Scassaquindici
di Luca Masali

Comincia con questo testo SCASSAQUINDICI: I libri del Come e del Perché.

Questa non è altro che una vendetta postuma contro la più spregevole enciclopedia per bambini che mai mente perversa abbia saputo concepire. Ho sprecato gli anni più belli dell’infanzia a cercare di indagare il Grande Mistero:

 

La creazione degli Animali:

(...) Il cammello arrivò tardi.

Per questo venne chiamato cammello!

Perché? Perché? Perché?.... Come si può essere così sottilmente crudeli?

(Un piccolo suggerimento per chi volesse cimentarsi nel Mistero: E’ il traduttore colui che dovrebbe essere spellato vivo e ivi gettato nel sale, finchè morte pietosa non lo strappi al suo castigo.)

SCASSAQUINDICI cerca una risposta alle Grandi Domande Improbabili della Fantascienza.

La Domanda di oggi quindi è:

Come fa il nostro eroe a costruirsi tutta quella bella roba moderna?

Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so.

Se desidero spiegarlo a qualcuno che me lo domanda, non lo so.

  1. Agostino

 

Nella letteratura fantastica, si sa, tutto è lecito. Anche viaggiare nel tempo, cosa assolutamente impossibile secondo ogni logica di buonsenso e secondo ogni legge naturale. Questo fatto credo che possa far nascere nella mente del lettore qualche domandina di non facile soluzione...

 

La prima domanda è: COME?

I modi per viaggiare sono tanti, ma visto che si tratta comunque di invenzioni esclusivamente letterarie, uno vale l’altro. Dalle pietre tecnologico - geologimagiche di Wells al trasferimento della sola coscienza, dall’occupazione del corpo di un altro al viaggio a velocità ultraluce, dai buchi neri alle singolarità dello spazio tempo tutto fa brodo. Personalmente me la sono cavata con un rap demenzial-pseudoscientifico che invocava addirittura l’incolpevole forza elettronucleare debole... Sono il primo ad ammettere che è una stupidaggine, ma tant’è. L’importante è che in qualche modo che suoni plausibile i nostri eroi vadano dove devono andare. Visto che per scrivere di futuro non è necessario farci andare di persona il protagonista, quasi sempre i crononauti vanno nel passato. Eccezioni ce ne sono tante (a partire proprio da Wells) ma per il momento soprassediamo, e prendiamo in considerazione solo chi va indietro.

La cosa non dovrebbe essere tanto semplice, se non altro perchè se io torno indietro nel tempo, poniamo di un’oretta, la terra nel frattempo si è spostata di parecchio, quindi oltre a non sapere bene dove vado a cadere, atterrerei con un’inerzia da far paura, spappolandomi come una marmella buttata da un grattacielo... Ma tant’è, forse questo è il problema minore. Chi salta troppo indietro potrebbe poi incorrere in difficoltà mica da ridere, sulle quali lo scrittore di solito sorvola con ammirabile nonchalance. Ad esempio qualcuno ricorderà un racconto che parla di una colonia penale, posta in un passato remotissimo: addirittura l’Ordoviciano, Era in cui le terre emerse non erano ancora state colonizzate dagli animali e dalle piante, mentre c’era una discreta fauna marina a base di trilobiti, ammoniti e bestiacce consimili.

Il cuore della storiella (pubblicata in Urania nella raccolta Strade Senza a Uscita. Il numero è il 505, quindi risale a un bel pò di annetti fa!) riferisce come ad un certo punto la colonia viene smobilitata a causa dell’incivilirsi dell’opinione pubblica, e i carcerati ritrasferiti nel nostro tempo. L’ultimo uomo che decide di fermarsi nell’Ordoviciano ha però nelle sue mani (o meglio nel suo piede) il destino di tutta l’umanità, perchè mentre passeggia per la spiaggia primeva nota un trilobite che faticosamente esce dal mare, epigono dei successivi suoi fratelli che avrebbero conquistato i continenti, evolvendosi in dinosauri, scimmioni e uomini. Dopo lunghe riflessioni il nostro eroe decide (bontà sua) di non vendicarsi spetasciando l’animaletto.

A parte la fesseria evoluzionistica, di un’ingenuità quasi sconcertante, l’autore avrebbe dovuto considerare che in quell’epoca dominata dalle alghe cianofite l’atmosfera del Pianeta Azzurro era quasi solo metano e ammoniaca, con pochissimo ossigeno libero quindi i suoi galeotti avrebbero dovuto quantomeno indossare delle tute spaziali, non i camicioni a striscie recuperati dalla svendita di Alcatraz!

Notiamo, en passant, che i romanzi di viaggi nel tempo sono per la maggior parte scritti dal punto di vista del viaggiatore. Anche per questo mi è sembrato interessante usare come protagonista un uomo del passato, che si vede arrivare sulla testa un sacco di pazzi furiosi del futuro (cioè più o meno del nostro tempo).

 

La seconda domanda è: PERCHE’?

Chi va nel passato lo fa per tanti motivi diversi, che possiamo schematizzare con la scure in questo modo:

Vanno nel passato perchè sono figli di papà che non sanno cos’altro fare. Turisti & curiosi, scienziati (normalmente pazzi, o per lo meno disturbati) & sfaccendati hanno sciamato nel tempo dai tempi di Wells. Costoro normalmente fanno pasticci inenarrabili, e non sono nemmeno scusati da qualunque motivazione. Un raccontino brevissimo recitava più o meno così: Esplosione pazzesca, ometto trafelato che si materializza nel soggiorno del signor Tizio, e dice qualcosa tipo -Accidenti, ci sono riuscito! Ho viaggiato nel tempo! Peccato che nel farlo ho distrutto la Terra, ma ne valeva la pena.- E il Tizio, serafico: -ma di quanto hai viaggiato?- il pazzoide guarda l’orologio, e dice -Quasi dieci minuti!- e Tizio: -No, non ne valeva la pena-.

Ancora più bello, bukowskiano, è la storia di un alcoolista disperato con macchina del tempo che lo può trasportare nel passato di un quarto d’ora al massimo. Lui ha una bottiglia di whisky mezza vuota, e ogni volta la scola e torna indietro nel tempo a quando la bottiglia era quasi piena. In questo modo si ubriaca fino a morire...

Vanno nel passato per il vil denaro. Questa, che dovrebbe essere un’ottima ragione, paradossalmente è la meno invocata. Un bellissimo esempio di questa nobile motivazione la troviamo in un raccontino di Asimov, semplice e delizioso. Il solito scienziato pazzo (qui aiutato da un aitante nipote) scopre il modo di trasferire dal passato qualsiasi cosa, purchè non pesi più di cinque o sei grammi. Dopo aver a lungo pensato su come sfruttare commercialmente la vicenda, zio e nipote recuperano dal passato un documento che riporta in calce l’autografo di uno dei Padri della costituzione americana, che a quanto pare vcale un sacco di soldi...

La firma (ovviamente) esce a testa alta da qualsiasi analisi...

ma i due vengono lo stesso arrestati! Perché? Come, perché?! Secondo te, un’autografo vecchio di duecento anni come fa a trovarsi su un pezzo di carta nuovo?

Vanno nel passato perchè vogliono cambiare la storia. E sono brave persone.

Pochi, ma divertentissimi. Un titolo per tutti: Black in Time (tradotto in italiano con lo sciagurato titolo Nero nel Tempo, massacrando il delizioso gioco di parole inglese tra black=nero e back=indietro). Qui il nostro eroe è un nero americano, che cerca di cambiare il passato per far vivere meglio la propria gente... Purtroppo, con scarsi risultati.

La cosa più carina di questo romanzetto è che non è per nulla politically correct, e il nostro eroe biondoyankee fa di tutto per bloccare lo sporconegro.

Vanno nel passato perchè vogliono cambiare la storia. E sono stronzi.

Quasi tutti. Fortunatamente fanno di solito una fine orripilante, di norma a causa dei buoni che...

...Vanno nel passato perchè sono sbirri.

Come conseguenza di tuttio questi cambiatempo, ovvio che ci siano sbirroni intenti a fermarli. Il migliore esempio di ciò lo troviamo in I Guardiani del Tempo di Poul Anderson, dove l’agenzia anticrimine cronologico spazia dall’epoca classica di Ciro il Grande al futuro ipotetico.

Vanno nel passato perchè qualcuno ce li manda.

Come succede allo squallidino Orion di Ben Bova (autore dal quale sarebbe lecito aspettarsi qualcosina di più, dopo il bellissimo Condannati di Messina) che viene sballottato avani e indietro nel tempo da un Dio pazzo e rompicoglioni.

Affascinante invece la storia dei fratelli prigionieri della relatività generale, o meglio della contrazione Scott-Fitzgerald, immaginata da Robert Silverberg (Le Due Facce Del Tempo): Non si tratta in effetti di un vero viaggio, ma di un paradosso legato al tempo soggettivo. Uno dei fratelli viaggia su astronavi che si muovono a velocità vicine a quelle della luce, quindi il suo tempo "scorre" migliaia di volte più lentamente che il fratello sulla terra, così uno invecchia e l’altro no...

Vanno nel passato per salvarsi la pelle.

Un ottimo motivo, che ha prodotto risultati letterariamente affascinanti. Come in Rischio Calcolato di Charles Eric Maine, una grande storia di trasferimento nel corpo altrui. Una giovane coppia inguaiata in un futuro disperato cerca scampo nel nostro tempo, occupando due corpi a caso. A lui va bene, a lei molto meno, perchè finisce nei panni di una vecchia signora acciaccata...

Dopo questa rapida carrellata di motivazioni, l’ultima domandina è: MA MI PRENDI PER IL CULO?

Il fatto che ci siano migliaia di romanzi e racconti dove la gente sciama da un’epoca all’altra come orde di vacanzieri spensierati, causando ogni genere di putiferio, non è grave di per sé, anzi spesso i racconti basati sul viaggio nel tempo sono proprio belli.

Però la cosa deve essere fatta con un minimo di classe, senza trattare da deficienti i lettori.

Visto e considerato che questa rubrica ha anche (ma non solo!) lo scopo di mettere alla berlina i cliché più cretini, cominciamo subito a sbertucciare i grandi, anzi, i grandissimi autori che si sono cimentati col viaggio nel tempo.

La Grande Castronata: Come fa il nostro eroe a costruirsi tutta quella bella roba moderna?

Il primo ad accomodarsi alla gogna è un autore americano, che risponde al nome di Mark Twain. Costui scrisse tra l’altro Un americano alla corte di re Artù. Va subito detto, a discolpa del tapino, che questo racconto era una satira, scritta per prendere in giro Walter Scott. Comunque sia, ad un certo punto della storia il nostro eroe, ingegnere americano capitato alla Tavola Rotonda, si costruisce una pistola.

Perdoniamolo. D’altra parte, cosa può fare un vero yankee senza pistola? Ve lo immaginate John Wayne che tira di fioretto con Toro Seduto? Ma diavolo, come ha fatto a costruirsi la colt? Io non sono un grande esperto di pistole. Ammettiamo pure, per amore di discussione, che sia piuttosto facile (per un ingegnere americano) dare due colpi di lima su un blocco di acciaio e tirare fuori uno splendido revolver a sei colpi. Ma credo che chiunque sarebbe stato in imbarazzo nel costruirsi un altoforno per il metallo, a meno che non ci si accontentasse del ferro dolce medievale (passabile per uno spadone, ma inusabile per la meccanica di precisione). O nel tornire i bossoli. O nel farsi la polvere da sparo. O al limite nel costruire le viti per tenere insieme il calcio. Io penso che costruire una vite sia una cosa difficilissima, senza un tornio elettrico e metalli adatti. Ma forse il nostro americano teneva insieme tutto con i chiodi, che c’erano anche alla corte di lancillotto. E le molle? In una pistola ottocentesca ci sono un sacco di molle! Come avrà fatto a costruirsi le molle? È ancora più difficile fare le molle che fare le viti! Forse usava gli elastici? No, impossibile. Prima della scoperta dell’America, e quindi dell’albero della gomma, niente elastici. Insomma, anche Mark Twain è caduto nella trappola della Grande Castronata: l’eroe nudo e crudo, sparato indietro nel tempo, non è in grado di inventare alcunché, al massimo può provare a migliorare qualcosa che c’è già. La mania dell’eroe creatutto, in grado di ricostruire la sua tranquilla esistenza di occidentale ben pasciuto a partire dal nulla più completo ha radici antiche, risale per lo meno a Robinson Crusoe. E certamente andava bene per i minestroni romantici dell’epoca, che dovevano ammaestrare i pargoli della classe mercantile, insegnando loro che un bianco intraprendente poteva fare tutto quello che voleva, con l’aiuto di Dio e del Fucile.

Oggi la Grande Castronata è imperdonabile. Non ha più nessun valore ideologico, quindi chi ci casca dimostra solo di essere un cattivo lettore di Defoe. Eppure c’è sempre qualcuno che ci prova. Esemplare, a questo proposito, è uno spregevole romanzo tradotto in italiano col titolo di Partenza da Zero (tacciamo per pietà il nome dell’autore, così che possa redimersi). Si narra di un gruppo di naufraghi che dopo essersi ritrovati nudi e pelati su un lontano pianeta si costruiscono dal nulla una bella astronave e se ne vanno per i fatti loro. Ma stiamo scherzando?

Purtroppo anche autori di ben altro spessore sono finiti nelle stesse sabbie mobili. Penso ad esempio a Philip José Farmer, che è riuscito a sputtanare il suo bellissimo Ciclo del Fiume. Evidentemente le idee gli sono finite prima delle esigenze degli editori. Così il nostro ha pensato bene di far costruire ai suoi eroi (risvegliatisi dopo la morte in un inquietante mondo dalle dimensioni infinite dominato da un immane fiume lungo milioni di chilometri) battelli fluviali con propulsori atomici, aerei da comvattimento, missili e una tal pletora di fesserie da dar la nausea.


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