Non so a cosa si riferisse il bolognese Guccini mentre pensava
all'Asia e all'isola non trovata.
Non so se all'Osteria delle Dame o da Vito fra il buon vino rosso
fosse conservata copia del poema sanscrito Ramayana.
Se così fosse Francesco avrebbe titolato l'opera giovanile
"L'isola Trovata".
Già trovata e conosciuta con il nome di Taprobane dal greco
Eratostene nel III secolo a.C.
Così famosa che lo storico romano Plinio il Vecchio scrisse
(VI,81) "per molto tempo si è creduto che Taprobane
fosse l'altra metà della sfera terrestre, e perciò
è stata chiamata la terra degli antictoni.
Solo nel periodo di Alessandro Magno, e grazie alle sue imprese,
è stato dimostrato che si tratta di un'isola. Omescrito,
l'ammiraglio di Alessandro, scrive che gli elefanti vi sono più
grandi, e meglio addestrati alla guerra, che nella stessa India.
Secondo Megastene l'isola è attraversata da un fiume,
i suoi abitanti si chiamano Paleogoni, e vi si troverebbe più
oro, e perle più grosse che in India". Sotto l'imperatore
Claudio venne a Roma un'ambasciata di Ceylon. Da essa Claudio
apprese "che l'isola ha 500 città, [...] nessuno
ha schiavi[...], non si conoscono tribunali e processi, [...]".
Il popolo che la rese così splendida originava dell'India
del Nord e sostituì la popolazione aborigena dei Vedda
verso la metà del I millennio a.C.
Fu la nascita dei grandi regni singalesi, di grandi capitali,
fu il fiorire del buddismo.
Ma dall'India del Sud arrivarono altri popoli, altre religioni,
altri usi, altre lingue.
Furono guerre fra il ceppo indo-ariano e dravidico, furono guerre
fra il buddismo e l'induismo.
Anuradapura, Polonnaruwa furono distrutte, incendiate, ricostruite
molte volte.
Di quell'antico splendore non resta forse, nemmeno, il ricordo.
Come una donna contesa fra i suoi due amanti l'isola è
oggi divisa, lacerata fra le sue due identità.
Due sono le razze, europoide per i singalesi, negroide per i Tamil.
Due sono le religioni, buddista per i singalesi, induista per
i Tamil.
Due sono le lingue, una lingua indoeuropea per i singalesi, una
dravidica per i tamil.
Due sono i governi uno Singalese "ufficiale" al centro-sud-ovest,
uno Tamil "ribelle" nel nord-est.
Ma Taprobane è una sola e non è troppo piccola per
entrambi, ma come, a volte, tutto è troppo piccolo per
le incomprensioni umane.
Non so dire se sia l'isola dei sogni o l'isola dei fumetti.
Se fosse l'isola dei sogni mi penserei circondato di splendide
odalische. Splendide odalische che in abiti succinti mi fanno
vento e soggiacciono ad ogni, mio, volere.
Se fosse l'isola dei fumetti mi vedrei naufrago, senza una donna,
con un'unica palma ristoratrice e tanta nostalgia della civiltà.
In realtà è una delle 1192 piccole isole che formano
gli atolli corallini Maldiviani.
La barriera corallina che la circonda è uno delle splendide
meraviglie che ad occhio umano sia dato osservare.
Scendo sull'isola dopo aver attraversato questo splendido acquario.
La vegetazione non è certo da meno e mi addentro fra palme
da cocco, rampicanti tropicali e pandani.
Se mai dovessi descrivere un angolo di paradiso a quello che,
or ora, vedono i miei occhi farei riferimento.
Chissà se il grande viaggiatore nordafricano Ibn Battuta
che questi luoghi attraversò sul finire del XV secolo abbia
mai qui messo piede.
Credo di no, Ibn sarà rimasto presso la corte del Sultano
a vestire i panni del giudice come usava a quel tempo concedere
agli stranieri maomettani.
L'inusuale rumore del motore di un dhoni repentinamente mi distoglie
da ogni riflessione. Viene da un resort poco lontano e ne porta
la bandiera. La bandiera del Madoogali, lussuoso villaggio turistico
costruito su di un'isola abitata da 43 maldiviani, poi trasferiti
all'isola di Mandu.
Un uomo nero scende velocemente dal dhoni e con modi perentori
mi ricorda che quell'isola è riservata agli ospiti del
resort.
Sono costretto a ritornare verso la barca che sin qui mi ha condotto.
Mentre nuoto, per una volta ancora, in quello splendido mare scorgo
i due ospiti ai quali l'isola è riservata.
Mi ignorano, dialogano fra di loro. Comprendo la loro lingua,
vengono dalla capitale italiana della finanza.
Parlano di "put", "call", di "bid"
e di "ask", non sono riusciti a liberarsi del lavoro
nemmeno alle porte del paradiso. Il loro uomo nero mi ha cacciato
dall'Eden.
Qualche mio compagno ironicamente commenta "forse un altro
uomo nero sta aiutando le loro mogli a liberarsi dai costosi vestiti
comprati in Via della Spiga".
Forse è solo una malignità, .... forse... Forse
se avessi parlato con loro mi avrebbero chiesto di restare, ....
forse...
L'isola non era troppo piccola per entrambi ma come, a volte,
tutto è troppo piccolo per le incomprensioni umane.
"Nika hotel è il non plus ultra dei resort, [...].
Il Nika dispone di 26 lussuosi bungalow, senza dubbio i più
belli delle Maldive, e l'isola è circondata da pontili
dove possono attraccare gli yacht. E' stato ideato da Italiani
[...]."
Così recita la mia preziosa guida.
Emulo di un esploratore delle epopee eroiche ed andate sono il
primo a scendere nel lussuoso resort.
Qual gustoso piacere sorseggiare una birra da questa terrazza
quasi posta a guardia dell'oceano.
Accostato a me un signore alla soglie della sua terza età
ci guarda incuriosito.
Si ferma a conversare con alcuni di noi mentre ci invita, con
fare gentile, a visitare il resort.
L'interno dell'isola è completamente trasformato, il costruttore,
un certo Brambilla, ci fa notare il nostro interlocutore, ha portato
piante diverse da quelle originarie.
L'isola risulta così migliorata.
Migliorata, parola che alle mie orecchie fa tanto rima con violata,
se queste piante fossero state adatte all'isola il buon Dio le
avrebbe senz'altro fatte crescere.
Ma probabilmente il signor Brambilla di botanica ne conosce più
di me e anche del buon Dio.
Ci fa visitare il suo lussuoso bungalow che occupa da solo e dove
fanno bella mostra appunti di strategia finanziaria.
Racconta che il bungalow di fianco è occupato da un concittadino
venuto a riposarsi ""appena uscito da San Vittore
per una presunta storia di tangenti.""
Comunque, qui, gli occupanti dei bungalow non si conoscono, ognuno
dispone della propria spiaggia privata e nessuno attraversa quella
altrui.
Proprio come le celle di San Vittore.
Come ospite risparmio al mio gentile interlocutore queste considerazioni.
Per ultimo ci viene dato di visitare il ristorante.
Tale abbondanza di cibo per chi è ormai abituato a mangiare
solo del proprio pescato ci pone in particolare imbarazzo.
Spero che quella del nostro interlocutore sia stata solo gentilezza
un poco maldestra.
La visita è finita, tutti in barca.
Curiosamente osservo che risulta va più grande il bagno
del bungalow visitato.
La nostra barca mai è stata troppo piccola per tutti, anzi,
per dire il vero, in quei sette giorni mi sembrò veramente
grande.
Come, a volte, tutto è troppo grande per la comprensione
umana.
Pierino Dall'Asta