La salita di Giuliano Della Rovere al papato
Ancora una volta, dopo la scomparsa di papa Piccolomini, ci si avvide che in Roma la presenza più ingombrante era sempre quella del Valentino. Eppure, continuava a essere in tutt'altro che floride condizioni di salute; l'esercito francese, che puntava direttamente su Napoli, si disinteressava di lui; Bartolomeo d'Alviano era già accorso a Venezia per vendicarsi e gli Orsini e i Savelli si preparavano a eliminarlo: anzi, lo tenevano in qualche modo prigioniero in Castel Sant'Angelo. Ciononostante, il conclave che era in procinto di riunirsi aveva bisogno del suo appoggio per valersi anche dei voti dei cardinali spagnoli. Come dicevano giustamente gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, "non diventerà papa se non chi si sarà accordato con Cesare". Ma quel "chi", in pratica, si riduceva a una sola persona: cioè al cardinale Giuliano Della Rovere, che aveva già tentato in precedenza la conquista della tiara specie nel conclave di Pio III, quando si era deciso a votare per il vecchio e malaticcio Piccolomini per preparare meglio la propria candidatura.
Naturalmente, si trattava in parte della solita compra-vendita per la quale Giuliano risultava il migliore offerente. Poiché si era ancora nei giorni dei novendiali, la compra-vendita fu addirittura pubblica. Come scriveva al suo governo l'ambasciatore veneto Giustinian, era in corso un vero e proprio "mercato pubblico di cui si sentiva trattare chiaramente nelle vie della città" e c'erano cardinali che non si peritavano di affermare con chiarezza di essere decisi a uscire dal conclave molto più ricchi di quanto vi fossero entrati. Ad ogni modo, Giuliano Della Rovere non era soltanto il miglior offerente, ma anche l'uomo che, date le circostanze e la breve esperienza di Pio III, sembrava il più adatto alla successione: Uomo energico, pieno di compressa vitalità, più che mai deciso all'azione, non nascondeva il proposito di riportare lo Stato della Chiesa al prestigio e alle funzioni che gli spettavano nel cuore della penisola. Ciò, tuttavia non bastava a garantire il successo. Occorreva garantirsi l'appoggio dei cardinali spagnoli, saldamente compatti tra loro e pari per numero a un quarto del Sacro Collegio. E non vi era dubbio che avrebbero agito secondo gli ordini del Valentino, in diretto e continuo contatto soprattutto con Giovanni Borgia Lanzol "il maggiore" (nipote di Alessandro VI) e con Giovanni Vera, oltre che con Francesco Remolino e Francesco Loris. Resosi conto della situazione, Della Rovere ruppe gli indugi e chiese un incontro con Cesare e coi porporati suoi sostenitori. Gli fu concesso il 29 ottobre e, dato il carattere dei due, risultò, come nelle previsioni, estremamente burrascoso. Tuttavia, si concluse con un accordo: i cardinali spagnoli avrebbero votato per Giuliano e questi, una volta papa, avrebbe nominato il Valentino gonfaloniere di Santa Chiesa, cioè capo dell'esercito pontificio. Ormai solo degli imprevisti avrebbero potuto mutare la situazione; ma imprevisti non ci furono. Quando due giorni dopo, i 38 cardinali presenti a Roma (7, di cui 3 francesi, erano assenti) entrarono in conclave, l'elezione ebbe un solo ritardo: quello impiegato nell'elaborazione di un capitolato per il futuro pontefice. Data l'esperienza dei precedenti, si trattava di una pura formalità, ed è strano che si sia voluto rispettarla. Naturalmente, si elaborarono le solite clausole della riforma in capite et in membris, da attuarsi con un concilio, e della crociata. In più si precisò, e non c'è bisogno di dire il perché, che il papa non avrebbe potuto concludere patti, stringere alleanze o muovere guerre senza il parere favorevole di due terzi del Sacro Collegio. Quanto a quest'ultimo, si esigeva che il numero dei suoi membri fosse di venti e che, quindi, si evitassero nel frattempo nuove nomine.
Il Della Rovere aveva eliminato l'ultimo ostacolo di una certa consistenza alla sua nomina catturando, alla vigilia, il cardinale D'Amboise con la promessa di dargli la legazione a vita di Avignone e di Francia insieme a quella di Bretagna e di Savoia. Con offerte del genere, si sarebbe chiusa la bocca al più avido di tutti i pretendenti. Quanto all'ambiziosissimo Ascanio Sforza, si era bruciato nel conclave precedente, dando fondo a ogni suo avere e indebitandosi col banchiere Del Bene per 100 mila ducati. Insomma, la mattina del 10 novembre non si fece che mettere agli atti l'elezione del Della Rovere, il quale ebbe per se i voti di tutti i cardinali eccetto quelli del Caraffa, dell'Amboise e del Casanova; non gli restò, quindi, che accettare, ringraziare e annunciare il nome con cui voleva essere chiamato: Giulio.
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