UN FRAMMENTO DI STORIA SANITARIA TORTONESE DEL 1789
Esiste, nella Biblioteca Civica di Tortona, una pubblicazione inerente la storia sanitaria di Tortona
nel settecento.
E' un libro di 110 pagine in sedicesimo dal titolo "Della salubrita' del clima di Tortona in confutazione
dell'opinione contraria d'alcuni", stampato a Carmagnola nel 1789 ed opera del medico tortonese
Vachini. Si tratta di un'opera curiosa che mette a fuoco un grosso problema sanitario che travaglio'
Tortona dal 1774 al 1782.
In quel periodo un'epidemia di dissenteria colpi' in maniera generalizzata le guarnigioni del Re di
Sardegna che erano di stanza al forte sulla collina del Castello, provocando numerosi decessi ed
accreditando al Tortonese la dubbia fama di zona malsana e pericolosa, anche ad anni di distanza.
Da cio' prende le mosse il libro del Vachini che, citando retroattivamente le memorie di suo zio, il
Dr. Viola, allora protomedico dell'Ospedale Militare di Tortona, si lancia in un'appassionata difesa
della citta' e del suo clima, infiorando la sua prosa con dotte ed auliche citazioni latine e francesi,
sovente dimenticando l'argomento principale del suo libro ed infine pervenendo alla piu' che probabile
spiegazione di una cosi' lunga epidemia.
Nel suo libro, infatti, il Vachini confuta l'opinione che Tortona fosse zona malsana con argomenti a
volte validi, a volte risibili, ma dando qua e la' preziose notizie su com'era Tortona in quei tempi.
Dapprima egli cita Strabone e Plinio che parlano dell'allora Dertona come di citta' insigne e posta al
centro di una zona fertilissima e salubre; ne loda addirittura il vino: "... non aspro, non pieno di un
soverchio tartaro, ma saporito, di facile digestione, motivo per cui non si vedono in detta Citta'
calcolosi, e podagrosi".
Poi si occupa delle acque dello Scrivia: "... perenni, limpide, leggiere, di facile ebulizione ... per cui
non si vedono strumme e gozzi", esenti dal calcare e "... dalla selenite, cui principalmente vizj e
deformita' si attribuiscono".
Non si dimentica neppure dell' erbaggio saporito ed abbondante venduto anche a Novi ed
Alessandria, ne' della selvaggina, dei formaggi, dei tartufi e dei pesci dello Scrivia che molti
genovesi, alessandrini e piacentini accorrono a comprare nei giorni di mercato (il mercoledi' ed il
sabato, come oggigiorno).
Esaurito il quadro introduttivo il Vachini, avvalendosi degli appunti dello zio, si dedica ad un'analisi
piu' pertinente ed approfondita.
Come si evidenziava la noxa in questione? Lasciamo la parola al Dr. Viola: "... Nell'anno 1774, sul
declinare dell'estate, cominciarono ad infestare moltissimi soldati del Reggimento di Monferrato
febbri terzane, quartane, febbri putride, con esantemi migliari, e petecchiali, ed altre semplicemente
infiammatorie; per tali incomodi venivano ricoverati nello Spedale, dove difficilmente ottenevano la
bramata guarigione, la maggior parte ricadevano, di tipo, e d'indole cambiavano molte malattie, a
molti altri deboli, depressi i polsi, fiacche, ed abbattute le forze vitali, e volontarie, macchie livide
petecchiali apparivano alla cute, in alcuni sopravvenivano emorragie dal naso, dalla bocca, ostrutti si
rendevano i visceri chilopoietici, succedevano consunzioni, atrofsie, e quasi in tutti una maliziosa
colliquativa diarrea terminava l'infelice loro vita. Alcune aperture dei cadaveri non dimostrarono che in
quasi tutti una consunzione, e distruzione della interna villosa tunica per tutto il tubo intestinale, in
alcuni il lobo superiore dell'epate ostrutto, ed accresciuto di sua mole, in pochissimi travasamento
di poco sangue nella cavita' del petto."
Noi riteniamo che questa descrizione sia, nel complesso, compatibile con un quadro storico di tifo
esantematico, grave malattia infettiva acuta il cui agente eziologico, la Rickettsia prowazekii (da
Howard Taylor Ricketts, morto nel 1910 a trentanove anni a Citta' del Messico appunto di tifo
petecchiale dopo averne isolato l'agente patogeno che da allora porta il suo nome).
Tale microrganismo, a meta' strada tra i batteri ed i virus, e' un parassita simbionte degli artropodi; il suo
ciclo biologico comprende una prima fase che si svolge in alcune specie di artropodi (pidocchio,
pulce, acaro) ed una seconda che si svolge nell'uomo, che per questa rickettsia rappresenta l'unico
serbatoio a sangue caldo.
In passato, soprattutto durante i periodi bellici, la malattia colpi' in forma epidemica milioni di
persone, laddove situazioni di sovraffollamento si sposavano a condizioni igienico-ambientali molto
spesso disastrose; in epoca preantibiotica, durante le epidemie piu' gravi, essa aveva una letalita'
anche superiore al 20%.
La sintomatologia del tifo esantematico (o tifo petecchiale) era costituita inizialmente dalla febbre,
elevata fin dal primo giorno di malattia e che rimaneva tale per tutta la sua durata (2-3 settimane),
accompagnata da uno stato stuporoso, di obnubilamento del sensorio, talmente spiccato e
caratteristico da essere denominato "tifoso" e da fruttare il nome alla malattia. Il paziente,
gravemente astenico, percorso da brividi intensi, si presentava stordito, con indifferenza all'ambiente
e con rari momenti di apparente lucidita'; tipica la facies vultuosa, con iniezione congiuntivale ed
aspetto da ubriaco. Frequenti anche i movimenti di carfologia, e cioe' i movimenti involontari delle
mani e delle dita.
In quarta-settima giornata cominciava a fare la sua comparsa l'esantema, dapprima diffuso al
tronco, in seguito al capo ed agli arti, risparmiando palme delle mani e piante dei piedi. L'eruzione
cutanea, che con il passare dei giorni tendeva a farsi confluente, era inizialmente di tipo maculo-
papuloso; in seconda settimana assumeva caratteristiche emorragiche, da cui il termine di
"petecchiale". Cio' e' dovuto ad una endotossina, prodotta dalla rickettsia, che agisce su arteriole e
capillari e che e' in grado di determinare lesioni infiammatorie di varia entita', con rottura di vasi e
formazione di trombi, in grado di portare anche a fenomeni gangrenosi.
Anemia intensa, oliguria e grave ipotensione arteriosa erano altri sintomi frequentissimi; il decesso
avveniva solitamente in seconda o terza settimana per coma uremico o piu' frequentemente per
collasso cardiocircolatorio.
Come ben si puo' notare, quanto descritto dal Dr. Viola con terminologia medica adeguata al tempo
non si discosta poi di molto da quanto e' stato descritto in corso di epidemie piu' recenti, come
quelle che afflissero, per esempio, migliaia di nostri soldati durante la prima guerra mondiale.
Solo le frasi "... e quasi in tutti una maliziosa colliquativa diarrea terminava l'infelice loro vita" e "...
distruzione della interna villosa tunica per tutto il tubo intestinale" ci lasciano un poco perplessi,
poiche' non ci risulta che il tifo esantematico abbia un particolare tropismo per l'apparato
gastroenterico e che la disidratazione da diarrea profusa possa essere uno dei fattori che piu' di altri
contribuiscono a determinare l'exitus nei soggetti ammalati di tifo.
In ogni caso i dubbi piu' grossi ce li toglie proprio il Viola, quando scrive: "la maggior parte
ricadevano, di tipo, e d'indole cambiavano molte malattie"; e' assai verosimile che quei poveri soldati,
defedati ed immunodepressi dal tifo esantematico, venissero colpiti in un secondo tempo anche da
altre malattie infettive quali la febbre tifoide od il paratifo o le salmonellosi in genere, oppure ancora
da altre enteriti, virali o da germi banali, che diventavano micidiali in quelle condizioni.
Come mai, si chiede dunque Vachini, durante otto anni, la malattia ha colpito solo le guarnigioni
che si sono succedute al forte ed i ricoverati (anche per altre patologie) all'Ospedale Militare mentre
ha lasciato pressoche' indenne la popolazione?
E' probabile, dice l'Autore, che il vitto o le condizioni di guarnigione fossero in qualche modo
contaminanti e determinassero una generica tossinfezione; e che il ricovero di quei soldati
all'ospedale fosse rimedio peggiore del male, perche' la promiscuita' e le pessime condizioni
igieniche facevano scoppiare violente epidemie, col risultato di far peggiorare chi era gia' affetto dalla
dissenteria ed ammalare chi si trovava ricoverato per altri motivi.
Gia' il dr. Viola aveva sospettato un nesso tra sudiciume e patologia e consigliato di cambiare
lenzuola e suppellettili, aerare gli stanzoni, trasportare via gli ammalati e, in ultima istanza,
cambiare completamente ospedale, poiche' questo "... trovasi a levante, e sepolto sotto la collina e
... quasi attaccato ad un'altezza di terreno, da cui precipitando le acque non trovano un sufficiente
scolatojo, onde tante volte rigurgitano, e ristagnano, e traboccano ne' vicini cortili. Tardi riceve il sole
orientale, poco quello di mezzodi', che viene impedito dall'altezza della chiesa, e case troppo vicine
per l'angusta corte, il Sole di ponente e' quello , che piu' domina."
Ad ogni modo non se ne fece nulla, perche' la burocrazia oppose un netto rifiuto a cambiare le cose.
Dovettero passare nientemeno che otto anni di continue epidemie e decessi tra i reggimenti che si
susseguirono al forte perche' tra i maggiorenti si facesse strada l'ipotesi che Viola potesse aver
avuto ragione: i malati furono trasportati altrove, i locali dell'ospedale vennero imbiancati ed aerati, fu
fatta maggiore attenzione alle piu' elementari norme igieniche, col risultato che la dissenteria e
soprattutto i decessi scomparvero d'incanto, anche se, come pare, resto' a Tortona la famigerata
nomea di citta' malsana.
In questo lungo periodo di epidemia i morti "... passarono d'assai i quattrocento" (si tenga conto che
la guarnigione del forte era routinariamente composta, sulla carta, di tremila uomini): circa sessanta
all'anno in una citta' che, ci dice il Vachini, conto' un totale di 1739 "altri" morti civili (esclusi quindi i
militari vittime dell'infezione) a fronte di 1800 nascite dal 1774 al 1781.
Finisce cosi' una ennesima drammatica storia di malattia, di vittime, di medici e di ignoranza; e ci
piace citare il finale del libro in cui l'autore, sia pur deviando alquanto dall'argomento principale,
commenta favorevolmente l'introduzione dell'innesto del vaiolo a scopo profilattico, un primo
approccio alla via che poi percorrera' Jenner con la sua vaccinazione antivaiolosa, con conseguente
scomparsa della malattia:
"Cessiamo una volta di tremare, e palpitare al solo nome del vajuolo e per noi, e per gli nostri figlj;
squarciamo il vergognoso velo del timore ... infino a che non ispunti un'aurora felice, ed assai piu' di
quella che vide, e trovo' la corteccia del Peru' nelle febbri periodiche, il mercurio nella sifilide, in cui
rinvenuta la causa, e la sede del germe vajuoloso, si ritrovi pure uno specifico atto ad estinguerlo, e
sradicarlo prima del suo germogliare."
Sono parole di speranza e consapevolezza, ancora oggi valide ed appartenenti sia al passato che al
futuro della Medicina, perche' davvero "divinum est soccurrere morbum".
Questo lavoro e' dovuto a Federico Torregiani per la parte anatomo patologica, a Nicoletta Busseti per la parte di ricerca ed al sottoscritto per la narrazione e il coordinamento.
Purtroppo non esiste un'organica storia degli ospedali di Tortona, ne', tantomeno, una storia
sanitaria completa del Tortonese.
Le notizie che abbiamo a riguardo sono relativamente abbondanti ma sparse qua e la' nelle
cronache e cronachette dei secoli precedenti: chi volesse approfondire l'argomento dovra'
principalmente scorrere i bollettini della Pro Julia (prima e seconda serie) alla ricerca di cenni e
riferimenti da cui ripartire per delineare il periodo che interessa.
Storici di Tortona che accennarono agli ospedali ed alle epidemie di Tortona sono soprattutto
Bottazzi, Carnevale e Rozzo.
Si deve poi citare l'Archivio Storico dell' Ospedale Civile di Tortona con carte e documenti che
partono dal tredicesimo secolo, in grande parte non indagato e non pubblicato.
Difficile e' poi individuare il sito ove sorgeva l'Ospedale Militare. A riguardo due sono le zone
supposte: la prima, a ridosso della Chiesa dei Cappuccini, nell'area retrostante S.Matteo, la
seconda, pu'• probabile, dietro Santa Maria Canale, nella zona detta del "Lavello".
Si ringraziano il Dr. Giorgio Gatti, Direttore del Sistema Bibliotecario Centro Rete di Tortona, per la
preziosa consulenza in ordine agli ospedali tortonesi del diciottesimo secolo ed il maestro Armando
Bergaglio, storico di cose tortonesi, per le notizie sulla probabile posizione dell'Ospedale Militare.
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