge del mercato" è una vera legge? No, sono valori e leggi virtuali: esistono solo finché si è convinti della loro effettiva consistenza. Voltaire diceva che gli dei muoiono quando si smette di credere in loro. Oggi il mondo è nelle mani di divinità fantasma, destinate a sopravvivere finché la fede nei fantasmi verrà presentata come normale, e anzi obbligatoria, e anzi naturale. è curioso che, mentre la scienza scopre ogni giorno di più la sostanza effimera del proprio oggetto, la vita sociale si ammanti di "scientificità", ovvero di certezze indiscutibili. Viene il dubbio che vi sia chi tenta di procedere a una mutazione psichica e biologica dell'essere umano, come quella descritta da Vittorio Catani (che onore, poter ospitare un grande nome della fantascienza italiana come Vittorio Catani!) nello struggente racconto che ospitiamo in questo numero. Sensi limitati; attività cerebrale indirizzata su binari obbligatori; inconscio eterodiretto al pari del conscio. è necessaria una vera e propria modificazione psichica e genetica per conseguire risultati del genere. Bè, si direbbe che ci sia chi ci sta provando.
La letteratura fantastica può essere un antidoto? Purtroppo non è detto. Abbiamo visto il filone che sembrava più promettente, quello della fantascienza cyberpunk , scadere a livello della barzelletta, della ridondanza dannunziana spacciata per innovazione linguistica, della ripetitività di temi e scenari. Un pò quello che accadde - ma con quanta maggiore dignità! - alla fantascienza "sociologica" degli anni Sessanta. Abbiamo visto lo splatterpunk degradare più rapidamente del previsto in semplice sozzura. In questi anni '90, non appena qualche contenuto critico fa capolino, subito viene risucchiato nella banalità e nel déja-vu .
Mi accorgo di scrivere l'esatto opposto dell'editoriale che apriva lo scorso numero di Carmilla . Mi si creda, è per amore, non per odio. Resta prerogativa del fantastico rendere concepibili alternative al presente. Qualità preziosa, in un tempo in cui sembra che allo squallore non esistano alternative. Gli resta la capacità di parlare per simboli e metafore trasparenti, quando il linguaggio corrente assomiglia sempre di più alla "neolingua" di 1984 . Soprattutto, gli rimane la possibilità di raggiungere un pubblico vasto, e qui contrastare da solide retrovie, se ne ha la volontà, i raffinati progettatori dei nuovi codici genetici.
Il fantastico, come più in generale tutta la narrativa "popolare", è insomma ancora potenzialmente in grado di svelare, magari per allusione, le intenzioni del potere, e di farne partecipi strati oggi impermeabili all'ideologia. Come diceva Bobby Seale in anni più vivi di questi, cogliamo l'occasione. Potrebbe essere l'ultima.


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