LA MAGLIA GIALLA (di Giuseppe Zanetti)

Finalmente era finita ! Mancavano ancora pochi chilometri al traguardo dei Campi Elisi; cos'erano poche centinaia di metri in confronto alle vette alpine, quelle si che erano la gara, non questa stupida passerella per le vie di Parigi organizzata ad uso e consumo della televisione, per quelli che erano rimasti a casa e che in quel momento stavano tifando per lui.

Le gocce di sudore gli solcavano le gote come le lacrime di un bimbo quando non riesce a parlare per la fatica e non trovando altro mezzo per esprimere la propria emozione tenta di farlo con lacrime e mugugnii senza senso, con le ultime emozioni che ti rimangono dopo aver percorso duecento chilometri al giorno in sella alla tua bici, per venti lunghissimi, interminabili giorni.

Il cuore gli batteva forte, sarebbe passato da vincitore sotto lo stesso arco dove due secoli prima era passato vincitore Napoleone.

Era partito come un gregario quando nessuno si immaginava che questo ragazzetto avrebbe potuto fare qualcosa di buono, nessuno aveva dato peso al fatto che invece di prendere distacco era lui a darne agli altri; "Si ridimensionera'" dicevano, "lasciamogli vincere pure la sua tappa, nei Pirenei saremo noi a umiliarlo".

Ma i Pirenei non gli erano sembrati poi tanto duri, e neppure le alpi a dire il vero, era abituato alle salite, a vedere il paesaggio in diagonale, ne aveva provato l' emozione fin da piccolo, quando faceva a gara con la corriera, quella azzurra, ritenuta la piu' veloce di tutte sui colli, quella guidata dal padre di Luigi, il suo migliore amico.

Oh, si ricordava bene di Luigi, povero ragazzo, gli aveva insegnato a vivere, gli voleva donare quella vita che a lui sarebbe stata negata troppo presto, sapeva della malattia a nonostante cio' continuava a spronarlo a correre, forse perche' voleva continuare a vivere in lui, rifarsi per mezzo di lui dei traguardi mancati, sognare le sue emozioni, se in Paradiso era dato di sognare.

Si erano preparati assieme, avevano messo su la squadra sudandosi i risparmi e impegnandosi a lavare i piatti di casa per i prossimi dieci anni, avevano tanto faticato durante le giornate estive sui monti e d' inverno in officina, a sperimentare le "innovazioni tecniche" di Federico, prima le ruote lenticolari, poi il manubrio da "cronometro", poi le ruote lenticolari che non erano piu' di moda, poi i soliti lavori di routine: lavare, ingrassare, registrare i cambi, i leveraggi, i freni.

Federico era al traguardo, era un po' come la sua "dama bianca", che lo aspettava ad ogni gara all' arrivo, per essere il primo a sapere come era andata la bici, se la nuova inclinazione del manubrio aveva fatto i suoi effetti, se aveva notato qualcosa di particolare nelle bici di quelli che lo precedevano.

E poi al traguardo c'era la Anna, sempre li' ad aspettarlo col maglioncino di ricambio perche' non prendesse freddo, sempre a preoccuparsi come una mamma premurosa per il suo bambino, pronta ad accudirlo se aveva freddo, se aveva fame o per massaggiargli le gambe colpite dai crampi, col latte, come le aveva insegnato la nonna, che per vent'anni aveva curato in questo modo i dolori del marito, il brutto ricordo che si era portato a casa dalla campagna in Russia.

Era stato fortunato, si dovevano sposare in autunno, dopo le classiche, e coi risparmi sudati sulle piste di tutto il mondo si sarebbero costruiti quella casetta che lei, da buona romantica, voleva a declivio sul colle dove era nata, coi fiori sul balcone scrostato e con gli uccellini che mischiavano il loro grido a quello dei bambini che sarebbero nati dal loro amore.

Era felice, sentiva che il mondo gli piaceva, forse era la prima volta, la prima volta da molti anni ... e ascoltava il rumore del vento soffiargli fra le orecchie come quando era bambino e alla domenica prendeva la bici per evadere dalle lunghe giornate di studio e andare a vivere, vivere a trenta all' ora, nello sterrato, dove correre era pericoloso a causa delle numerose buche traditrici ma nonostante cio' era bellissimo e ti dava quel senso di liberazione che solo il sapere di rischiare qualcosa ti dava.

Eppure adesso non stava rischiando niente, il traguardo era vicino e se anche malauguratamente avesse dovuto cadere, la squadra l' avrebbe aiutato ad arrivare vincitore. Aveva quella sicurezza che solo cinque minuti di vantaggio possono dare, cinque lunghissimi minuti da distribuire in poche centinaia di metri.

Lo vedeva, era da quando era suonata la campana dell' ultimo giro che lo teneva d'occhio, il traguardo, e ora lo vedeva avvicinarsi sempre di piu' mancava meno di un chilometro ed era nel gruppo, con un ampio margine sui suoi inseguitori.

Non aveva niente da perdere, forse avrebbe avuto la seccatura di dovere rimandare il matrimonio di qualche mese, di dovere fare qualche corsa per vendere un pochino la sua nuova immagine di campione, avrebbe anche dovuto prendere la decisione di mollare il lavoro per dedicarsi completamente al professionismo, mollare quel lavoro a cui la Anna teneva tanto, su cui avevano fatto i loro progetti di un sereno avvenire. Avevano gia litigato piu' di una volta per questo.

Ma quanto poteva essere serena una vita da campione ? Cosa sarebbe stato di lui quando avrebbe appeso le scarpette al chiodo ? Sarebbe rimasto a godersi i soldi guadagnati troppo velocemente, e a guardare il campione declinare a poco a poco, e morire assieme all' uomo ?

NO ! non faceva per lui la vittoria ! Voleva essere tranquillo, anche Luigi, dal cielo avrebbe capito, avevano lo stesso carattere loro, il carattere bellissimo e allo stesso tempo mostruoso del contadino veneto, che lotta per la vittoria ma non rinuncia per nessun motivo alla sua terra e ai suoi ideali.

Non voleva contraddirsi, ne' contraddire la memoria dell' amico.

Lento e con sulle labbra quell' accenno di sorriso beffardo che ha uno quando fa un azione per cui gli altri lo avrebbero considerato un pazzo, allontano' la bici dalla traiettoria della volata finale e si fermo' lentamente sul bordo della strada, poco prima dell' inizio delle transenne.

Affido' la sua Bianchi ad un organizzatore e facendosi largo fra la folla ammutolita si lancio' fra le braccia della sua ragazza che aveva capito. Si allontanarono, completamente incuranti, nella loro gioia ritrovata, delle parolacce che dal traguardo Federico lanciava nella loro direzione.

Avrebbe vinto un francese.

Nel treno che li riportava a casa, guardo' fuori dal finestrino e chiuse gli occhi pensando all' ultimo debito che doveva finire di pagare: gli ultimi sette mesi di piatti da lavare.

Giuseppe Zanetti

Prima versione: 11/11/91

Seconda Versione: 19/04/92 (Dopo 5 mesi mi accorgo che i monti della Francia non si chiamano "Appennini" :-)

© 1997 azangheri@rimini.com



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