L'EPIDEMIA COLERICA DEL 1867 A TORTONA





LA CRONACA




Nell'estate del 1867 Tortona fu colpita da una grave epidemia di colera.
Questa malattia era gia' apparsa nel 1836 (289 casi e 154 decessi), nel 1854 (333 casi e 194 decessi) e nel 1855 (105 casi e 42 decessi); non pochi davvero, considerando per opportuna correlazione che, per esempio, la popolazione di Tortona assommava nel 1861 a 13.162 anime.
Tortona, nonostante i precedenti, era alquanto disarmata di fronte all'emergenza, anche se nel 1865 era stata istituita una Commissione Municipale di Igiene che doveva sorvegliare l'igiene delle case e delle persone punendo in caso di incuria o dando suggerimenti che, comunque, restarono in generale lettera morta.
Nello stesso 1865 i medici Sanquirico, Spalla, Mongini, Piotti, Bernardi, Sacco nonche' i flebotomi Salice, Gianelli, Zannini ed i farmacisti Fachinetti, Mordiglia, Bergomaschino dichiaravano per iscritto la loro disponibilita' in caso di riapparizione della malattia anche se i medici stessi dichiaravano congiuntamente che "....non intendono di dipendere menomamente dalla Commissione Sanitaria Municipale come trovasi adesso costituita, e cio' per i loro buoni motivi ".
Questi "buoni motivi" sarebbero da ricercarsi nella composizione della Commisione stessa che comprendeva il Sotto-Prefetto, il sostituto Procuratore del Re, due avvocati, un farmacista e, "more solito", nessun medico.
Nel 1866 era accaduto un fatto inquietante: il 26 settembre era venuto a morte nell'Ospedale Civile per sospetto colera un soldato dell' 80esimo Fanteria di stanza a Tortona di nome Pietro Damilano. La cosa aveva preoccupato non poco: si era provveduto a bruciare le suppellettili e gli indumenti del morto e la Municipalita', in previsione di eventi peggiori, aveva gia' localizzato un'area, nettamente disgiunta dall'Ospedale, da destinare ad eventuale Lazzaretto in caso di future epidemie.
Il Municipio aveva destinato alla bisogna una zona di S. Bernardino anche se la Commissione di Igiene dal canto suo consigliava piuttosto la zona detta del Lavello, considerata meno affollata e meno carente dal punto di vista igienico.
In ogni caso il 1866 passo' senza scosse, anche se ci fu anche la notizia dell'epidemia di colera in Polonia (90.000 morti).
Non ando' cosi' bene nel 1867: in Italia c'erano gia' state sicuramente delle avvisaglie visto che da una lettera del 7 luglio si viene a sapere che il chirurgo Spalla ed il farmacista Fachinetti erano stati gia' da qualche giorno comandati a recarsi alla Stazione per "..visitare e sottoporre a suffumigazioni i viaggiatori provenienti da Roma ". La ragione della lettera e' dovuta al fatto che i due lamentavano non esservi in stazione alcuna guardia di Pubblica Sicurezza per cui avevano dovuto pregare essi stessi i vari viaggiatori di sottoporsi a questi controlli con scarsa comprensione, diciamo cosi', da parte degli stessi.
Evento quindi in un certo senso annunciato, il colera esordi' a Tortona il 19 luglio in un "....casotto isolato nel ricinto della citta' a Ponente (probabilmente nella zona di S. Michele. N. d. A.) nella famiglia Negri composta di cinque persone, di condizione operai, di cui ben quattro morirono in poco tempo ". Si trattava di Teresa Negri, delle sue due figlie e di Fiorenza Arzani, una loro "fantesca" dodicenne.
In pochi giorni il colera si diffuse provocando sgomento e paura: le zone piu' colpite furono quelle delle Parrocchie di S. Michele e S. Matteo che alla fine furono quelle che pagarono il piu' alto tributo di vittime, nonostante testimonianze del tempo rendessero le piu' alte dimostrazioni di stima all'abnegazione dei due parroci in particolare e di tutti i Parroci tortonesi in generale.
Il Sindaco Giuseppe Sanquirico (medico egli stesso che si distinse nelle epidemie del 1854 e 1855) si preoccupo' di avvertire immediatamente le Autorita' superiori nella persona del Sotto-Prefetto del Circondario di Tortona Zoppi, avviso meramente d'ufficio perche' gia' in tutta la Lomellina il colera era scoppiato.
Dei firmatari delle dichiarazioni di due anni prima risultarono essere attivamente impegnati tutti i medici citati (soprattutto Sacco, medico capo dell'Ospedale), il flebotomo Salice, che reincontreremo, ed i farmacisti Fachinetti e Borgomaschino.
Nel contempo veniva aperto il Lazzaretto: della sua disponibilita' di posti letto nulla si puo' dire se non che esiste un documento dell'Ospedale in cui si conferma la cessione di "..6 pagliaricci, 6 straponte, 12 cavalletti di legno, 3 sugamani, 13 lenzuoli, 6 federette " al Lazzaretto stesso. Non e' dato sapere se essi costituissero una dotazione ex-novo od integrassero suppellettili gia' esistenti: in entrambi i casi il numero dei letti del Lazzaretto doveva essere alquanto esiguo se il Salice annota la presenza di nove colerosi in tutto nel Lazzaretto.
Di tutti i malati venne tenuto elenco dettagliato e quotidianamente i medici inviavano al Municipio i dati statistici sui nuovi casi, sui decessi, sui sospetti ecc. Tali dati venivano poi inoltrati alla Sotto-Prefettura.
Al Lazzaretto sovrintendevano, per la parte amministrativa, il direttore dell'Ospedale Barone Vittorio Garofoli ed il presidente della Congregazione di Carita' Massa Saluzzo.
Ci volle comunque qualche tempo ed almeno otto decessi prima che si constatasse che l'epidemia era scoppiata in tutta la sua drammaticita'.
In quei giorni Sanquirico scrisse anche al Vescovo di Tortona Negri pregandolo di avvisare i Parroci in modo che ogni funerale, anche per morti non dovuti all'epidemia, si celebrasse con la minore solennita' possibile e che, soprattutto, non si suonassero a morto le campane, cio' "..all'oggetto di conservare nei cittadini quella calma e tranquillita' d'animo che e' incontrastabilmente uno dei migliori preservativi contro il morbo che ci minaccia.....atteso le condizioni sanitarie della Citta' le quali non mancano di presentare qualche gravita'. "
Il Vescovo rispose in giornata dicendo che non ci sarebbero state difficolta' nell'accettare le richieste del Sindaco per quanto concerneva i morti di colera ma esprimeva molte perplessita' "...per l'applicazione di un tale divieto ai defunti per malattie ordinarie in quanto cio' potrebbe produrre grave malcontento nelle rispettive famiglie, ne' mancherebbe per avventura di cagionare nel pubblico una troppo sinistra impressione ".
Il Sindaco non si diede per vinto e rinnovo' piu' fermamente la richiesta. Il Vescovo Negri allora acconsenti' pur avvisando i Parroci che "..in caso di malcontento essi potranno declinarne ogni responsabilita' indicando la provenienza di cosiffatto divieto " (31 luglio).
Il 10 agosto il Sindaco indirizzo' un proclama alla popolazione indicando nei dottori Giuseppe di Carlo Sanquirico (suo omonimo e probabilmente parente. N.d.A.) per S.Giacomo e S.Maria Canale, Angelo Spalla per S. Michele e Paolo Mongini per S. Matteo i medici cui gli indigenti potevano rivolgersi per le cure gratuite a carico del Comune, non tralasciando di citare il flebotomo Salice ed il farmacista Fachinetti che venivano, per usare un termine moderno, "convenzionati".
Il proclama proseguiva: "...Contemporaneamente si rammenta ai cittadini che i migliori preservativi contro il morbo asiatico sono: l'essere temperanti nell'uso dei cibi e delle bevande, specialmente in quello del vino e dei liquori spiritosi -- l'evitare l'uso delle patate, dei legumi, del latte, del pesce, dei vegetabili e delle frutta anche non immature e guaste, come pure qualsiasi cibo che presenti elementi di fermentazione -- astenersi da ogni eccesso valevole a prostrar troppo le forze dell'organismo -- evitare le veglie protratte e le perfrigerazioni del corpo; -- il mantenere la tranquillita' nello spirito -- il conservare netta la persona e l'abitazione. A quest'ultimo effetto dovranno avere cura i cittadini di allontanare dalle proprie case ogni causa di miasma, asportando giornalmente il concime dalle stalle, e procedendo pure giornalmente alla disinfettazione delle latrine, e dei pozzi. Tale disinfezione puo' colla spesa di cinque a sei centesimi compiersi due volte ogni giorno col versare nelle latrine cento grammi incirca di solfato di ferro ossia vitriolo di ferro sciolti in uno o due litri d'acqua: -- or chi vi sara' che non voglia procurare con una spesa -- si' tenue all'atmosfera della propria abitazione la voluta salubrita'? -- All'apparire poi di quei primi sconcerti che costituiscono il preludio del chole'ra si chiedano tosto i consigli del medico -- non si attenda a ricercarlo quando il male si e' gia' impossessato dell'individuo, e la prostrazione delle forze dell'infermo contribuisce ad attenuare l'efficacia dei rimedi che puo' suggerire l'arte salutare. Si sappia che quest'arte ha d'uopo dei suoi piu' energici mezzi per reagire contro il fatal morbo, e che e' un vano illudersi il credere che bastino a vincerlo le forze naturali dell'infermo lasciate a se'".
L'ultimo periodo e' molto indicativo: la stragrande maggioranza dei malati apparteneva a classi sociali indigenti ed ignoranti che guardavano i medici con sospetto se non con malanimo.
A Magenta un medico che faceva annusare canfora agli ammalati venne percosso e quasi linciato come untore. Il Salice ci dice che spesso dovette prima bersi lui le pozioni che somministrava ai malati per vincere la loro diffidenza. In tali situazioni dobbiamo esprimere tutta la nostra ammirazione per i sanitari che per dovere professionale affrontarono il doppio rischio dell'epidemia e dell'ostilita' dei pazienti.
Il 17 agosto il Sindaco emano' un'altra ordinanza: "..E' vietato di lavare nelle localita' ordinarie pannilini ed oggetti qualsiansi che trovinsi infetti per aver appartenuto ad individui colpiti da cholera, o da malattia sospetta. Per la lavatura di cotali oggetti e' destinato apposito luogo fuori di porta Milano in vicinanza del Gazometro, indicato con particolare segnale."
Il 28 agosto il Municipio dispose che la farmacia del dr. Giacomo Fachinetti restasse ininterrottamente aperta per far fronte alle continue e pressanti richieste di disinfettanti e di medicinali da parte di sanitari e privati; dal 20 agosto era stata "convenzionata" anche la farmacia di Contardo Borgomaschino per i poveri della zona di S. Matteo.
Quali erano queste cure? Esiste un registro di ammalati in cui ogni medico annoto' diligentemente le proprie prescrizioni. Le case, le suppellettili, gli indumenti venivano sottoposte a "fumigazioni disinfettanti", agli ammalati venivano somministrati, in varie posologie, decotti di tamarindo, senapismi, calomelano, infuso di caffe', sciroppo di gomma arabica, acqua di menta, bismuto, gialappa, teste di papaveri e la miscela di Sydenham che altro non era se non oppio in tintura con zafferano, garofano e cannella. Venivano anche praticati salassi ma la loro popolarita' era gia' all'epoca al tramonto in quanto riconosciuti di scarsa o nulla utilita'. Esistevano anche disposizioni affinche' i morti venissero seppelliti in fosse profonde non meno di due metri in cui si fosse abbondantemente cosparsa calce viva.
In merito comunque al ceto dei deceduti, va detto che il colera colpi' esclusivamente il popolino: nel registro dei morti, alla voce "occupazione", ricorrono spesso i termini di "povero" ed "indigente" per arrivare, al massimo, al termine "operaio".
Il Comune, a riguardo, si prodigo' anche finanziariamente: i medici ed i parroci segnalavano le famiglie colpite bisognose di sussidi e la carita', pubblica o privata, provvedeva in una qualche maniera.
La cittadinanza offri' una colletta per le vittime ammontante a 584 lire; non moltissimo, ma pur sempre qualcosa: equivaleva, per esempio, a circa il doppio del compenso al dr. Spalla per l'impegno nelle cure nell'arco di tre mesi.
Settembre passo' nella paura ma ci furono anche provvidenziali piogge e la virulenza diminui' vistosamente.
L'ultimo decesso avvenne il 13 ottobre, nella persona di Pietro Gallarati, suonatore ambulante, deceduto in una casa vicina all'Oratorio di S.Rocco.
Finalmente, il 14 ottobre, constatato il cessato pericolo in quanto da molti giorni non erano piu' avvenuti contagi, il Lazzaretto venne chiuso e venne redatto pubblico encomio a tutti i sanitari che si erano prodigati.
Non si manco' di pensare al Vescovo ed alla "vexata quaestio" dei funerali e delle campane, tanto che il 19 ottobre Sanquirico gli scrisse: "..In vista delle migliorate condizioni sanitarie, la Consulta Municipale di Sanita', ha dichiarato, potersi ritenere del tutto cessata, l'epidemia cholerosa che da qualche tempo tormentava la citta'. Il sottoscritto affrettasi a portare a cognizione della S.V. al fine voglia compiacersi di dare opportune disposizioni per porre un termine alle misure straordinarie che in tale malaugurata circostanza furono imposte sia a riguardo degli onori funebri che per il suono delle campane...".
Questa Commissione di Sanita' doveva proprio essere sfortunata, visto che nel tripudio generale, inopinatamente, il 23 ed il 27 ottobre, nel podere detto Il Torrione, sito fra Tortona e Castelnuovo Scrivia, i due fratelli Rosa e Francesco Grossi venivano a morte appunto di colera.
Furono comunque gli ultimi: da quel momento l'ultima epidemia di colera a Tortona cesso' definitivamente.
Ci fu ancora qualche strascico amministrativo l'anno dopo: il medico Spalla ed il flebotomo Salice chiesero, "..per motivi di famiglia.." un arrotondamento di 300 e 200 lire rispettivamente al loro compenso dell'anno precedente. Il Comune rispose che purtroppo il bilancio 1868 era chiuso e che quindi non poteva dare alcuna retribuzione ulteriore.
Ne' miglior fortuna ebbe la supplica del farmacista Fachinetti che chiedeva che gli fosse compensata in una qualche maniera la famosa "pronta disponibilita'" di 24 ore su 24 che aveva effettuato su ordine del Sindaco per 38 giorni consecutivi.




"SUL CHOLERA MORBUS" DI GIUSEPPE SALICE




In margine all'epidemia vale la pena di ricordare un opuscolo apparso a Tortona nello stesso 1867 ad opera del flebotomo Giuseppe Salice.
Si tratta di una pubblicazione che illustra l'epidemia stessa: non ha alcuna pretesa di scientificita' anzi, la lingua e' poverissima e le nozioni, pur rapportate al loro tempo, sono davvero approssimative. Costituisce pero' una buona fonte specie per i rilievi statistici. In margine ricordiamo che Giuseppe Salice viene anche ricordato come storico di Tortona, anche se pesantissimi dubbi gravano sulla sua opera.
Negli anni 1869 e 1870, infatti, diede alle stampe i due volumi degli "Annali Tortonesi" che, si accerto' dopo, altro non erano se non la pedissequa copiatura di un manoscritto del conte Giacomo Carnevale, altro storico tortonese, morto nel 1862 e gia' per conto suo confusionario ed alquanto fantasioso.
Non si e' riusciti a conoscere la data di nascita e di morte del Salice: era ancora vivente nel 1890 (esiste una sua lettera) ed alcuni storici tortonesi pongono approssimativamente la sua data di morte nel primo decennio del secolo.
Tornando al "Cholera Morbus", dedicato, guarda caso, al Sindaco G. Sanquirico, il Salice introduce il colera, segnalandone la sua prima apparizione (errata: si era gia' manifestato tra le truppe di Alessandro il Grande) a Jessore (India) il 9 agosto 1817 e nella zona di Tortona, a Castellar Guidobono, il 15 maggio 1836.
Il morbo, nel periodo luglio-ottobre, miete' a Tortona 109 vittime (68 solo in agosto) su 176 casi accertati (uno spaventevole mortalita' del 62%). Delle Parrocchie tortonesi, Santa Maria Canale ebbe 13 decessi, S.Giacomo 20, S.Michele 29, S.Matteo 47.
75 pazienti giunsero all'exitus entro 48 ore dai primi sintomi e tali tragici risultati risultarono equamente distribuiti tra tutte le classi d'eta'. Terminata questa valutazione statistica il Salice passa ad illustrare lo "stato dell'arte " nelle conoscenze sul colera.
Anzitutto, si dice, il colera va distinto dalla "colerina " o diarrea prodromica che spesso esita in colera con conseguenze spesso letali mentre, di per se stessa, la colerina non e' malattia gravissima. Ovvio che si parla di manifestazioni piu' o meno violente della stessa malattia.
Per quanto concerne le cure l'Autore cita i rimedi gia' appresso ricordati, ammettendo che praticamente non esiste alcunche' di valido, anzi "....La medicina non ha ancora dato un Vaccino, un mercurio, un solfato di China contro il Cholera - forse potra' un giorno scoprirsi l'utilissimo trovato, e voglia Iddio questa ambita sorte tocchi ad un medico Italiano! ". Speranza vana: il Salice non poteva sapere che la cura ancora oggi principale, l'idratazione massiva parenterale, era gia' stata proposta e sperimentata dall'inglese Shaugnessy nel 1832. La patologia seguita alle limitazioni tecnologiche (aghi inadatti) ed all'ignoranza totale delle regole d'asepsi fece accantonare questa tecnica (che sarebbe stata decisiva) a favore di rimedi empirici ed inefficaci.
Sulle cause del colera Salice cita:
1) L'intemperanza.
2) Le abitazione malsane.
3) Lo sbilancio di temperatura.
4) Il passaggio simultaneo dal caldo al freddo.
5) I patemi d'animo.
Come si vede le idee erano confuse anche se in fondo non era lontano il 1883, anno in cui il grande Koch isolo' il vibrione ad Alessandria d'Egitto.
Sul personale sanitario che si prodigo' solo lodi, anzi, va ricordato in particolare modo il farmacista Fachinetti (a quanto pare, nel bene e nel male, una sorta di "eroe" di questa epidemia) che fu sempre all'altezza della situazione anche se un giornale poco informato e malevolente ebbe a dire che fumigazioni e disinfestazioni furono da esso praticate "...con mano paurosa ed avara ".





NOTE E RINGRAZIAMENTI




Questo lavoro e' dovuto alla penna del sottoscritto, di Nicoletta Busseti, schedatrice presso la Biblioteca Civica di Tortona e di Federico Torregiani, specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni.
La maggior parte di notizie sull'epidemia si trova nel faldone: "Epidemie" presente nella Biblioteca Civica di Tortona. Lo stesso per il "Cholera Morbus" del Salice che vi esiste in unico esemplare.
Per qualche nota storica su Tortona nel 1860-70 vedasi "Tortona nei secoli" di Ugo Rozzo.
Poco si e' potuto trovare nell'Archivio Storico dell'Ospedale di Tortona perche' da troppo tempo quelle carte abbisognano di catalogazione.
Le notizie storiche in merito al colera ed alla farmacologia del tempo sono desunte da "Storia della Medicina" di D. Guthrie (Feltrinelli, 1967).
I cenni su Salice "storiografo" provengono da "Tortona La storia e le storie" di U. Rozzo (Quaderni della Biblioteca Civica, Tortona, 1988) e "Le carte dell'Archivio Carnevale" sempre di U. Rozzo (Rivista di storia, arte ed archeologia per le Province di Alessandria e Asti, nn. LXXV, 1966 e LXXVI, 1967).
Si ringrazia il dr. Giuseppe De Carlini per le notizie attorno alla data presunta di morte del Salice e sulla sua opera in generale.







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