LUOGHI DEL PELLEGRINAGGIO E INCONTRO DELLE CULTURE.

Antonio Thiery

Via San Calepodio, 29, Roma 00152, tel.06 5882835, cell.0347 3618208,
thiery@tin.it

Riflessioni nella prospettiva dell'Anno Santo Romano sull'epoca della grande trasformazione di un mondo complesso, multiculturale, multietnico, multireligioso. Alla riscoperta, nella cultura del pellegrinaggio, del pluralismo delle nostre radici e della realtà cosmopolita europea dei "secoli bui", per un dialogo globalmente responsabile e globalmente sostenibile.

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Con la sigla "schede preparatorie" sono provvisoriamente divulgati, in un numero molto limitato di copie, alcuni appunti ed osservazioni, su alcuni temi storici, culturali e sociali. Questi appunti offrono stimoli importanti di riflessione per il superamento di molti radicati dogmatismi e per la ridistribuzione delle conoscenze.

Il logo che accompagna la sigla riproduce il folio 241 (l'uccisione dei figli di Sedecìa) del Commento all'Apocalisse del monaco Beatus, miniato da Magio nel 926, nei pressi di Leòn, e conservato a New York, alla Morgan Library.

Magio, uno dei pittori più significativi del medioevo europeo, è un monaco agostiniano nato a Cordoba. E' un mozarabo, un uomo partecipe di un'esperienza multicultucale, multietcnica, multireligiosa, che comprende l'Africa, l'Asia, L'Europa. Si trasferì giovane nel monastero di San Miguel de Escalada, presso Leòn dove visse e lavorò per tutta la sua lunga vita. Morì nel 969/970 mentre lavorava ad un nuovo codice.

Sedecìa, a 21 anni, divenne re di Gerusalemme. La sua storia è narrata dal 2º Libro dei re e da Geremia. Nel nono anno del suo regno, malgrado gli avvertimenti del profeta Geremia che lo invitava a piegare il gioco al re di Babilonia, si ribellò a Nabucodonosor. Gerusalemme fu cinta d'assedio e due anni dopo fu conquistata. Sedecìa e i suoi guerrieri fuggirono di notte, ma furono raggiunti nelle steppe di Gerico. Nabucodonosor punì il re di Gerusalemme fecendogli sgozzare i figli sotto gli occhi, che poi gli cavò. Quindi lo legò con catene per condurlo a Babilonia. Sedecìa non volle essere soggetto al re di Babilonia. Gli sgozzarono i figli davanti agli occhi che poi gli cavarono.

Antonio Thiery, Via San Calepodio, 29, Roma 00152, tel.06 5882835, cell.0347 3618208, thiery@tin.it

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PREMESSA

"La visita ai luoghi santi non nasce con il cristianesimo. E' un fenomeno esteso nell'universo religioso". (Lettera pastorale sull' año jubilar di Don Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago)

Mentre ci prepariamo al giubileo/pellegrinaggio del 2000 avvertiamo un temibile privilegio: ci troviamo all'inizio di una coscienza planetaria, ma al tempo stesso si intravedono nuove barriere alla liberazione dell'uomo:

- l' accumulo di ricchezze e di poteri (culturali, informatici, militari, finanziari);

- la sofferenza umana con l'ingiustizia sociale che costringe alla povertà larga parte della popolazione del pianeta;

- la sofferenza, la devastazione ecologica della terra stessa con il degrado dei terreni, dell'acqua e dell'aria e la distruzione ambientale del nostro pianeta;

- la cultura individualista e l'atomizzazione degli individui isolati; il vuoto e l'assenza di comunione e di comunicazione (al punto che almeno 2\3, ma forse è meglio dire 4/5 di italiani sono esclusi da ogni consumo educativo e culturale);

- la convinzione che il compito storico di uno schieramento di progresso e innovatore è essenzialmente quello di compiere finalmente una modernizzazione del capitalismo per il raggiungimento del liberismo;

- la crisi dei due sacri pilastri della nostra civiltà: il lavoro ed il consumo. La disoccupazione anche nelle nostre città ed il debito pubblico che strangola i Paesi del Terzo Mondo sono le conseguenze più evidenti che richiedono interventi decisi nella ricerca di convivialità e di semplicità di vita

L'anno 2000 dovrebbe sottolineare non tanto la tradizione dell'Anno Santo Romano, quanto piuttosto la grande trasformazione di un mondo complesso, multiculturale, multietnico, multireligioso, riscoprendo, nella cultura del pellegrinaggio, le nostre radici e la realtà cosmopolita europea del primo millennio, cancellata dai nostri manuali.

Oggi, il dolore del mondo (la sofferenza umana e la sofferenza ecologica) può diventare una sfida sociale, culturale, economica, etica, religiosa, ed è il contesto per una teologia e un dialogo delle culture e delle religioni in cui sia rispettato il dominio delle diversità.

Le immagini di questi giorni della fuga dal Kosovo verso l'Albania, verso la Macedonia, evocano per analogia le "invasioni barbariche". Interi popoli, con donne e bambini, spesso di consoladita civiltà, sono scacciati dai loro territori fin dall'estremo oriente, sono scacciati dalle loro case; sfuggono alla morte, allo sterminio etnico e cercano nuove terre dove possono essere accolti; dove trovare un rifugio ed una nuova sistemazione che consenta di sopperire ad un presente di fame e di veglie notturne all'addiaccio; che consenta di progettare un futuro.

E' un capovolgimento apocalittico. Basti pensare che la Cina, agli inizi del I secolo contava 70 milioni di abitanti ed alla fine del V ne ha 32 milioni. Anche le altre regioni asiatiche (India compresa) sono passate da 95 milioni di abitanti a circa 76 milioni.

Barbari, secondo il significato del vocabolo greco, sono coloro che parlano un'altra lingua, che hanno un'altra cultura, che ragionano con altre forme mentali. Sono gli stranieri, gli "altri". Sono i "diversi".

"Diversi non adversi" ammoniva Sant'Agostino che di queste cose, essendo un protagonista in prima persona, se ne intendeva.

I "barbari" già penetravano nei territori occidentali in modo frequente, ma episodico, fin dalla più remota antichità, dal III/II secolo a.C.

Dalla II metà del III secolo d.C. le loro migraziani nei confini dell'impero Romano diventano sistematiche, "organizzate", dovute a grandi rivolgimenti che hanno luogo in Asia. Interi popoli lasciano le loro terre per "necessità", e si mette in moto un processo a catena che sconvolge il mondo intero. Nei primi secoli dell'era nuova e soprattutto nel V secolo vanno ad occupare gli spazi lasciati vuoti da una civiltà occidentale che per vari motivi è in disfacimento. Le pestilenze, tra l'altro hanno già ridotto la popolazione europea che contava nel I secolo 35 milioni di abitanti e che nell'anno cinquecento, rinvigorita dalle "invasioni" ne conta 29 milioni.

La cultura del pellegrinaggio, come ricordò nel Cinquecento il popolo romano, attraverso la visita alle chiese, è la cultura della RICONCILIAZIONE.

Alle soglie del III millennio si stanno verificando mutazioni antropologiche profonde.Le nuove sette chiese che dobbiamo imparare a visitare per dare oggi un significato alla parola RICONCILIAZIONE sono:

- Complessità, pluralismo multiculturale, multietnico, multireligioso.

- Forza dei linguaggi. Identità, Molteplicità. Dignità. Conoscenza, corresponsabilità, interrelazione. Digitalizzazione.

- Globalità e universalità della comunicazione. Cultura: non come espressione letteraria, ma i tanti modi di vita, sperimentati nel laboratorio della realtà quotidiana.

- Cambiamento e modernizzazione.

- Attenzione al futuro.

- Riconciliazione dell'uomo con l'ambiente (inteso in tutte le sue componenti); giustizia e pace:

- Ridistribuzione delle risorse, dei poteri e dei saperi.

Le occasioni non mancano.

Bisognerebbe riconoscere il pellegrinaggio ed il giubileo come un grande movimento che porta al rimescolamento, all'integrazione di culture e di stili di vita. La riflessione sul pellegrinaggio e sul giubileo, di fronte alla sofferenza umana ed ecologica, della Terra stessa, dovrebbe consentire di riproporre l' obiettivo di progresso come ricostruzione del sistema del Creato. Si dovrebbe abbandonare il concetto di progresso illimitato, misurabile in termini quantitativi di possesso e di accumulo (per pochi) di beni materiali ed immateriali (i poteri culturali, informatici, militari, finanziari), con un'attenzione volta esclusivamente al presente.

Se non altro, dovrebbe avvenire il riconoscimento dei caratteri universalistici delle nostre città, in particolare di Roma, fatta di tante culture, di tante etnie, tante religioni. Nella Roma dell'età imperiale convivevano, ben più di adesso, uomini delle etnie dell'universo mondo e fedeli di almeno 30 religioni primarie e di un centinaio di culti. Esistevano molti edifici pluriculto. Oggi ci sembra una grande novità far pregare insieme i capi di 4 o 5 religioni. Il cammino da fare è ancora molto lungo.

Igor Man sul "La Stampa" di martedì 24 novembre 1998 si chiedeva: "Ma siamo pronti noi cristiani, marchiati dall'insania del colonialismo, a rinunciare alla presunzione che l'Occidente custodisca valori assoluti e, come tale, «utilizzabili» da chicchessia?"

La preparazione all'anno giubiliare del 2000 (o, come più esattamente si dovrebbe dire, all'Anno Santo Romano del 2000) dovrebbe rappresentare una straordinaria occasione per riflettere sulla grande trasformazione e modernizzazione di un mondo complesso, multiculturale, multietnico, multireligioso, per cominciare a rinunciare a questa «presunzione», riscoprendo, nella cultura del pellegrinaggio, le nostre radici e la realtà cosmopolita europea del primo millennio, cancellata dai nostri manuali.

Riflessioni

1) i grandi cambiamenti e le parole nuove di cui dobbiamo imparare a capire fino in fondo il significato: la «complessità» e la "globalizzazione" che è la risposta strategica del grande capitale alla complessità.

2) gli schiavi non servono più. I ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.

3) almeno in Italia i sistemi formativo-educativi sono inesistenti: il sapere e il potere sono riservati a pochi. Non è possibile così un dialogo globalmente responsabile e globalmente sostenibile.

3) la società è sempre più caratterizzata dalla diversità delle culture e dei modi di vita.

4) «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» in Occidente.

5) quale diritto si ha di imporre agli altri il proprio modo di accogliere Cristo? Bisogna abbandonare l'ecclesiocentrismo occidentale e l'identificazione delle storie, delle culture, delle comunità religiose dei popoli con le culture europee delle Chiese oligarchiche.

6) l'inculturazione del Vangelo: il Vangelo non si identifica con le culture, ma si identifica nelle culture. Dobbiamo abbandonare l'ecumenismo romanocentrico per scegliere un macroecumenismo religioso e culturale.

7) quale diritto si ha di imporre agli altri la propria cultura ed il proprio modo di essere nel mondo? Dobbiamo abbandonare l'imperialismo culturale e religioso,

I DIRITTI

La cancellazione del debito pubblico dei Paesi del Terzo Mondo e della pena di morte sono solo i primi passi che devono condurre ad uno sviluppo giusto e sostenibile, al rispetto delle identità e delle diversità culturali, etniche, religiose, alla ridistribuzione dei saperi, alla valorizzazione dei patrimoni naturali e culturali, al rispetto delle dinamiche naturali del pianeta Terra

1) Diritto all'unitarietà del sistema universo. Superare la cultura antropocentrica che pone l'uomo bianco ed occidentale al centro e al di sopra di tutti gli esseri animati ed inanimati e di tutte le ricchezze della terra: la questione ambientale come ricostruzione della globalità del sistema dell'universo, del "creato" e di tutti gli elementi, di tutte le "creature". La conservazione dell'ambiente umano e naturale, la progettazione comunitaria e solidale del territorio sono la condizione essenziale per uno sviluppo giusto e sostenibile.

2) Diritto alla dignità e alla diversità: all'identità, alla diversità dell' esperienze, dei bisogni e delle attese, qualunque sia il colore della sua pelle, l'etnia, la cultura, la "razionalità", la religione, l'estrazione sociale, il lavoro. Superare la centralità dell'uomo bianco, ricco, colto, concettuale. La dignità umana si realizza attraverso "notevoli differenze", attraverso forme di organizzazione socio politica miranti alla maggiore possibile articolazione, diversificazione, qualificazione di attività, di mansioni, di contributi singoli alla vita collettiva.

Che senso hanno i "Valori" tradizionalmente imposti? La famiglia? Lo Stato? L'assistenza sociale? L'educazione?

3) Diritto alla mulculturalità. Diritto al linguaggio universale ed alla mente globale. Superare la cultura concettuale ed eurocentrica che pone le élite della civiltà occidentale (culla della cultura, delle civiltà, della democrazia) al centro del mondo. Imparare a progettare una società che sappia vivere la complessità, la modernità, la multiculturalità, la multimedialità (come sistema dei linguaggi e dei modi di pensiero), l' interazione-discontinuità-creatività, il riconoscimento delle diverse identità culturali, il rispetto della storia nell'universo mondo, di tutti i popoli, di tutte le comunità, di tutte le culture e di tutte le civiltà. Non ci sarà pace nel mondo fin tanto che non ci sarà pace tra le culture e le religioni.

4) Diritto all'esistenza rifiutando ogni forma di violenza fisica e di manipolazione della natura, di ogni forma di vita vegetale e animale e dell'uomo. Superare il principio secondo cui l'uomo può disporre a suo piacimento e per la propria utilità della vita degli altri esseri viventi: no alla pena di morte.

5) Diritto a procurarsi i mezzi necessari per vivere con il proprio lavoro. Diritto alla giustizia ed alla pace: giustizia produttiva (e non distributiva), dalle umane condizioni di produzione (che, dal punto di vista dei cittadini e dei lavoratori, sono le condizioni di vita, sono la vita) alle infrastrutture sociali, allo spazio, alla comunità. Mettere l'ambiente, le risorse e le merci al centro delle relazioni economiche e sociali per uno sviluppo sostenibile. Abbandonare il concetto di progresso misurabile in termini quantitativi di possesso e di accumulo di beni materiali e di saperi, come politica di potenza e di attenzione volta esclusivamente al presente. Mettere fine alla morte per fame (manifestazione della crisi dell'ambiente e della squilibrata ripartizione delle risorse), alle guerre "locali", alla distruzione delle condizioni di sopravvivenza dei nativi: cancellare il debito pubblico dei Paesi del terzo Mondo.

6) Diritto alla democrazia ed all'uguaglianza, intesa non solo come superamento della mancanza dei mezzi economici essenziali, del lavoro, della casa, della salute, dell'istruzione, ma come ridistribuzione delle conoscenze e dei saperi, dei diritti e del potere, come riconoscimento del diritto alla comunicazione, all'uso dei diversi stili, codici, ambienti di comunicazione e di conoscenza, delle diverse "visioni del mondo" e dei diversi processi e modalità di pensiero. Ricercare nella memoria storica gli elementi conoscitivi per progettare il futuro alternativo, ricostruendo un sistema di comunità solidale. I beni culturali e la valorizzazione dei patrimoni naturali e culturali sono le fonti primarie di arricchimento della qualità della vita in ogni Paese e lo strumento primario per la ridistribuzione della comunicazione, della conoscenza e dei saperi.

7) Diritto allo sviluppo delle potenzialità umane attraverso forme di apprendimento innovative basate sull'etica e sull'anticipazione (attenzione responsabile volta al futuro della globalità dell'Universo e di tutti i suoi elementi) e sulla partecipazione di tutti alle scelte per l'avvenire. Rispettare la dinamica naturale del pianeta Terra, considerando i limiti della scienza e della tecnica, della manipolazione genetica, delle biotecnologie, le intolleranze e i genocidi culturali.

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«Trovammo un gran numero di libri con questi caratteri, e poichè essi non contenevano nulla che non fosse superstizione e menzogne diaboliche, li brucianno tutti...».

La testimonianza del vescovo Diego de Landa a proposito del trattamento, nel Cinquecento, delle testimonianze della cultura Maya, fa capire che cosa è successo nella storia dell'uomo e dell'Occidente Medievale a proposito delle testimonianze, di ogni epoca, estranee alla cultura di volta in volta dominante.

Credo che si possa affermare con grande verosimiglianza che, relativamente al mondo antico ed ai "secoli bui", sono stati distrutti libri, testimonianze scritte, ambienti, edifici che davano testimonianze eterodosse rispetto alla Grande Chiesa di Roma.

Con autorevolezza Martin Hengel (Die johanneische Frage, Tübingen 1998) ricorda che «non è possibile scorgere alcunché in modo chiaro nel buio della storia del cristianesimo primitivo».

La tradizione del giubileo attinge solo alla spiritualità rabbinica? Nasce nel 1300 con la "rinascenza" della cultura? O il giubileo trasforma l'esperienza etica e religiosa del pellegrinaggio, in un fatto "politico", legato all'individualismo ed all'ecclesiocentrismo Occidentale?

Sembra evidente che con l'anno 1300 il pellegrinaggio, una pratica etico-religiosa comune a tutte le epoche, da quando l'uomo è sulla terra, a tutte le etnie e a tutte le culture, subisca, in ambito del cristianesimo occidentale, profonde modifiche: le motivazioni collettive del viaggio giubilare, verso i "luoghi" della riconciliazione, per universum mundum, fino ai confini del mondo, diventano motivazioni individuali e sfociano nell'Anno Santo Romano, nella peregrinatio ad Petri sedem, nel viaggio a Roma, alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, per ottenere il "perdono" attraverso le indulgenze.

Il dolore del mondo (la sofferenza umana e la sofferenza ecologica strettamente ineragenti ed interdipendenti) diventano una sfida etica e religiosa.

La soteria, il ben-essere eco-sociale, umano ed ecologico è il contesto per una teologia e un dialogo delle culture e delle religioni in cui sia rispettato il dominio delle diversità.

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Con l'anno 2000 le motivazioni individuali dell'Anno Santo Romano possono recuperare il senso delle motivazioni collettive, acquisendo i caratteri del macroecumenismo culturale e religioso, in una dimensione mondiale, attraverso il riconoscimento delle culture e delle "dignità altre" in una società complessa, multietnica, multireligiosa, multiculturale.

Mi limito a raccogliere in questo opuscoletto distribuito per via elettronica, uno schema che sottolinea i temi che meriterebbero di essere studiati e divulgati. Del resto, in larga parte del mondo, la comunicazione scientifica viaggia con i mezzi poveri di stampa, assumendo un carattere non definitivo e classificatorio, rapidamente aggiornabile, di materiali di lavoro. E' uno schema che mette a frutto trenta anni di studi e di letture, venti anni di viaggi in Europa ed un patrimonio di qualche decina di migliaia di fotografie, di promemorie d'esperienze percettive e di documenti iconici.

Viaggiando lungo le "vie dei pellegrinaggi", si ha la coscienza che larga parte delle nozioni storiche, e delle notizie culturali e religiose tramandate dai nostri manuali sono perlomeno fantasiose e mirate a definire un quadro di riferimento che serve alla conservazione del potere da parte di piccole minoranze elitarie dell'occidente. Ho riconosciuto tante testimonianze di culture e civiltà lontane (centro-africane, arabe, centro-asiatiche, estremo orientali), integrate e interagenti, fin dalla preistoria, con le culture e le civiltà dell'Europa medievale, ed oggi messe a tacere e cancellate dai nostri manuali. Sono in molti a sostenere con forza che bisogna prender coscienza delle espropriazioni delle culture, dell'intelligenza e della creatività delle maggioranze dei cittadini. Una espropriazione, che colpisce il diritto fondamentale della identità personale e collettiva e che viene giustamente definita come "genocidio culturale".

Viaggiando, si impara che la cultura dell'uomo, in Europa, in Asia, in Africa, in America, nel Vicino e nel Lontano Oriente, è la cultura del giubileo-pellegrinaggio.

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IL PELLEGRINAGGIO

(la marcia sacra)

l'uomo (microcosmo, racchiude su di se tutte le cose: homo quodammodo omnia) cerca, naviga, viaggia, evoca, percepisce in movimento, raggiunge la comprensione e la conoscenza, riceve l'aperta visione, trova i siti, i centri del mondo, i luoghi della riconciliazione del sistema del Creato:

- per universum mundum, ai confini del mondo

- nella propria città, nella propria vita

- nella propria chiesa, nel proprio monastero

- nel confronto con gli "altri"

- nella propria mente, dentro se stesso.

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Esistono, già da qualche secolo, migliaia di studi spesso molto belli ed approfonditi, ma troppo spesso relativi a segmenti molto delimitati e definiti della storia e del sapere umano, ed accessibili solo a pochi "colti", che mostrano come nei primi secoli a Roma e nel mondo occidentale sono accaduti «fatti» molto diversi da quelli che normalmente si raccontano.

E' evidente, ad esempio che il cristianesimo delle origini è caratterizzato da pluralità etnica, linguistica, culturale. Soprattutto è evidente che il mondo occidentale e il Mediterraneo (con le sue culture e le sue religioni) non erano tutto il mondo conosciuto, ma una parte, un elemento certo importante, ma una parte dell' universo mondo.

Ci si rende conto che la cultura individualistica dell'Occidente non è la sola, la certa, la definitiva, l'unica che produca democrazia e civiltà. Chi è informato, ad esempio, che, nel cosiddetto Medioevo, Timbuktu (la leggendaria città sul fiume Niger, ai margini del deserto del Sudan) era sede di una delle più grandi università di tutti i tempi? Ancora oggi i Nuba (ma si potrebbe parlare non solo della civiltà che abita Timbuktu, ma di gran parte dell'Africa Nera) sono così coscienti di sé che non hanno mai rinnegato i loro stili di vita. La saldezza della loro cultura e della loro religione non è stata scossa né dal Cristianesimo, né dall'Islam.

Spesso si trovano saggi e ricerche specialistiche di gran livello, ma che non concorrono quasi mai a definire un contesto sistemico al punto di dare un panorama storico, culturale, religioso, etnico più credibile. Tra gli studiosi si tentano a volte sintesi, spesso pregevoli, ma in modo esoterico, esclusivamente riservate ai pochi specialisti di una cultura monodisciplinare, per cui persino valenti studiosi spesso ignorano i risultati delle ricerche storiche o antropologiche o religiose o scientifiche e così via d'altre discipline. Spesso questi studi, però, non sono riservati solo agli studiosi, hanno anche esigenze di rivolgersi ad un pubblico meno ristretto, al punto che nella stessa Italia non mancano molti volumi, anche nelle collane economiche, ben fatti. Ma solo i manuali scolastici ed accademici (e sempre più i messaggi mediali che ripetono questi manuali), che ignorano questi studi o li presentano in modo fuorviante, fanno "cultura", "sapere" diffusi.

La cultura del giubileo-pellegrinaggio, dunque, è una cultura grandemente cosmopolita che abbraccia l'universo mondo dal più lontano Oriente al Finisterre occidentale. Affonda le sue radici nella "riconciliazione" sistemica di tutte le creature dell'Universo e non, come si dice in Occidente, nella tradizione giudaica dell'anno sabbatico, nell'anno di rinnovamento generale della vita attraverso il riposo della terra e il condono delle colpe e dei debiti. La cultura del giubileo-pellegrinaggio non si identifica con la cultura induvidualista ed umanocentrica del mondo occidentale, con la riproposizione che ne ha fatto il cattolicesimo occidentale e con l'Anno Santo Romano.

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I luoghi della riconciliazione: i centri del mondo

- i "luoghi" della giustizia e della pace dove si ricompone il sistema del creato, l''intero universo, che (con le componenti fisiche, biologiche ed antropiche, con tutte le etnie, tutte le culture, tutte le religioni) si manifesta come

l'immagine trasfigurata del suo Creatore.

- i "luoghi" dove Dio scende sulla terra, ha l'esperienza dell'umano e dove l'uomo "sale" in cielo, ha l'esperienza del divino.

- i "luoghi" dove si depositano, sono restituite alla terra per una "creazione nuova", le "MEMORIE", di una stirpe, di una cultura, di una fede religiosa, di un'esperienza.

- i "luoghi" del rapporto sistemico tra economia ed ecologia (lo sviluppo sostenibile), l'uso frugale dei

beni della terra.

- i "luoghi" del rapporto sistemico tra natura e cultura: sistema interagente di culture diverse.

- i "luoghi" consacrati dal ricordo di opere dell'uomo.

- i "luoghi" consacrati da manifestazioni naturali evidenti.

- i "luoghi" percepibili dall'uomo attraverso un intimo contatto con la natura.

- i "luoghi" consacrati da manifestazioni del moto del sole, della luna, delle stelle.

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Quelli proposti sono degli appunti che metto a disposizione di chi vuole occuparsi del "pellegrinaggio". Non propongo nulla di nuovo. Questo scritto è una "scaletta" (organizzata spesso senza una logica, in modo schematico e ripetitivo), un centone di cose ben note e di "temi di ricerca" già noti agli studiosi, ma spesso non in modo sistemico e che, soprattutto, non sono entrati nei manuali scolastici e nel sapere diffuso. Temi che mi sembra meritino un approfondimento, una sistematizzazione ed una divulgazione meno ancorata ad una manipolazione della storia che serve solo al vantaggio di piccolissime oligarchie di privilegiati.

Viaggiando, anche camminando nella stessa Roma, ci si rende conto che già nella città imperiale (ma anche in tutta l'Europa del I secolo d.C.), ad esempio, le lingue e le culture, le etnie e le religioni c'erano tutte: oltre 30 religioni primarie, con la presenza di un centinaio di etnie, di culti e di culture, induisti e buddhisti compresi.

A Roma è difficile trovare un cristianesimo romano. Si percepisce, invece, una cultura cosmopolita. La Cristianità delle origini non si collega tutta con l'ebraismo ellenizzato a noi noto, né identifica con l'ellenizzazione del cristianesimo e Costantino non ha spento, almeno per tutto il primo millennio, le altre radici.

Riflettendo sul tema del pellegrinaggio, si scoprono straordinarie analogie con la società complessa, multietnica, multireligiosa e multiculturale che oggi si torna a respirare anche a Roma. Sono appunti che io stesso, da credente, vado verificando nelle saltuarie occasioni, in cui accompagno gruppi di persone e soprattutto di giovani a visitare le poche testimonianze leggibili del cristianesimo delle origini.

LA TERRA È LA DIMORA, LA CASA DELL'UOMO. LA TERRA E' L'UOMO.

E' la terra che possiede l'uomo.la vita e la storia dell'uomo non sono mai separate dalla «natura".

Un'ultima osservazione introduttiva. L'Anno Santo del 1950 assunse le caratteristiche di strumentalizzazione politica nel quadro della guerra fredda e di sfruttamento economico del territorio. L'Anno Santo del 2000 coincide (e speriamo che la contrasti e che non la condivida) con la violenta offensiva culturale e mediatica che ha accompagnato la nascita dell'era della globalizzazione economico-finanziaria. Da parte di chi si occupa delle teorie eco-sociali viene messo in evidenza il gigantesco fenomeno di omologazione dei modelli culturali ed educativi all'egemonia degli interessi di mercato rispetto a quelli della collettività (o, se piace di più, della comunità del Creato). Viene prodotta una progressiva amputazione non solo degli spazi di democrazia per i cittadini, ma viene riproposta, in forme nuove dal passato, una imponente emarginazione della classi più deboli dai saperi e dai circuiti informativi e formativi. Per garantire un consenso ampio e trasversale che coinvolge anche gli strati medio bassi della popolazione ai miti del globalismo e del modernismo tecnocratico (che sono, vale la pena di ricordarlo, strategie e strumenti di conservazione e di sviluppo del capitalismo distruttore di risorse), è ridotto il pluralismo culturale ed educativo, trasformando anche le idee ed i luoghi di formazione ed educazione in strumenti idonei a favorire la "produttività" dei valori di mercato e di consumo.

In particolare il è evidente che il cambiamento è sostenibile solo per pochi. Il sapere ed il potere si concentra sempre più nelle teste e nelle mani di pochi. Il tasso di consumo d'educazione, d'informazione e di cultura è, in Italia, molto il più modesto dei Paesi industrializzati. I servizi educativo-formativi, culturali, di comunicazione e di conoscenza, sono consapevolmente ed ostinatamente costruiti in modo da essere non solo economicamente e socialmente, ma anche cognitivamente, irraggiungibili, incomprensibili, preclusi ed inutili per almeno due terzi (ma sarebbe meglio dire quattro/quinti) della popolazione, e soprattutto dei giovani, al fine di rimarcare il loro ruolo di sudditanza, di non cittadinanza. I bisogni (ad esempio quelli di conoscenza, di formazione e di sapere), soprattuto quelli del cittadino che non fa parte delle oligarchie del potere (cioè della quasi totalità della popolazione), si studiano attraverso l'analisi dei consumi indotti dalla pubblicità, organizzando di conseguenza "servizi" secondo le logiche di mercato e non secondo le necessità della collettività.

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INTRODUZIONE

Non è un bel saggio.

Non servono bei saggi, riservati a pochi, serve la volontà di perseguire un metodo di ricerca che penetri nella cultura comune, attraverso i materiali didattici della scuola, gli strumenti della comunicazione e dei mass media, le occasioni di consumo culturale (i libri, le mostre, i musei, ecc.), le visite turistiche e le rare iniziative di educazione permanente. Il 75% dei libri stampati in Italia non vendono neppure una copia. Sono la vasta "titolografia da concorsi", come diceva Salvemini, che raccolgono tesi di laurea e di dottorato o complesse ricerche riservare a pochi dotti. Molto spesso raccolgono atti di convegni, importantissimi, ma che arrivano al pubblico degli specialisti con uno, due anni di ritardo, quando spesso i dati di quelle ricerche, che magari erano all'origine molto innovativi, sono diventati irrimediabilmente obsoleti.

Al grande pubblico non arrivano mai. Anche perché il libro, la parola scritta sequenziale non è certamente lo strumento più adatto per comunicare e conoscere. Una ricerca condotta dalla società Astra per l'Associazione Piccoli Editori spiega perché gli italiani non leggono.: "Leggere è un'occupazione sgradevole priva di senso"..."provoca noia e fatica senza riscatto"..."Mostra l'incapacità di godersi la vita"..."E' un lento morire". "I libri non si capiscono. Sono scritti in modo astruso"..."Se li scrivono e se li leggono tra di loro. Dovrebbero essere sottotitolati alla pagina 777". "Bisogna leggerli tutti di seguito, dalla prima all'ultima pagina".

Non basta scrivere un bel saggio per accrescere la "cultura storica" diffusa sul pellegrinaggio. Per descrivere più correttamente di quanto si faccia il "medioevo" europeo ed il cristianesimo dei primi secoli. Per connettere tra di loro le tante tessere frammentarie, anche se spesso di grande livello, della ricerca scientifica. Per modificare il sapere codificato, classificato, mistificato (i secoli bui, il mondo fino ad allora conosciuto) trasmesso dalla scuola.

Non vale la pena di scrivere un libro. Come ho detto, mi limito a raccogliere uno schema che sottolinea alcuni temi che meriterebbero di essere studiati e divulgati, un centone di cose ben note e di "temi di ricerca" già noti agli studiosi, ma spesso non in modo sistemico e che, soprattutto, non sono entrati nei manuali scolastici e nel sapere diffuso.

Fare ricerca storica non significa solo fare "memoria", ma attingere, come diceva Bacone, al ricco guardaroba della memoria per vivere esperienze quotidiane nel mondo d'oggi. Fare ricerca storica significa anche lavorare per una progettazione comunitaria e solidale del futuro.

Queste occasioni per vivere esperienze, per produrre conoscenze, invece, sono tutte cancellate, in primo luogo dalla scuola. Le esperienze e la produzione di conoscenze sono trasformate nella trasmissione di un sapere consolidato, in materie classifficatorie. Da molti anni rimango costernato nel vedere come i servizi educativi, culturali, di comunicazione e di conoscenza, siano consapevolmente ed ostinatamente costruiti in modo da essere, anche cognitivamente, irraggiungibili, incomprensibili, preclusi ed inutili per almeno due terzi della popolazione.

E' sconvolgente il controllo forte dei linguaggi, dei codici, delle modalità di conoscenza. Tra i tanti linguaggi che servono all'uomo per comunicare e conoscere ne viene "scelto" uno solo (la parola scritta e parlata). Delle tante modalità di pensiero, ne viene esaltata una sola (la verbalizzazione ed il concettualismo). E lo stesso avviene enfatizzando un solo codice (il trasferimento di conoscenze assodate), un solo strumento (il libro). Il Linguaggio Universale (uso volutamente questo termine per ricordare il «servizio universale», il minimo dei servizi della comunicazione che ciascuno dovrebbe avere) e la Mente Globale sono negati, cancellando le potenzialità e le capacità di Essere, di Comunicare e di Conoscere della maggior parte di noi, che sono condannati al disagio.

E' sconvolgente la frantumazione e la manipolazione della storia, raccontata solo in chiave occidentale ed eurocentrica, solo dalla parte dei vincitori, senza che ci sia mai traccia della riscoperta del quotidiano, delle gioie, delle ansie, delle attese della gente comune.

- Raccontiamo solo quanto è stato elaborato dalle categorie filosofiche e concettuali ellenistiche nei confini del Mediterraneo, dell'Impero Romano, dell' «Occidente». Viene dimenticato il mondo. Si dimentica persino che il Mediterraneo è, dalla più remota antichità, un piccolo lago e al tempo stesso uno dei terminali delle merci e perciò delle culture che provengono da tutto il mondo.

- Raccontiamo che il nostro Occidente conosce un "progresso" senza fine (ci meravigliamo che gli antichi fossero, e che i «diversi da noi» siano degli esseri pensanti), che sfocia in un'epoca, quella in cui viviamo, certa, immutabile, definitiva.

- Sosteniamo che la storia dell'uomo è la storia delle conquiste, sacralizzate, di piccole élite privilegiate di uomini bianchi, colti, con la cultura verbale e perciò «raziocinante» e con categorie di pensiero costruite dalla retorica, per essere irraggiungibili alla maggior parte della gente comune.

La manipolazione della storia, del resto, è da sempre, uno degli strumenti più forti per convincere le maggioranze della gente comune che dalle origini del mondo, non hanno la dignità per partecipare alla ridistribuzione del sapere e del potere.

E' sconvolgente la cancellazione di ogni forma di cultura che non sia quella delle élite al potere. Rimango ora costernato nel vedere come i problemi della mondialità vengono mistificati.

La cultura non è un'espressione letteraria, ma un modo di vita. E i modi di vita degni di rispetto sono infiniti. Io, romano, nato a genitori romani, sono portatore di una cultura "altra", che ha radici lontane dall'individualismo e dal concettualismo verbale occidentale; ho una cultura cristiana che non attinge alla tradizione del cristianesimo ellenistico romano-greco-giudaico, ma soprattutto ho una cultura in cui sento, come ricordava già Kant, che il concetto senza la percezione e l'analogia è vuoto. La percezione e l'analogia senza il concetto sono cieche. Mi trovo a mio agio nel ritenere che la cognizione è fusa con la percezione. La percezione è fusa con l'analogia. Percezione, analogia, concetto sono profondamente intrecciati con altri processi cognitivi.

Gli ultimi dati dell'ISTAT, della Commissione sulle Povertà, della Caritas, del Sindacato Pensionati della CGIL concordano su due fatti apparentemente contrastanti: 1) C'è identificazione tra basso titolo di studio, basso uso delle occasioni culturali e ricreative e condizioni di disagio; 2) Ci sono radicate condizioni di disagio (fino al nomadismo più spinto), in chi è fornito di titolo di studio. Non è difficile trovare dei "barboni" laureati.

Se crediamo che alle soglie del III millennio, le parole chiave siano pluralismo multiculturale, multietnico, multireligioso. Forza dei linguaggi. Identità, Molteplicità. Dignità. Conoscenza, complessità, corresponsabilità. Qualità della vita, della società e dell'ambiente, globalità e universalità della comunicazione. Cultura (e le culture sono molto diverse tra di loro) non come espressione letteraria, ma modo di vita, sperimentato nel laboratorio della realtà quotidiana. Cambiamento e modernizzazione. Attenzione al futuro. Riconciliazione dell'uomo con l'ambiente; giustizia e pace: ridistribuzione delle risorse, dei poteri e dei saperi. Se crediamo che esistono tanti modi di comunicare e di conoscere (tanti linguaggi, tanti codici, tanti strumenti, tante modalità di pensiero) quanti sono gli uomini e le donne sulla terra, allora possiamo lavorare per una progettazione comunitaria e solidale del futuro.

I MAGI DI SAN LAZZARO DI AUTUN.

Il "pellegrino"è microcosmo, un uomo incarnato nella storia presente, con le sue complessità ed il suo pluralismo culturale, che, in una visione cosmica, cerca di conoscere "dalle cose", dalle esperienze dalla vita quotidiana, per progettare il futuro.

Si dice che i magi, venuti dall'Oriente (Matteo,2,1) sarebbero i primi pellegrini del mondo cristiano.

Nel capitello della Cattedrale di San Lazzaro di Autun, uno dei grandi centri dei cammini del pellegrinaggio, c'è infatti, nella presentazione dei Magi, la teologia dell'incarnazione nelle culture e nella storia del mondo. Gesleberto, che tanto influenzò la cultura figurativa europea ed italiana, (tra il 1125 ed il 1145) rappresenta nelle corone dei magi una simbologia cosmica (i simboli di Dio, il centro, la rotazione creativa) che ricorda che l'uomo è un microcosmo, raccoglie in se il mondo, i diversi ordini della natura: homo quodammodo omnia (Gregorio Magno).

Tutto il tema della riconciliazione è quì; la condizione per la giustizia e la pace è la ricostruzione del sistema del creato, di cui l'uomo, ogni uomo, di ogni condizione e cultura, è parte.

I magi hanno affrontato un lungo viaggio, si sono fatti pellegrini, per esplorare e comprendere "dalle cose", dalle esperienze dalla vita quotidiana, anche dalla vita di un bambino. Non a caso Gesù è rappresentato come un bambino e non come un piccolo uomo o un piccolo re (e questo è un fatto molto raro) a significare che visse la storia dell'uomo in tutta la sua pienezza, in tutta la sua fragilità, senza privilegi. Sembra di leggere la lettera di Paolo ai Galati, ai Galli dell'Asia Minore: "nato da donna, nato sotto la legge".

Ecco lo scenario della riconciliazione. La realtà quotidiana nella quale Dio si incarna per trasformarla.

Il primo re è anziano, porge un vaso con le esperienze del passato, che il bambino Gesù cerca subito di aprire. Poi c'è un re giovane, l'unico che si appresta a deporre la corona: è il futuro, con il vaso dei progetti per il futuro. Ultimo viene un uomo di mezza età, il presente, con lo scrigno delle esperienze presenti. La cultura medievale dell'occidente si era formata alle opere di Gregorio Magno, che ricordava i tre tempi della profezia: nessuno può profetizzare il futuro se non conosce il passato e non vive il presente (Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, Traduzione, introduzione e note a cura di Emilio Gandolfo, Roma, Città Nuova Editrice, 1979).

Ecco chi è il pellegrino. Un uomo (homo quodammodo omnia) incarnato nella storia presente con le sue complessità ed il suo pluralismo etnico, culturale e religioso, che conoscendo il passato, progetta il futuro, in una visione cosmica.

Vorrei ricordare che la tomba di Lazzaro è insieme alla tomba della Maddalena (a Vezelay, a pochi chilometri da Autun), una delle tappe fondalmentali del pellegrinaggio cristiano. Gli "amici" di Gesù avrebbero diffuso, direttamente in occidente il vangelo come ricorda la tradizione provenzale antica dalle porte della imponente cattedrale di Saint Maximin. Le loro tombe sono, in una visione cosmica, i centri del mondo; le tappe chiave del pellegrinaggio cristiano.

Nel XII secolo, non più in Provenza, ma nella Borgogna, ritroveremo puntualmente la tradizione degli "amici" di Gesù, che rappresenterebbero un filone "parallelo" (ma non antitetico e antagonista) a quello degli apostoli nella evangelizzazione del mondo. Puntualmente ritroveremo questa tradizione proprio nella Gemma animae, di Honorius, un personaggo enigmatico, che si dice: "Augustodunensis ecclesiae presbyter et scholasticus...". Augugstoduno è il nome romano e medievale di Autun dove Onorio avrebbe esercitato i suoi ministeri sacerdotale e di insegnamento (derivati dal filone "parallelo" a quello apostolico) tra il 1100 ed il 1140, proprio in coincidenza con la costruzione della Cattedrale di San Lazzaro e del lavoro di Gesleberto.

Ma i messaggi che vengono da Autun, come da molti luoghi del pellegrinaggio, sono molti altri. Autun è un luogo di incontro delle culture. Qui sorgeva Bibracte, la città sacra dei celti (un popolo interculturale che aveva abitato il mondo dall'Asia centrale, alla Turchia, alla Galizia in Spagna) ed a quaranta chilometri da qui a Chalon sur Saône (lungo un tratto di quella via fluviale che congeva il Mediterraneo con il mare del Nord), svernavano le legioni di Cesare, che imparò a rispettare la cultura del "totalmente altro".

Il generale romano scriveva che i celti non usano la scrittura, ma non per questo sono incolti, anzi: "come ognuno sa, praesidio litterarum, facendo troppo affidamento sulle "lettere", viene meno la voglia di conoscere".

E' uno degli esempi più alti di pluralismo culturale.

A Chalon nasce la cultura visiva dell'epoca d'oggi. Qui c'era il laboratorio di Nicéphoro Niépce con il un modesto cortiletto, che è il soggetto del primo dagherrotipo. E' quanto si vedeva dalle finestre del laboratorio di Nicéphoro Niépce che qui lavorava e sperimentava con il suo amico Dagherre, che gli sopravvisse e perfezionò l'invenzione della fotografia.

Autun, la tomba di Lazzaro, è un luogo del pellegrinaggio e un luogo di incontro delle culture. Questo è il problema di oggi. Lo scontro o l'incontro tra civiltà.

A Roma, a Santa Maria Maggiore, nel V secolo i magi erano rappresentati con vesti persiane dell'epoca sasanide. Sono appena arrivati i vigoti. Roma sente di non essere più la padrona del mondo. Deve confrontarsi con altre realtà e con altre culture. Il Vangelo arabo dell'infanzia del Salvatore, del V-VI secolo, ma che riferisce tradizioni assai più antiche, li identifica con i discepoli di Zoroastro, venuti a Gerusalemme come aveva predetto Zoroastro (7,1).

Se quello dei magi fu il primo pellegrinaggio cristiano, fu compiuto da seguaci di altra religione e di altra cultura.

UNA TERRA MOLTE RELIGIONI

"Una terra, molte religioni": questo è il titolo del bel libro di Paul F.Knitter, edito dalla Cittadella di Assisi. Knitter è un americano che ha imparato nella Roma di papa Giovanni a conoscere le culture del mondo, trovando nell'India un laboratorio globalmente responsabile.

Il dolore del mondo (la sofferenza umana e la sofferenza ecologica) diventano una sfida religiosa. La soteria, il ben-essere umano ed ecologico è il contesto per una teologia e un dialogo delle religioni in cui sia rispettato il dominio delle diversità.

A Roma conobbe Pietro Rossano, che in seguito fu vescovo ausiliare di Roma e che non perdeva occasione per ricordare il pluralismo religioso a Roma (Pietro Rossano, Vangelo e culture, Roma, Edizioni Paoline, 1984). Rossano metteva l'accento sul fatto che la Chiesa, per la prima volta "si deve confrontare con un pluralismo religioso e culturale consapevole e spesso concorrenziale, che rifiuta ogni posizione di inferiorità e di sottomissione....Se ci troviamo storicamente divisi in confessioni religiose e in formazioni culturali differenziate non dipende da opzioni personali dei singoli individui, ma da ragioni storiche e geografiche e in ogni caso le religioni e le culture corrispondono a istanze congeniali ai diversi gruppi sociali, ai quali offrono modelli di comportamento apprezzati e un approdo ad aspirazioni profonde della vita" (Gruppo di studio: Lo Spirito Santo nelle Religioni e nelle culture non cristiane).

Si può aggiungere che non solo la Chiesa, ma che l'umanità intera e non per la prima volta, si deve confrontare con un pluralismo religioso e culturale consapevole e spesso concorrenziale, che rifiuta ogni posizione di inferiorità e di sottomissione.

FIN DALLA PIU' REMOTA ANTICHITA' UNA RETE FITTISSIMA DI CENTRI DEL MONDO

La Spagna celebra nel 1999 l'anno santo compostelano. Il 25 luglio, festa di San Giacomo, nel 1999 cade di domenica. E', pertanto, un año jubilar, il grande anno giubilare compostelano di fine Millennio, a ricordo del cammino dei pellegrinaggi che dall'estremo oriente giungevano all'estremo occidente, mettendo insieme, in un sistema interagente, culture, etnie, religioni diversissime. L' Arcivescovo di Santiago, Don Julián Barrio Barrio, nella Lettera pastorale sull' año jubilar ricorda che "La visita ai luoghi santi non nasce con il cristianesimo. E' un fenomeno esteso nell'universo religioso".

Negli ultimi venti anni sono andato inseguendo in Europa i segni delle trasformazioni e delle sintesi etniche, culturali, religiose dei primi tredici secoli della nostra era. Ed ho inseguito, conseguentemente, anche senza volerlo, lungo la Spagna, la Francia, la Germania, l'Irlanda, l'Italia, la Svizzera, l'Austria, la Grecia, la Turchia, le "vie dei pellegrinaggi", come si sono configurate fin dalle epoche più remote e certamente fin dall'epoca che diciamo "romana".

Ho ripercorso le vie dei pellegrinaggi dove l'uomo (come persona e come parte di un sistema sociale, in ogni tempo ed in ogni cultura) "cerca", "naviga", viaggia, evoca, fa associazioni e analogie, percepisce in movimento, raggiunge la comprensione e la "conoscenza", domanda, guarda, ascolta, riceve l'aperta visione, guarda apertamente all'interno delle memorie (individuali, sociali, ambientali, genetiche, archetipiche), trova, nella natura, i "siti", i "luoghi" dell'esperienza e del "reinserimento" nella creazione sempre nuova.

La maggior parte dei documenti e degli ambienti (dei beni culturali) del passato sono resi muti; sono privati dei loro linguaggi, della loro capacità di condurre tutti, indipendentemente dal colore della pelle o dalla condizione sociale, dalla propria cultura e religione, alla "conoscenza". Sono usati come "prodotti" capaci di dare solo a pochi privilegiati la sensazione, l'emozione, il godimento estetico. Loro che erano fonte di vita, sono usati come strumenti di genocidio culturale.

IL GIUBILEO-PELLEGRINAGGIO: UNA PRATICA REALE PER MOLTI MILLENNI, PRESSO TUTTI I POPOLI, TUTTE LE CULTURE E TUTTE LE RELIGIONI.

Se si scrivesse un libro sui pellegrinaggi, sarebbe inevitabile far riferimento sistematico alle culture e alle civiltà lontane dalla nostra (europee, centro-africane, arabe, centro-asiatiche, estremo orientali), fin dalla più lontana preistoria: alla percezione senso-motoria ed ai collegamenti semantici. Inevitabile sarebbe anche il riferimento alle nuove dimensioni, non più nazionali, dell'umanità e della politica nel III Millennio. Non è forse vero che il grande terrore dei paese europei nei confronti della Turchia (manifestato anche dal recente rifiuto della domanda di annessione alla U.E.) deriva sostanzialmente dalla consapevolezza che quel territorio (per di più islamizzato) rappresenta da sempre la naturale porta tra Oriente ed Occidente e quindi può diventare il "centro" della Nuova Europa, cancellando di colpo strutture economiche e sociali, come l'individualismo e verbalismo d'impronta greco-romana?

Il problema non è quello di cambiare, di rivisitare, di riscrivere la storia, di operare forme di revisionismo moralistico. Il problema è quello di evitare di cancellare popoli e culture "altre", per continuare a giustificare i genocidi che si sono succeduti nel tempo, con la scusa che la cultura dell'Occidente è la sola, la certa, la definitiva, l'unica che produca democrazia e civiltà.

IL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI: UNA PLURALITÀ ETNICA, LINGUISTICA, CULTURALE.

L'Anno Santo Romano, fin dalle prime manifestazioni dell'anno 1300, mira a ricondurre a Roma, alla cultura dell'individualismo greco-romano, agli Apostoli Pietro e Paolo, alle indulgenze concesse e lucrate individualmente tutta l'esperienza religiosa, molto composita, dell'Occidente. Ma almeno per tutto il primo millennio i fatti sono avvenuti in modo più complesso. "Vale la pena di ricordare che" secondo gli Atti degli Apostoli (2, 5-13) "fin dal giorno di Pentecoste, la Chiesa di Gerusalemme vide radunarsi intorno al nucleo primitivo dei discepoli del Signore molti popoli e lingue. Questa pluralità etnica, linguistica, culturale non è mai venuta meno". Così Maria Gallo, nelle prime righe della bellissima introduzione alla «Omelia Arabo-cristiana dell'VIII secolo» (Roma, Città Nuova Editrice, 1994, p.8). "A buon diritto... si è potuto parlare della vocazione cosmopolita ed ecumenica della Chiesa di Gerusalemme" (Ibidem,p.15).

Fin dal giorno di Pentecoste si diventa cristiani con la propria lingua e con la propria cultura. Se il cristianesimo dell'individualismo greco-romano diventa egemonico con la chiesa di Costantino, è pur vero che il cristianesimo apocalittico (vitale nel primo Millennio e capace di sopravvivere fino ai nostri giorni, ad esempio, nelle comunità di base dell'America latina) si confronta nei primi secoli con le culture siro-mesopotamiche-palestinesi, indo-iraniche, copte, etiopi, africane, vicino, centro ed estremo orientali, celtiche, ecc.

Il Mappamondo conservato a Torino, nella biblioteca Nazionale, è solo una copia tarda dei numerosi mappamondi che nei manoscritti originali del Commentario all'Apocalisse del monaco Beato, della metà dell'VIII secolo accompagnano probabilmente la descrizione della "dispersio apostolurum". Di questi mappamondi abbiamo una vasta documentazione dal X secolo.

Nel medioevo è molto diffusa una tipologia cartografica che, partendo dall'idea della Terra sferica, disegna un Oceano equatoriale, attraverso una doppia striscia verticale, che delimita, al di fuori dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa, (i tre continenti che hanno come cerniera centrale Gerusalemme) "una quarta parte, al di là dell'Oceano, che non si nota a causa del calore del sole e che si favoleggia abitata dagli Antipodi" E' evidente come il "mondo allora conosciuto" non sia dunque delimitato dai confini dell'Impero Romano, come i nostri manuali fanno credere.

Gli scritti cristiani, già dall'anno 100 assegnano ora a questo, ora a quell'apostolo un ruolo forte nella Evangelizzazione del mondo. Il monaco Beato nella metà dell'VIII secolo da una formula di mediazione e di razionalizzazione sulla base delle attese politiche di quell'epoca.

Se guardiamo al mappamondo del Commento all'Apocalisse del codice di Burgo de Osma databile nel 1086, troviamo ben definita, attraverso la "Dispersio Apostolorum", la pluralità delle culture del cristianesimo primitivo. Il monaco Beato, che scrisse intorno alla metà dell'VIII secolo e riporta in modo molto chiaro la tradizione che si è rafforzata nei primi secoli dell'era cristiana: "Hi sunt duodecim Christi discipuli, praedicatores fidei, et doctores gentium. Qui cum omnes unum sint, singuli tamen eorum ad praedicandum in mundo sortes propria acceperunt. Petrus Romam. Andrea, Acaiam. Thomas Indiam. Jacobus, Hispaniam. Joannes, Asiam, Mathaeus, Macedoniam. Philippus, Gallias. Bartholomaeus, Licaoniam. Simon Zelotes, Aegiptum. Mathias, Judaean. Jacobus frater Domini, Jerusalem".

E' certo sintomatico che negli stessi anni, anche l' Omelia dell'Anonimo cristiano arabo dell'VIII secolo, pubblicata da Maria Gallo, ricorda nello stesso modo la "Dispersio Apostolurum" con questo bellissimo brano: "Poi gli apostoli uscirono, si divisero tutto il mondo tra loro e annunciarono il Regno del Cielo e la penitenza nel nome del Messia...poveri, deboli, stranieri in mezzo agli uomini, senza beni di fortuna, senza potere in questo mondo, senza ricchezze da usare quali strumenti di corruzione, senza scienza, senza parentele di cui potersi vantare presso chiunque...non combatterono contro nessuno, non forzarono gli uomini...invitarono il popolo al Vangelo". Questa pluralità delle culture dovrebbe essere il "segno" della "missione" che le chiese locali italiane vanno conducendo in preparazione dell'Anno Santo.

Nel mappamondo di Beato, il mondo non si risolve, come vorrà la tradizione del giubileo del 1300 nelle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, ma nella predicazione "in mundo" dei dodici discepoli di Cristo. Il mondo è già diviso in quattro parti: l'Europa, l'Asia, con il paradiso terrestre, l'Africa, più una quarta parte, ad Occidente, irraggiungibile perché il sole è troppo forte, abitata da uomini sconosciuti (non a caso gli abitanti sono raffigurati di proporzioni inverosimili). I Normanni penetravano ormai nell'Europa centrale e certo non è inverosimile che, anche attraverso di loro, circolassero in Europa notizie e curiositè sulle terre ad Occidente, al di là del grande mare.

Non è forse vero che Colombo voleva raggiungere le Indie partendo da Occidente?

Nel primo Millennio la prospettiva, la finestra Albertina, la rappresentazione tridimensionale (che sono acquisizioni culturali ben definite e che non stanno certo a testimoniare l'evoluzione della scienza) non erano state ancora "scoperte". La terra non è rappresentata, ma l'immagine del mappamondo comunica la "forma"e la "realtà" della terra, così come viene vissuta dall'uomo nella sua esperienza quotidiana: forma e realtà conosciute in questi codici del primo Millennio attraverso stimoli analogici e percettivi e collegamenti semantici. E', anche, evidente che l'Occidente non è l'universo mondo, ma solo una parte dell'Universo mondo, del quale occupa solo un quarto. Il Mediterraneo è un mare interno, con un collegamento con il grande Oceano, che circonda le terre emerse.

Angelo Roncalli (Istanbul, 25 gennaio 1935) ricordava, nella prospettiva cristiana, che "Nostro Signore ha posto la sua Chiesa sopra il fondamento degli Apostoli [Eph 2,20a], a cui diede l'ordine di predicare il suo vangelo a tutto il mondo [Mt 26,19]. Egli non l'ha legata ad una nazionalità o ad un'altra". "E fuori del Cenacolo, chiamati anch'essi alla partecipazione del grande avvenimento: anzi ragione ultima di esso, rappresentanti di tutte le nazioni della terra" (Istanbul, 16 maggio 1937, Pentecoste). "Gesù è venuto per abbattere queste barriere; egli è morto per proclamare la fraternità universale...[A Gerusalemme, nel giorno della Pentecoste] lo Spirito del Signore ha riempito tutta la terra [Sap 1,7]...Si riversa sopra le genti di ogni lingua convenute dalle regioni più lontane, Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Cappadocia, della Frigia, della Pampilia, del Ponto, dell'Asia, dell'Egitto, dell'Africa, di Creta, dell'Arabia, di Roma [Act 2,9-11]...Tutti gli altri apostoli sono partiti chi qua chi là a recare il messaggio celeste. Solo Giacomo maggiore resta a Gerusalemme" (Istanbul, 28 maggio 1944, Pentecoste). Roncalli, anticipando di molti anni i temi chiave dell'ormai dimenticata discussione conciliare, ricorda l'Universalità delle genti, l'Universalità della lingua e l'Universalità di accomodamento alle tradizioni dei vari popoli. "La civiltà si presenta sotto varie forme. La Chiesa Cattolica non impone forme di vita sociale di una nazione sopra le altre nazioni...I presenti al primo discorso di Pietro dicono di avere sentite e capite le parole di lui".

Perché si continua (non solo da parte dei cattolici, ma anche da parte dei cristiani e specialmente dei non credenti) a cancellare la pluralità etnica, linguistica, culturale dei molti popoli che ascoltarono il messaggio di Cristo fin dagli inizi del primo secolo? Perché, nel ricostruire gli scenari storici del primo Millennio, nel quale si sviluppò il cristianesimo nascente, si dimentica che l'Europa era un insieme di culture (se non altre perchè si era confrontata, in varie occasioni, con l'Asia centrale e con l'estremo Oriente)? Perché si continua a pensare ad un mondo limitato al solo bacino del Mediterraneo ellenizzato, solamente alla cultura giudeo-cristiano" e solo all' "ordo romanus"? Perché si continua a riferirci solo ai reverendi padri e madri delle "Chiese" del cristianesimo occidentale? A limitare il nucleo primitivo dei discepoli del Signore ai soli Pietro e Paolo? A centrare gran parte della discussione sul cristianesimo delle origini se Paolo fu un ellenista o un giudeo-cristiano più o meno ellenizzato? Se fu o meno l'inventore del cristianesimo? Perché nel ricostruire il cristianesimo nascente si continua nelle disquisizioni logiche e filosofiche secondo gli strumenti offerti dalla filosofia greca? O si valutano (soprattutto da parte degli storici laici) non canonici, e, quindi inutili, i testi che (giudicati determinanti per definire le questioni cristologiche) confermano l'esistenza, in seno del cristianesimo nascente, di un pluralismo di lingue e di culture, privo di sincretismi? O si continuano ad usare i toni aggressivi e ingiuriosi di molti apologisti cristiani di lingua greca? O si continuano a preferire le definizioni Conciliari alle testimonianze antropologiche. O si preferiscono le snervanti controversie cristologiche del potere, alla libertà delle maggioranze della gente comune, che è capace di porsi nella sequela del Messia, gioia, pace e misericordia per gli uomini e speranza per le genti?

La preparazione all'anno giubiliare del 2000 (o, come più esattamente si dovrebbe dire, all'Anno Santo Romano del 2000) dovrebbe rappresentare una straordinaria occasione per riflettere sul tema di fondo del pluralismo multiculturale, multietnico, multireligioso. Siamo evidentemente in un'epoca in cui le grandi migrazioni di popoli ricordano che "le migrazioni", come sosteneva Luigi Di Liegro, figlio di emigranti, "sono un fatto strutturale della storia". Gli spazi lasciati vuoti dalla scarsa natalità dei Paesi Occidentali, vengono coperti dai popoli nuovi (come Gregorio Magno chiamava le genti che venivano dall'Asia), non disposti a rappresentare i nuovi schiavi, necessari per consentire all'economia ed ai privilegi delle piccole élite di ricchi, di perpetuarsi. Ma bisognerebbe riflettere su altri temi (Cfr. la III parte di questi appunti) come: complessità; globalità e universalità della comunicazione; cambiamento e modernizzazione; attenzione al futuro; riconciliazione dell'uomo con l'ambiente; giustizia e pace: ridistribuzione delle risorse, dei poteri e dei saperi; dignità, conoscenza, corresponsabilità.

Nelle pagine che seguono esaminerò solo il pellegrinaggio cristiano.

L'uomo, fin dalla più remota antichità, viaggia, si sposta, cerca nuovi insediamenti. "Le migrazioni", come sosteneva Luigi Di Liegro, figlio di emigranti clandestini, "sono un fatto strutturale della storia". Le migrazioni di individui isolati e di popoli sono uno dei fattori che hanno reso possibile l'evoluzione ed il cammino dell'umanità, per motivi genetici, spesso per trovare il coniuge, per procurarsi ed utilizzare merci e risorse, per combattere carestie e malattie, per evitare o sopravvivere a disastri naturali, guerre, sovrapopolazione di territori, per comunicare e conoscere.

Gli studi dei genetisti, come Luigi Luca Cavalli Sforza (Geni, popoli e linguaggi, Adelfi 1996; Idem, Storia e Geografia dei geni umani, Adelfi 1995; Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo, Mondadori 1993) indicano come l'Uomo moderno, nei suoi 100.000 anni di storia, ha sempre viaggiato: le migrazioni erano già un fatto strutturale. Insediandosi in diverse regioni del pianeta, è andato via via differenziandosi nel tempo, per adattarsi alle specifiche condizioni ambientali. Ricordiamo anche che l'uomo moderno arriva tardi in Europa, prima nelle regioni dell'Est, poi in Francia, forse da Oriente, dalle steppe.

L'uomo, di ogni etnia, cultura, religione, "pellegrino" dalla più remota antichità, fino ai giorni nostri, alla ricerca del "centro". I centri del mondo, i luoghi della riconciliazione.

Fin dalla più remota antichità, l'uomo si prefigge, viaggiando per universum mundum, di cercare, navigare, domandare, guardare, capire, ascoltare, associare, evocare ricevere l'aperta visione, conoscere se stesso, il proprio ruolo individuale e sociale nel sistema del Creato. Una "cerca" fisica, mentale, virtuale, per evocare, trovare i "siti", i "luoghi" dove l'invisibile si è manifestato attraverso le azioni della natura e dell'uomo, e dove il pellegrino incontra l'invisibile, si confronta con il Creatore, diventa parte della Creazione, sente fino in fondo che homo quadammodo omnia. Gli elementi dell'"ambiente", del paesaggio, in quelli che vengono interpretati come i centri del mondo, vengono consacrati e trasformati in "stazioni" di pellegrinaggi. E' in quel luogo, in cui Il "centro" del mondo è il luogo, dove tutti gli opposti si congiungono; dove Dio scende sulla terra, ha l'esperienza dell'umano e l'uomo "sale" in cielo, ha l'esperienza del divino. E' il luogo della riconciliazione. Cadono le distinzioni tutte occidentali (il dualismo) tra bene e male, tra mortale e immortale, tra luce e tenebre, tra anima e corpo, tra natura e storia, tra il mondo d'oggi e il mondo futuro, tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra umano e divino. La ricerca del "centro" (i "centri" sono tantissimi) è la ricerca di un sito ben individuato e delimitato, consacrato o da manifestazioni naturali evidenti (cime di monti o di colline, grotte, confluenze tra fiumi, sorgenti o sacre fonti o fonti minerali, acqua spumeggiante in cascate nelle grotte, pietre vive segnata da un colpo di ascia o scolpita, stalagmiti, stalattiti, monoliti di età antichissima, alberi simbolici, o altro) o percepibile dall'uomo attraverso un intimo contatto con la natura (concentrazione magnetica, fiumi sotterranei o altro), o consacrato dal ricordo di opere dell'uomo (ad esempio: cimiteri, bonifiche, etc.) o consacrato da manifestazioni del moto del sole, della luna, delle stelle.

L'intero universo dunque (con tutte le sue componenti fisiche, biologiche ed antropiche, con tutte le etnie, tutte le culture, tutte le religioni) si manifesta come l'immagine trasfigurata del suo Creatore.

RETE FITTISSIMA DI STAZIONI DEL PELLEGRINAGGIO

Il pellegrinaggio non è per le élite intellettuali o economiche. E' per tutti , è accessibile a tutti. Ognuno può accedervi, utilizzando la formula che più gli si adatta. Stando per anni lontano da casa, o anche solo "vedendo". Si fa pellegrinaggio anche stando nella chiesa della propria città, operando la marcia sacra dall'ingresso della chiesa all'altare, alle tombe dei santi, verso il punto che segna la nascita del sole. Molte chiese hanno un labirinto inciso sulla pietra, evidenziato con le pietre sul pavimento, riprodotto negli intonaci dei pilastri e delle colonne. Gli esempi di Pisa e di Chartres (il grande pavimento a forma di labirinto) non possono essere dimenticati.

La marcia sacra a volta dura anni, a volte si svolge dalla porta del luogo sacro all' altare, a volte è mentale e consiste nell' avere esperienza attraverso un labirinto scolpito o dipinto: la Fonte della Sapienza è nel proprio cuore. Se oggi un aereo od un pullman ci portano rapidamente a destinazione, non possiamo dimenticare che la marcia sacra avviene stimolati dall' evocazione e dalla percezione attivata da tutti i sensi, e da tutte le esperienze extrasensoriali, ricercando e portando i simboli (o abiti che sono simboli essi stessi) della "cerca", i propri vessilli e le proprie insegne colorate, con le immagini delle proprie armi e della propria mente, con danze sacre, con la stanchezza e lo sfinimento fisico della navigazione (spesso ci si paga il viaggio remando) , delle marce delle veglie e dei digiuni, delle calche, degli odori spesso ripugnanti di sporcizia, di emissioni corporali, di urina e di feci, del fumo dei fuochi o delle candele, degli svenimenti, con la vista di malati sfigurati, con il lezzo di carne marcia delle ferite aperte ed in cancrena e del sangue rappreso, con l'orribile sterco di cavalli, cammelli, asini e buoi impiegati come animali da traino, o compagni di riposo notturno nelle stalle, con il sommerso mormorio della musica e del salmodiare, con il rumore cadenzato dei passi (come detto, uno straordinario coadiuvante mnemonico), con il freddo, le piogge insistenti ed il caldo asfissiante, con il battito del cuore, con suoni, canti ed emozioni, con colori che ricordano gli elementi della Terra (il colore del lino la terra, l' azzurro l'aria, il viola il mediterraneo, lo scarlatto il fuoco, l'arco di colori dal verde tenero, quasi bianco che si confonde con madre Terra della vita vegetale appena nata al giallo delle messi mature, o al marrone del ramo secco), con il buio o la fioca luce di candela o di fiaccola, con repentini passaggi dal buio alla luce, con oscuramento e fiammate improvvise ed esplosioni di luce (nel recinto sacro può essere il lampo d'oro che proviene da un calice, da una lancia: la luce improvvisa evoca la croce di luce ed il tempio del Sole) con la tensione nervosa, l'ansia, lo choc, con scene di panico, con l'effetto dell'ubriachezza e degli allucinogeni, con formule segrete, con esorcismi e malocchi, con coppe di sangue e di sperma, con malattie e disagi fisici, febbricitanti, con prove di iniziazione molto faticose, con percorsi labirintici ed in grotte labirintiche, tra pietre e menhir preistorici, attraverso la conoscenza della volta del cielo e la celebrazione di eventi celesti.

IL PELLEGRINAGGIO" È TANTE COSE INSIEME.

Il 'pellegrinaggio", ha un significativo politico, spirituale, religioso, di esperienza, di conoscenza di sé, fisico, storico, economico, di socializzazione. E un atto "sacrale" di riconciliazione, vitale per molte culture nello stesso occidente. Partecipare al pellegrinaggio significa "esserci", esistere. Come tuttora avviene nelle processioni, nelle feste parrocchiali, negli stadi, nei cortei politici, nel matrimonio e nel funerale della principessa reale. Come è avvenuto il 19 ottobre, quando 53.000 persone sono andate allo Stadio Olimpico di Roma per vedere la partita che non c'era. In realtà volevano ritrovare il protagonismo della gente comune, volevano rivivere la «marcia sacra», la «cerca» del «luogo» del «disvelamento», attraverso l'«associazione», l'«evocazione», l'accesso alle «memorie» (il bagaglio genetico, ambientale, delle esperienze di ciascuno, qualunque sia la sua fede e la sua cultura), il «ritorno» a casa, alla vita di ogni giorno per mettere in comune e vivere delle energie derivate da quell'esperienza.

LA FUNZIONE POLITICA

Non esaminerò in questa sede la fondamentale funzione politica, certo una delle più importanti, delle strade dei pellegrinaggi nell' Europa Medievale. Sul pellegrinaggio a Roma, io stesso mi sono esercitato in passato (Cfr.A.Thiery, Comunicazione e immagine nella Roma del giubileo. Dal concretismo di Francesco D'Assisi al realismo di Giotto, in "Roma, anno 1300, L'Erma di Bretschneider, Roma [1980] 1983). Per il "Camino de Santiago" rimando, invece, agli studi di José Luis Barreiro Rivas.

IL LEVITICO

Per ricordare l'origine del giubileo, normalmente viene enfatizzato il famoso passo del Levitico, il capitolo venticinquesimo che fissava ogni cinquanta anni (7 x 7) il riposo della terra, la remissione dei debiti e delle colpe, la liberazione degli schiavi, ecc. Una legge che non fu in realtà mai applicata e che dovette rappresentare una semplice aspirazione, un' "enunciazione di principio", che non trova riscontro in altri testi o documenti.

L'origine è ben più complessa. Il giubileo ( il reinserimento dell'uomo nell'unità, nel sistema del creato) è sempre strettamente legato al pellegrinaggio e riguarda quegli atti iniziatici, che coinvolgono tutte le manifestazioni del sacro, tutte le diverse attese, esperienze e pratiche religiose fin dalla più remota antichità e non solo quelle delle religioni teologicamente strutturate e, quindi, non solo del mondo ebraico o del cristianesimo.

In Europa, ad esempio, la pratica del giubileo-pellegrinaggio era già presente in epoca pre romana.

LA "CERCA", LE "MEMORIE", I "SITI", I CENTRI DEL MONDO

Fin dalla più remota antichità, l'uomo si prefigge, muovendosi, muovendo i propri occhi, di cercare, navigare, domandare, guardare, capire, ascoltare, ricevere l'aperta visione, conoscere se stesso, il proprio ruolo nel sistema del Creato, associare, evocare, guardare apertamente all'interno delle memorie individuali, sociali, archetipiche, biologiche, geologiche, ambientali. L'uomo "cerca", "naviga", pensa, conosce, cammina con tutto il corpo, con tutti i sensi, con la mente, con il cervello, con gli occhi. Una "cerca" fisica, mentale, virtuale, per evocare, trovare i "siti", i "luoghi" dove attingere al patrimonio delle memorie e delle esperienze, raggiungendo una Scientia in vivo. L'uomo si prefigge la conquista di quel "centro del Mondo", di quei "siti", di quei "luoghi" dove tutti gli opposti si congiungono; dove scompare la dualità, dove viene superata ogni considerazione, spesso dualistica, tra le categorie, create dalla mente ordinaria ed ordinatrice. Delle cose si fa una sintesi unitaria, ed attraverso questa sintesi si fa esperienza, si fa conoscenza. Attraverso la conoscenza l'uomo si congiunge con il Creato, e, perciò, con il Creatore.

Questa è la cultura dell'uomo da quando è sulla terra. Questa è la cultura antica e di tutto il primo millennio. Ma anche oggi, attraverso Internet e l'ipertesto, conoscere è "navigare", cercare i "siti", i "luoghi" dove attingere al patrimonio delle "memorie" (virtuali o reali), fare associazioni attraverso l'analogia: la percezione si ha in movimento.

E' naturale che grande importanza abbia il culto dei "progenitori", la creazione di "luoghi" (le tombe) dove si depositava, era restituita alla terra per una "creazione nuova", la "memoria" di una stirpe, di una cultura, di una fede religiosa, di un'esperienza. Le differenze tra le razze sono assai limitate e quantitative più che qualitative. Sopra le tombe veniva eretta una "memoria", spesso costituita da un tumulo, da alcune pietre o da un grande monolito, una grande stele. Le pietre, toccate dal lavoro dell'uomo, sono il simbolo del sé, della conoscenza, della fertilità, dell'immortalità. Sono la parola creatrice della divinità. Nel cristianesimo sono la parola di Dio, sono Cristo. Tra i progenitori nella fede ci sono gli apostoli, i testimoni, i santi. Come moltissimi erano i "centri" del mondo, anche i "testimoni", i "martiri" sono moltissimi. Nell'Europa cristiana si assiste ad un grande sviluppo del pellegrinaggio alle loro tombe.

E' LA TERRA CHE POSSIEDE L'UOMO

Fin dalla più remota antichità, l'intero mondo, l'intero universo (con tutte le sue componenti fisiche, biologiche ed antropiche, con tutte le etnie, tutte le culture, tutte le religioni) è interpretata come l'immagine trasfigurata del suo Creatore, che mostra in ogni luogo la sua gloria. La creazione, di cui noi siamo una parte, è vista nel mondo antico e medievale sempre nella sua positività. La «terra» è fonte di vita (con la semina, la maturazione delle messi, la mietitura e la vendemmia, gli animali che aiutano l'uomo nel lavoro, lo alimentano, gli fanno compagnia) e oggetto di muta adorazione e lo «spirito» invade ed anima tutta la natura inanimata (la montagna, la palude, l'albero, la foresta, la sorgente, il fiume, i pozzi, il lago e il mare, le rocce, gli stagni, i bracci di mare).

L'uomo è il terroso, è fatto di terra e con la morte ritorna alla terra, si reinserisce nella natura, per essere protagonista di una creazione sempre nuova che ciclicamente si rinnova.

I popoli antichi, soprattutto quelli tribali (e perciò la quasi totalità dei cosiddetti «barbari» e "keltoi", cioè degli «stranieri», degli estranei alla cultura greco-romana) sono alieni dal concetto di proprietà privata. In particolare sono estranei all'idea di possedere la terra. Anzi è la terra che possiede l'uomo.

Il tema è ripreso (non introdotto) dall'Antico Testamento, e si inserisce in un contesto religioso, sociale e antropologico largamente diffuso nel mondo non ellenizzato, per cui la terra è sacra, la terra è cara a Dio, la terra è di Dio. Ma si inserisce anche in contesti religiosi, sociali e antropologici diffusi, ben più di diffusi di quanto si creda, nel mondo ellenizzato.

«Greci» è, infatti, un termine ambiguo, che sta ad individuare non solo popoli caratterizzati da cultura concettuale fondata sul ragionamento verbale, ma anche un insieme di etnie, di culture, di religioni fortemente diversificate e spesso fondate sullo psicologismo del simbolo e sulla percezione sensoriale. Coesistono spesso in una stessa città, in una stessa persona e non si elidono, culture della cosalità e del sentire globale (estranee al verbalismo ed al realismo descrittivo e fortemente analogiche e simboliche) e dell'intima connessione tra natura e cultura e culture che esaltano, al contrario, le differenze tra naturale-umano e si fondavano sull'astrazione filosofica (connotate dal verbalismo concettuale e dal realismo grafico dell'allegoria).

Seguendo il costume delle religione indo-iraniche diffuse in Palestina, in Siria, in Mesopotamia, ma anche nei territori ellenizzati, i documenti dei primi secoli attestano (non solo facendo riferimento all'Antico Testamento) che Cristo amò la terra. La amò come amante, perché la terra è di Dio. L'amò, perché venne creata da suo Padre dal nulla, per essere tempio di Vita. Far male alla terra, sfruttarla, abusarne, significa coprire di ingiurie il suo Creatore. E' questo l'ambito per approfondire il tema della complessità, della ricerca di un rapporto tra natura e cultura, della ricerca, nella natura, dei destini dell'uomo.

LA TERRA È LA DIMORA, LA CASA DELL'UOMO. LA TERRA E' L'UOMO. LA VITA E LA STORIA DELL'UOMO NON SONO MAI SEPARATE DALLA «NATURA".

La cultura in Europa, in Asia, in Africa, nel vicino e nel lontano Oriente, è la cultura del giubileo-pellegrinaggio. E lo è fin dai tempi in cui l'uomo è sulla terra, lo è in tutta la cultura antica ed in tutto il primo millennio. La religione non è mai separata dalla «naturalità» della vita; dai ritmi della natura; dai «miti» psicologici e simbolici della creazione.

L' «occidente», e solo in questi ultimi tre secoli, ha perso il contatto con il suo inconscio e con la parte più profonda del sé a tal punto che, nel linguaggio comune, il termine «mito» ha assunto il significato di «frottola». Nel migliore dei casi di «racconto» da disambiguare con l'analisi scientifica comparativa e filologica.

La terra è la dimora, la casa dell'uomo. E' la madre dell'uomo, dà la vita, "ne sostenta e governa". Accoglie dopo la morte. Se la terra è di Dio (è l'elemento femminile di Dio), conoscendo la terra l'uomo troverà risposta a tutte le sue ansie, bisogni, attese, paure, speranze. L'ignoranza, dirà Isidoro di Siviglia, è la causa di tutti i mali. La conoscenza è salvezza.

La riconciliazione con la terra, in una visione sistemica di pace e di giustizia della natura e del creato, la ricerca di un senso della propria esistenza e della propria individualità nella comunità, la ricerca del sacro è legata fin dall'epoca preistorica, in tutte le culture e le religioni a quello straordinario coadiuvante mnemonico che è il pellegrinaggio, il "camminare" ritmicamente.

LA PREGHIERA VA FATTA, NON RECITATA

E' un'esperienza che va vissuta con tutto il corpo, con tutti i sensi e con tutte le capacità della mente, in movimento. Non a caso gli psicologi moderni chiamano la percezione sensoriale, percezione motoria. A ricordare il penetrare nel centro, attraverso i tre cerchi magici, il pellegrino in genere compie per volte il giro di ogni «stazione» seguendo la direzione del corso del sole.

L' «occidente», oggi, non è in grado di capire fino in fondo il significato del pellegrinaggio, il significato che ha avuto in passato e che ha tutt'oggi in società meno algebrosate della nostra come quella musulmana ed indiana. Il pellegrinaggio cristiano, in Europa, acquista maggiore diffusione nel IV-V secolo (quando la fede cattolica si struttura teologicamente) e poi nel VII-VIII secolo (quando ormai ha preso sostanzialmente l'egemonia). Il pellegrinaggio acquista grande importanza nelle cronache dell'età che diciamo medievale, dall'XI secolo, in un'età di grandi viaggi e scambi tra culture e religioni. Poiché ci ostiniamo a considerare soltanto le fonti scritte, ne conosciamo solo alcuni aspetti e per lo più relativi al medioevo occidentale.

VIAGGIO PSICHICO ALLA RICERCA DI SÉ CON GLI ALTRI. LA TRADUZIONE COLLETTIVA DELLE MOTIVATIONI INDIVIDUALI.

Il pellegrinaggio è un viaggio psichico alla ricerca di sé, non certo inteso nel senso intimistico che porta al misticismo estetizzante e che conduce a privilegiare l'io individuale. La tradizione cristiana dei primi secoli (fin dagli Atti degli Apostoli) pone l'accento sulla necessità di collegare l'io sociale all'io individuale. La carità è comunità. Testi dell'VIII secolo, nel definire la missione degli apostoli nell'universo mondo, ricordano chiaramente che quantunque avessero un progetto unitario, tuttavia lo perseguirono singolarmente. Il latino suona così: ut unum sint singuli. A significare che l'elemento unificante è Cristo e la Chiesa è una comunità in cui ognuno con i suoi carismi, la sua cultura, la sua etnia raggiunge la propria missione.

La ricerca del sé va quindi intesa come ricerca del proprio ruolo nella comunità. Comunità ed individualità, cosa assai difficile a comprendersi secondo le categorie di pensiero greco, non sono in antitesi, ma si sintetizzano in Cristo. La ricerca del sé va quindi intesa come ricerca del proprio ruolo sistemico nella comunità. E' un viaggio alla "ricerca", volto al futuro, ma anche a ritroso attraverso l'evocazione del visto, del sentito dire, del "vissuto". E' soprattutto un viaggio nel presente: il regno di Dio (per il cristianesimo apocalittico) è a disposizione qui e ora; l'unico punto dove possiamo entrare in contatto con Gesù e il Regno di Dio è dentro di noi. Ogni tappa è importante. Si fa pellegrinaggio anche stando nella chiesa della propria città, operando la marcia sacra dall'ingresso della chiesa all'altare, alle tombe dei santi, verso il punto che segna la nascita del sole. Molte chiese hanno un labirinto inciso sulla pietra, evidenziato con le pietre sul pavimento, riprodotto negli intonaci dei pilastri e delle colonne. Quello che conta è l'esperienza cosale, la percezione sensoriale e motoria, i ritmi ed i suoni, i colori i sapori, gli odori, la visione intesa come forza creativa e mezzo di comprensione umana: il visionario immaginifico determina le esperienze e la realtà.

IL "CAMMINARE" RITMICAMENTE: UNO STRAORDINARIO COADIUVANTE MNEMOMICO ASSOCIATIVO, EVOCATIVO ED ACCUMULATIVO.

Ogni tappa mentale o fisica del cammino può essere meta conclusiva; è il raggiungimento dell' irraggiungibile, è la conquista di quel "centro del Mondo" dove tutti gli opposti si congiungono. Il pellegrinaggio non è per le élite intellettuali o economiche. E' per tutti , è accessibile a tutti. Ognuno può accedervi, utilizzando la formula che più gli si adatta. Stando per anni lontano da casa, o anche solo "vedendo".

Secondo la cultura del primo millennio, gli apostoli "cum omnes unum sint.. singuli tamen sortes proprias acceperunt" Così ogni uomo o donna in modo comunitario e solidale, ma singolarmente può diventare Cristo. Il "camminare" ritmicamente è soprattutto uno straordinario coadiuvante mnemomico associativo, evocativo ed accumulativo. E la "memoria" è il bagaglio genetico, ambientale, delle esperienze di ciascuno, qualunque sia la sua fede e la sua cultura. E' un procedimento a ritroso; l'associazione e l'evocazione del visto, o del sentito dire, del "vissuto": c'è, rispetto alla nostra epoca, una diversa valutazione della realtà. Il pellegrinaggio ricostruisce, reinserisce l'uomo nel sistema del creato. Solo una scienza infantile ha rotto il sistemico rapporto dell'uomo con l'ambiente, distinguendo tra natura animata ed inanimata, tra organico ed inorganico, stabilendo una gerarchia di valori. E' questo un tema forte della ricerca contemporanea che sfocia poi nella multiculturalità e nella globalizzazione. Si riscopre, come ben si sapeva in passato, che l'uomo ha un corpo ed è coevo con l'ambiente. Si superano i problemi occidentali della dualità e della gerarchia dei sensi (mente/corpo; copia/originale; oggetto/soggetto, reale/fantastico, ecc.).

La storia, il divenire, rientra persino nella fisica: la scienza non è più portatrice di verità assoluta, ma di verità relative. La meccanica quantista ha posto dei limiti al sapere concettuale. Si riconosce la relatività dei concetti di tempo e di spazio. C'è il riconoscimento dell'evoluzionismo continuo (una proliferazione continua di novità) senza una ricerca di equilibrio. Si sa che non è possibile ricostruire (sistematizzare in ambienti formali) in modo esaustivo il mondo (che lascia spazio ad ambienti informali). Anche l'ambiguità, la diversità, l'indeterminatezza (la complessità) sono finalmente giudicati aspetti positivi. Si modificano e si giudicano non le sole vere le categorie mentali gerarchiche e sequenziali. La cultura delle élite occidentali non è più autosufficiente. Non è più gerarchicamente primaria. Ha bisogno, per sopravvivere, di attingere anche alle culture "altre" (all'analogia, al simbolismo alla percezione sensoriale e motoria) che stanno diventano, con i nuovi media, "determinanti". Quindi non c'è solo rispetto delle diversità culturali e religiose (possibile anche in una scala gerarchica), ma deve esserci (anche a guardare le cose in modo egoistico) ricerca della discontinuità, della complessità, della globalità, del sistema del creato.

ADOZIONE DI MODELLI DI VITA AD ALTO E DIFFUSO CONSUMO CULTURALE E A BASSO CONSUMO DI ENERGIA E DI RISORSE.

Il pellegrinaggio è anche un atto iniziatico, un atto battesimale. Va ricordato che il battesimo è una rinuncia a Satana e ad ogni sua pompa: Il Salmo 118,37 (riproposto nelle catechesi prebattesimali dalle comunità cristiane nei primi secoli) invitava: "Distogli i miei occhi, perché non vedano la vanità". Viaggiare tra tante difficoltà significa vedere con gli occhi del corpo e della mente la vanità delle attese, delle conquiste, delle realizzazioni dell'uomo e la loro decadenza nel tempo. Le ricchezze sono transitorie. A questo si lega il modello frugale di nella vita del pellegrino, che applicava (ed il moderno pellegrino dovrebbe applicare) modelli di vita (promozione, distribuzione, organizzazione politica e sociale) ad alto e diffuso consumo culturale e a basso consumo di energia e di risorse.

Durante la marcia sacra, i pellegrini si guadagnavano da vivere, secondo il dettato delle leggi ancestrali, riconfermate da Mosé e dai Vangeli Apocrifi, con il lavoro delle proprie mani, partecipando spesso a lavori per l'ambiente naturale ed umano (difesa del suolo, regolamentazione delle acque, rimboschimento, recupero delle terre incolte o degradate, disinquinamento, ripristino di ambienti naturali ed equilibri geologici, nuovi prodotti agro-industriali, processi di riqualificazione urbana (degli spazi, degli ambienti, dei tempi della città), gestione dei suoli e degli ambienti urbani.

LA MARCIA SACRA VERSO I "CENTRI DEL MONDO".

Partecipare al pellegrinaggio significa, come ricordato, "esserci", esistere. Come tuttora avviene nelle processioni, nelle feste parrocchiali, negli stadi, nei cortei politici, nel matrimonio e nel funerale della principessa reale. Come è avvenuto il 19 ottobre, quando 53.000 persone sono andate allo Stadio Olimpico di Roma per vedere la partita che non c'era. In realtà volevano ritrovare il protagonismo della gente comune, volevano rivivere la «marcia sacra», la «cerca» del «luogo» del «disvelamento», attraverso l'«associazione», l'«evocazione», l'accesso alle «memorie» (il bagaglio genetico, ambientale, delle esperienze di ciascuno, qualunque sia la sua fede e la sua cultura), il «ritorno» a casa, alla vita di ogni giorno per mettere in comune e vivere delle energie derivate da quell'esperienza. La marcia sacra (fisica o mentale) è la cerca, (cercare, domandare, guardare, capire, ascoltare, navigare, ricevere l'aperta visione, guardare apertamente Dio all'interno dell'uomo). E un'alta esperienza mistica e perciò conoscitiva, non metafisica o intellettuale, ma esistenziale, concreta, cosale. Alla fine della cerca c'è un centro, segnato spesso da un altare quadrato, o da un calderone (negli stadi oggi, al termine di una cerca, di una contesa c'è una coppa), da una grotta: avviene una resurrezione, una nascita nuova. E dopo lunghe, interminabili marce o digiuni c'è il banchetto con l'abbondanza del cibo e del vino, con i rapporti sessuali che non sono atti fisiologici, ma sacri, in quanto generano la vita.

L' esperienza conoscitiva (la ricerca della Fonte della Sapienza), partecipativa, avviene, come detto, in movimento (coinvolgendo gli aspetti sensoriali e motori dell'uomo tutto intero, attraverso un percorso (il pellegrinaggio, una processione, un corteo) verso un Luogo della ierofania, in cui si è manifestata la divinità, in cui Gesù (per i cristiani) si è manifestato non con i miracoli, ma attraverso le azioni della natura e dell'uomo. E' ricerca dei luoghi in cui cielo e terra si congiungono ( scompare la dualità, viene superata ogni considerazione dualistica, tipica della cultura occidentale, tra le categorie, create dalla mente ordinaria ed ordinatrice [terra e cielo; peccato e redenzione; vita e morte; realtà e finzione; corpo e anima, ecc.]: di due cose, si fa una sola); verso gli infiniti "centri del mondo", in cui l'uomo, anche attraverso la visione immaginifica, penetra la terra, si congiunge con la terra raggiungendo la conoscenza di sé.

UN CENTRO: UN SITO BEN INDIVIDUATO E DELIMITATO, CONSACRATO DA MANIFESTAZIONI NATURALI EVIDENTI, O PERCEPIBILI DALL'UOMO ATTRAVERSO UN INTIMO CONTATTO CON LA NATURA.

La ricerca di un centro è la ricerca di un sito ben individuato e delimitato, consacrato o da manifestazioni naturali evidenti (sorgente o sacra fonte o fonte minerale, acqua spumeggiante in cascate nelle grotte, confluenza di fiumi, pietra viva segnata da un colpo di ascia o scolpita, stalagmite, stalattite, monolito di età antichissima, alberi simbolici, o altro) o percepibili dall'uomo attraverso un intimo contatto con la natura (concentrazione magnetica, fiumi sotterranei o altro), o consacrato dal ricordo di opere dell'uomo (ad esempio: cimiteri, bonifiche, etc.) o consacrato da manifestazioni del moto del sole, della luna, delle stelle. E in quel luogo in cui l'invisibile si è manifestato attraverso le azioni della natura e dell'uomo, il pellegrino incontra l'invisibile, si confronta con Cristo, diventa Cristo.

Il labirinto, la ricerca del "centro", è uno straordinario coadiuvante conoscitivo, archetipo della trasformazione, simbolo del viaggio, che consente sempre di trovare la strada giusta, attraverso una esperienza calmante, che aiuta a trovare il bandolo della propria esistenza. Anche oggi, attraverso Internet e l'ipertesto, conoscere è "navigare", cercare i "siti", i "luoghi" dove attingere al patrimonio delle "memorie" virtuali o reali. Il "linguaggio" del pellegrinaggio è anche il linguaggio di Internet.

Si fa conoscenza camminando, danzando, pregando disegnando, percorrendo, fisicamente o mentalmente, un labirinto, magari anche nella propria città. Anche un monaco, nella clausura del suo convento, pregando in giardino con le siepi tagliate a forma di labirinto, diventa cittadino del mondo.

I percorsi dei pellegrinaggi, come quelli della conoscenza, quindi sono labirintici, discontinui, non lineari, evocativi, stimolatori di esperienze sociali, ricchi di esperienze simboliche (segno iconico, colore, linea, gesto, danza, suono, rumore, musica, canto, odore, mimismo, luminosità della visione, movimento, ecc.), aperti alla libera curiosità, lontani dal dogmatismo infantile della scienza e delle religioni strutturate.

Solo qualche esempio, per definire meglio i "centri del mondo".

In Bretagna, nei pressi di Trégastel, c'è un sito preistorico con testimonianze di grande interesse: enormi blocchi di granito rosa, dolmen, menhir, un menhir cristianizzato e lì a duecento metri i laboratori di Télècom Spatiales con una quindicina d'antenne giganti. Quella è la terra di un grande museo delle telecomunicazioni e di un gigantesco planetario per studiare stelle e galassie. E' un "luogo" di conoscenza di cui l'uomo d'oggi non può fare a meno per comunicare.

Natura e storia sono strettamente intrecciate.

E che dire di Brioude in Alvergna, tra i mille vulcani spenti, quasi alle sorgenti dell'Allier, affluente della Loira. Lì fu sepolto nel 304 Giulio, un tribuno delle legioni romane, martire perchè cristiano. Enorme fu l'affluenza dei pellegrini dal IV secolo, specie in epoca merovingia. Ma lì vanno anche a deporre le uova i salmoni atlantici (salmo salar) dopo aver rimontato 800 chilometri di corrente.

Il pavimento dell'imponente basilica di San Giulio (quasi 75 metri di lunghezza), fatto di ciottoli dell' Allier, fissa il legame, tra il sacro e la straordinaria "naturalità" del luogo, sottolineato dalla Maison du Salmon.

Potremmo fare ancora mille esempi:

E' evidente come il senso del sacro si percepisca nella Terra e in tutti i suoi "abitanti" che una scienza infantile divide tra animati ed inanimati. La visita ai "luoghi santi", il pellegrinaggio, il "camminare" ritmicamente non nasce con il cristianesimo, ma riguarda tutti i popoli, tutte le culture, tutte le religioni fin dalla più remota antichità, e, quindi anche il giubileo cristiano si struttura fin dalle origini, come viaggio in tutto il mondo, ed esalta l'incontro tra i popoli, le culture e le religioni più diverse. Il pellegrinaggio serve a mettere insieme, a sintetizzare esperienze culturali e religiose, sociali e politiche, comunicative e linguistiche, usi e costumi, conoscenze scientifiche e tecniche, modi di vita e di pensiero.

Ricordiamo Lazzati che nel definire le caratteristiche di una cultura che possa dirsi cristiana tra l'altro mette in evidenza di una cultura che abbia il gusto della metafisica e cioè il gusto dell'assoluto, del perché ultimo; che abbia l'umiltà di aprirsi alla rivelazione, cioè che abbia il gusto della fede; che sappia il valore della scienza, come strumento indispensabile per ridurre il mondo, l'universo, il cosmo a servizio dell'uomo; che sappia il valore dell'esperienza, nel senso più ampio del termine: il gusto della storia, fare la storia, conoscere la storia, avendo in testa chi è l'uomo, qual è il suo rapporto con l'assoluto e con la realtà che lo circonda; che sappia illuminarsi della luce della relazionalità e cioè l'opposto di una cultura individualista. Relazione con Dio, relazione con gli uomini, relazione anche con le cose, ed infine che sa tradursi in stile di vita, cioè diventa testimonianza.

IL PELLEGRINAGGIO CRISTIANO, IN EUROPA

Il pellegrinaggio cristiano, in Europa, acquista caratteristiche peculiari proprio a partire dal IV-V secolo (quando la fede cattolica si struttura teologicamente secondo le categorie logiche dell'Ellade), nell'epoca, cioè delle grandi migrazioni (che siamo soliti chiamare "invasioni barbariche"), dei grandi movimenti di intere popolazioni, spesso molto civili, nelle regioni fra il lontano Oriente e l'Europa. Vorrei citare ancora una volta Cavalli Sforza: le lingue parlate dagli aborigeni economicamente più sprovveduti sono ricche come le nostre, e talora dotate di strutture più complesse. La stessa cosa avviene per le culture.

Basta guardare alle vie commerciali di terra e di mare, alle strade percorse dalle grandi migrazioni per rendersi conto della complessità degli effetti delle migrazioni.

I "popoli nuovi", come li chiama Gregorio Magno, portano lingue, culture, stili di vita, esperienze, il senso del Sacro, religioni molto diverse, ma che si relazioneranno largamente, senza atteggiamenti irenici, né sincretistici, ma con rapporti dinamici con le culture e le esperienze religiose delle maggioranze della gente comune. Se è vero che i luoghi del pellegrinaggio cristiano, sono "naturalmente" i luoghi di incontro tra le culture, è anche vero che, al tempo stesso, si determinano, ma solo nelle "gerarchie", forme di arroccamento e di difesa e si va formando il modello esclusivista del cristianesimo romano (una, sola, definitiva, superiore, assoluta, finale, insuperabile, totale verità) visto come luce, come mondo del Verbo dello Spirito. Il cristianesimo romano si contrappone alle stesse molteplici forme del cristianesimo non ellenizzato e alle altre religioni, che sono viste come tenebra, peccato, eresia e paganesimo. Se Edward Schillebeeckx può dire che "la "prospettiva" da cui noi, come cristiani...partiamo per riflettere è sempre più l'ecumene delle religioni mondiali e l'ecumene dell'umanità sofferente", dobbiamo ricordare che nell'epoca delle grandi migrazioni, tra il III ed il V secolo, tutti gli uomini avevano la "prospettiva" di un'ecumene eco-umana, di un dialogo delle religioni, fortemente diversificate, ma correlazionate, che andiamo riscoprendo solo oggi, non a caso in un'epoca di globalizzazione e di forti migrazioni.

La riconciliazione, cioè la ricerca di un rapporto interagente e sistemico nel creato (sintetizzate in epoca moderna dallo sviluppo sostenibile) si svolge lungo la via della giustizia e pace nel creato (non basta: giustizia, pace, salvaguardia del creato); del rapporto sistemico tra economia ed ecologia: l'uso frugale dei beni della terra; del rapporto sistemico tra natura e cultura: sistema interagente di culture diverse.

Tra il III-VI secolo, quando nasce il medioevo occidentale, il mondo sta vivendo uno dei grandi momenti. Siamo troppo abituati a pensare in chiave eurocentrica. Pensiamo che oltre ai greci, ai romani, ai germani il mondo sia stato disabitato.

Dai manuali scolastici appendiamo che, caduto l'impero romano, nascono i secoli bui. Dobbiamo imparare a riflettere un po' sulle dimensioni delle popolazioni del mondo stimate in diversi periodi. Ma scopriamo ad esempio che nell'anno 500 si pensa che nel mondo dovevano esistere 206 milioni di individui e che in Europa gli abitanti fossero solo 29 milioni.

Popolazione, in milioni di individui, stimata nel mondo, in diversi periodi

popolazione          400      1       500      1000     1250    1500     1750    1970     
                     a.C.                                                                 
                                                                                          

Cina                 25       70      32       56       112     84       220     774      

India,Pakistan,      30       46      33       40       83      95       165     667      
Bangladesh                                                                                

Asia Sudoccidentale  43       49      53       36       25      27       29      118      

Giappone             1        2       5        4        9       10       26      104      

Asia (Escl.URSS)     3        5       8        19       31      33       61      386      

URSS                 13       12      11       13       14      17       35      243      

Europa               23       35      29       30       57      66       109     462      

Africa sett.         10       14      11       9        9       9        10      87       

Resto dell'Africa    7        12      20       30       49      78       94      266      

America              1        1       2        2        3       3        3       228      
settentrion.                                                                              

America centrale e   5        8       11       14       23      34       15      283      
meridionale                                                                               

Oceania              1        1       1        1        2       3        3       19       

                                                                                          

TOTALE               162      255     206      254      417     459      770     3637     

E infatti scopriamo tante cose:

- Se è vero che il greco è diventato una lingua desueta, è altrettanto vero che il siriaco, il copto e l'etiopico sono le nuove lingue veicolari.

L'Occidente si chiude su se stesso. Nel 494 il Sacramentario Gelasiano: il canone romano assume la sua forma definitiva, e nascono gli "anatemata": Solo quello che è scritto in latino o greco è canonico.

Se guardiamo nel resto del mondo vediamo che:

- Giappone, Cina, India: da secoli vivono grandi civiltà. Nel V secolo c'è un forte rinascimento culturale e religioso. In India sono introdotti i numeri ed il sistema di calcolo, che ancora usiamo, centrato sullo "zero".

- La Persia Sasanide raggiunge una grande civiltà.

- Egitto, Arabia, Palestina, Siria, Mesopotamia sono nodi fondamentali e cosmopoliti della direttrice terrestre delle vie commerciali, della seta e delle spezie. Le comunità monastiche cristiane (laiche) si inseriscono su comunità monastiche precristiane.

- L'Etiopia è un nodo fondamentale e cosmopolita della direttrice marittima delle vie commerciali, della seta e delle spezie. Dal 372 rapida cristianizzazione direttamente dalla Palestina. Le comunità monastiche cristiane (laiche) si inseriscono su comunità monastiche precristiane.

- In Francia, dal II secolo, tante correnti diverse di monachesimo, "ovviamente orientali". S. Ilario e S.Martino di Tours. St.Thierry, I monaci di Lérins e del Giura.

- In Irlanda si sviluppa il monachesimo.

- Nella penisola Iberica la cultura celtica, si collega con l'Asia e l'Africa

- In Umbria si insediano (per testimonianza di Gregorio Magno) monaci Siriaci.

- A Roma affluiscono le altre culture, anche cristiane: la chiesa di santo Stefano Rotondo.

- Dal 568 I longobardi in Italia: popolazione germanica del nord, ariana. Presto cristianizzata e fanaticamente religiosa

- Dal 540 al 604 vive Gregorio Magno, che ridà centralità, almeno religiosa a Roma. Nasce il Monachesimo Occidentale.

- Nel 570 nasce Muhammad.

- Le Civiltà americane toccano il massimo splendore. La civiltà Maja al suo apogeo introduce lo "zero".

- Si rinnovano la "marcia sacra", i pellegrinaggi ai "luoghi" significativi , sottolineati dalle tombe dei santi.

LE QUATTRO STRADE DEL PELLEGRINAGGIO CRISTIANO

I "poli" del pellegrinaggio cristiano sono essenzialmente quattro, come i poli cardinali, come le quattro parti del mondo:

- La via di Cristo, a Gerusalemme,

-La via dell'angelo, a San Michele Arcangelo nel Gargano

- La via dell'uomo, a Roma.

- La via lattea, la via della stella, a Compostela.

Quella dei primi tempi del Medioevo occidentale è una cultura grandemente cosmopolita, anche perché è l'epoca delle grandi migrazioni, dei grandi movimenti di popolazioni nelle regioni fra il lontano Oriente e l'Europa.

Nel mondo cristiano, se infinite sono le "stazioni" (i centri del mondo, i santuari), i "poli" del pellegrinaggio, soprattutto a partire dal IX secolo, diventano essenzialmente quattro, come i poli cardinali, come le quattro parti del mondo. E quattro saranno i cammini del pellegrinaggio: la via di Cristo, a Gerusalemme, dove Cristo morì e risorse. La via dell'angelo, a San Michele Arcangelo nel Gargano, dove Cristo si manifestò risorto imprimendo nella pietra la propria impronta. Va ricordato che Michele significa, appunto: Come Dio. L'arcangelo Michele è segno del Cristo risorto. La via dell'uomo a Roma, il presente, il cristianesimo occidentale, l'esperienza individuale, la sede di Pietro, che diventerà il primato della gerarchia. La via lattea, la via della stella, a Compostela, la pluralità delle culture e delle etnie, i confini del mondo, la progettualità rivolta al futuro, la trasposizione collettiva delle esperienze individuali, l'esaltazione dello Spirito, la rottura che Cristo opera nel sacerdotalismo ebraico, non certo per inaugurare una nuova gerarchia, ma per rivendicare la libertà dei figli di Dio.

Sappiamo bene che San Francesco (che non a caso manifesta una visione sistemica del creato) cercò di raggiungere tutte e quattro le mete del pellegrinaggio. Non è vero, dunque, nel mondo dell'Occidente cristiano, che tutti i pellegrini vengono a Roma, che, l'unica esperienza del Cammino è la "peregrinatio ad Sancti Petri sedem", come vorrà poi Bonifacio VIII, quando sacralizzerà tra i tanti percorsi dei pellegrinaggi solo quello che porta a Roma, alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo.

Naturalmente le strade dei pellegrinaggi si intrecciano nell'Europa centrale e nella Francia, dando vita ad alcuni dei grandi centri del pellegrinaggio. Non si raggiunge una città percorrendo "la via retta", ma operando deviazioni, ritorni, soste anche molto prolungate. E la Francia rimane al centro, come era stata al centro dell'evoluzione umana in Europa. Sono migliaia, non possiamo ricordarli tutti. Ma la Maddalena di Vezelay con la sua pietra aniconica, Le Puy con la sua pietra nera, Bruges, con le sue colonne imponent, Poitirs, con il suo battistero forse il più antico edificio cristiano d'Europa, non possono essere dimenticati.

GERUSALEMME. LA VIA DI CRISTO

Gerusalemme è uno dei centri del mondo. La Bibbia ricorda: "Tu beata Gerusalemme che sei nel palmo della mano di Dio". Come indicano bene i mosaici di Madaba, Gerusalemme sorge su tre colli. La benedizione apocalittica si conferisce unendo il pollice con l'anulare (come ricordano tanti mosaici). Le dita unite delimitano un cerchio (la perfezione cosmica). Le altre tre dita definiscono la la configurazione in terra , nell'ambiente naturale, della città celeste.

Tutti gli ebrei adulti, da qualunque parte del mondo, si recavano da tempo antichissimo a Gerusalemme per mangiare la Pasqua.

Per i musulmani da Gerusalemme, dalla roccia sulla spianata del tempio, si avvia con l'arcangelo Gabriele, il viaggio di Muhammad.

Non vanno dimenticate due testimonianze precise del pellegrinaggio cristiano a Gerusalemme. Non bisogna meravigliarsi se i cristiani prendono quella che sarà denominata la "Via di Cristo". Va ricordato il Codex Burdigalense del 333, che testimonia un viaggio da Bordeaux a Gerusalemme e ritorno. Da Bordeaux il pellegrino va ad Arles, traversa il Moncenisio, va fino ad Aquileia, qui entra nei paesi slavi e nei Balcani, visita Costantinopoli, attraversa la Turchia e la Siria (Antiochia), arriva a Gerusalemme. E poi torna per mare. Vediamo il pellegrino sbarcare da Otranto e poi è a Rimini. Riprende la strada per la Francia. Non passa per Roma.

E poi straordinaria è la testimonianza di Egeria, una donna forse della Galizia (che sconvolge le conoscenze sulla cultura dei primi secoli, anche sul ruolo delle donne, con il suo diario di viaggio incompleto e redatto forse tra il 380 ed il 383, o forse qualche anno più tardi, ma entro il 417), che dall'estremo occidente della Penisola Iberica (proprio dalla regione del capo finis terrae), va in Egitto, nel Sinai, nella Terra Santa, in Anatolia, in Mesopotamia, ed assiste, descrivendola, alla liturgia cristiana di Gerusalemme. Da Costantinopoli a Costantinopoli il suo viaggio è di oltre 5000 chilometri.

Nel suo diario di viaggio (un testo privo di ogni elemento classico!) non si scorge mai la tendenza ad una razionalizzazione astratta, ma la curiosità, il voler sapere, il voler toccare con mano (proprio come il bambino del capitello di Autun), il voler compiere fisicamente il cammino.

SAN MICHELE ARCANGELO. LA VIA DELL'ANGELO

Una grotta su un monte è ancora una volta un punto di arrivo ed un punto di partenza (come lo erano le montagne di San Michele in Cornovaglia ed in Normandia o Le Puy in Alvergna o Vezelay, con la sua pietra aniconica, in Borgogna). Il Gargano è il monte sacro. E' un altro centro del mondo fin dalla più remota antichità. Fu anche un centro mitraico, prima che i Longobardi ne facciano, già nel VI secolo, il terminale delle popolazioni che dalle steppe, dall'Asia centrale si sono ormai insediate in Europa.

Dalla sacra montagna del Gargano si vedono i percorsi per terra e per mare che portano a Gerusalemme.

Dei quattro percorsi quello di san Michele (e san Michele, va ricordato, è "segno" di Cristo risorto) è certamente il meno studiato ed il più singolare perché si intreccia con gli altri e sostituisce, nell'Universo Mondo, un Cammino circolare, labintico ad un Cammino lineare. MÎ CA EL - CHI COME DIO. E non a caso il cammino di San Michele Arcangelo si snoderà attraverso il Brennero e la Val Pusteria, ma anche dall'Irlanda, alla Cornovaglia, alla Bretagna, la Borgogna e l'Alvernia, il Moncenisio, il San Bernardo, il Gottardo.

Dal Gargano si raggiunge Gerusalemme, la città che, come ricordano i mosaici di Madaba, ha una struttura ternaria e che ha nelle grandi Moschee e nella pietra della spianata del tempio i punti caratterizzanti. Il pellegrinaggio cristiano si collega con il pellegrinaggio degli ebrei e con quello dei musulmani.

Il cammino di san Michele Arcangelo, con molte diramazioni e variabili, spesso si intreccia con gli altri Cammini, come capita a quello di Santiago, è il più complesso ed attraversa tutta l'Europa. Nasce in Irlanda, si definisce in Cornovaglia, nel santuario di san Michele, che diventa un'isola durante l'alta marea. Si sviluppa in Normandia, in un luogo "naturalmente" analogo, in una regione dove numerose sono le "pietre" preistoriche. Comincia ad intrecciarsi con il Cammino di Santiago e si sviluppa nella Francia centrale, in Alvergna, nei punti nodali dei percorsi che dal Nord, dalla Scandinavia, dall'Europa centrale ed orientale, dai Paesi Slavi (percorsi che conosciamo molto poco) portano a Santiago. Si identifica con il Cammino di Santiago. Ma si identifica anche con il Cammino verso Roma. Anche con le varianti, importantissime, che provengonodal mondo alemmanno e dall'Asia Centrale ed accedono in Italia attraverso il Brennero e la Val Pusteria. Un Cammino che si prolunga verso il sud d'Italia e che si conclude nel punto di convergenza di molti percorsi e di tratturi antichissimi in una grotta sulla montagna del Gargano, in luogo sacrale anch'esso antichissimo come attesta il culto della pietra (non sono stati mai studiati in modo significativo i menhir) ed i dolmen della Puglia) e che viene ad assumere un nuovo significato sacrale e politico con i Longobardi.

ROMA. LA VIA DELL'UOMO

Tutto fa pensare che Roma, diventata con Augusto una città imperiale, diventi anche il centro dell'Orbe, il punto di riferimento per genti di tutte le razze, di tutte le culture, di tutte le religioni.

Il "guado" sul Tevere a Roma congiunge i popoli che vengono dal mare e dal nord con i popoli del centro e del Sud. Anche Roma è un centro del mondo, è uno dei luoghi del pellegrinaggio e un luogo di incontro delle culture.

Dal X al XVII secolo secolo l'isola Tiberina sarà detta "Isola Licaonia" non solo perchè lì è la tomba di Bartolomeo, che evangelizò la Licaonia, ma perchè quella regione è il "guado" tra Oriente ed Occidente.

Marc'Aurelio (già convinto che tutti gli uomini appartengano ad una stessa razza e che abbiano uguale dignità) aveva aperto ancor più Roma a tutte le scuole filosofiche e religiose, per favorire un confronto universale. Dopo la decadenza tardo antica, questo carattere multiculturale rimane vivo anche quando a Roma trionfa, con il cristianesimo, e con l'intolleranza cristiana, un solo credo religioso, al punto che già nell'VIII secolo, si consolidano le Scholae peregrinorum, le colonie straniere. Ci sono i Sassoni, i Frisoni, i Franchi, i Longobardi, gli Angli, gli Alamanni, i Burgundi, i Bavari, ecc.

Roma, in varie epoche, è vista come un microcosmo, come il segno dell'universo mondo, la sintesi di tutte le culture, le etnie, le religioni. Il monoteismo cristiano è refrattario ad ogni sincretismo, ma, nel primo Millennio, anche all'integralismo, e non è riducibile ad una sola razza e si estende a tutto il mondo abitato (per universum mundum) e non solo nell'orbita del mondo ellenistico (per omnes gentes). Il cristianesimo, in Occidente, è erede del mondo romano che non temeva il popolo (pauperes) e rispettava la sua cultura ed i suoi costumi, ma i grandi (potentes). E' quantomai credibile che la cultura presente a Roma, almeno fino al 1300, sia estremamente cosmopolita e che Roma, fin dalle iniziative di Gregorio Magno per definire un monachesimo occidentale, recuperi il suo ruolo, non più politico, di centro non di irradiazione, ma confluenza dell'Orbe.

La cultura occidentale è sempre stata segnata dal logocentrismo e dall'individualismo di tradizione greca. Questo genio religioso dell'Occidente condiziona la maniera occidentale di essere cristiani, e noi possiamo esservi fedeli, ma non possiamo imporlo agli altri. Quale diritto si ha di imporre agli altri il proprio modo di accogliere Cristo? Se fu detta romanum ordinem (Gregorio VII) e pace romana ( Mussolini) la ricerca del dominio-possesso dei potentes, la ricerca del carattere cosmopolita della cultura presente nei secoli a Roma, può far acquisire un nuovo significato nella ricerca della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato per "tutti gli uomini che Dio ama". La Chiesa, ricorda Pietro Rossano, vescovo ausiliare a Roma, ("Vangelo e cultura", Roma 1985) non ha alcun motivo di temere la diversità delle culture, poiché anche questo fa parte dell' uomo tale e quale è uscito dalle mai di Dio. Quando si dice che l' uomo è immagine di Dio, si intende l' uomo nella totalità delle sue diversità, l' umanità in totale. L' uomo "è un essere che si fa, che non cessa di esprimersi e darsi un nome, e questo sviluppo, alle cui radici sta la libertà, si chiama «cultura», e si differenzia dalla «natura». Ogni uomo quindi produce cultura, vive di cultura e tende alla cultura, la domanda di cultura scaturisce dall' intimo dell' uomo. Ciascuno possiede una filosofia spontanea, elementare, in base alla quale si colloca e agisce nella vita. Ma una persona è «colta» quando si è coltivata, ha saputo scegliere tra gli elementi diversi che le offrono la storia e la società in cui vive, e ne ha fatto una sintesi personale. Ne sono esempi ragguardevoli l' infermiera, l' insegnante, l' operatore sociale, il professionista, l' operaio, l' agricoltore, la madre di famiglia, che sono capaci di di dare un significato compiuto all' impegno di ogni giorno ed hanno acquisito la capacità di riferirsi al tutto nel frammento in cui vivono. Esistono, quindi, tante forme di cultura, quanti sono i modi della vita, le scale di valori, gli ideali, le norme, le tradizioni che regolano la vita dei singoli, dei gruppi umani, dei popoli. Il nostro umanesimo occidentale ha un carattere circoscritto, in quanto non esaurisce né assomma i canoni di tutta l'umanità, passata e presente".

La Evangelii Nuntiandi ricorda che «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» e sottolinea la necessità che il cristiano dovrà mettersi allascolto delle culture, per apprendere altre verità che sono state scoperte ed elaborate nel corso dei secoli. La Gaudium et Spes riaffermava la giusta libertà di ricercare, di pensare, di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti. (GS 62g). I diffusori di cultura, nell'ambito della Scuola e dei mass-media, ricorda Pietro Rossano, offrono agli uomini che si trovano alla base i mezzi perché si facciano una cultura, ma, se è vero che le nozioni devono essere impartite, è altrettanto vero che devessere sollecitato il modo di rapportarle alla vita. Insomma, le strutture della comunicazione e dell'educazione devono fornire informazioni giuste e stimoli proporzionati alle capacità assimilitative degli altri. Ogni elemento culturale che viene proposto ad una persona, ne altera lordine spirituale e provoca una sintesi nuova. Grande imperativo per ogni uomo sarà quindi di fare ogni sforzo per darsi una cultura, perché è mediante la cultura che forma se stesso, cioè mediante quello che coltiva dentro di sé e viene poi ad esprimere nelle azioni.Nel cristianesimo il grande principio che tende a permeare la cultura è quello dell' incarnazione, ossia dell' avvicinamento del Verbo divino alle realtà della vita umana, per compenetrarle ed elevarle all' armonia della riconciliazione e della comunione con Dio e con gli uomini: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). «Se Dio ha così amato noi, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Valori presenti nelle culture del mondo: la pace, la bellezza, la conoscenza, la libertà, la verità, la prosperità, la giustizia, l' autonomia, la benevolenza, la fortezza, il dominio di sé, il progresso, il distacco dalle cose terrene, il lavoro, la solidarietà, la memoria del passato, la contemplazione, l' ascesi, la prestanza fisica, la fecondità, il potere, la gloria, l' amor di patria, l' ospitalità, il rispetto per gli anziani, il vincolo con gli antenati, la ritualità, la percezione del sacro, la preghiera, l' amore di Dio.

Se questi punti di riferimento devono valere per la Chiesa, figuriamoci quale importanza dovrebbero avere per uno Stato e per le sue strutture sclastiche, culturali e comunicative, dove invece la tendenza è quella dell'omologazione, della mercificazione e dell'imbonimento delle coscienze. A questo punto ci possiamo fare alcune domande:

1) Il cristianesimo a Roma fu introdotto da Pietro o da Paolo? Poco verosimile: Pietro e Paolo trovarono a Roma comunità cristiane non numerose, ma già fiorenti, e fortemente diversificate per etnia e per cultura.

2) Il cristianesimo a Roma fu introdotto e si diffuse attraverso le comunità giudaiche e quali? E' giusto pensarlo, ma non è sufficiente. La situazione multiculturale e multireligiosa (soprattutto le attese del "sacro") è molto più complessa di quello che crediamo.

3) Esistono (e sono presenti anche a Roma) attese e pratiche religiose, oltre a quelle delle comunità giudaiche, sulle quali il cristianesimo si inserisce «naturalmente».

A Roma, dal I al IV secolo d.C., oltre a consistenti testimonianze della religione romana, ci sono ragionevoli elementi per credere che esistessero ancora tracce delle antiche religioni, e che fossero professati, in maggiore o minore misura, tanti culti. Tutta questa questa enorme ricchezza multireligiosa e multiculturale viene linquidata con il termine spregiativo di "pagani". Elenchiamo alcune di queste ricchezze ben sapendo di fare un elenco deficitario:

1) i culti di:

- Adone (Siria e regioni della Mesopotamia e della Persia. Il dramma annuale della Natura. A Roma al Gianicolo c'è un tempio alla dea Sira, con opere del I, del II e del IV secolo).

- Attis e Cibele (Magna Mater). Originario dell'altopiano anatolico nell'Asia Minore, il cui vede come protagonista La grande Madre, come personificazione della Natura fertile e feconda. La distinzione tra i sessi è provvisoria. La nascita e la morte sono due aspetti della medesima idea. Attis è figlio e sposo di Cibele. Si evira: Muore e risorge. E' la natura.

- Mithra (dalla Persia, divinità della luce, protettore della vegetazione. L'uccisione del toro che feconda la terra, la caverna, l'iniziazione, l'albero. Culto molto diffuso in Europa).

- Iside e Osiride (valore naturalistico-agrario di origine Egiziana, presente, con i luoghi di culto -gli isei- a Roma già nel 105 a.C. e fino al IV secolo. Molto diffusa a Roma, specialmente tra i militari).

- i culti Orfici (si sviluppano nel VI secolo a.C., un secolo molto importante perché nascono molte religioni in ogni parte del mondo, soprattutto in Oriente. E' una sistemazione teologica dei misteri di Dioniso, che pone l'attenzione sul sacrifico primordiale, che è un odioso deicidio. E' l'esperienza religiosa greca più alta: ai culti orfici si collegano altri misteri.

2) i misteri, in particolare:

- Dionisiaci (originarie dalla Tracia, feste agrarie e mistiche (segrete) di fertilità della vegetazione e del bestiame a vantaggio della comunità. Il culto è suscettibile di un'evoluzione religiosa, che raggiunge nel santuario di Delfi, dove si passa dalla divinazione magica, alla rivelazione estatica ed all'unione mistica ttraverso il sacrificio).

- Eleusini (riti nuziali magico-agrari mistici , segreti, che si svolgono sotto il controllo dello Stato e mirano non alla salvezza, ma ad una immortalità beata. Ai misteri Eleusini se ne legano altri, ad esempio quelli di Samotracia).

3) le religioni: - arabe - dell'Asia (Brahmanesimo, Buddhismo, Giainismo, Induismo, Taoismo, Vedismo) - di Axum - degli Aramei - dei Baschi - dei Cananei - celtica - dei cinesi (Confucio) - cristiana - degli Elamiti - ellenistiche - dei Frigi - dei Germani - giudaica - dei Manichei (dal IV secolo)- dei popoli della Mesopotamia - dei Nabatei- di Palmira - della Persia - della Siria - degli Slavi - zoroastriana.

Soprattutto a partire dal II secolo esistono varie correnti dette in modo onnicomprensivo "gnostiche" (ma in realtà molto differenti e spesso legate a culture tra di loro alternative), che intervengono in vario modo sul cristianesimo, sul giudaismo e sulle religioni ellenistiche. I confini tra i vari culti (che si confondevano, interagivano e si integravano) erano spesso sottilissimi, al punto che esistevano edifici pluriculto.

Nel III secolo, a testimonianza che molti culti si confondono, si sviluppa il manicheismo, una religione orientale: c'è la fusione di elementi cristiani e di elementi zoroastriani. Ed anche il nestorianesimo (nel V secolo) dovette avere molti elementi sincretistici e molte possibilità di adattamento a culture decisamente orientali se riesce rapidamente a diffondersi fin nella lontana Cina.

Possibile che tutto si riduca alla discussione, sul mondo ellenistico? Possibile che i testi conservati siano gli unici? E le religioni dell'Oriente (India, Cina, Giappone) e Muhammad e l'Islamismo? L' Islam: da più d'uno è inteso come un adattamento in chiave araba della religione cristiana e giudaica, ormai troppo occidentalizzata. Un problema che si ripete.

San Pietro tra il 41 ed il 44 d.C. è imprigionato a Gerusalemme e fugge dal carcere. Non sentendosi più al sicuro «se ne andò in altro luogo» (Atti degli Apostoli 12,17). Dove? Forse a Roma (ma non in epoca così antica), dove c'era una fiorente e composita comunità giudaica (oltre 30.000 persone), organizzata in comunità autonome (Synagoghe). Provenivano dalla Palestina, ma anche da altre parti del Mediterraneo. Agli inizi del I secolo la comunità giudaica residente in Palestina costituiva non più di un 10% delle comunità giudaiche sparse per il mondo. Secondo gli Atti (2,10) tra gli ascoltatori di Pietro a Gerusalemme durante il primo discorso la mattina di Pentecoste c'erano pure degli «stranieri romani». Tra i primi cristiani molti sono gli ebrei, ma anche molti sono i soldati, quindi gente di molte etnie, di molte culture e di molte religioni.

Il cristianesimo a Roma non assumerà caratteri romani, anche perché si diffonde in alcuni ambienti multietnici, vedi i militari e, attraverso essi, nello stesso palazzo imperiale. Assume subito, addirittura prima della venuta di Paolo e Pietro, caratteristiche molto composite. Sul colle Celio, dove esistevano molte caserme dei soldati "romani", c'erano edifici di culto misti, un mithreo, un tempio di Cerere ed Attis, un luogo di culto di Iside. I "movimenti" cristiani che si stavano diffondendo tra il I ed il IV secolo erano molto differenziati, spesso organizzati gli uni contro gli altri. Basterebbe guardare a quello che succede per l'elezione dei papi o con la nascita delle cosiddette "eresie".

Solo nel IV secolo troveremo luoghi di culto cristiani che assumono subito un ruolo amministrativo e di centri depositari della "vera" tradizione. E' col IV e V secolo che Roma ridiventa una città marginale nell'impero. Non attira più nuovi abitanti, né soldati, né mercanti, né ambasciatori o viaggiatori. Roma attinge allora alla sua cultura romana. La stessa cosa avviene per il Mediterraneo che, da strada internazionale, diventa una strada greco-romana. Questo può spiegare il decreto Gelasiano che nel V secolo, quando la lingua veicolare del mondo ellenistico non è più il greco, ma il siriaco, a testimoniare che il "centro del mondo" si è ormai spostato.

Vengono riconosciuti come canonici solo i testi scritti in greco; tutti gli altri sono "apocrifi". Viene conservata solo la tradizione latino-greca, anche perché è necessario semplificare. L'iniziazione (accanto a forme religiose "rituali" e codificate, esistevano tante interpretazioni quante erano le "inculturazioni", le esperienze di coloro che venivano iniziati) viene sostituita nel IV secolo dai dogmi. E' allora che si forma la Chiesa Latina, ma è già passato molto tempo dall'Incarnazione di Cristo. Gli stessi Vangeli canonici bene chiariscono nelle loro diversità, le diverse tradizioni mistiche delle comunità e le diverse inculturazioni del messaggio cristiano.

L'iniziazione nel mondo occidentale (seguendo l'individualismo della tradizione greca) è individuale. L'iniziazione cristiana (seguendo il comunitarismo della cultura orientale) è, invece un avvenimento popolare. Il Cristo storico è un ebreo palestinese. E la religione giudaica è una religione nazionale. Il cristianesimo è una religione trans-nazionale, nella quale il regno di Dio si manifesta indipendentemente dalle cerimonie esteriori dei gesti e dei misteri. Questo spiega perché per i primi quattro secoli i cristiani non hanno né luoghi di culto, né altari sacrificali.

SANTIAGO DE COMPOSTELA. LA VIA LATTEA, LA VIA DELLA STELLA. LA TRASPOSIZIONE COLLETIVA DELLE ESPERIENZE INDIVIDUALI.

"in modo stretto non s'intende pellegrino

se non chi va verso la casa di sa' Iacopo"

(Dante, Vita Nuova, XL, 7,)

Il cammino di Santiago rimarrà il percorso più spirituale. Va tra l'altro ricordato l'anno santo compostelano è celebrato negli anni in cui la festa di Giacomo (il 25 luglio) cade di domenica. E' il viaggio verso Finisterre, verso l'Oceano, verso l'estremo occidente, verso l'ignoto e la scoperta (e si tratta di un Cammino percorso fin dai tempi preistorici), verso la quarta parte del mondo, alla ricerca del completamento della terra nota agli Occidentali

Il "sito" di Compostela (cristianizzato dalla "scoperta" dei resti dell'apostolo Santiago nell'812-14) è fin dalla più remota antichità, un luogo sacro, uno dei tanti centri del mondo, dove umano e divino, vita e morte, terra e cielo si "confondono", dove nasce, per dirla con San Paolo, una "creazione nuova". E' il "luogo" dove il sole si immerge nel nostro mondo, dove, penetrandola, vene a fertilizzare la Terra, trasmettendole la propria forza vitale. In quelle terre, secondo la tradizione, fu sepolto Ercole. Da quelle terre partì Cristoforo Colombo, alla ricerca di quella parte di mondo, che nei mappamondi medievali, veniva descritta come "una quarte parte, al di là dell'Oceano, che non ci è nota a causa del calore del sole e che si favoleggia abitata dagli Antipodi".

Compostela diventerà il più celebre tra i luoghi cristiani di pellegrinaggio (Dante ricorda nella Vita Nuova, XL, 7, che "in modo stretto non s'intende pellegrino se non chi va verso la casa di sa' Iacopo o riede") e il Cammino di Santiago, ai confini dell'Occidente, percorso dalle etnie e dalle culture più diverse, rimarrà il percorso più spirituale. La strada per Santiago è la strada della civilizzazione europea. Viene dall'oriente, tocca in Francia le tombe degli amici di Gesù (Vezelay, Autun), i luoghi sacri dei celti e infiniti luoghi del pellegrinaggio che vorrei riassumere con Poitiers (forse il battistero è la più antica architettura cristiana di Francia), Moissac, alla confluenza del Tarn con la Garonne, che richiama il profondo significato di Cristo, unico sacerdote, con San Juan de la Peña (una chiesa realizzata in una grande grotta, con l'elemento centrale della liturgia costituito una lingua di stallattite, riflettente come i fiumi dell'Apocalisse), San Salvador de Valdedios, le chiese di Oviedo, San Juan en Baños de Cerrato e San Pedro de la Nave, la chiesa del VII secolo che testimonia la circolazione europea dei Vangeli di Filippo e di Tommaso. I due apostoli, dai capitelli centrali, si confrontano con Pietro e Paolo. Va ricordato che già del Vangelo di Giovanni il ruolo di Filippo e Tommaso è prevalente rispetto a quello di Pietro.

Il pellegrinaggio europeo acquisisce forme nuove nel VII-VIII secolo (quando la religione cristiana, occidentalizzata, ha ormai preso sostanzialmente l'egemonia e, non a caso, per reazione al sapere concettuale dei greci, nasce l'islamismo), ed infine dal IX secolo, in età carolingia, quando assume precise e definitive connotazioni politiche. José Luis Barreiro Rivas, nel bel libro, "La función política de los caminos de peregrinación en la Europa Medieval. Estudio del camino de Santiago", Madrid 1997, ricorda la "centralidad de Roma, sin Roma", l' "invenzione" della tomba di san Giacomo in coincidenza con la nascita dell'impero Carolingio, il significato di "tradución colectiva de las motivationes individuales" assunto dal pellegrinaggio ai confini del mondo.

Ed è proprio nella traduzione collettiva delle motivazioni individuali ed attraverso il pellegrinaggio "a la casa di Galizia, però che la sepoltura di sa' Iacopo fue più lontana de la sua patria che d'alcun altro apostolo" (Dante, Vita Nuova, XL, 7) che si definisce la coscienza e l'identità europea (molto composita).

E' vero che già nell'VIII secolo, si consolidano a Roma le Scholae peregrinorum, le colonie straniere che davano assistenza ai pellegrini. Ci sono i Sassoni, i Frisoni, i Franchi, i gli Angli, gli Alamanni, i Burgundi, i Bavari, Longobardi, ecc. Ma è anche vero che sono proprio dell'VIII secolo alcuni documenti che ricordano la "Dispersio Apostolorum", la pluralità delle culture del cristianesimo primitivo, la "missione" degli apostoli, dopo la Pentecoste, per "Universum Mundum" e non solo la "missione" di Pietro e Paolo "per omnes gentes", a Roma e nel mondo ellenistico greco e romano. L' Omelia dell'Anonimo cristiano arabo dell'VIII secolo, ricorda, nella bellissima traduzione di Maria Gallo: "Poi gli apostoli uscirono, si divisero tutto il mondo tra loro e annunciarono il Regno del Cielo e la penitenza nel nome del Messia...poveri, deboli, stranieri in mezzo agli uomini, senza beni di fortuna, senza potere in questo mondo, senza ricchezze da usare quali strumenti di corruzione, senza scienza, senza parentele di cui potersi vantare presso chiunque...non combatterono contro nessuno, non forzarono gli uomini...invitarono il popolo al Vangelo".

Allo stesso modo, il Commento all'Apocalisse del monaco Beato, scritto nella Penisola Iberica a metà dell'VIII secolo, ricorda: "Hi sunt duodecim Christi discipuli, praedicatores fidei, et doctores gentium. Qui cum omnes unum sint, singuli tamen eorum ad praedicandum in mundo sortes propria acceperunt".

E' la prima volta, tra i testi arrivati fino a noi, che Giacomo viene associato alla Spagna.

DAL PELLEGRINAGGIO PER UNIVERSUM MUNDUM ALL'ANNO SANTO ROMANO.

E' certamente interessante vedere come, nella tradizione del cristianesimo occidentale, nasca il primo anno santo del 1300, un fatto politico che conclude un lungo impegno a ricondurre tutte le espressioni di religiosità, tutte le manifestazioni del sacro, all' ordo romanus, ad una teologia rituale e strutturata, a stati passivi e rituali, ad una funzione politica. Roma, diventa la Nuova Gerusalemme, ed assume un andamento ternario: le basiliche di san Pietro e di san Paolo, con la cattedrale di San Giovanni. Ma vuole anche "rappresentare" il mondo. La cattedrale di Roma deve diventare il centro del mondo. Ed ecco la struttura quaternaria (con l'aggiunta di Santa Maria Maggiore). Ecco le altre basiliche minori (a cominciare da Santa Maria in Trastevere) che consentono a San Giovanni di collocarsi al centro dei percorsi di pellegrinaggio a Roma.

Persino Dante, preso dalle lotte politiche della sua epoca, ignora la tradizione della "Dispersio Apostolorum" ed è partecipe di questa dimensione politica di romanità. "Chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi romei, in quanto vanno a Roma". I "romei", da una radice greca, sono quelli che viaggiano e poi come "romei" si identificano i pellegrini latini che si recano in Terrasanta.

Se Gerusalemme e Santiago sono mete "lontane" per cultura e significati e difficilmente raggiungibili, la grotta di San Michele e la montagna del Gargano (non la tomba di un Apostolo, ma direttamente il segno della resurrezione di Cristo) rappresentano tuttavia un ponte con il passato sacrale della Puglia, la porta con l'Oriente, con l'Asia, con il Mediterraneo ed il terminale di un "cammino" che lega queste terre all'Europa. Non a caso proprio in quei luoghi si manifestano i primi segni della cultura romanica europea. Il Gargano è un terminale capace di annullare le pretese di Roma. Particolare attenzione sarà messa nei secoli, e dura tuttora, per minimizzarne il ruolo. Si allungherà il percorso fino a Bari (le spoglie di san Nicola vengono acquistate e trafugate in Asia Minore). A Bari si contrappone Trani, che si crea il suo san Nicola pellegrino. Federico II (Svevo, che guardava all'Africa), cerca di determinare un nuovo "polo" in Puglia, Castel Del Monte, un segno riassuntivo di una società multiculturale, multietnica e multireligiosa del linguaggio universale, della mente globale, delle conoscenze scientifiche che si andavano formando da contrapporre a Roma.

Ma non basta a frenare le mire del papa di Roma, che fin dalla metà dell'XI secolo (Gregorio VII), cerca di ricondurre all'ordo romanus, ad una teologia rituale e strutturata, ad una funzione politica, tutte le manifestazioni del sacro. Innocenzo II, papa romano della famiglia Papareschi, nei mosaici che farà realizzare nell'abside di santa Maria in Trastevere, fisserà questo progetto che tende a ribadire l'origine romana della Chiesa ed il ruolo di Pietro e dei suoi successori: sono rappresentati lo stesso Innocenzo, il diacono Lorenzo, papa Callisto, l'Apostolo Pietro, papa Giulio, il presbitero Calepodio. E poi Cristo che intronizza la Madre. Alla fine del XIII secolo, Bonifacio, ha partita vinta, nel riaffermare la centralità del papato, legando le indulgenze (che derivano da meriti riconosciuti dall'autorità, non dalle esperienze individuali e sociali) al percorso di pellegrinaggio. Il polo del Gargano, frantumato attraverso le vicende succedutesi per quasi tre secoli, viene portato ad identificarsi con Roma, con la sede di Pietro e delle tombe di san Pietro e di san Paolo. Questo avviene proprio quando la Cattedrale dei santi Giovanni, un "centro" molto ricco di significati simbolici, viene abbandonata, a vantaggio della basilica di san Pietro, per identificare il papa con Pietro e rivendicarne il primato. Quando la stessa sede del papa viene temporaneamente trasferita ad Avignone, è chiaro fino in fondo che il significato di Roma è solo allegorico, pedagogico, descrittivo del ruolo del successore di Pietro. Nel papato avignonese si verifica la centralità di Roma senza Roma.

Non va dimenticato il bel libro (metodologicamente molto interessante) di José Luis Barreiro Rivas "La función política de los caminos de peregrinación en la Europa Medieval. Estudio del camino de Santiago", Madrid 1997. José Luis Barreiro Rivas propone robuste riflessioni in vista delle celebrazione del Año Santo Compostelano, l'ultimo di questo Millennio, nel prossimo anno 1999. La "centralidad de Roma, sin Roma", la "doctrina de Beato de Liébana", l'invenzione della tomba di san Giacomo in coincidenza con la nascita dell'impero Carolingio, il significato di "tradución colectiva de las motivationes individuales" assunto dal pellegrinaggio ai confini del mondo: sono questi alcuni elementi fondamentali per capire nella sua complessità il pellegrinaggio cristiano medievale, ed in particolare della funzione del Cammino a Santiago.

Il Cammino a Santiago lasciò le orme più profonde, come nota José Luis Barreiro Rivas, sopra la trama politica, economica e culturale dell'Occidente.

Il pellegrinaggio a Roma non fu quello che attrasse maggiormente i pellegrini per il suo carattere sacro ed anzi, potrei aggiungere, rappresentò la «traduzione individuale delle motivazioni collettive». La "peregrinatio ad Petri Sedem" se non non è l'unico ed il più importante, non è neppure un "pellegrinaggio". Servì sostanzialmente a definire il primato «politico» del cattolicesimo romano e del papa di Roma, ed a caratterizzare i destini dell'Europa negli ultimi settecento anni. Non è un caso se l' "Anno Santo Romano" del 1950 ebbe un ruolo così determinante nel clima della guerra fredda e se l'Anno Santo del 2000 è preparato (anche dal mondo amministrativo romano e politico italiano) con tanta enfasi, con tanta manipolazione della storia e tante omissioni sul profondo ruolo sacrale che ebbero, anche nel mondo cristiano ed occidentale, i pellegrinaggi ai quattro angoli del mondo.

Gerusalemme va sempre più assumendo il ruolo di città martire. Sacra alle tre grandi religioni che si riconoscono nel patriarca Abramo, e ad una miriade di confessioni spesso in lotta tra di loro, troverà forse la pace in un internazionalismo eclettico e sincretico. Santiago, che celebra l'Anno Santo Compostelano, rimane il centro delle ansie, delle gioie, delle attese dell'uomo. Si ricollega alla tradizione della Penisola Iberica che (come mostra l'esperienza mozarabica) sa sintetizzare le culture più diverse e lontane, legandole alle manifestazioni naturali: valgano tra gli altri, gli esempi di san Juan del Peña, Covadonga, Finisterre. Di san Michele Arcangelo si manipola e si cancella la storia. Ancora oggi il monte del Gargano rimane uno dei punti forti del pellegrinaggio, ma la grotta di san Michele è sostituita dalla tomba di padre Pio, a san Giovanni Rotondo.

Che sia quello di san Michele il «sito» che impensierisce di più Roma? Non a caso la beatificazione di padre Pio preparta l'Anno Santo Romano.

La "ricerca" comunitaria della pace nel sistema della natura è sempre più limitata alla visita rituale della tomba di San Pietro ed alla conseguente concessione delle indulgenze individuali da parte del papa, suo successore. La concessione delle indulgenze viene sacralizzata nel giubileo, nell'Anno Santo. Con il 1300 tutti i significati complessi della cristianità occidentale tutti i complessi significati di Roma saranno cancellati da Bonifacio VIII. A dare un'immagine di quello che accade basta guardare alle differenze sottolineate dall'eremo di Celestino V (ancora una esaltazione della pietra e delle moltitudini di persone che con canti, con grida, con colori, con danze portano al monaco la notizia dell'elezione) e dalla statua arnolfiana del sovrano Bonifacio VIII), che non a caso si affida ad un uomo di marketing di grandi capacità, a Giotto.

Se la bolla di indizione del primo giubileo preannuncia la Bolla Unam Sanctam, la Navicella (il mosaico di Giotto davanti al quale bisogna passare per raggiungere la tomba di Pietro) fissa le nuove regole.

Non più la barca, la chiesa come insieme dei salvati per la croce di Cristo, ma la barca, la chiesa come struttura di salvezza, alla quale si accede per concessione di Pietro e del suo successore: "sottostare al sommo romano pontefice è condizione necessaria di salvezza". Dal pellegrinaggio per universum mundum si è ormai passati all'anno santo romano.

IL PELLEGRINAGGIO A ROMA NELL'ETA' MODERNA. LA VISITA ALLE 7 CHIESE.

L'anno santo romano è un'esperienza radicalmente diversa da quella del pellegrinaggio, e la tradizione romana nel Cinquecento nella visita alle 7 chiese richiamò il desiderio di ripristinare il senso del pellegrinaggio, della cerca, DELLA RICONCILIZIONE, questa volta viaggiando in una sola città, che, però è vista come un microcosmo: le quattro basiliche maggiori e le tre minori: San Sebastiano sull'Appia Antica, Santa Croce in Gerusalemme e san Lorenzo al Verano. Nel Cinquecento riassume compiutamente questo significato: è segno dell'universo mondo. Una pianta del 1589 indica come Roma sintetizzi il mondo; le quattro parti, i punti cardinali: San Sebastiano a Oriente; San Pietro ad Occidente; Santa Maria Maggiore a Nord; San Paolo a Sud. Il centro è occupato dalla Basilica di San Giovanni. La chiesa dedicata al salvatore e dal VI secolo ai due Giovanni (il Battista, il passato e l'Evangelista il futuro), in cui cielo e terra si congiungono.

Ed in questo microcosmo l'uomo "cerca", "naviga", pensa, conosce, cammina con tutto il corpo, con tutti i sensi, con la mente, con il cervello, con gli occhi. La "cerca", come detto, è fisica, mentale, virtuale, e serve per raggiungere la "Scientia in vivo". la conoscenza concreta, evocando, trovando i "siti", i luoghi" dove l'uomo (nella sua individualità legata al sociale) attinge al patrimonio delle memorie e delle esperienze. E' in questo contesto che dopo il 1540 e negli anni successivi, Filippo Neri, volendo recuperare il senso dell'incontro con Cristo, come avveniva nelle prime comunità (non dimentichiamo che stimolò il Baronio a scrivere gli "Annali", la prima opera di storia della Chiesa) cominciò a fare, in solitudine, ed in più occasioni, un pellegrinaggio ai più importanti luoghi di culto, un itinerario nella storia della chiesa di Roma, con sosta privilegiata a San Sebastiano. Lì i cristiani avevano posto la prima memoria degli apostoli Pietro e Paolo. E lì Filippo matura il suo percorso spirituale con lunghe veglie notturne.

Il pellegrinaggio poi si struttura, diventa una marcia che copre un percorso di 16 miglia è inteso come un vero pellegrinaggio universale, come marcia sacra dentro una Roma intesa come microcosmo, come sintesi dell'universo mondo. Questo pellegrinaggio è detto "visita delle 7 chiese", ma in realtà si svolge attraverso tutta la città). Le quattro Basiliche Maggiori, sanPietro, san Paolo, san Giovanni, che riassume la sua funzione di centro del microcosmo, e santa Maria Maggiore, e le tre minori (san Sebastiano, santa Croce in Gerusalemme, san Lorenzo fuori le mura), definiscono i "luoghi" sacri delle 7 regioni anche religiose, romane. Il numero 7, i sette colli, i sette re, ecc,ecc, accompagna tutte le esperienze di una città sottolinea il suo ruolo non di irradiazione, ma di sintesi dell'Universo Mondo, in cui confluisce l'Universo Mondo. La visita individua le quattro parti del mondo, il presente ed il futuro, la storia dell'uomo con tutte le sue etnie, le sue razze e le sue religioni, il centro. Fondamentale, per ricordare il ruolo universale, era il passaggio del guado dell'isola Tiberina, l'isola Licaonia, e la sosta davanti alla chiesa di san Bartolomeo, l'apostolo, "misso", mandato fino in Licaonia, la porta tra Occidente ed Oriente.

LA VISITA ALLE 7 CHIESE, UN FATTO DI POPOLO, SI RIVESTE DI SIGNIFICATI NUOVI.

Le nuove sette chiese che dobbiamo imparare a vivere sono:

complessità; globalità e universalità della comunicazione; cambiamento e modernizzazione; attenzione al futuro; riconciliazione dell'uomo con l'ambiente; giustizia e pace: ridistribuzione delle risorse, dei poteri e dei saperi; pluralismo multiculturale, multietnico, multireligioso. Dignità, conoscenza, corresponsabilità, qualità della vita, della società e dell'ambiente possono sembrare parole in libertà. Sono un progetto, che deve svolgersi lungo queste linee di impegno.

CHI SONO I "POVERI"? CHE COS'È LA PACE?

Compito specifico del Vangelo è di trasformare non già le istituzioni, ma l'uomo e liberarlo dall'unica vera schiavitù che l'opprime, quella dell' egoismo e del peccato. Il vescovo Pietro Rossano (Vangelo e cultura, Ed. Paoline, Roma, 1985) ricordava che il cristiano cerca innanzitutto la pace. Cristo è la nostra pace (Ef.2,14). "Io lascio a voi la pace, do la mia pace" (Gv. 14, 27). Cristo risorto saluta gli apostoli, dicendo: "Pace a voi" (Gv. 20, 19-21). E la pace è effetto della giustizia (Is. 32,17). Fondamento della pace è Dio (Sap. 12, 15). La giustizia di Dio è manifestata in Cristo (Rom. 3, 21-22-23; 1Cor. 1,30 - 6,11; Gv. 11,15-21-23; 1Gv. 1, 8). La solidarietà è dunque non il fine dell'azione del cristiano, ma uno strumento per muovere verso la giustizia del Regno di Dio.

In questo contesto, la solidarietà è una parola vuota (cfr. Giacomo 2, 14) se non diventa partecipazione alla elaborazione di un progetto comunitario e solidale di cambiamento. Se è importante l'impegno individuale, determinante è quello comunitario . L'uomo, per sua natura, è sociale e piacque a Dio di riunire i credenti in Cristo per farne il popolo di Dio (cfr. 1Petr. 2, 5-10) e un unico corpo (cfr. 1 Cor.12,12). Molti storici concordano ormai sul fatto che il cristianesimo nascente era profondamente comunitario, ma, che in forza dell'inculturazione occidentale, si lasciò pervadere dall'intimismo. Al tempo stesso diventò prevalentemente autoritario ed accentratore in termini di esercizio del potere. Il "regno", quindi, si è trasformato in sinonimo dell'altro mondo, dell'aldilà; ha subito una profonda spiritualizzazione ed una completa depoliticizzazione.

Molti storici e teologi hanno sottolineato che il cristianesimo è un cristianesimo occidentale. Nei Primi Secoli, i popoli che si convertivano, contrariamente a quanto è avvenuto in epoca moderna, definivano un progetto culturale cristiano proprio. Non c'è un cristianesimo colonizzato che riproduce i modelli religiosi dei dominanti. Non si richiede una circoncisione culturale. Come i giudei non rifiutarono ciò che trovarono, così i neofiti cristiani non rifiutano ciò che trovarono. Non ci fu conversione con la mediazione delle culture delle élite. Il vangelo che venne a definirsi, non prese forma spoglio, ma sempre vestito culturalmente. Non c'è mai l'installazione di un modello prefabbricato di cristianesimo. Ci furono piuttosto mille mediazioni storico-culturali. I contenuti dottrinali venivano collocati nel quadro dei significati delle varie culture.

La liturgia ufficiale, ma si potrebbe dire meglio, l'impegno dei cristiani nel mondo, come oggi lo conosciamo, è fortemente segnato dall'esperienza occidentale, incline ad apprezzare più lo spirito che la materia. La versione occidentale del cristianesimo ha integrato scarsamente la soggettività umana, l'affetto, la corporeità, la femminilità e i meccanismi più snelli e più aperti della partecipazione alle decisioni circa le vie della fede nelle diverse situazioni della vita.

Da una parte grandi processi culturali che emergono un po' dovunque e dall'altra intere culture minacciate di distruzione o tenute nel silenzio; sono le culture delle popolazioni povere ed emarginate dai mezzi di comunicazione e di promozione della vita. Il i cattolicesimo romano ha resistito all'appello delle grandi culture specialmente dell'Oriente e fino ad oggi non ha saputo penetrarle in forma creativa.

A Pentecoste lo spirito non fece in modo che tutti parlassero la stessa lingua, ma che tutti nelle loro lingue udissero il messaggio di salvezza. Creare un'uniformità significherebbe la distruzione di una delle cose più preziose dell'umanità: la ricchezza delle diverse culture. La rivelazione e il vangelo sono stati codificati nelle culture giudeo-cristiane occidentali, ma Il vangelo non si identifica con le culture, ma si identifica nelle culture.

I processi fondamentali della vita contemporanea sono tutti sopra nazionali. Tutte le economie sono intrecciate tra di loro in un unico mercato competitivo internazionale, mentre - con i nuovi media (la nuova società viene definita delle Information & Communication Technologies) - assistiamo ad innovazioni organizzative e cambiano totalmente i processi produttivi, conoscitivi e comunicativi, che non sono assolutamente controllabili su scala nazionale.

RIFLESSIONI

1) i grandi cambiamenti e le parole nuove di cui dobbiamo imparare a capire fino in fondo il significato: la "globalizzazione"

2) gli schiavi non servono più. I ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.

3) la società è sempre più caratterizzata dalla diversità delle culture

4) «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca»

5) quale diritto si ha di imporre agli altri il proprio modo di accogliere Cristo?

6) l'inculturazione del Vangelo: il Vangelo non si identifica con le culture, ma si identifica nelle culture

7) culture dominanti e subculture popolari

8) quale diritto si ha di imporre agli altri la propria cultura ed il proprio modo di essere nel mondo?

9) la disfatta dei sistemi educativi: il sapere e il potere sono riservati a pochi

Dobbiamo tener conto di alcuni problemi che sono andati delineandosi con grande chiarezza su scala meta-nazionale.

a) i grandi cambiamenti e le parole nuove di cui dobbiamo imparare a capire fino in fondo il significato: la "globalizzazione".

b) cambia completamente la natura del lavoro: tipi di lavoro, occupazioni, modi di lavoro;

c) Solo una formazione ed un professionale esteso a tutti può tagliare le radici che portano all'esclusione di molti uomini e di molte donne;

d) cambiano completamente l'organizzazione dei "servizi" dati ai cittadini dalla pubblica amministrazione nazionale e cittadina.

e) le risorse delle comunità e del potere locale devono essere valorizzate, per rispondere alle spinte contemporanee e molto diverse sia verso la individualizzazione (cresce sempre più la marea di istanze autonomistiche) sia verso la centralizzazione (molte scelte economiche, sociali e politiche hanno una dimensione meta-nazionale, assolutamente incontrollabile su scala nazionale);

f) il futuro è progettato solo in chiave internazionale e nelle risposte alla sfida della globalizzazione i confini fisici convenzionali delle singole Nazioni vanno perdendo significato in termini di culture (anche economiche), di movimenti di denaro, di servizi, di produzione;

g) i gusti, e le differenze culturali, che, profondamente radicati nelle radici storiche, negli stili di vita, nelle lingue, nelle esperienze, non sono destinati a scomparire, ma si rafforzano;

h) la società complessa e multiculturale, l'inevitabile ricostruzione della universalità della comunicazione e della storia dell'uomo, il recupero dei linguaggi universali e della mente globale provocano una "mutazione antropologica" ed un "terremoto cognitivo" riguardo ai processi di apprendimento. Il concetto senza la percezione e l'analogia è vuoto. La percezione e l'analogia senza il concetto sono cieche. All'intelligenza si arriva per analogia, un processo intellettivo fondamentale, misterioso, legato alle culture "altre". Forse anche per questo la scienza occidentale ne ha sempre diffidato, come se vi si celasse la minaccia di una perdita di ragionamento e di potere.

i) cresce la condanna all'arretratezza ed alla povertà, che non riguarda più poche persone, ma molti cittadini. Aumentano le disuguaglianze e le sperequazioni sociali in termini di opportunità, di cultura, di reddito, di prospettive di vita "civile" e partecipata, di emarginazione e di esclusione sociale (non solo economica, ma di razza, nazionalità, religione, lingua, stili conoscitivi). Aumentano le «nuove disuguaglianze» e i «non cittadini».

l) la globalizzazione della competizione economia, della cultura, della società non può essere evitata e può favorire la nascita di tentazioni autoritarie, come il venir meno della stabilità, della sicurezza personale, della vita comunitaria e dell'integrazione e dell'impegno sociale, delle garanzie del welfare state (dello stato sociale), dei servizi pubblici, e la crescita della competizione e dell'individualismo rampante.

CHE COSA SUCCEDERÀ?

Si sta mettendo in moto un processo di profonda modificazione strutturale della società. In ogni caso molti prevedono che si avrà una progressiva riduzione degli occupati nellindustria manifatturiera, stimata nell'ordine del 20 % tra il 1990 ed il 2020.

La "globalizzazione" si fa sentire in tutti i campi della vita e sembra essere legata a nuovi tipi di esclusione sociale. Le persone che possiedono le abilità di cui c'è bisogno si vedono riconosciuto uno stipendio apprezzabile, ma molte altre, che pure in passato godevano di un salario ragionevole, ora non possono contare che su un reddito misero e spesso irregolare. Certe persone semplicemente non servono: l'economia può crescere senza il loro contributo, anche senza il lavoro degli schivi; i ricchi possono diventare più ricchi senza di loro; i governi possono essere rieletti senza il loro voto; il prodotto nazionale lordo può continuare ad aumentare indefinitamente. Da qualunque lato le si consideri, per il resto della società esse non sono un beneficio, ma un costo.

Con l' aumento delle differenze sociali avremo sempre più cittadini di serie A e B. Il nuovo clima permette che i forti vincano e i deboli, molto più numerosi, perdano. La società si polarizza economicamente, in modo strutturale più netto rispetto al passato. Diminuiscono relativamente il reddito medio ed il potere di spesa delle famiglie, la classe media si proletarizza, cresce la povertà, mentre le classi superiori aumentano ricchezza e potere.

Negli USA, secondo i dati della Banca dItalia l1% della popolazione si accaparra il 34% della ricchezza prodotta. E da noi le cose non vanno meglio: in Italia l1% della popolazione ottiene il 31% della ricchezza prodotta. Sempre più chi detiene la ricchezza, ed il potere che ne deriva, può guardare al futuro con la certezza che la liberalizzazione economica, la deregulation, le privatizzazioni, i nuovi mercati finanziari che stanno per aprirsi, la maggiore flessibilità del mercato del lavoro promettono sempre maggiori guadagni.

Quella che si prospetta anche per lItalia è l'abbassamento del tenore di vita della maggioranza dei cittadini, cioè dei lavoratori di media o scarsa qualificazione, senza contare i giovani, le donne e gli anziani. Un altro elemento significativo di questa inversione del trend del passato è laccentuarsi della povertà e dellemarginazione sociale. Per citare un solo dato , gli anziani poveri sono passati in un solo anno, tra il 1992 ed il 1993, dal 14,8 % al 20,8 % della popolazione in stato di povertà.

L'Italia è tra il quinto ed il settimo posto fra i paesi industrializzati, ma questa graduatoria è sommaria ed ingannevole. Secondo le Nazioni Unite l'Italia, se consideriamo lindice dello "sviluppo umano" (salute, istruzione e reddito pro-capite), era al 18° posto nel 1991, e va sempre più in basso: nel 1994 era al 22° posto .

CULTURE DOMINANTI E SUBCULTURE POPOLARI

Fenomeno emergente è la sovrapposizione in una medesima società di fasce culturali diverse, ove si distingue tra culture dominanti e subculture popolari, tra cultura delle masse lavoratrici e cultura dei ceti medi superiori (Ros19), tra opinione pubblica (che rappresenta appena il 10% della popolazione e decide tutto) ed opinione sociale (che rappresenta il 90% della popolazione e non conta nulla). Ne conseguono ingiustizie profonde sulle quali deve interrogarsi il laico impegnato nel mondo, alla ricerca di soluzioni eque e solidali.

Solo un'élite, la comunità intellettuale, (al cui interno si trovano i teorici della democrazia) è messa nelle condizioni di stabilire i criteri di giudizio e di comportamento per tutti, di rappresentare gli interessi comuni. Il resto della popolazione è di fatto e volutamente privato di qualsiasi forma di organizzazione. La gente comune dovrebbe stare seduta solo di fronte al televisore. E' impedito all'opinione pubblica di gestire i propri interessi, e i mezzi di informazione devono essere e rimanere sotto rigido controllo. Questo è sicuramente un concetto molto strano di democrazia, ma dobbiamo convincerci che oggi è quello che prevale. La teoria liberal-democratica e quella marxista-leninista in questo caso sono molto vicine nelle loro comuni premesse ideologiche.

La razionalità è una capacità riservata ad un gruppo molto ristretto. Chi possiede la razionalità deve creare delle «illusioni necessarie» per mantenere in rotta e di domare, attraverso un controllo totale sui media e sul sistema educativo, il «branco confuso», gli «ingenui sempliciotti». L'opinione sociale è emarginata e adeguatamente distratta. La popolazione deve essere ricondotta all'apatia, all'obbedienza, alla passività, che è poi la sua giusta condizione. La gente non deve avere nulla a che fare con le questioni pubbliche, deve essere «spettatrice, non partecipante». Questo concetto è diventato parte integrante della scienza della politica contemporanea.

L'organizzazione dello stato moderno fa sì che i cittadini rimangano rimanere divisi l'uno dall'altro, isolati e soli. Non gli è concesso di organizzarsi. L'opinione politica in sostanza rappresenta le fazioni di quello che è definito il «partito degli affari». Si deve avere un rendendo conformista la cultura. Il quadro del mondo che viene presentato all'opinione pubblica, anche attraverso la falsificazione completa della storia, ha solo un lontano rapporto con la realtà. La verità è sepolta sotto montagne e montagne di menzogne.

Gli standard medi dell'istruzione si sono abbassati, perché se l'opinione sociale inizia a prestare attenzione alla realtà, questa potrebbe non piacerle, dato che è la popolazione a trarne il maggior svantaggio. Solo agli «uomini responsabili», cioè all'élite, è concesso di analizzare, interpretare, comprendere e rappresentare le cose. La «classe specializzata» viene addestrata per lavorare al servizio dei padroni. I media e le strutture educative insegnano che è un uomo responsabile colui che serve gli interessi di coloro che governano il Paese, che dispongono delle risorse, che prendono le decisioni e che determinano le cose così come sono. Chi cerca di organizzare la gente a lottare per i propri diritti, rischia la totale emarginazione e discriminazione. Questa è la differenza cruciale, un fatto che ciascuno dovrebbe avere ben fisso nella mente e che non è mai menzionato nei testi di teoria della democrazia. Se l'individuo lavora per coloro che possiedono il Paese sarà parte del gruppo degli «uomini responsabili», ovvero un intellettuale rispettabile. Altrimenti no. Le due tendenze, movimento popolare e fascistizzazione corrono parallele. Quella che vincerà determinerà anche la possibilità che ci sia un futuro del quale parlare.

Gli scenari futuri nell'epoca delle trasformazioni complesse politiche, antropologiche e tecnologiche: ricadute sociali, economiche e culturali per tutti o nuovi poteri per pochi?

Il Rapporto sulla povertà 1998 della Caritas romana mette in evidenza che "cresce l'area del disagio, sempre più persone in bilico. La povertà non fa distinzioni: Trasversale, strisciante si è infiltrata in ogni fascia sociale. Oggi ci sono più giovani tra i barboni della città". Curzio Maltese (Il Venerdì di Repubblica, 6\3\`998) ricorda che "le grandi leve culturali, scuola e televisione, rimangono saldamente ancorate ad un'ideologia autoritaria ed antidemocratica". E' certo evidente la sproporzione tra la vastità dei problemi che abbiamo di fronte (la digitalizzazione, le profonde trasformazioni, la mutazione antropologica e il terremoto cognitivo che caratterizzano la nostra società complessa multiculturale, multietnica e multireligiosa) e la ricerca socio- antropologica e delle scienze cognitive.

Ad esempio la ricerca sulla comunicazione è intesa come studio, analisi e messa a punto di metodologie sempre nuove per la elaborazione di dati statistici sull'offerta, sui comportamenti di consumo televisivo nella logica di acquisire risorse dal mercato pubblicitario, incentivando l'individualismo consumista e l'io desiderante.

I problemi sono invece quelli della regolamentazione sociale della comunicazione; di impedire che il grande business della multimedialità si risolva solo negli aspetti tecnologici e si trasformi solo in intrattenimento; di rompere la frattura tra domanda ed offerta; di individuare strategie di comunicazione che permettano ai cittadini di riscoprire i bisogni di esser consapevoli e partecipi nel perseguire le motivazioni collettive, gli spazi formativi, la progettualità ambientale, le aspettative di partecipazione nel realizzare le condizioni di "vivibilità" della realtà della vita quotidiana.

Va ricordato, infatti, come in Italia l'offerta e i servizi educativi, culturali, di comunicazione e di conoscenza sono consapevolmente ed ostinatamente costruiti in modo da essere cognitivamente irraggiungibili, incomprensibili, preclusi ed inutili per almeno due terzi della popolazione.

La televisione, a sua volta con molti programmi cognitivamente comprensibili per pochi, è stata ed è comunque l'unico canale di "accesso" per tutti, nel bene e nel male, anche se fortemente illusorio e manipolatorio, alla comunicazione ed alla conoscenza.

Una storia dell'offerta televisiva degli ultimi 45 anni (non solo contenuti, ma linguaggi, forme, codici, modalità di pensiero) in rapporto alle trasformazioni socio-antropologiche che si verificavano in quel periodo, offrirebbe elementi di riflessione sulla democrazia e sul rispetto della dignità umana. E' interessante riconoscere come ai modelli "alti" della televisione pedagogica, spesso noiosa ed inutile (lo spettatore tipo dei programmi del DSE era costituito da persone di buona cultura concettuale e buona estrazione sociale, abitante in piccoli centri, pensionato), si è sostituito facilmente il modello della televisione commerciale, ripreso dal Servizio Pubblico, totalmente disimpegnato, dove tutto è "divertente", che insegna allo spettatore a rinunciare ad ogni aspettativa, sognando, "desiderando quello che ha".

Anche secondo gli operatori più distratti, è sulle telecomunicazioni che si giocherà in buona parte il riequilibrio dei grandi poteri, delle grandi famiglie, delle galassie bancarie, dei poteri finanziari. La privatizzazione di Telecom insegna.

Autori, come James O'Connor, particolarmente attenti ai problemi della giustizia produttiva (e non distributiva), alle condizioni di produzione (che, dal punto di vista dei cittadini e dei lavoratori, sono le condizioni di vita, sono la vita) ed alla mercificazione fittizia (solo pochi possono accedere al mercato come acquirenti) della forza lavoro, della natura, delle infrastrutture sociali, dello spazio, della comunità, della comunicazione e della conoscenza, ritengono che oggi si prospetta una terza rivoluzione dopo quella dell'agricoltura (di molte migliaia di anni fa) e dell'industria (di due secoli fa). In realtà siamo già di fronte alla terza rivoluzione, quella della complessità, della comunicazione globale, della digitalizzazione, della cybernetica, della società multiculturale, multietnica, multireligiosa.

Con la digitalizzazione, televisione, informatica, telefono, editoria, audiovisivi, reti civiche e servizi multimediali si integrano: hanno nella digitalizzazione il denominatore comune. Tutti i segnali relativi ai vari linguaggi (scrittura, linea, immagine, suono, colore, danza, gesti, dati, ecc.) sono trasmessi in bit e camminano su reti mondiali. Sta avvenendo, si voglia o no, una mutazione antropologica ed un terremoto cognitivo. E' necessaria una mutazione culturale profonda ed il cambiamento di molti parametri, di molti strumenti, di modi di vita, di molti linguaggi.

Abbiamo poco tempo per attrezzarci: in breve tempo si creeranno le condizioni o per una esaltante stagione di democrazia partecipata; oppure per una drammatica stagione di democrazia mediatica.

Per limitarci al mondo dei media, vanno fatte alcune osservazioni di metodo:

- la domanda non coincide con i bisogni

- l'offerta non corrisponde alla domanda né tantomeno ai bisogni

- «l'utente» degli strumenti e delle strutture della comunicazione e della conoscenza non è un «soggetto sociale», non è un «cittadino» acquirente in un libero mercato, ma «merce» di un mercato fittizio al quale solo pochi possono accedere come acquirenti.

- l'evoluzione, il pluralismo mentale, il pluralismo dei sistemi di pensiero è drasticamente frenato. Anzi il controllo del potere, la creazione di un mercato fittizio avviene prevalentemente attraverso la «selezione» dei linguaggi e delle modalità di pensiero.

Quando - e avviene raramente - la comunicazione è usata come un sistema naturale, complesso e si avvale di linguaggi universali e di una mente globale, allora le informazioni, le conoscenze, i saperi, le capacità mentali (concettuali, percettive, analogiche), gli apprendimenti mediati e diretti, la memoria, i percorsi psichici della propria cultura, si realizzano in modo diffuso, democratico, attraverso tutti gli alfabeti del sapere ed una miriade di occasioni e di opportunità per tutti.

Quando la comunicazione avviene, come di fatto avviene, attraverso un solo linguaggio (la parola scritta e parlata), un solo codice (il trasferimento di conoscenze assodate), un solo strumento (il libro), una sola modalità di pensiero (la verbalizzazione ed il concettualismo); quando sono negati i Linguaggi Universali ed è negata la Mente Globale, allora vengono cancellate le potenzialità e le capacità di Essere, di Comunicare e di Conoscere della maggior parte di noi.

VERSO UNA SOCIETÀ COMPLESSA MULTICULTURALE, MULTIETNICA, MULTIRELIGIOSA.

La necessità di un incontro tra culture è fondamentale, altrimenti sarà scontro. Questo è stato ricordato, senza allarmismi, ma con realismo, nel corso della conferenza stampa della Caritas (24/2/1998) per la presentazione delle anticipazioni del Dossier sull'immigrazione.

Ma siamo molto lontani da perseguire, nelle strutture della cultura, dell'educazione e della comunicazione, un progetto per una società multietcnica e multiculturale. Se, infatti, possiamo dire con "generosità, che "l'altro", "il diverso" è un valore, che le "etnie e le culture diverse" sono risorse da valorizzare, è anche vero che chi è portatore di "culture altre", nei modi, nei linguaggi, nei codici, nelle forme di pensiero o anche solo nelle sue radici e nelle sue esperienze, merita la fama ed il trattamento di pericolosissimo sovversivo da emarginare, sterilizzare, estirpare e conosce i genocidi culturali, esercitati dai buoni, bianchi, raziocinanti, progressisti, cristiani occidentali, possibilmente ricchi. Fino ad oggi, in Occidente, non c'è incontro, ma scontro tra culture.

Si deve pensare, ad esempio, a come è emarginata e messa a tacere nella stessa Italia la comunicazione e la cultura delle maggioranze della gente comune, che è fatta di simbolo, di percezione e di analogia e non di ragionamento verbale esaltato dalla retorica, come avviene per le piccole oligarchie di privilegiati che gestiscono il potere. La stragrande maggioranza dei giovani, che hanno appunto una cultura simbolica, sintetica, analogica e percettiva, sono espulsi dalla scuola.

La società globale dell'Informazione e la digitalizzazione provocano una vera e propria "mutazione antropologica", un "terremoto cognitivo" riguardo ai processi di apprendimento, e la ricostruzione della universalità della comunicazione e della storia dell'uomo. La "mutazione antropologica" ed il "terremoto cognitivo" riguardano soprattutto le modalità di pensiero verbale ed esaltano la "cultura altra" delle stesse maggioranze della genete comune e degli immigrati. E' evidente la sproporzione tra la complessità dei problemi ed i mezzi e i metodi della nostra ricerca socio-antropologica e delle scienze cognitive.

Tutta la letteratura internazionale sulla società multietnica, multiculturale e multireligiosa, sia nel caso di chi profetizza un conflitto di civiltà, sia nel caso di chi ritiene che l'Occidente farà prevalere i suoi valori converge su queste affermazioni: «La nostra era è una cosa molto complessa», «siamo sempre più permeati delle altre civiltà», «comunque ci troveremo di fronte a potenti moltiplicatori delle peculiarità».

Con realismo dovremo attrezzarci (e non è facile) per rendere una necessità fondamentale l'incontro tra culture, altrimenti sarà scontro.

Tutte le ricerche sull'integrazione sociale ed economica degli immigrati, offrono insospettati, elementi di riflessione. Tra gli altri, emergono alcuni dati:

- un alto livello di scolarizzazione, consistente presenza di soggetti istruiti e portatori di alte qualificazioni professionali, elevata capacità media intellettuale e cognitiva

- peculiari caratteristiche cognitive, legate alla'analogia, al simbolo, alla percezione

- elevata capacità di esprimersi in più lingue- portatori di una cultura urbana

- tendenza a rendere stabile la residenza nel Paese di arrivo (molte donne e bambini)

- tendenza ad un'attività lavorativa stabile- capacità di vivere in una società complessa ed in un contesto di socializzazione a cavallo di due mondi

- una marcata attitudine a comunicare ed a mantenere rapporti costanti con il proprio Paese d'origine, con i congiunti ed i conoscenti rimasti in Patria- partecipazione diretta finanziaria ed organizzativa alla realizzazione di progetti di sviluppo nel proprio Paese

- elevato orientamento al controllo delle interazioni tra la propria cultura e quella del Paese di accoglienza. Questa tendenza cresce con gli anni di permanenza nel Paese di arrivo. Accolgono la cultura del Paese di accoglienza, senza perdere quella del Paese di origine. C'è una forte tendenza a coordinare tra loro i tratti essenziali di ambo le culture

- conoscenza anticipata, prima di emigrare, dei valori, delle norme, dei comportamenti delle società europee di accoglienza

- emigrazione per motivi "sociologici" (migliorare il proprio tenore di vita, per sfuggire a discriminazioni, per elevare lo status sociale, per avere maggiore autonomia individuale)

- uso di reti sociali, che orientano la scelta del Paese dove emigrare ed aiutano i nuovi arrivati ad inserirsi nelle nuove realtà. Gli immigrati (nella misura considerevole di 3/4) tendono a gestire autonomamente la propria vicenda immigratoria e la sistemazione nel Paese di arrivo

- realizzazione di forme di azione collettiva- attitudine a reagire alle avversità e grande adattabilità, maggiore solidità psicologica

- il consumo dei media è molto alto, della televisione

- il consumo del videoregistratore è molto alto per visionare programmi prodotti nel proprio Paese d'origine

- attese nei confronti dei mass media di un modello integrato, rivolto ad un target di popolazione aperta e multiculturale, su questi aspetti:

- l'informazione sugli avvenimenti del proprio PAese

- l'informazione di servizio su come vivere in Italia

- l'informazione agli italiani sugli immigrati e la loro cultura

- l'intrattenimento/divertimentoSu questi, e su altri elementi bisogna far qualcosa, anche perché sotto i termini di mondialità e di complessità si nascondono mutamenti rapidi, naturali, imprevedibili.

INCONTRO O SCONTRO TRA CIVILTA'?

La ricerca storica, antropologica, sociale, economica sulla comunicazione e sulla conoscenza è indirizzata da alcune parole guida: complessità, modernità, globalizzazione, mondializzazione, multietnia, multiculturalità, riconoscimento delle diverse identità culturali, ridistribuzione dei saperi e dei poteri, manipolazioni della storia, multimedialità, integrazione, interazione, discontinuità, creatività, sviluppo sostenibile, ambiente.

Nel quadro della complessità, uno dei fenomeni della nostra epoca è dato dalle «migrazioni» (magrebini, curdi, albanesi, cinesi, indiani, filippini, ecc.ecc.), ed è soprattutto l'evidenza del carattere storico-strutturale di queste migrazioni, che ormai coinvolge in modo massiccio anche Paesi, come l'Italia, che avevano sempre avuto il ruolo di fornire emigranti (braccia lavoro o intelligenze) ad altri Paesi, che spinge sia ad innalzare in modo illogico barriere difensive, sia a riflettere in modo concreto sulla società multietnica, multiculturale e multireligiosa.

Gli stranieri presenti in Italia sono poco più di un milione (con una media nettamente inferiore a quanto è avvenuto in anni passati in altri Paesi Europei), ma il basso indice di natalità, l'invecchiamento di buona parte della popolazione, la mondializzazione dei processi tecnologici e produttivi, fanno guardare con molta attenzione alle proiezioni sulla popolazione elaborate dagli Organismi Internazionali.

In molti sta anche passando l'illusione di poter controllare il fenomeno migratorio, destinato ad assumere il carattere di strutturalità, come avvenne negli anni Sessanta, quando oltre venti milioni di persone si trasferirono dal sud al nord d'Italia. Non è facile prevedere forme di assorbimento soprattutto culturale.

I nuovi venuti (spesso di un buon livello di educazione scolastica) appaiono tenacemente legati alla loro cultura ed alle loro tradizioni storiche, tanto più che queste sono state e sono negate da un radicato colonialismo culturale (diffuso fin nei più innovativi libri di testo scolastici), che pretende che la concezione della storia e la prospettiva in cui appare il progresso dell'umanità sia legato soltanto alla cultura occidentale, ed in particolare al concettualismo ellenistico. I nuovi venuti, anziché «inserirsi» dovrebbero «integrarsi», ricevendo la circoncisione culturale.

Non a caso, in modo autorevole, si continua a ripete che l'Italia è depositaria del 60\70% dei beni culturali dell'umanità, come se le testimonianze della storia, della cultura, della civiltà, delle religioni, e persino dell'ambiente naturale, degli altri non esistesse o fosse di importanza del tutto limitata. Per fortuna i nostri giovani viaggiano sempre di più ed il turismo culturale che porta molti di noi a visitare i beni culturali di altri Paesi, anche Europei, ben più organizzati dei nostri, ed a vedere che la manipolazione ideologica del passato, non solo sfocia in fantasie storico-culturali, ma è uno dei mezzi decisivi per far prevalere la realizzazione dei propri valori ideologici e del proprio potere.

Come se non bastasse, le grandi forze ideologiche (fascismo, ex-comunismo, anti comunismo, democrazia, capitalismo, cristianesimo, islamismo, nazionalismo, ecc.), tanto più manipolano ed alterano la memoria storica, tanto più riescono a danneggiare la scienza e la tecnica e lo stesso futuro di giustizia e di pace dell'umanità e delle nostri giovani intelligenze, che sempre più numerose studiano e lavorano all'Estero.

Manipolando ed alterando la memoria storica, nella visione di un progresso senza fine dell'Occidente, le grandi forze ideologiche dispensano patenti di integralismo e guardano ad alcuni fatti del passato come ad incidenti di percorso.

Un solo esempio del riconoscimento negato dei "valori altri". Si dimentica, ad esempio, che l'islamismo rappresenta la reazione di comunità arabe giudeo cristiane ad una ellenizzazione ed occidentalizzazione del cristianesimo, che rifiuta non solo i testi scritti in lingue diverse dal greco, ma persino l'aramaico e la tradizione apostolica orale, fatta non solo di insegnamenti, di parole, di simboli, di segni e di riti. A Ovest del Giordano, come riconosce la ricerca storica pià attenta, il Cristianesimo acquistò un aspetto ellenistico grazie a Paolo, in vesti Greche, e si sviluppò in una chiesa normativa. A Est del fiume, il giudeo cristianesimo trovò la sua continuazione nell'Islam semitico, grazie a Muhammad, l'Apostolo in vesti arabe, e realizzò autonomamente un monoteismo senza compromessi. Cristo è cercato fuori dalle categorie filosofiche e metafisiche dell'ellenismo. L'Arabia centrale fu un territorio sempre indipendente, che sfuggiva ai due giganti di allora: gli imperi bizantino e sasanide. Cristiani ed ebrei (con un autentico incontro tra etnie, religioni e culture, al punto che le grandi lotte contro le "eresie" non toccano mai l'islamismo) affiancavano gli arabi nei centri agricoli e sedentari dell'Arabia centrale, dove passavano le vie carovaniere per Siria, Egitto, Etiopia, Palestina, Iraq.

Negli ultimi tempi alcuni quotidiani italiani si sono contesi i lettori offrendo grandi atlanti storico-geografici. Nella prefazione de "I percorsi della storia", il supplemento del "Corriere della Sera", si legge (e non a caso di è dovuto far ricorso ad uno studioso di università straniera): «Negli ultimi trent'anni la concezione della storia e la prospettiva in cui appariva il progresso dell'umanità si sono profondamente modificate...La maggior parte degli atlanti storici sono caratterizzati da uno spiccato eurocentrismo...il nostro intento è stato concepire e presentare la storia in una dimensione mondiale che renda giustizia -senza pregiudizi o parzialità- alle conquiste di tutti i popoli, in ogni epoca del lungo cammino umano".

L'atlante del "Corriere della Sera" rimane ben lontano dai suoi propositi, ma la prefazione è molto chiara. Sono evidenti i tentativi di posizionarsi di fronte ai tanti problemi e alla grande ricchezza multiculturale, multietnica, multireligiosa, che stravolge gli insegnamenti occidentali, accademici e scolastici, e ci proietta nell'III Millennio.

Non mancano studi e libri importanti che obbligano ad una riflessione su quello che sta avvenendo. Le ricerche di Luigi Luca Cavalli Sforza sulla Storia e geografia dei Geni Umani (Adelfi, 1997) dimostrano con precisione e univocità che cosa si cela dietro i nebulosi discorsi delle razze umane e, implicitamente, offre molti stimoli per confutare scientificamente ogni razzismo. Gli antichissimi abitatori della terra si assomigliavano più o meno tutti. Si determina una prospettiva unitaria (unica è l'origine dell'uomo anatomicamente moderno) e la storia genetica e culturale della nostra specie si compongono in uno stesso quadro evolutivo. Scopriamo così ad esempio che "tra 10000 e 6000 anni fa, l'Europa subì una radicale trasformazione in seguito alla lenta diffusione delle tecnologie agricole a opera degli agricoltori neolitici provenienti dal medio oriente, in particolare dall'Anatolia"

Molti libri importanti, quasi tutti stranieri, cercano di definire il quadro complesso che si va delineando, e lo fanno in modo ovviamente problematico, offrendo teorie, opinioni avviando una discussione che si muove normalmente su fronti contrapposti. Gli estremi del dibattito sono questi: alcuni sostengono che l'Occidente non è in grado di portare i nuovi valori e democrazia e che il mondo nuovo non dovrà inevitabilmente soggiacere all'affermazione della cultura occidentale. Altri ritengono che l'Occidente farà prevalere i suoi valori.

E' interessante notare come in questa disputa, non si presti quasi mai attenzione alle valutazioni che provengono da autori che siano espressione delle culture non-occidentali, a meno che non siano sostanzialmente integrati.

Ad esempio, il bel libro del palestinese W.Said (Orientalismo, ed.Bollati-Boringhieri) o le tante valutazioni di Abdus Salam (Pakistano e premio Nobel per la fisica) rappresentano poco più che delle curiosità.

CORRIERE DELLA SERA

W.Said (professore di letteratura alla Columbia University di New York , nato a Gerusalemme nel 1935 ed emigrato negli Stati Uniti dopo la nascita di Israele. Palestinese di origine, ma americano per adozione.) ricorda in un'intervista al Corriere della Sera: «Mi fa paura questa corsa indiscriminata a identificare i colpevoli sempre a Oriente». «Attenti al pregiudizio anti-islamico...Tutte le volte che avviene un attentato, specie se ai danni degli americani, il carrozzone dei mass media occidentali punta subito il dito all'unisono contro il mondo arabo, parla di non meglio definite "pistemediorientali", come se fosse un riflesso condizionato, inevitabile, anche se terribilmente superficiale

I suoi libri sullo scontro culturale Oriente-Occidente e la questione palestinese sono tradotti in decine di lingue. Ma non in arabo. E lui non si vergogna

ad ammetterlo. «Da quelle parti non piacciono le mie critiche alle dittature di Siria, Egitto o Arabia Saudita», osservava nel 1994. Ama la contraddizione. Critica Arafat perché a suo parere avrebbe concluso un «accordo capestro» con Israele. «Ricordo solo che, dal rapporto annuale sul terrorismo pubblicato per il 1997 dal Centro di Studi Strategici a Washington,Europa e Stati Uniti si trovano ai primi posti e il Medio Oriente solo al settimo od ottavo. Mi risulta che il terrorismo basco o irlandese non abbia nulla da invidiare a quello in Libano o Egitto. A ben vedere, io non escluderei a priori che i responsabili vadano cercati a livello locale in Kenia e Tanzania. Ma qui sta il cuore del problema, i nostri giornalisti e commentatori si rifiutano di andare oltre i soliti, vecchi, stereotipati clichés...Si tratta l'Islam in modo molto diverso da ebraismo o cristianesimo.

Anni e anni di pregiudizio fanno sì che parlare per esempio di "terrorismo ebraico o cristiano" ci lasci indifferenti, o addirittura restii ad ascoltarlo. E invece sia estremamente semplice abbinare le forze del male e della violenza ai musulmani. C'è tanta pigrizia intellettuale e ignoranza in tutto questo. Lo scrivevo già negli anni Settanta nel mio libro in cui criticavo il modo in cui i media occidentali descrivono il Medio Oriente e mi rendo conto che ben poco è mutato da allora. Negli ultimi tempi abbiamo accettato come oro colato le idee diffuse nel libro di Samuel Huntington sullo "scontro tra le civiltà". Come se fosse evidente che il mondo è sempre più provinciale, diviso, frazionato, chiuso nelle sue infinite culture e società, le cui frizioni stanno sostituendo la vecchia Guerra Fredda....

Ritengo che sia vero l'esatto contrario. Siamo nell'era del "villaggio globale". La gente è sempre più simile, le civiltà sempre più in contatto tra loro: è il trionfo dell'omologazione, non della divisione. Dunque gli abitanti della regione "Islam" hanno molto più in comune con quelli della regione "cristianità", se è ammissibile una catalogazione del genere, di quanto non si creda. Huntington cerca nemici a tutti i costi. più accecato dalla necessità ideologica di magnificare la superiorità dell'Occidente, in particolare degli Stati Uniti, sul resto del mondo. E non si rende conto che dividere tra nord e sud, est e ovest, cristiani e musulmani o ebrei è ormai un arcaismo».

La cultura accademica, le strutture dell'educazione e i servizi culturali che ne derivano (libri, guide, mostre, musei, film, programmi radiofonici e televisivi, ecc...), continuano ad offrire una manipolazioni, se non una vera e propria falsificazione della storia, sacralizzando spesso episodi marginali o del tutto inventati. E' negata o sminuita l'importanza di tutto ciò che non è occidentale e concettuale. E' proposto un sapere precostituito, congelato dagli schemi e dai codici accademici, autoreferenziale. La storia (una storia molto parziale) è raccontata solo dalla parte dei vincitori: il mondo è stato costruito da bianchi, belli, colti, ricchi, occidentali, concettuali.

Sarebbe opportuno che anche la cultura italiana, ed in special modo chi è preposto a governare gli apparati della comunicazione, avviasse ricerche sul questo campo della società complessa. Due recenti libri, editi anche in Italia, confermano lo stato molto problematico della discussione.

1) Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà, Garzanti 1997 (da non porendere come oro colato, secondo le raccomandazioni di Said).

2) Alain Touraine, Si può vivere insieme?, Il Saggiatore, 1997.

1) Samuel P. Huntington, uno studioso di Harvard ("Lo scontro delle civiltà", Garzanti 1997) affronta i nuovi scenari di fine millennio, e ricorda che non bisogna confondere la modernità con l'Occidente e che il mondo nuovo non dovrà inevitabilmente soggiacere all'affermazione della cultura occidentale.

Cadute le ideologie, dice Huntington, finite le guerre combattute all'interno della civiltà occidentale (il XX secolo ha avuto il dramma dei grandi conflitti, del nazismo, del comunismo sovietico), scomparsa la contrapposizione tra le grandi potenze e la distinzione tra primo, secondo e terzo mondo, rimangono le otto grandi "civilization": fortemente differenziate tra di loro per storia, lingua, cultura, religione e tradizioni, sono destinate a grandi e forti scontri le otto civiltà: - occidentale; - confuciana; - giapponese; - islamica; - hindu; - slavo-ortodossa; - latino americana; - africana. Probabilmente le civiltà che si scontrano non sono solo otto, ma molte di più. Ad esempio non è possibile unificare le varie "civilizzazioni" dell'Africa. I conflitti (spesso armati)sono, però, all'interno delle stesse civiltà e sono probabilmente inevitabili (come dice Huntington) per un insieme di motivi:

- le differenze di lingua e di religione sono più forti delle dispute ideologiche e dei regimi politici;

- la mondializzazione, la globalizzazione e la conseguente integrazione si scontrano con la ricerca delle radici;

- La "revanche de Dieu" fornisce la base dell'identità che trascende i confini nazionali e unisce le civiltà;

- La reazione e la ricerca di un profilo non occidentale alla grande potenza dell'Occidente;

- La riscoperta delle identità culturali; - Il regionalismo economico è in aumento e questo ridà vigore alle diverse culture.

Più le aree non-occidentali diventano «moderne», ricorda Samuel P. Huntington, tanto più respingono l'Occidente che non ha smesso di rappresentare il colonialismo. All'Occidente, se vuole sopravvivere alla prossima tornata storica, continua Huntington, non resta che chiudersi compatto nella sua sfera culturale e accettare l'idea che la coesistenza tra civiltà diverse non solo è consigliabile, ma è la sola via d'uscita per una cultura come la nostra che è in netto declino.

Si può aggiungere che anche in Italia tanto più le aree popolari e non elitarie diventano «moderne», tanto più respingono le ristrettissime élite che rappresentano i privilegi ed il colonialismo culturale ed economico. Non è certo casuale il rifiuto della storia (della storia raccontata solo dalla parte dei vincitori) da parte dei giovani.

2) Di segno diverso è la ricerca di Alain Touraine, un sociologo francese, che si pone la domanda: Si può vivere insieme? Sotto la crosta del pianeta globale (cittadini di un mondo senza frontiere, una sola grande massa di individui che, grazie alle tecnologie ed all'immaginario veicolato dalle comunicazioni di massa, e consumano tutti gli stessi prodotti e parlano tutti la stessa lingua per comunicare), covano insidiosi movimenti tellurici? Che fine fanno, nella globalizzazione, le identità personali e le aggregazioni volontarie?

Mentre si diffonde l'idea del cittadino universale, si moltiplicano ovunque gruppi, sette, culti e particolarismi e nazionalismi più o meno mascherati. Da un lato c'è l'individuo che si emancipa dalle proprie radici etniche, geografiche, storiche e culturali per entrare nella grande nazione globale.

Dall'altro comunità che tenacemente difendono, compattandosi intorno ad un frammento di identità, ad un'autorità politica, religiosa o culturale.

Mentre si va verso il villaggio planetario, con un universo indifferenziato di produzione, consumi, comunicazione, contemporaneamente si viaggia verso il "particolarismo", la "parcellizzazione".

A.Turaine, che non è certo portavoce di uno smisurato ottimismo sulle "magnifiche sorti dell'umanità, ritiene che "o viviamo insieme limitandoci a comunicare in maniera impersonale, attraverso segnali tecnologici, oppure comunichiamo soltanto all'interno di comunità che si chiudono sempre più in se stesse nella misura in cui si sentono minacciate da una cultura di massa che appare loro estranea".

Ma il sociologo francese non vuole neppure fare la Cassandra ed indica la via verso una convivenza globale: Tutti uguale, tutti diversi, senza perdere identità.

L'individuo non si identifica più sulla base della cittadinanza, della professione, dello stile di vita. Le città si disgregano, il lavoro è sempre più soggetto alla logica di un mercato e di un capitale senza regole e senza confini. le imprese diventano "unità militari impegnate in una concorrenza mondializzata e nella lotta per la competitività", i partiti politici diventano coalizioni per la conquista del potere dimenticando la loro funzione di mediazione, la persona rifugge dal sociale e si ripiega su se stessa. E' in atto un processo di desocializzazione: il sistema e il soggetto, secondo A.Turaine, non stanno più in reciprocità di soggettive, ma in contrapposizione diretta.

Che fare? Il punto di partenza è un nuovo soggetto, inteso come«desiderio dell'individuo di essere attore». Il nuovo soggetto di Turaine «non si costruisce nell'esperienza più intima, nel piacere individuale o nel successo sociale; non costruisce mai una città ideale o una razza superiore di individuo». La democrazia non è più rapporto tra Stato e sistema politico, ma si costruisce nella relazione tra sistema politico e soggetti sociali che non vogliono essere spettatori passivi di una superstoria senza volto decisa da altri.

Il sociologo francese Alain Touraine è anche autore del libro

«Comment sortir du libéralisme?» (Corriere della Sera, 11/3/1999) la «ineguaglianza e la competizione» sono il nocciolo duro della politica odierna. A proposito dei «governi socialisti europei» dice: «Di sinistra? Io li chiamerei più o meno tutti di centro-destra, perché accettano di muoversi nell'orizzonte liberale. E' di centrodestra anche quello italiano nonostante sia presieduto da un ex comunista». Siamo passati da una economia amministrata, fondata sulla burocratizzazione, sul corporativismo, sulla cooptazione e sui privilegi di piccole oligarchie, a una economia di mercato, ancora fondata fondata, sulla cooptazione e sui privilegi di piccole oligarchie e sulla ideologia: «la globalizzazione» dice Touraine «è una costruzione ideologica...Non trovo migliore definizione dell'opposizione tra centro destra e centro sinistra: da una parte si dà priorità all'adattamento dello Stato al mercato, dall'altra c'è l'alleanza tra lo Stato e le domande sociali, che resiste al potere dilagante dell'economia mondializzata...Domande sociali che siano portatrici d'avvenire, sostenute da un movimento sociale e non reazioni difensive». Per uscire dal liberismo - sostiene Touraine - ci sono quattro porte:

1) una conduce all'indietro e consiste nel difendere un'identità, una storia,una lingua;

2) la seconda spinge verso il basso e induce a ritenere gli esclusi, i

«dannati della terra», gli unici depositari della verità, un'idea che viene

dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel secondo il quale il servo, non il

padrone, è in condizione di comprendere la loro relazione e, quindi, di

trasformarla;

3) la terza porta va in alto, accetta le tendenze dominanti e

cerca di adattarvisi;

4) l'ultima, per Touraine, è «l'uscita verso il possibile».

Touraine insiste: «dobbiamo riprendere un controllo della sfera economica, ma bisogna che ci sia un movimento sociale. Alla fine delsecolo scorso, il sindacalismo e i partiti dei lavoratori furono il veicolo affinché la classe operaia affermasse il suo diritto di cittadinanza. Oggi abbiamo in Francia una gran quantità di agitazioni, proteste, scioperi, ma nessuno di loro è portatore d'avvenire; per lo più sono reazioni difensive (l'impiego pubblico, certi privilegi salariali o normativi, imprese decotte)». Dunque, la mobilitazione non basta se non ha in grembo il nuovo: «La tutela dei diritti culturali e sociali degli individui e delle minoranze è il fine positivo dei movimenti che s'oppongono sia al regno dei mercati sia alla

dominazione di movimenti di ispirazione comunitaristica». Le donne, gli omosessuali, gli immigrati, i disoccupati: sono loro i portatori della nuova cittadinanza. A partire da qui, secondo Touraine, la politica può ricostruire il suo legame con la società e rimettere l'economia al giusto posto. Touraine la definisce «la via due» per distinguerla dalla «terza via» blairiana e richiamare la breve avventura intellettuale e politica dell'austromarxismo che negli anni Venti cercò di smarcarsi sia dalla socialdemocrazia sia dal comunismo. Tra i due elefanti del Movimento operaio, allora non c'era spazio. Ma la società post-industriale ama le incognite.

Si preannunciano molti altri studi sul tema. A Londra, in particolare, George Segal (Direttore dell'Istituto di studi strategici) e Barry Buzan (politologo dell'Università di Westminster) si preparano a controbattere le tesi di Huntington sul conflitto di civiltà. Con una disputa tutta interna, come si è osservato, al mondo Occidentale, sostengono che l'Occidente si avvia ad una nuova era di primato, nella quale i suoi valori fondamentali domineranno, seppure mescolandosi in una nuova e affascinante fusione con quelli delle altre civiltà. Vengono sostanzialmente ignorati i punti fermi che la citata ricerca della Direzione Generale V (Politiche Sociali) della Commissione Europea, con la collaborazione del CERFE, ha messo in evidenza ed in particolare le peculiari caratteristiche cognitive degli immigrati, la capacità di vivere in una società complessa, la marcata attitudine a comunicare ed a mantenere rapporti con il proprio Pese d'origine, la partecipazione diretta finanziaria ed organizzativa alla realizzazione di progetti di sviluppo nel proprio Paese e l' elevato orientamento al controllo delle interazioni tra la propria cultura e quella del Paese di accoglienza. Accolgono la cultura del Paese di accoglienza, senza perdere quella del Paese di origine.

Pur nella contrapposizione di messaggi diversi, alcuni punti comuni sembrano comunque assodati. Lo stesso George Segal ritiene che «l'identità nella nostra era è una cosa molto complessa», e sostenendo che «sbaglia chi teme che la globalizzazione significa uniformità» ritiene che «essa è soprattutto un potente moltiplicatore delle peculiarità». Infatti «siamo sempre più permeati delle altre civiltà».

Pur nel primato dell'Occidente, secondo George Segal, «questo non è un mondo pacifico. E, anzi, proprio la globalizzazione fa diventare importanti e drammatiche vicende che cinquant'anni fa avremmo liquidate come periferiche».

«La nostra era è una cosa molto complessa» e «siamo sempre più permeati delle altre civiltà». Su questa affermazione converge tutta la letteratura internazionale sulla società multietnica, multiculturale e multireligiosa, sia nel caso di chi profetizza un conflitto di civiltà, sia nel caso di chi ritiene che l'Occidente farà prevalere i suoi valori.

«Comunque ci troveremo di fronte a potenti moltiplicatori delle peculiarità». Questo è un altro punto di convergenza. "La cultura maggioritaria", ricorda anche Habermas, " deve rinunciare alla sua prerogativa storica di definire i termini ufficiali di quella cultura politica generalizzata, che deve poter essere condivisa da tutti i cittadini, quali che siano le loro origini ed il loro modo di vita".

La definizione degli scenari dei prossimi anni è dunque molto difficile e richiede una ricerca ed una discussione continua. Appare comunque sempre più evidente che gli elementi potenti di destabilizzazione e di scontro delle aree non-occidentali con il mondo occidentale sono ancor oggi quelli ricorrenti da molti secoli, e che secondo Huntington portano ad un conflitto di civiltà e secondo George Segal e Barry Buzan, ad un nuovo primato dell'Occidente. E cioè: la riscoperta delle proprie identità culturali; la ricerca delle radici; la valorizzazione della propria civiltà, dei propri stili di vita e codici comunicativi e di ragionamento; l'accentuazione dei limiti del sapere concettuale e delle limitazioni della fisica.

Risulta, comunque, evidente che:

1) siamo di fronte ad un sistema complesso in cui dovrebbero interagire ed integrarsi culture profondamente diverse (anche all'interno di una stessa "civiltà") per forme, stili e codici, linguaggi conoscitivi e comunicativi, per modi di pensiero;

2) le differenti identità (e le tante culture e civiltà) sono state annullate, messe a tacere, disconosciute, per favorire il colonialismo non solo nei confronti del resto del mondo, ma anche all'interno della stessa civiltà occidentale. Ma le identità e le differenze riemergono e spesso si vestono di valori ideologici, caratterizzati da un fondamentalismo che prima di essere religioso è politico e nazionalista;

3) esiste un'accentuata deculturalizzazione ed omogeneizzazione. Anche attraverso il sistema dei media e della comunicazione educativa sono condizionati gli stili di vita, i saperi ed i linguaggi nell'organizzazione dell'intera società;

4) la società globale dell'informazione (la cui diffusione è condizionata da tariffe, standard, modi-codici-processi-percorsi di accesso, utilità, ecc. accessibili ad élite sempre più ristrette) e la "globalizzazione" rivalutano (fino a farli diventare determinanti) quelle forme di pensiero e quegli stili comunicativi e conoscitivi (basati sulla percezione sensoriale, sull'analogia, sulla discontinuità, sulla sintesi, sul simbolo, sull'evocazione, sulle esperienze quotidiane, sui limiti del sapere concettuale) che sono stati accantonati dalla cultura occidentale solo in questi ultimi tre secoli e che sono ignorati, in Italia, dalle strutture dell'educazione, della cultura e della comunicazione. Comunque acquistano dignità le diverse "visioni del mondo", o percorsi conoscitivi, o modalità di pensiero, o stili e codici comunicativi e conoscitivi, o "percezioni" del mondo, ambienti di comunicazione e di conoscenza, che va ricordato, non sono in antitesi, ma s'integrano ed interagiscono, dando vita ad una società complessa.

Si può accettare la "complessità", la "modernità", l'"internazionalizzazione" e mirare ad uno sviluppo integrale, riconoscendo la dignità di tutte le "culture", quelle dei popoli nuovi (in realtà antichissimi, colonizzati, sfruttati, annullati nelle loro identità) e quelle delle maggioranze della gente comune (che mai hanno avuto il rispetto di soggetti sociali), anche nella nostra Italia. Si deve cioè restituire agli utenti della scuola, dei servizi culturali, dei media il ruolo (per dirla con Alain Touraine) di soggetti sociali.

Questo sarebbe particolarmente facile in Italia, dove, attingendo alle differenti identità e radici culturali, al multiculturalismo, che data dal tempo di Roma imperale, si potrebbe superare il catastrofismo e l'arroccamento di fronte ai grandi cambiamenti di scenario.

In mancanza di studi approfonditi sulla valutazione dei profondi cambiamenti di scenario che (prevalga una tesi o l'altra, o che si trovi, più verosimilmente, una "terza via") cominciamo ad avvertire, non ci resta che registrare alcuni fenomeni del cambiamento. E tra questi c'è certamente la sistematica immigrazione di "popoli nuovi", con la loro cultura, i loro valori, la loro capacità di inserirsi rapidamente nel nostro mondo, ma senza integrarsi (cfr. l'indagine della Doxa: più sono gli anni di residenza in Italia, più cresce, da parte degli immigrati, la richiesta di programmi di informazione per gli italiani sulla cultura \ i costumi degli stranieri. Esiste perciò una voglia sempre più forte di alimentare e di riferirsi alle proprie radici culturali, che vengono proposte, come punti di riferimento, agli stessi italiani).

Proprio per questi motivi, e tenendo conto che le immigrazioni, come ricorda la Caritas, sono un fatto strutturale della storia, va valutato e studiato in tutta la sua complessità il fenomeno immigratorio in Italia, e più in generale in Europa, attivando un Ossevatorio Multiculturale che sappia tener conto della letteratura e delle discussioni che ormai si producono in ogni parte del mondo sullo scontro o sull'integrazione delle civiltà.

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Oggi siamo evidentemente in un'epoca in cui le grandi migrazioni di popoli ricordano che "le migrazioni", come sosteneva Luigi Di Liegro, figlio di emigranti clandestini, "sono un fatto strutturale della storia". Gli spazi lasciati vuoti dalla scarsa natalità dei Paesi Occidentali, vengono coperti dai popoli nuovi (come Gregorio Magno chiamava le genti che venivano dall'Asia), non disposti a rappresentare i nuovi schiavi, necessari per consentire all'economia ed ai privilegi delle piccole élite di ricchi, di perpetuarsi. L'arcivescovo di Parigi Lustiger ha messo in evidenza che se la ricetta politica adottata in Europa è quella che gli extracomunitari siano il meno possibile, tutte le previsioni dicono che tra 20 o 30 anni l'Europa ricca e sottopopolata non potrà evitare l'arrivo in massa delle popolazioni del Sud e dell'Est.

I ragazzi con meno di 15 anni in Italia sono il 15%, mentre nell'intera Africa e nel Medio Oriente sono il 65%. Di contro gli anziani con più di 65 anni sono in Italia il 16,1%, mentre in Africa e nel Medio Oriente sono il 3,2%. E' prevedibile che nel 2025 la popolazione lavorativa tra i 20 ed in 45 anni nel Nord e nel Centro Italia sarà superiore al 40%.

Una diversa cultura, una diversa concezione della democrazia e dell'organizzazione sociale con la quale dovremo presto fare i conti. Solo pochi giorni fa l'arcivescovo di Parigi Lustiger metteva in evidenza che se la ricetta politica adottata in Europa è quella che gli extracomunitari siano il meno possibile, tutte le previsioni dicono che tra 20 o 30 anni l'Europa ricca e sottopopolata non potrà evitare l'arrivo in massa delle popolazioni del Sud e dell'Est. Nel 2025 il 40% della forza lavoro dell'Italia del Nord e del Centro sarà costituito da "stranieri".

Vorrei ricordare che "Il pluralismo ... culturale consapevole e spesso concorrenziale, che rifiuta ogni posizione di inferiorità e di sottomissione" a cui fa cenno Rossano non è soltanto quello degli stranieri, dei popoli nuovi che vengono da lontano, è anche quello espresso da molti di noi, dalle maggioranze dei cittadini comuni, nelle nostre città fatte di tante culture, di tante etnie, tanti sentire religiosi.

Culture consapevoli eppure "altre", "diverse", che, si dice, rappresentano una ricchezza. Eppure una caratteristica forte è l'espropriazione delle culture, dell'intelligenza e della creatività delle maggioranze dei cittadini, attraverso le strutture della scuola, della cultura e della comunicazione. Una espropriazione che colpisce il diritto fondamentale della identità personale e collettiva e conseguentemente alla partecipazione comunitaria e solidale della democrazia e dell'organizzazione sociale. Altro che Costituzione incompiuta!

Non è esagerato affermarlo. Nel Rapporto ISTAT 1996-97 si legge che "L'Italia sta cambiando. I numeri e le analisi affermano che il mutamento è profondo, più veloce del previsto, tale da modificare i rapporti tra le categorie sociali e le diverse aree del Paese. E' un cambiamento in meglio? Soprattutto, è un cambiamento sostenibile...?".

Dai dati che seguono sembrerebbe proprio di no. Se la scuola è aperta a tutti secondo il dettato Costituzionale, il sapere, in realtà, è riservato a pochissimi. Anche la modernizzazione tecnologica, è per pochi, per una piccola minoranza. I comportamenti attivi (legati alla cultura medio alta) sono riservati ad una piccola minoranza. E' evidente la convinzione che la democrazia è fatta solo per la classe dirigente e non per la massa, che bisogna emarginare, distrarre e controllare per il suo bene. ll bene comune compete, infatti, ad una piccola classe specializzata.

L'ISTAT sta studiando come modificare i propri "indicatori" perchè il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito. Nascono nuove disparità.

RICONCILIAZIONE. Homo quadammodo omnia.

UN IMPEGNO CONCRETO E PROGETTUALE PER LA GIUSTIZIA E LA PACE.

In Italia fervono i preparativi per il Giubileo del 2000, per l'Anno Santo Romano. Fin dal III secolo venivano pellegrini a pregare sulle tombe di Pietro (segnata da un modesto altarino) e Paolo. Solo con il 1300 il Cammino verso Roma, verso la sede di Pietro, assumerà le forme del Grande Giubileo, del pellegrinaggio maggiore che riassume i pellegrinaggi di tutta la cristianità.

Mentre ci prepariamo al giubileo/pellegrinaggio del 2000 avvertiamo un temibile privilegio: ci troviamo all'inizio di una coscienza planetaria, ma al tempo stesso si intravedono nuove barriere alla liberazione dell'uomo:

- l' accumulo di ricchezze e di poteri (culturali, informatici, militari, finanziari);

- la sofferenza umana con l'ingiustizia sociale che costringe alla povertà larga parte della popolazione del pianeta;

- la sofferenza, la devastazione ecologica della terra stessa con il degrado dei terreni, dell'acqua e dell'aria e la distruzione ambientale del nostro pianeta;

- la cultura individualista e l'atomizzazione degli individui isolati; il vuoto e l'assenza di comunione e di comunicazione (al punto che almeno 2\3, ma forse è meglio dire 4/5 di italiani sono esclusi da ogni consumo educativo e culturale);

- la convinzione che il compito storico di uno schieramento di progresso e innovatore è essenzialmente quello di compiere finalmente una modernizzazione del capitalismo;

- la crisi dei due sacri pilastri della nostra civiltà: il lavoro ed il consumo. La disoccupazione anche nelle nostre città ed il debito pubblico che strangola i Paesi del Terzo Mondo sono le conseguenze più evidenti che richiedono interventi decisi nella ricerca di convivialità e di semplicità di vita

PROPOSTE

ITINERARI.

Si potrebbero ricostruire itinerari nel territorio e nelle città, anche segnalati con semplici tabelle esplicative, che mostrino come gli infiniti "luoghi" della storia (ad esempio, a Roma, il Velabro, Trastevere, San Giovanni; nell'Italia Meridionale, i Cammini a San Michele Arcangelo), coincidano con i "centri del mondo", in cui si è manifestata l'unione sistemica natura/cultura (superando la contrapposizione uomo/animali; esseri animati/esseri inanimati; organico/inorganico, reale/irrazionale, ecc.), la riconciliazione dell'uomo con l'ambiente e la sintesi delle diversità, delle multiculture, delle multietnie, delle multireligioni. Si potrebbe ricostruire il carattere non romano ed universalistico di Roma e del cristianesimo delle origini.

CONFERENZE, OPUSCOLI, INIZIATIVE MASS MEDIOLOGICHE E MULTIMEDIALI PER RACCONTARE UNA STORIA PIU'RISPETTOSA DEL VERO.

Si potrebbe recuperare il carattere complesso della "romanità", la pluralità (non solo delle opinioni, ma delle culture, della etnie, delle religioni, delle diverse "visioni del mondo" e dei diversi processi e modalità di pensiero) presente anche a Roma nel primo secolo d.C. e nel primo Millennio. Si racconterebbe una storia meno fantasiosa e più rispettosa del vero, producendo e diffondendo capillarmente materiali multimediali, ben fatti, che sappiano ritrovare la globalità dei linguaggi della comunicazione ed il ruolo di documento storico fondamentale dei beni naturali e culturali. Raccontiamo solo il "mondo conosciuto" dai romani e non l'universo mondo (con tutte le sue culture e civiltà). In genere raccontiamo solo quanto è stato elaborato dalle categorie filosofiche e concettuali ellenistiche nei confini del Mediterraneo, dell'Impero Romano, dell' «Occidente». Viene dimenticato il mondo. Si dimentica persino che il Mediterraneo è, dalla più remota antichità, un piccolo lago e al tempo stesso uno dei terminali delle merci e perciò delle culture che provengono da tutto il mondo.

- Raccontiamo che il nostro Occidente conosce un "progresso" senza fine (ci meravigliamo che gli antichi fossero, e che i «diversi da noi» siano degli esseri pensanti), che sfocia in un'epoca, quella in cui viviamo, certa, immutabile, definitiva. La manipolazione della storia, del resto, è da sempre, uno degli strumenti più forti per convincere le maggioranze della gente comune che dalle origini del mondo, non hanno la dignità per partecipare alla ridistribuzione del sapere e del potere. E' sconvolgente la cancellazione di ogni forma di cultura che non sia quella delle élite al potere. Si rimane ora costernati nel vedere come i problemi della mondialità vengono mistificati.

Il Mediterraneo "culla" di tutte le civiltà; Atene "patria" della democrazia; i Pagani ancora lontani dalla vera religione; le "invasioni" barbariche; Attila flagello di Dio; gli arabi e i musulmani; la battaglia di Poitiers; i secoli "bui"; la scrittura ed il razionalismo; le crociate; le "orde" di Gengis Khan; l'Africa Nera, Marco Polo, l'"Umanesimo"; la scoperta dell'America; il "secolo dei lumi"; l'integralismo islamico: ecco alcuni, e solo alcuni, dei tanti esempi possibili su cui esercitare il nostro pentimento, anche attraverso opuscoli, conferenze e seminari, superando luoghi comuni e ricostruzioni di comodo per raccontare una storia più rispettosa del vero.

Le celebrazioni dell'anno 2000 dovrebbero far riferimento alle culture e alle civiltà lontane dalla nostra (europee, centro-africane, arabe, centro-asiatiche, estremo orientali), e dovrebbero affrontare i temi fondamentali dei diritti (vedi il capitolo precedente), dell'ambiente, della scienza e della tecnologia, della genetica, dell'etica .

CONFERENZE, OPUSCOLI, INIZIATIVE MASS MEDIOLOGICHE E MULTIMEDIALI PER INIZIATIVE DI SENSIBILIZZAZIONE:

- sui grandi temi dell'uomo alle soglie del III Millennio: il ben-essere umano ed ecologico (il contesto per una teologia e un dialogo culturale, etico, religioso, interculturale in cui sia rispettato "il dominio delle diversità"), la società e lo sviluppo sostenibili, la necessità di un "dialogo globalmente responsabile" per la progettazione di un futuro comunitario e «globalmente» «sostenibile», la "complessità" e le strategie del potere oligarchico (la globalizzazione), i limiti della scienza, della tecnologia e della ricerca.

- contro: le manipolazioni genetiche, la pena di morte e per la cancellazione del debito pubblico del Terzo Mondo, dei popoli, cioè, che con il loro lavoro, le loro risorse, la loro cultura, la loro fame e le loro miserie hanno fin qui contribuito alla nostra ricchezza,. Ed ancora per superare: "l'imperialismo culturale e religioso", l'ecclesiocentrismo cattolico ed in genere del cristianesimo occidentale, il macroecumenismo religioso e culturale.

- sulle: multiculture, sulla molteplicità dei sistemi comunicativi e conoscitivi, sul linguaggio universale, sulle culture dei giovani, sulle peculiarità delle varie modalità di pensiero che caratterizzano ogni persona umana, sulla mente globale.

- sulle ricorrenze e sugli anniversari che possono favorire una riflessionisul passato e sulla progettazione del futuro:

- i seicento anni del rogo di Giordano Bruno: le diverse visioni del mondo e le diverse strutture di conoscenza e di comunicazione; le odierne espropriazioni delle culture, dell'intelligenza e della creatività delle maggioranze dei cittadini. Una espropriazione, che colpisce il diritto fondamentale della identità personale e collettiva e che viene giustamente definita come "genocidio culturale".

- i quattrocento anni della pubblicazione dei "Conceptos Spirituales" di Alfonso de Ledesma, che ancora oggi condizionano in negativo larga parte della scuola occidentale e giustificano la concentrazione dei saperi e dei poteri nelle mani di pochi privilegiati

- papa Silvestro II, il papa dell'anno 1000, il papa definito Mago, perchè cercò di introdurre culture diverse da quelle occidentali ("Può venire qualcosa di importante da ciò che non è stato inventato dai greci?") lo zero, le figurine indiane (i numeri che saranno detti arabi) ed il calcolo posizionale: in una parola la semplificazione e la democratizzazione del "far di conto"e della scienza.

Per superare l'ecumenismo romanocentrico, fondato sull'ordo romanus non solo religioso, ma culturale, dobbiamo imparare ad avviare un un macroecumenismo religioso e culturale. Il macroecumenismo suppone la capacità di riconoscere e denunciare l'identificazione storica della cultura e delle chiese con le culture europee delle oligarchie. Contribuendo alla riscoperta e rivalutazione della globalità della conoscenza e della comunicazione. Culture e religioni si devono aprire al contributo dei popoli indigeni promuovendo l'affermazione dei popoli indigeni come soggetti e di una liturgia indigena, una lettura indigena della bibbia, una teologia indigena, ecc. L'ecumenismo suppone la capacità di stabilire con esse un rapporto di dialogo e di reciprocità, e quindi abbandonando il presupposto della superiorità e centralità storica europea e del cristianesimo. Il macroecumenismo suppone la capacità di superare le frontiere delle "chiese", per estendersi a tutte le religioni impegnate nella liberazione degli uomini e dei popoli, particolarmente alle religioni originarie dei popoli indigeni ed a quelle degli afroamericani. Il macroecumenismo suppone la capacità di porre espressamente tra gli obbiettivi comuni la campagna per la restituzione delle terre ai popoli indigeni da parte della chiesa.

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