Il discorso escatologico di Gesù

e i Testimoni di Geova

L'allarmismo escatologico dei Testimoni di Geova prende spesso le mosse, nella letteratura geovista, dal discorso di Gesù riportato nei Vangeli Sinottici: Marco cap. 13, Matteo cap. 24 e Luca cap. 21. Poiché ci pare che in complesso sia più facile spiegare il testo di Matteo partendo da quello di Marco, mentre la versione di Matteo presenta un testo intermedio tra quella di Marco e quella di Luca, in questa sede esamineremo in dettaglio Mc 13 comparandolo con Mt 24 e Lc 21, infine menzioneremo l'esegesi del Corpo Direttivo affinché il lettore la confronti con lo schema interpretativo corrente. Come riferimento per l'esegesi di Mc 13 seguiremo il testo di Jacques Dupont, Distruzione del Tempio e fine del mondo. Studi sul discorso di Marco 13, Roma 1979.

Struttura del cap. 13 di Marco

I vv. 1-2 introducono il cap. 13 di Marco con un inequivocabile annuncio della distruzione del Tempio di Gerusalemme; prendendo lo spunto da quest'annuncio, quattro discepoli chiedono a Gesù: "Dicci: quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno quando tutte queste cose saranno destinate a giungere al termine?" (v.4). Le due parti di questa domanda sono praticamente equivalenti: la prima, che chiede il "quando", si precisa nella seconda, che chiede il "segno" premonitore dell'avvenimento. E' chiaro che il senso da attribuire alla domanda deve tener conto della risposta, in funzione della quale la domanda è formulata.
Ma perché la predizione di Gesù circa la distruzione del Tempio induce i discepoli a rivolgergli la domanda sulla "fine"? "Perché la profezia di Gesù ha suscitato istintivamente in essi l'idea della fine del mondo. Secondo il modo di pensare di quell'epoca infatti la distruzione del tempio rientrava nelle cosiddette 'tribolazioni' destinate a precedere la venuta del regno di Dio. In effetti, nella profezia veterotestamentaria si parla di un nuovo tempio, che il Messia erigerà. Da ciò si concludeva che il vecchio tempio sarebbe andato distrutto nelle 'tribolazioni' precedenti la fine. Così la pensavano di fatto gli apostoli e con essi la chiesa primitiva dei primi decenni. La distruzione del tempio darà avvio ai giorni della fine" (Franz Mussner, Che cosa insegna Gesù sulla fine del mondo?, Brescia 1988, p. 20).
I vv. 5-6 mettono in guardia contro gli impostori: il pericolo di sviamento riguarda l'avvento di Cristo.
I vv. 7-13 additano gli avvenimenti che non hanno valore di "segno"; il v.14a contiene la risposta alla domanda concernente "il segno"; i vv. 14b-20 riportano gli eventi che seguiranno la comparsa del "segno". In maniera specifica, i vv. 7-8 menzionano disastri che non dovranno far pensare che la fine sia vicina, questi versetti negano ai disastri menzionati il valore di segni annunciatori di una prossima fine. I vv. 9-13 inseriscono un avvertimento concernente in particolare i discepoli: la persecuzione a motivo della fede in Cristo. Il "prima" del v. 10 significa che il vangelo sarà annunciato "in tutte le nazioni" prima della parousia! Piuttosto che costituire un ostacolo, la persecuzione dei cristiani può favorire la diffusione del messaggio evangelico (cfr. Filippesi 1,12-14): i discepoli, trascinati davanti ai "tribunali locali" giudaici e pagani, troveranno l'occasione per testimoniare la loro fede. Pare che per Marco la persecuzione fornisca un'occasione per testimoniare anziché il risultato della testimonianza.
Sia chiaro che Gesù non afferma che le persecuzioni siano un "segno" dell'imminente fine, altrimenti la fine del mondo sarebbe arrivata già molte volte, se si guarda la storia dei martiri del Cristianesimo! La persecuzione dei cristiani, insieme alla proclamazione del vangelo, appartiene al "tempo intermedio", al tempo tra la risurrezione di Cristo dai morti e il suo ritorno alla "fine dell'attuale sistema di cose".
Il solo vero "segno" annunciato dalla domanda (v. 4) si verificherà a Gerusalemme e sarà chiaramente visibile: esso consisterà nella "cosa disgustante che causa desolazione stabilita dove non deve" (v. 14). La costruzione grammaticale della citata espressione ci fa pensare a una profanazione sacrilega risultante dalla presenza nel Tempio di un personaggio - individuo o collettività - che offende in modo particolare la santità del luogo; infatti il termine greco neutro "bdélygma" (=abominio, cosa disgustante) è concordato col participio "hestekòta" (=stante, stabilita) di genere maschile: questa costruzione a senso è possibile solo perché lo scrittore pensa a un profanatore personale.
A partire dal "segno" del v. 14, lo sviluppo degli eventi è chiaro: gli abitanti della Giudea dovranno approfittare per trovare scampo tra le montagne, ci sarà una "tribolazione" inaudita e cruenta, ma di non lunga durata (vv. 14b-20). La "tribolazione" non può riferirsi agli eventi cosmici connessi al ritorno di Cristo, perché questi ultimi si verificheranno solo "dopo tale tribolazione" (v. 24).
I vv. 21-23 contengono un nuovo avvertimento contro gli impostori che pretenderanno di sapere dov'è Cristo: si tratta di persone che anticipano la vera parousia.
I vv. 24-27 aggiungono al "segno" una descrizione della "fine": sconvolgimento degli astri, comparsa del Figlio dell'uomo e radunamento degli eletti; si tratta di immagini iperboliche che mettono in risalto il carattere spaventoso dell'intervento di Jahve, non è necessario leggervi dei simboli dello stesso giudizio. Le immagini riprese nel testo di Marco sono quelle che segnalano una teofania, non quelle che descrivono metaforicamente un massacro generale (cfr. Deuteronomio 30,4; Daniele 7,13; Aggeo 2,6; Zaccaria 2,6.10).
Il discorso escatologico termina con due insegnamenti: il primo, che annuncia l'imminenza degli eventi, è illustrato dalla parabola del fico (vv. 28-31); il secondo, riguardante l'incertezza del momento preciso, si concretizza nella parabola del padrone che rientra a un'ora imprevista della notte (vv. 32-37). Questi ultimi versetti (28-37) additano l'interpretazione di Marco sul discorso di Gesù, preso nel suo insieme: la profezia relativa alla distruzione del Tempio (v. 2) sembra costituire solo l'occasione per un insegnamento che si colloca in una prospettiva più ampia (il "termine del sistema di cose" di cui parla Mt 24,3); dalla prospettiva della distruzione del Tempio si è quindi passati esplicitamente a quella della fine del mondo! Allora sorge l'interrogativo: la domanda dei discepoli riguardava una cosa, la risposta ne riguarda un'altra?
Orbene, J. Dupont così risponde a tale quesito: "l'inadeguatezza riscontrabile tra la domanda tal quale è posta nel v. 4 e la risposta data nel discorso non gioca necessariamente a sfavore della risposta, perché è possibile che questa implichi una critica del modo in cui la domanda è stata formulata. E' proprio ciò che si verifica, quando la tradizione sinottica presenta Gesù posto di fronte a una domanda apocalittica: per esempio, allorché i farisei gli domandano: 'Quando verrà il regno di Dio?' (Lc 17,20) o allorché uno sconosciuto gli chiede: 'Signore, sono pochi quelli che si salvano?' (Lc 13,23). La risposta di Gesù (Lc 17,21-37; 13,24-30), spostando il problema, mostra chiaramente che la domanda è stata mal posta. Succede così che Gesù, accettando di rispondere a una domanda postagli, va al di là di quanto gli è stato chiesto. ... Questi esempi chiariscono forse il caso di Mc 13. La risposta di Gesù alla domanda avanzata dai discepoli contiene elementi destinati a soddisfare la curiosità che ha provocato la domanda, ma contiene pure esortazioni che si spingono al di là di quanto è stato chiesto".
Stando al v. 29, i disastri e le tribolazioni, di cui si parla nel discorso a proposito della distruzione del Tempio, dovranno essere considerati dai discepoli di Gesù come segni annuncianti l'imminenza della parousia del Figlio dell'uomo: "Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte". Chiediamoci: quali sono "queste cose" che i discepoli dovevano vedere accadere e che cosa avrebbero indicato come imminente?
L'aggettivo dimostrativo "queste" rinvia normalmente a ciò di cui si è parlato immediatamente prima, ma in questo caso è chiaro che esso non può riferirsi al ritorno di Cristo e al raduno degli eletti (vv. 26-27) perché tali avvenimenti rappresentano la "fine", pertanto non possono costituire un segno precursore di un'altra cosa. Bisogna risalire oltre. I fenomeni cosmici descritti nei vv. 24-25 fanno parte della "fine". Pertanto l'espressione "queste cose" (v. 29) si riferisce al gruppo dei segni enumerati fino al v. 23.
Che dire infine dell'espressione "tutte queste cose" del v. 30? Sembra che con queste parole il v. 30 faccia implicito riferimento alla "fine", che nel pensiero di Marco e dei primi cristiani pare non debba giungere molto tempo dopo gli avvenimenti precedenti e non possa essere separato dai segni premonitori, in particolare dalla distruzione del Tempio (cfr. Romani 13,11-12; Filippesi 4,5; Giacomo 5,8; 1° Pietro 4,7; Apocalisse 1,1-3; 22,10).
D'altra parte, i versetti successivi (32,33,35,36) rivolgono l'attenzione al momento della venuta del Cristo, non ai segni precursori; per questo è ragionevole ritenere che il "queste cose" del v. 29 si riferisca unicamente alle calamità che precederanno la "fine", mentre il "tutte queste cose" del v. 30 includa la "fine" medesima. Ciò che risulterà "vicino" al tempo in cui si verificheranno i segni precursori non può essere che la "fine": la parousia di Cristo e il radunamento degli eletti.
In definitiva il v. 30 congloba l'evento annunciato insieme al segno annunciatore: tutto si sarebbe verificato nel corso di "questa generazione", non solo la comparsa della "cosa disgustante che causa desolazione" e la "tribolazione" (vv. 14-20), ma anche la stessa "fine" di cui parlano i vv. 24-27. Molti esegeti ritengono che l'espressione "questa generazione" si riferisca ai Giudei contemporanei di Gesù, quelli che vissero fino alla distruzione del Tempio nel 70 d.C. Ma qualcuno attribuisce a questa espressione "una significazione qualitativa, nel senso: «Questa generazione infedele, adultera» (cfr. ad es. Mt 11,16; 12,29.41.42; 16,4; 17,17; Mc 8,12; Lc 11,29, oltre a Deuteronomio 32,5; Salmo 94,10; Atti 2,40; Filippesi 2,15). Sulla Bocca di Gesù quindi si tratta sempre della generazione dei Giudei". Partendo dalla constatazione che il contesto di Mc 13 è tipicamente "apocalittico" e non storico, Mussner interpreta l'espressione "questa generazione" in senso apocalittico; secondo questa suggestiva interpretazione "questa generazione" di Mc 13,30 "è il popolo degli Ebrei scelto da Dio che vive in questo eone, che sperimenta 'tutte queste cose', destinate ad accadere nel corso della storia. ... L'esistenza del popolo ebraico attraverso i tempi della storia è per i popoli anche un segno infallibile della verità e veracità delle parole di Dio e di Gesù".

Confronto tra Mc 13, Mt 24 e Lc 21

Nella versione di Lc 21 Gesù si trova ancora nel recinto del Tempio, quando ne annuncia la distruzione (cfr. Lc 19,45), il che provoca una domanda attribuita a persone che non sono i suoi discepoli. Più precisamente la domanda di Mt 24,3 riguarda "il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose"; invece Lc 21,7 incentra il quesito unicamente sulla distruzione del Tempio, sul segno annunciatore della sua prossimità e sul momento di tale distruzione.
Contrariamente a Mc 13 e a Mt 24, Lc 21 presenta un discorso indirizzato a tutti. Tale discorso inizia con un avvertimento contro le dichiarazioni di impostori, annuncianti che "il tempo stabilito si è avvicinato" (Lc 21,8-9); ci saranno "guerre e disordini", ma la "fine" non arriverà subito dopo (v. 9). Di quale "fine" si tratta? Sorprendentemente non si tratta della fine del Tempio, evocata nella domanda, ma della "fine del mondo", cui si riferiscono i vv. 10-11: si ha quindi l'impressione che Luca consideri il v. 10 come il vero inizio del discorso escatologico, dopo un avvertimento preliminare. La parte centrale del discorso (21,12-24) si riferisce ad avvenimenti storici, assolutamente privi di rapporto con i segni della "fine", questi ultimi sono ripresi ai vv. 25-26. "Prima di tutte queste cose" (v. 12), cioè prima delle catastrofi cosmiche che condurranno la storia umana al suo termine, vi saranno le persecuzioni contro i cristiani (vv. 12-19). La persecuzione è considerata da Luca dal punto di vista degli individui che ne sono oggetto, al di fuori di ogni prospettiva missionaria: la testimonianza, che ne risulta, non è destinata ai persecutori come in Mc 13,9-11, anzi la persecuzione sopportata diviene dinanzi a Dio testimonianza a favore dei perseguitati (Lc 21,13).
La risposta alla domanda posta in Lc 21,7b si trova al v. 20: l'accerchiamento di Gerusalemme da parte di eserciti sarà il segno che la sua devastazione è imminente; tale catastrofe sarà seguita per Israele da un periodo di durata indeterminata: "i tempi fissati delle nazioni" o "tempi dei Gentili" (v. 24).
Dopo questa lunga digressione sugli eventi collocati nella storia, Luca torna allo scenario della fine del mondo: gli ultimi sussulti si verificheranno allo scadere dei "tempi fissati delle nazioni" (vv. 25-28). Le precisazioni complementari dei vv. 29-36 illustrano l'affermazione formulata al v. 28, nella prospettiva di una "fine" che può sopravvenire da un momento all'altro. L'espressione "queste cose" (v. 28) di Luca non può che applicarsi ai segni dei vv. 25-26, poiché le persecuzioni contro i cristiani e la distruzione di Gerusalemme (vv. 12-14) hanno perso la loro relazione con la fine del mondo. Infatti, dalla prospettiva della distruzione del Tempio (21,6) i vv. 20-24 passano a quella della distruzione della città; tale distruzione di Gerusalemme è spiegata come un giudizio divino. Pertanto, mentre Marco presenta la profanazione del Tempio come il segno della "tribolazione" finale, Luca fa dell'assedio di Gerusalemme il segno della sua imminente distruzione (21,20).
Il testo lucano dissocia nettamente due gruppi di avvenimenti: da una parte (vv. 8-9 e 12-24), quelli che si collocano nella storia e che non hanno alcun rapporto con la "fine" (falsi profeti, guerre e disordini, persecuzione dei cristiani, assedio e castigo di Gerusalemme); dall'altra (vv. 10-11 e 25-36), i cataclismi di dimensione universale che preluderanno alla parousia del Cristo e alla salvezza degli eletti. Il rapporto tra queste due serie di eventi è stabilito dall'indicazione dei "tempi fissati delle nazioni" (v. 24), i quali separano lo svolgimento della storia da quello dell'inizio della "fine".
Mentre Marco attribuisce alla venuta del Figlio dell'uomo il solo scopo del radunamento degli eletti, Luca sottolinea il terrore delle nazioni al momento della parousia e vede nella "liberazione" dei cristiani più una conseguenza della stessa parousia che il suo scopo; Matteo, a sua volta, presenta il Figlio dell'uomo in veste di giudice, più che di salvatore (cfr. Mt 24,30).
Le rivelazioni di Mt 24,4-41 sono accompagnate da raccomandazioni, che precisano la condotta da seguire di fronte agli eventi descritti, però l'accento è posto sulle rivelazioni stesse, mentre in Marco è la parenesi a dare abitualmente il tono; inoltre Matteo elimina del tutto l'orizzonte giudaico: non parla più di sinedri e di sinagoghe, i cristiani sono perseguitati dall'odio di "tutte le nazioni" (24,9) e il vangelo deve essere proclamato "in tutta la terra abitata, in testimonianza a tutte le nazioni" (24,14).

La posizione geovista

I Testimoni di Geova credono che il discorso escatologico di Gesù, rispondendo a due domande distinte (una sulla distruzione del Tempio e l'altra sul "termine del sistema di cose"), fornisca due risposte; pertanto nella letteratura geovista gli elementi della risposta sono semplicemente giustapposti.
Opportunamente il Corpo Direttivo riconosce che in Mc 13,3-4 gli apostoli posero la domanda avendo in mente la fine del sistema di cose giudaico; tuttavia Gesù, rispondendo al loro quesito, incluse qualcosa di più di ciò che avrebbe influito solo sul sistema di cose giudaico. Inoltre, il Corpo Direttivo sostiene che tutto ciò che è narrato in Mc 13,5-20 "si adempì allora nel primo secolo, fra il 33 ed il 70 E.V.. Ma si riferisce anche al nostro giorno, dall'anno 1914 E.V.": ha un duplice adempimento! (Cfr. La Torre di Guardia del 1/10/1975, pp.592 e segg.).
Secondo i Testimoni di Geova, quanto è riportato in Mc 13,21-23 "riguarda gli avvenimenti dal 70 E.V. in poi, fino ai giorni dell'invisibile presenza (parousia) di Cristo".
Mc 13,24-25 parla di avvenimenti che, secondo il Corpo Direttivo, "giungono al culmine nel periodo di tempo dal 1914 E.V.".
Mc 13,26.29 parla, ad avviso dei Testimoni, di un "tempo vicinissimo" a noi.
Infine, con riferimento a Mc 13,30, di quale "generazione" si tratta? La risposta geovista è stata, fino al 1995: "Di quella che ha visto gli avvenimenti in adempimento della profezia dal 1914 E.V.".
Perché questa continua enfasi sulla data del 1914? Poiché in quell'anno i Testimoni pongono l'inizio della parousia di Cristo; per il Corpo Direttivo il termine greco parousia indica una "presenza invisibile", un intervento segreto del Messia, invisibile e nascosto alla stragrande maggioranza del genere umano. In contrasto con questo intendimento del termine parousia, Gesù dice ai propri discepoli di guardare un segno che avrebbe preceduto il suo arrivo, non un segno che avrebbe seguito la sua venuta; pertanto, il contesto del discorso escatologico di Gesù sostiene vigorosamente la conclusione che il termine greco parousia significa "arrivo, venuta" (per i dettagli a sostegno di questa affermazione si veda il Grande Lessico del Nuovo Testamento, a cura di G. Kittel, Brescia 1965, sub voce "parousia"; si consulti inoltre C. O. Jonsson - W. Herbst, Il Segno degli Ultimi Giorni, Roma 1992, pp.28-45).
Condizionata da scelte pregiudiziali, l'esegesi geovista va ben oltre il testo biblico. In tal modo il discorso escatologico diventa un puzzle, di cui il Corpo Direttivo ordina gli elementi a modo proprio; tuttavia ricostruzioni del genere sono ispirate troppo evidentemente da presupposti estranei all'esegesi biblica: esse sono dominate dall'idea che il Corpo Direttivo si è fatta di ciò che Gesù ha dovuto dire più che dalla preoccupazione di sapere ciò che il testo intende dire.
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