TEMPO DI MOSTRI,
FIUME DI DOLORE

di Valerio Evangelisti

È tempo di mostri. Mentre stiamo chiudendo questo numero di "Carmilla", le cronache echeggiano ancora del caso ripugnante di un pedofilo che in Belgio rapiva e vendeva bambine di pochi anni, tenendole chiuse in un loculo simile alla gabbia di Hænsel e Gretel e sottoponendole a chissà quali sevizie. È stata indetta una conferenza internazionale contro lo sfruttamento sessuale dei minori, i governi si sono impegnati a reprimere certe aberranti forme di turismo.
Tutto bene, dunque.
Bene? Sono decenni che bambini dei paesi più poveri del mondo vengono venduti, usati, violentati uccisi. Quando un pezzo grosso, un porco di Trieste, una quindicina di anni fa venne colto sul fatto mentre cercava di comperare a New York una bambina portoricana da torturare e uccidere, in suo favore intervenne persino il vescovo della città natale, le autorità statunitensi furono indotte a mostrarsi "ragionevoli" e il tizio non scontò nemmeno un giorno di prigione (tutti favori di cui Silvia Baraldini continua a non godere). Quando in Guatemala si scoprì che militari americani alimentavano un traffico di prostituzione infantile, tra una seduta e l'altra di addestramento delle locali squadre della morte, lo scandalo fu messo subito a tacere grazie agli aiuti che il paese riceveva dagli USA, per via del suo ruolo strategico nella guerra contro il Nicaragua sandinista.
E chi non sapeva di quale gigantesco bordello a cielo aperto fosse la Thailandia? Una rivistucola scollacciata per adolescenti, intitolata Blitz, solo pochi anni fa vantava l'abilità delle prostitute locali, precisando che venivano abituate a soddisfare i clienti "fin da bambine". Del resto, bastava gettare uno sguardo alla merce esposta nelle videoteche prodotta in Asia o in America Latina...
Tutto ciò era ben noto. Come mai desta scandalo solo adesso? Viene il sospetto che sia per il fatto che le povere bambine rapite e seviziate dal pedofilo belga erano bianche. Un po' come è accaduto per la Liberia: paese in cui ci si macella da decenni sotto l'occhio impassibile delle multinazionali, che ha goduto del suo quarto d'ora di notorietà quando i signori della guerra del posto hanno commesso l'errore di minacciare tredici italiani tredici. Messi in salvo gli infelici e spenti i riflettori, della Liberia non ha più parlato nessuno e il massacro ha potuto proseguire indisturbato.
Alla faccia della globalizzazione". L'unica "globalizzazione" che esiste è quella dei banchieri e dei profittatori, del Fondo Monetario e dei potentati economici. Non esiste certo una globalizzazione dell'informazione, e meno che mai una globalizzazione della cultura, se a quest'ultimo, ambiguo termine si attribuisce una qualche parentela con la capacità critica.

PERCHÉ UNA RIVISTA che tratta di letteratura - sia pure di letteratura "di genere" o, se qualcuno preferisce, di "sottoletteratura" - si occupa di temi come quelli di cui sopra? In effetti suona strano. La letteratura che si autodefinisce "alta" non si sporca certo le mani con miserie del genere. Da un pezzo, nei suoi esponenti più illustri, ha scelto la via dell'estetismo fine a se stesso e demonizzato ogni possibile contaminazione "ideologica". Le storie narrate devono essere più che minimaliste: tinte tenui, parole scelte con cura per descrivere stati d'animo crepuscolari, ambientazioni in un passato visto come bolla di sapone che rischierebbe di esplodere se toccasse il presente.
Lo scrittore ideale non deve sapere un cazzo di economia, di politica che non sia quella istituzionale del momento, di scienze sociali o di scienza in senso lato. Uno scrittore è uno che scrive. Quello deve fare. Se poi descrive il vuoto più completo poco importa, purché lo descriva bene. Anzi, più nulla e insignificante è la sua tematica, tanto più potrà dedicarsi senza distrazioni alla composizione letteraria "pura".
Sta tuttavia emergendo una forma di letteratura meno balorda che sembra più sensibile alle cose del mondo, e che si colloca a metà strada tra quella che si autodefinisce "alta" e quella che viene definita "bassa". Viene chiamata letteratura pulp, con chiaro riferimento al film buffo, scombinato e idiota di Quentin Tarantino. La definizione, del resto già superata, dà il raccapriccio; per fortuna alcuni suoi esponenti la sopportano, più che esibirla, e si dedicano a un'opera di commistione che ha poco a che vedere con quell'etichetta. Se la commistione di Tarantino era tra il nulla e il nulla (tanto da conquistarsi la rapita ammirazione dei letterati che nel nulla amano sguazzare), quella degli scrittore classificati pulp è tra la letteratura colta e quella popolare, "di genere", dove per "genere" si intende una gamma che va dal poliziesco, al fantastico, alla fantascienza.
Al di là delle schedature, l'operazione in sé ci convince. Chi ha letto Occhi sulla graticola di Tiziano Scarpa, o La regola del silenzio di Enzo Fileno Carabba, sa che lo spirito graffiante e "cattivo" di un Robert Sheckley o di un Mack Reynolds può riaffacciarsi a sorpresa ai piani alti della narrativa, dopo essere, ahimé, sparito dal sottoscala della science fiction. Abbiamo pertanto aperto l'arruolamento nei ranghi di Carmilla agli esponenti più brillanti non di una "scuola" di cui non ci importa nulla, ma di quella "contaminazione" di cui parlavamo. Si comincia con Nicoletta Vallorani - autrice, col suo Choukra di uno dei racconti più belli dell'intera storia della fantascienza - e con Enzo Fileno Carabba, presente con due racconti intrisi della sua perfidia tutta fiorentina. Ma il più cattivo del mazzo è forse Carlo Lucarelli, il cui Julien, necrofilo e beffardo, rivela un versante gotico finora insospettato in un autore di romanzi polizieschi di alta classe. Del resto Daniele Brolli, raffinatissimo curatore della collana "Gli Squali" Bompiani e scrittore in proprio tra i più perturbanti, ha già promesso di venire a infestare a sua volta le pagine di Carmilla con qualche prova del suo sinistro talento. Lo aspettiamo con inquietudine.
E dopo la doverosa apologia dei gioielli in vetrina (ma dovremmo citare anche un altro racconto fuori del comune, L'educazione dei padri di Silverio Novelli) conviene riprendere il filo del discorso. Tornare al "tempo dei mostri".

LA LETTERATURA FANTASTICA coi mostri ha sempre avuto dimestichezza. Non solo perché ne tratta nelle proprie storie, ma anche perché, in Italia, appartengono alla categoria parecchi dei suoi cultori. Non è un caso se la più nota libreria specializzata di Milano ospita la redazione del mensile Orion, che si definisce organo del "fronte antimondialista". Basta sfogliarlo per capire che si tratta di una pubblicazione nazista e antisemita, che ospita articoli ispirati al cosiddetto "revisionismo storiografico" (non quello "nobile di Nolte, ma quello di bassa lega degli Irving e dei Faurisson).
Cosa c'entra merce del genere con la letteratura fantastica? C'entra perché un'estremissima destra nazi-esoterica ha fatto da trent'anni di quest'ultima il proprio campo di elezione, dopo essere stata emarginata da tutti gli altri ambiti culturali (per crimini di guerra). Ne ha fatto per primo le spese il genere fantasy, colonizzato a forza da chi vedeva nelle sue tematiche un'assonanza con i miti del sangue, della spada, della razza e dell'avvento di una nuova aristocrazia. Ma anche la fantascienza ha dovuto in parte soccombere all'impeto fagocitatore dei "proscritti" in fuga da altri terreni della cultura. Per non dire della narrativa horror (rendere omaggio a qualche gualeiter nazionalsocialista è tuttora passaggio obbligato per riuscire a pubblicare qualcosa nel campo), e persino di certi settori del fumetto.
Il fatto è che la cultura antifascista ufficiale, della letteratura "di genere" e soprattutto fantastica se ne è sempre fregata. Anzi, è stata in prima fila nel distinguere tra serie A e serie B, nell'agitare lo spauracchio di possibili "americanizzazioni", nel denigrare chiunque cercasse di evadere dai canoni di un realismo spesso asfittico. I nazi si sono infilati in un varco che non avevano aperto loro, e sono ancora lì. L'avvento del "tempo dei mostri" e di una nuova età barbarica dominata dalla ferocia costituisce, in fondo, il coronamento delle loro più rosee speranze. Ma è curioso e tragico che nessuno, quanto la cultura democratica e antifascista di cui dicevamo, si stia sgolando per decantare le virtù del presente e per propagandare il dogma della sua immodificabilità strutturale.

UN MONDO IN CUI si fa laido commercio di bambini è perfetto? No, ma chi se ne fotte. Stiamo per entrare in Europa. Anzi, "l'Italia è finalmente in grado di entrare in Europa a testa alta", e prendere il posto che le compete accanto a Chirac (quello di Mururoa), a Kohl (l'ispiratore della guerra civile jugoslava), ad Aznar (un fascista). Circolano avvertimenti minacciosi: "Così non si entra in Europa", "Questo o quello ci allontana dall'Europa".
Ma come si fa a entrare in Europa? Basta seguire i parametri dettati dai signori della Banca, mettere sul lastrico un altro po' di lavoratori, far crollare i consumi interni, sopprimere qualche ospedale troppo periferico, peggiorare ancora un poco la vita dei più deboli. Dopo finalmente saremo in Europa. A farci cosa? Be', a fare gli europei. A goderci garanzie sociali come quelle inglesi (prossime allo zero), tolleranza razziale come quella francese (zero virgola zero), afflato umanitario e pacifista come quello tedesco (zero virgola zero zero zero).
In compenso avremo una moneta forte, il che è ottimo per chi la possiede, e una forza lavoro disposta a ogni tipo di spremitura pur di conservare un posto qualsiasi e riuscire a comprarsi quel che prima era gratis. Quest'ultimo è del resto l'obiettivo chiave. Solo una manodopera ricattabile, precaria e mobile (questo è il significato dell'aggettivo "flessibile") può essere pagata tanto poco da consentire alle nostre industrie di reggere la concorrenza delle plebi dell'estremo oriente, sottoposte a ritmi ottocenteschi e retribuite con salari miserabili. Tanto miserabili da costringerle a vendere i propri bambini e le proprie bambine a qualche sporcaccione occidentale in viaggio d'affari. Che però non è propriamente un "mostro", visto che compra carni di seconda scelta. Mostro è chi commercia in carni bianche di qualità, violando le regole di mercato. Così siamo tornati al punto iniziale. È tempo di mostri, capri espiatori di una mostruosità diffusa, su cui si preferisce tacere per non dover ammettere imbarazzanti relazioni di causa ed effetto. Bene prendiamone atto e dedichiamoci alla letteratura che ci sta a cuore, che è la letteratura d'evasione per eccellenza. Con il perdurante sospetto che l'evasione presupponga un carcere, magari invisibile.


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