Il voto nel 1946 a Napoli e Provincia
di Rosaria Secondulfo
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Il voto nella provincia partenopea nel 1946
s' inserisce all' interno del contesto nazionale e nei dibattiti delle
forze politiche sia locali che nazionali, divise nei primi mesi di quell'anno
sull' obbligatorietà del voto e sulla scelta istituzionale.
Inizialmente, infatti il decreto legge 151 emanato da Bonomi, demanda
ai membri della Costituente la scelta istituzionale, poi, sotto le pressioni
della destra e di De Gasperi, si opta per la consultazione popolare. Per
quanto riguarda il voto obbligatorio, se le sinistre vedono in esse il
timore di scivolare nel totalitarismo, la DC spera invece di convogliare
i consensi di tutti i ceti sociali, con l' adozione del sistema dei resti
per il Collegio unico Nazionale.
La questione istituzionale assume toni diversi tra le "due Italie":
al Nord si è determinata una frattura tra le stesse forze monarchiche
e fasciste, favorita dalla presenza di un forte movimento resistenziale,
mentre al Sud e in special modo a Napoli, le destre di impostazione
monarchica qualunquista o legate alle forze reducistiche e combattentistiche
di "orientamento afascista" , sono caratterizzate da un' ampia mobilità
nel loro interno per una forte connotazione personalistica e notabiliare
ed ottengono un certo seguito proprio nella città partenopea. La
sinistra, invece, avverte la mancanza di un vero movimento di lotta, in
quanto priva di un vero radicamento sociale e di una scarsa coscienza unitaria
che unisca i vari strati sociali (contadini, artigiani, intellettuali,
professionisti) alla classe operaia . Le Quattro Giornate rappresentano
infatti, l' unico movimento di lotta resistenziale della città e,
in generale, gli anni '43-'44 si caratterizzano per un vuoto profondo nella
vita collettiva, lontana dalle forze politiche che da una parte schierano
il movimento antifascista ormai divenuto come un elemento dissipatore del
patrimonio dell' insurrezione del settembre '43, dall' altra evidenziano
i limiti dell' occupazione alleata che a Napoli è durata più
a lungo che nelle altre città d' Italia.
Napoli del resto, è stata la prima città europea occupata
e governata dagli anglo-americani ed ha vissuto il trapasso tra l' economia
di sopravvivenza di grandi masse urbane ed il consumismo successivo alla
guerra da parte dei vincitori. La città partenopea per altro, ha
svolto sempre un ruolo notevole per le terre liberate dagli anglo-americani
sia per la posizione strategica del suo porto, che per aver assunto una
funzione di prima linea durante la guerra.
D' altronde il potere conservato dagli alleati non è stato mai
scalfito all' interno della cinta urbana e metropolitana della città,
generando una certa indifferenza verso la politica.
Proprio questa indifferenza pone i partiti di massa alla vigilia del
triplice voto del '46, nella necessità di "ricostruire il sistema
meridionale" ed a connotarsi come sostituti del CLN. In questo contesto,
acquista un peso notevole il ruolo svolto dalla DC, ormai ricostituitasi
dalla propaggine antifascista di AC e dalla componente popolare capeggiata
da De Gasperi e gravitante intorno a Giulio Rodinò, Mario Riccio,
Francesco Selvaggi, esponenti di calibro capaci di definire l' ossatura
della DC, costituitasi come partito nel '43, e tali da consentire una rinascita
del Partito Popolare, attraverso "un' azione autonoma, ma collegata a quella
nazionale, onde superare i confini del campanile e del provincialismo"
. Tuttavia, dopo la crisi dell' aprile-maggio del '45, la DC napoletana
si stabilizza su una posizione moderata, accentuando quel carattere conservatore
del partito di cui sono espressione gli esponenti democristiani napoletani,
appoggiati da Ascalesi deciso sostenitore per "cultura e convinzione" della
Casa Savoia, impegnato nel coltivare i rapporti non solo con la casa reale,
ma anche con l' alta aristocrazia, facendo del filofascismo della Chiesa
di Napoli un' "opzione politica" per creare una saldatura tra ecclesiastici
ed esponenti di tipo tradizionale. Ascalesi in questo rapporto di cesura
si avvale del consenso di quanti condividono una mentalità
di conservazione e di ordine, propugnando un' opera di risveglio spirituale
e di accentuazione degli aspetti devozionistici sulla falsariga di quanto
diffonde sul piano nazionale mons. Ronca e sul piano locale La Rovere e
rifacentesi ad un filone del cattolicesimo minoritario di Mons. Fabozzi
. Così caratterizzata da una nuova spiritualità e forte
del consenso sociale, la DC alla vigilia del voto, riesce a svolgere
quel ruolo di "mediatore collettivo a causa della larga permeabilità
delle forze d' opposizione sia di destra che di sinistra", riuscendo
a finalizzare il proprio potere sul territorio e a compattare la disgregata
realtà partenopea, compromessa anche dalla difficoltà del
ricambio della classe dirigente.
Il ceto poltico impegnato in questa tornata elettorale, è l'
espressione della "riemersione degli ex", dei vecchi notabili e delle nuove
figure in rapporti sempre più strutturati, così che il ceto
politico diviene "testimone ed attore, riflesso politico ed attivo costruttore...
ed introduce una dinamica clientelare, di partecipazione politica che amplia
le basi del consenso, nonchè una compatibilità politica della
città con lo Stato ed i governi nazionali".
Se tale "riemersione" è legata ad un processo di "reclutamento/selezione
che investe l' articolazione dei ceti politici nell' Italia liberale" ,
gli esponenti democristiani all' interno di questo quadro, s' inseriscono
come mediatori e riorganizzatori del rapporto tra centro e periferia, sia
attraverso la presenza di un ceto professionista, sia attraverso l' appartenenza
ad associazioni cattoliche, AC, FUCI, ACLI, utili a determinare quel retroterra
notabiliare.
Tuttavia, sebbene la presenza di un notabilato legato alle professioni
e/o alle aree feudo si può soltanto ipotizzare, la ricerca svolta
vuole evidenziare la costruzione di un potere democristiano egemone a Napoli
e Provincia che si connette con la leadership degasperiana che è
riuscita a stabilire legami con gli USA sia a livello nazionale che internazionale.
La politica filoamericana è stata utile per intervenire nell' ambito
della ricostruzione attraverso la quale ha avuto inizio quello stato parassitario
nel quale si sono poi insinuati i futuri quadri politici democristiani,
capaci di acquisire il controllo del potere, delle banche e degli apparati
produttivi. In questo clima il ceto politico democristiano locale e nazionale,
di derivazione popolare e/o legato ad AC, inizia la lenta e duratura conquista
elettorale e politica della provincia partenopea all' ombra del Vaticano
e degli Stati Uniti. Inoltre, in quest' affermazione elettorale, va riconosciuto
il ruolo svolto dal gruppo cattolico napoletano, impegnato sia nella ricostituzione
della DC con Colasanto, Gava, Iervolino, Stefano e Mario Riccio, Rubinacci,
sia nella battaglia legislativa proponendo la proporzionale con il premio
di maggioranza. Una soluzione quest' ultima, vista dai cattolici napoletani
come stumento di democrazia e tale da convincere anche i diffidenti liberali
"einaudiani" sostenitori del maggioritario. Sicchè il gruppo cattolico
napoletano, orientato secondo le direttive nazionali sturziane e degasperiane,
si pone come un anello di congiunzione determinante non solo per la realtà
partenopea, ma anche nazionale.
Senza soffermarci oltre sulla situazione generale, la presente ricerca
prende in considerazione il voto del 1946 nell' ottica del potere democristiano,
pur cogliendo nella scarsità di fonti rinvenute la impossibilità
di rintracciare dinamiche specifiche relative all' insediamento del ceto
politico.
Per l'elaborazione dei dati si sono utilizzate le fonti raccolte all'Archivio
della Camera dei Deputati (Roma) ed all'Istituto Campano Studi della Resistena
( Napoli ). Tali dati hanno consentito di delineare delle tavole geografiche
relative alla distribuzione del voto. Le fonti raccolte all' Emeroteca
Tucci ( Napoli ) hanno permesso di identificare, almeno per le testate
a cui è stato possibile accedere, le dinamiche delle forze politiche
attraverso la stampa locale, elaborando una ricostruzione storica e una
conoscenza del ceto politico democristiano impegnato sia nel voto amministrativo
che in quello politico.
Sicchè le fonti offrono la possibilità di operare
un approccio quantitativo molto dettagliato, inserendo il consenso dei
candidati sia come competizione intrapartitica, sia cercando di delineare
le figure locali e nazionali. Infatti le figure di Iervolino, Leone, Riccio,
verificano i casi più o meno legati a fenomeni di localismi, mentre
le figure di De Gasperi e Chatrian dimostrano il consenso che due candidati
non locali hanno nel tessuto partenopeo solo per essere esponenti di un
partito al governo e testimonia l' influenza che ha la leadership degasperiana,
soprattutto in relazione alle speranze degli interventi statali nella ricostruzione
civile, morale e politica.
La competizione tra i candidati in lizza emerge con maggiore peculiarità,
se si individuano delle aree socio-economiche.
La scelta di un' analisi socio-economica deriva dalla convinzione
di una stretta connessione tra la situazione economica e le scelte politiche,
evidenziando i rapporti messi in atto dal centro e dalla periferia. Tale
analisi se da un lato consente di confermare l' affermazione della DC in
provincia, permette anche di evidenziare la tendenza dell' elettorato,
che nelle aree rurali pone su un piano quasi paritario le forze di sinistra
con quelle moderate, nelle aree industriali e miste (edilizia e artigianato)
la presenza di un elettorato di centro sinistra. L' individuazione dei
cluster consente un' analisi dettagliata dei climi politici conseguente
al voto di Giugno, valutando all' interno di ogni cluster sia il rapporto
tra i partiti o le concentrazioni , sia il consenso monarchico.
La provincia partenopea è ripartita in 7 aree socio-economiche
o cluster (si osservi all'uopo la tavola 1bis):
1. aree rurali;
2. aree industriali;
3. aree miste (operai e contadini);
4. aree miste (a carattere d' inurbazione);
5. aree agricole isulari;
6. aree miste (ad alta densità);
7. aree miste (industria-edilizia-artigianato-secondario).
I partiti all' interno del cluster sono così ripartiti:
Sinistra=PCI-PSIUP-P.d' Az-CDR;
Dl (Destra liberale)=UDN-PPMR;
Dr (Destra reazionaria)=UQ-BNL;
Indipendenti/Altri=I/A.
La DC viene considerata nella sua distintività.
I risultati incentrati sull' analisi apertura/conservazione tra
centro e periferia, confermerebbero che nel capoluogo in sede di consultazione
politica le forze liberali sono premiate per evitare bruschi cambiamenti
e assicurare la stabilità e la continuità, mentre la provincia
promuove movimenti di apertura delle masse agricole che si indirizzano
verso le forze DC.
La provincia viene interessata a movimenti di apertura che s' intersecano
con quelli di conservazione nel capoluogo, determinando a livello territoriale
un interscambio di forze contrapposte. Forze che nel capoluogo circolarmente
si caratterizzano come forze di conservazione, legate al notabilato che
s'intersecano con quelle di apertura della provincia. Quest' ultima
iniziando un' opera di deruralizzazione promuove proposizioni di sviluppo
che si concretizzano nel voto con un' opzione centrista moderata per salvaguardare
gli equilibri più nazionali che locali, evitando così radicali
cambiamenti. Tale ipotesi di ricerca viene suggerita dall' incidenza delle
strutture economiche, dalla ripartizione della provincia in aree socio
economiche e dalla presenza di un ceto politico che, se legato al notabilato
locale di stampo liberale nel capoluogo, si caratterizza nella provincia
con dinamiche politiche orientate verso un partito di governo emergente
e al tempo stesso stabile e appoggiato dalla Chiesa, tale da rassicurare
l'elettorato di fronte al timore di un' affermazione socialcomunista.
La correlazione tra i voti DC e i fattori economici dimostra,
inoltre, che la DC riporta consensi sia nei comuni industriali che in quelli
agricoli, sottolineando l' ambiguità della DC come partito di governo
e di tradizioni confessionali, ottenendo un numero di consensi elettorali
superiori a quello cattolico, grazie all' appoggio del clero e di quello
di Ascalesi in particolare.
Anche il risultato del voto referendario s' inserirebbe nel consenso
che l' elettorato ha proiettato verso la DC. Se infatti il mito verso la
Casa Savoia è molto forte nell' immaginario collettivo, l' iniziale
propensione per la monarchia da parte della DC e la conseguente decisione
di prospettare una posizione agnostica, potrebbe essere la causa della
vittoria monarchica nella provincia più che una propensione a destra
dell' elettorato. In alcuni comuni si può ipotizzare un voto monarchico
trainato più dai voti cattolici che da quelli di destra, tali da
far rinvenire nel voto del '46, "un approdo moderato dell' intero processo
nazionale di fuoriuscita dal fascismo" .
La comparazione tra la tavola 13 e la tavola
5 confermerebbe tale ipotesi.
Tenendo conto della stretta correlazione tra il voto politico e voto
referendario, ed al fine di semplificare la complessa argomentazione di
seguito schematizziamo il triplice voto.
In quest' ottica l' adesione monarchica del popolo napoletano, va visto
come "protesta" e mantenimento della tradizione rispetto al timore di un
"salto nel buio". La presenza di candidati filomonarchici nella lista DC,
appare utile al partito per "trainare" voti al partito stesso. I candidati
repubblicani, come Gava e Colasanto, infatti, assumono il ruolo di
candidature gregarie. In generale, il voto di preferenza visto secondo
l' analisi socio-economica, evidenzia che al di là dei "topos insediativi"
e delle aree feudo (le aree industriali del pomiglianese sono appannaggio
di Leone, l' area mista operai contadini di Riccio, l' area agricola insulare
con i comuni vesuviani sono pertinenti di Iervolino, mentre nelle restanti
aree socioeconomiche è De Gasperi a detenere primati), il voto s'
inserisce nell' ottica del personalismo intrinsecamente connesso
alle dinamiche del voto di preferenza che, come si diceva, oltre alla scelta
del partito, presuppone anche una degli uomini.
Nello specifico, il lavoro, prima di analizzare il "triplice voto"
si evidenzia gli interventi da attuare, o meglio che si sarebbero dovuti
attuare, all' indomani della liberazione. La situazione di degrado morale
e civile in cui versa la città di Napoli nel secondo dopoguerra,
spinge all' elaborazione di un piano di ricostruzione che, se ambizioso
nella fase iniziale, finisce col far perdere nel seguito qualsiasi
illusioni, nonostante l' impegno fattivo svolto sia da alcuni esponenti
democristiani, come Rubinacci, Selvaggi, Numeroso sia dalle forze di sinistra
come l' ing. Bertoli, ideatore del piano di regolamento. Ovviamente, la
subordinazione a decisioni nazionali, non soltanto locali, condiziona l'
opera di ricostruzione, fino a far naufragare gli interventi di ricostruzione
in provvedimenti destinati ad opere urgenti, senza trovare un "largo ed
organico piano di occupazione", e senza l' attuzione di iniziative di carattere
urbanistico.
Il Voto Amministrativo
Il voto amministrativo si suddivide nella doppia tornata di primavera
e di autunno
Una doppia tornata che investe un certo interesse anche da un punto
di vista socio-economico. Nel turno di primavera, infatti, sono interessati
al voto i comuni agricoli-industriali, mentre nel voto di autunno oltre
al capoluogo Napoli sono impegnati nelle consultazioni i grandi comuni
ad Est di Napoli, compresi quelli vesuviani
Tale ripartizione appare rilevante nel valutare l'andamento del voto
perchè consente di rilevare notevoli discrepanze: Innanzitutto nel
voto di primavera è notevole l'affermazione della D.C. così
come è significativa la tenuta del centro-sinistra, mentre dall'altra
parte si avverte lo scarso radicamento della destra che non ottiene la
maggioranza in nessun comune.
Nel voto d'autunno si assiste ad un totale capovolgimento con l'affermazione
delle opposizioni sia di destra che di sinistra, con calo della D.C. ed
una forte presenza astensionistica.
Rilevante è "il caso Napoli" dove le forze di sinistra unite
nel "Blocco" ottengono sì una maggioranza relativa ma non sufficiente
ad ottenere una maggioranza consiliare.
La destra pur scissa in quattro liste si compatta alla "sala dei Baroni"
dondo così inizio all'affermazione della destra.
Considerevoli ed ulteriori successi sono riportati dalla destra nei
comuni di Torre del Greco, di San Sebastiano, di Cercola, di Somma, di
Saviano. La sinistra che nel voto di primavera aveva conquistato i comuni
di San Vitaliano, di Poggiomarino, di Castellammare, nel voto di autunno
conquista l'area occidentale, più i comuni di caivano, di San Antonio,
di Giugliano, di Resina e Pimonte.
In conclusione l'analisi rileva che il partito vincente è la
D.C. che sostanzia il proprio dominio in 43 comuni su 85 il centro si afferma
in 18, i socialcomunisti in 12 ed i monachici in 3.
Il voto amministrativo, dunque, si caratterizza per la maggioranza
delle forze democristiane che si affermano in primavera avendo come antagonisti
i partiti di centro e di sinistra, mentre scarso appare il radicamento
della destra. Il voto d'autunno vede protagonista l'opposizione di destra
e di sinistra, confermando una tendenza di centro moderata.
Il voto Politico ed il voto Referendario
La contestualità del voto politico e del Referendum Istituzionale
induce ad un'analisi comparata del voto.
L'adesione al consenso espresso per la D.C. rappresenterebbe la ricerca
di una stabilità governativa e il consenso alla Casa Savoia
più che una propensione a destra dell'elettorato, incarnerebbe la
gtradizione ed un mito forte nell'immaginario collettivo partenopeo.
I risultati del doppio voto del 2 Giugno evidenziano che la D.C. si
pone come partito di maggioranza in 72 comuni su 85 conseguendo il 33,76
% in provincia ed il 26,6 % nel capoluogo.
L' UDN, formazione di centro destra si afferma come secondo partrito
in provincia con il 20,63 % e nel capoluogo come primo con il 25,43 %.
La destra si colloca come terza forza sia in provincia che nel capoluogo
rispettivamente con 1i 14,15 % ed il 19,11 %.
Invece la sinistra supera di poco il 9 % in provincia e l' 8 % nel
capoluogo.
La monarchia eccetto per i comini di Qualiano e Torre Annunziata ottiene
un consenso plebiscitario, sfiorando il100 % nei comuni capresi e nella
penisola sorrentina.
In generale il voto politico, così come supportato dall'analisi
nelle varie aree socio-economiche, premia il partito di governo e
l'affermazione monarchica è tale da far ruotare il voto del 2 giugno
sui binari del comunismo-anticomunismo, tra monarchia e comunismo.
Interessante è osservare che dove forte è il potere della
chiesa, come nella penisola sorrentina, il consenso alla monarchia sfiora
il 100 % e la dialettica politica si pone tra Dr (BNL)-DC-Dl (UDN) (dove
per Dr si è inteso Destra reazionaria e Dl Desta liberale).
Invece dove la presenza operaia si pone come forza attiva, Pozzuoli, Bacoli,
Giugliano, Boscoreale, Castellammare, non solo la monarchia supera di poco
il 50 %, ma il clima politico si articola tra DC-Sin-Dl.
In definitiva l'affermazione monarchica che in 44 comuni si attesta
con percentuali tra il 80 ed il 100 % ed in 27 con percentuali tra il 70
e l' 80 % parrebbe più un voto di diffidenza che di vero conservatorismo.
Concludendo, appare evidente l'interconnessione tra voto politico e
voto referendario nel promuovere un assestamento moderato nell'intera provincia
e nel valutare la modellizzazione della crosta politica si deve tener conto
delle dinamiche socio-economiche e del ceto politico.
Il voto di Preferenza
L'interconnessione del duplice voto si rileva anche nel voto di preferenza
che correla il rapporto tra eletti ed elettori all'interna di ciscuna lista
in ciascuna circoscrizione ed appare un secondo momento decisionale dell'elettore
che oltre alla scelta del partito ne opera una anche sulla persona. L'uso
di tale voto acquista un peso notevole perchè delinea le forze e
gli uomini sui quali si muoverà la politica italiana ed il voto
di preferenza, in questo contesto, verifica il contributo portato dai consensi
personali.
La lettura dei dati consente di rintracciare un elevato tasso di preferenza
riportato alla lista D.C. di gran lunga superiore alle percentuale del
voto di lista. I risultati rilevano, inoltre, che un alto uso del voto
di preferenza si colloca nelle aree agricole ed interessa i comuni più
piccoli nei quali è preponderante la componente di popolazione impegnata
nell'agricoltura, facendo quindi ipotizzare un alto uso del voto di preferenza
legato alla terra.
Appare notevole il peso che la provincia assorbe in relazione al voto
di preferenza ed ai rispettivi candidati.
In termini percentuali è significativo come sia la provincia
a portare i candidati, i cui voti potrebbero essere correlati a fenomeni
di localismi, ad aree di feudo, al notabilato delle professioni; la presentazione
della lista D.C. vede su 24 candidati, 14 avvocati di cui 6 eletti ( Gatta,
Iervolino, Leone, Notarianni, Riccio, Rodinò ); ottenendo un consenso
che per taluni è quasi sovrapponibile, come si evidenzia nel caso
di Leone e Riccio che legati ad A.C. evidenziano come l'appartenenza ad
un'organizzazione, rappresenti una carta notevole per l'elezione di un
candidato, sia perchè fornisce risorse indisbensabili sia perchè
assicura i contatti necessari con capi elettori che con grandi elettori.
Premesso ciò, si possono ipotizzare delle aree feudo ed individuare
dei candidati provinciali e napoletani operando una spartizione del territorio.
I candidati Firrao e Notarianni spartiscon o la zona ad ovest di Napoli,
Leone e Riccio quello ad est, mentre Iervolino domina nella costiera
sorrentino. I due candidati casertani Caso e De Michele, presentano un
tasso molto disperso in provincia, delineandosi come candidati napoletani.
Disperso il tasso di Titomanlio, mentre Rodinò delinea nel comune
di Resina il suo feudo.
Significativa la presenza di due candidati nazionali come De Gasperi
e Chatrien. Se Chatrien presenta un consenso più disperso, De Gasperi,
capolista, riesce a compattare il territorio sia in termini di voti assoluti
che di tassi di concentrazione, un voto in questo caso, di un disegno di
un partito che mira a far convergere su un candidato sicuro, il consenso
del partito, anche al fine di assicurarsi una funzione di raccordo tra
i vari candidati ed aggregare la corrente repubblicana e quella monarchica
e tale da costituire un punto di riferimento nazionale ed internazionale.
La tavola 23 conferma la presenza di aree
feudo e l'analisi socio economica
In definitiva l'affermazione dei candidati si specifica tenendo conto
che , contemporaneamente al voto per la costituente, gli elettori sono
chiamati a votare per il referendum istituzionale pertanto il voto politico
e di conseguenza il voto di preferenza và letto in concomitanza
con il voto referendario.
Si evince che, data l'opzione filoamericana di buona parte dei candidati
eccetto Gava e Colasanto ( non eletti ), il voto referendario va visto
come momento di stabilità rispetto al salto nel buio. Se in provincia
la destra raggiunge il 20 % e il consenso monarchico supera l' 80 % si
può ipotizzare che anche l'elettorato cattolico abbia votato
per la Casa Savoia.
In conclusione l'analisi del voto di preferenza sui candidati democristiani
dimostra come l'elettorato, legato ancora a figure di spicco, abbia preferito
votare per il mantenimento dello status quo piuttosto che rischiare su
candidati nuovi.
In conclusione senza soffermarci oltre, la ricerca vuole evidenziare il comportamento elettorale come risultato di determinate situazioni nelle quali la DC è l' asse portante della politica locale e nazionale. Se da un punto qualitativo la ricerca si ferma ad un' analisi sommaria del ceto politico, senza rintracciare i perchè di certi insediamenti, da un punto di vista quantitativo il lavoro offre un' analisi dettagliata dei risultati e propone ipotesi di ricerca costituendo un tassello propedeutico per successive ed ulteriori approfondimenti.
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