IT'S A BEAUTIFUL DAY

                                                          

                                                                                    

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BOSTON CELTICS 2008

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Il sito ufficiale dei tifosi italiani dei gloriosi Boston Celtics, la squadra di basket più titolata della NBA.
Il club è dedicato a Reggie Lewis, scomparso tragicamente nel 1993.

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         you're the fan # since Nov 15th 1998

            HAPPY BIRTHDAY CFCIT: 10TH YEAR!

CARO DJ

Caro DJ, sei volato anche tu, lassù, quattro mesi dopo Red, che ti scelse nel 1983 dopo il titolo vinto da MVP nel 1979 a Seattle e il passaggio a Phoenix. Ti scelse perchè eri un gran difensore, ma anche perchè eri un grande professionista e combattevi in campo con l’agonismo e l’orgoglio degni del Celtic Pride che rappresentavi, insieme a leggende del calibro di Larry, Kevin o Robert. Hai vinto i titoli del 1984 e del 1986, ma noi ti ricordiamo anche negli anni delle battaglie perse, quando vincesti con un tuo tiro gara 4 contro i Lakers nel 1985, oppure quando Larry rubò a Isiah e ti passò la palla che mettesti nel canestro con una rapidità fulminante portando i verdi al trionfo in gara 5 contro Detroit nel 1987, con il sottofondo della gracchiante voce di Johnny Most che prese a urlare “DEEEJAAAAY” facendo saltare le casse dei TV di allora. Ti ricorderemo perchè sei stato soltanto l’undicesimo giocatore della storia NBA ad avere contemporaneamente più di 15000 punti e 5000 assist, ma anche perchè provenivi dal poverissimo ghetto di Compton e sei riuscito grazie alla tua costanza e impegno ad iscriverti a Pepperdine, favoloso college sulle spiagge di Malibu. Dopo hai voluto fare l’allenatore, ed hai avuto l’umiltà di partire dalla gavetta, come quando andasti a chiedere al tuo amico Jon Jenning, student manager di Indiana sotto Knight, i segreti dello scouting. Poi sei stato assistente ai Celtics, spostandoti successivamente ai Clippers, più vicino a casa tua. Ma Boston, seguendo la tradizione, ti ha voluto di nuovo con sè, riservandoti l’onore di sviluppare i giovani negli Austin Toros, farm team della NBDL, e tu hai accettato, preferendola alla NBA, pur di appartenere alla famiglia biancoverde. Stavi parlando con Perri Travillion, PR della squadra, appena uscito fuori dal campo di allenamento, per strada, scherzavi, ma poi non ce l’hai fatta più.
Ciao DJ.

                                                                                                                                                                                                    Vittorio Festa

TRIBUTE TO DJ

 

QUELLA NOTTE, CONTRO WASHINGTON: IL SALUTO AD AUERBACH

E’ un freddo sabato notte di Novembre, e da appena una settimana Arnold “Red” Auerbach ha lasciato i Celtics nell’unico modo possibile: Dio lo ha voluto con sè interrompendo una striscia di ben 56 anni consecutivi di appartenenza alla famiglia biancoverde. Già, la famiglia, quella che lui aveva creato a partire dal 1950, quando arrivò a Beantown dai Tri Cities Blackhawks, in sostituzione di Alvin ”Doggie” Julian. Walter Brown lo chiamò su segnalazione di alcuni giornalisti locali, facendogli firmare un contratto da 10mila dollari l’anno e consegnandogli di fatto le chiavi della squadra. “Patriarch, Legend”, come recita Celtics.com, di una grande famiglia alla quale appartiene chiunque sia stato contagiato dalla Mistica dei Celtics, creazione di Red. E come chiunque sia stato colpito dalla perdita di una persona cara, c’è in noi la voglia di restare soli, a riflettere un pò. Stanotte su League Pass c’è Washington-Boston, proprio le due città amate da Auerbach, scherzo del destino. I Celtics devono riscattare una stagione deludente, afflitti da problemi difensivi, l’inesperienza, l’incapacità di chiudere le partite nei finali tirati. Arenas entra nell’arena vestito da pugile, segnali preoccupanti...Ma manca quell’entusiasmo, l’eccitazione che dovrebbe esserci nel vedere la prima partita biancoverde dell’anno, perchè nel pensiero c’è ancora Red e quella voglia di riflettere. Così decidiamo di incamminarci, nella notte fredda e umida di Novembre, verso Quincy Market, Fanueil Hall, sedendoci accanto alla statua di Red. Eccolo lì, in panchina, con il suo sigaro e il sorriso appena accennato, sarcastico, quasi irridente l’avversario. Basta un attimo, e quella panchina diventa di legno e i sanpietrini diventano parquet incrociato, il cielo si illumina....ma sì, siamo al Boston Garden, è il 15 Aprile 1965, gara 7 delle finali della Eastern Division. A 5 secondi dalla fine, con i Celtics sopra di uno, Russell, ostacolato dalle infinite braccia di Chamberlain, sbaglia la rimessa dalla propria metà campo facendo sbattere la palla sul bordo esterno del tabellone. Coach Shayes chiama timeout mentre Russell si dispera. Alla ripresa del gioco, dalla stessa posizione, Hal Greer cerca a sorpresa di servire Chet Walker, trascurando Wilt “The Stilt”, ma dal nulla appare John Havlicek, reduce dai postumi di un’operazione al ginocchio e non al 100%, che intercetta il pallone deviandolo nelle mani di Sam Jones. “Havlicek stole the ball! It’s all over! Johnny Havlicek being mobbed by the fans!” ha urlato la voce gracchiante di Johnny “Machine Gun” Most, che per 36 anni ha raccontato in TV le gesta dei C’s. E Auerbach potè fumare il sigaro della vittoria. Improvvisamente il tempo si porta avanti di un anno: è il 28 Aprile 1966, ancora una gara 7, finale NBA contro i Lakers, e stavolta quel sigaro acceso avrebbe potuto veramente costar caro al grande Red. E’ un giorno speciale questo, la sua ultima gara da coach dei Celtics. Gli Irlandesi sono avanti di 10 a 30 secondi dalla fine, ma hanno un calo di tensione. Palla ai Lakers e subito un canestro di West, poi nuova palla persa e un altro canestro di Mr. Logo porta i suoi a meno 6 con 14 secondi da giocare. Come aveva già fatto in precedenza, Red commette l’errore di accendere il sigaro in anticipo, e i tifosi, credendo che quello fosse il segnale che la gara era terminata, invadono il campo festanti. Ma ovviamente c’era ancora da giocare. Rimessa per Havlicek che perde palla e i Lakers, inferociti per la mancanza di rispetto, salgono a – 4, poi altre tre palle perse dei Celtics che tuttavia fruttano solo due punti ai gialloviola, prima che finalmente KC Jones trattenga il pallone e i padroni di casa possano celebrare il loro ottavo titolo consecutivo. Otto mesi dopo Auerbach allenerà la sua ultima partita ufficiale, guidando l’Est all’All Star Game 1967 di San Francisco, ma terminando la gara in anticipo. Fu infatti espulso per aver contestato alla sua maniera una chiamata arbitrale!
In tutto Red vinse nove titoli da coach/GM, i primi sei con Cousy, poi altri sette da dirigente, di cui 2 con Russell coach/giocatore, 2 nell’era Cowens e i tre dell’era Bird. Tranne Cousy, che capitò ai Celtics con un colpo di fortuna, tutti gli altri grandi che hanno calcato il mitico parquet incrociato sono stati scelti da Red, l’unico nella storia ad aver vinto un titolo di coach dell’anno (’65) e di executive dell’anno (’80). Quale la squadra più forte di sempre? Difficile stabilirlo, perché è complicato paragonare formazioni appartenenti a diversi periodi. Più giusto sceglierne una per ogni era: a pari merito prevalgono quattro teams. Quello del ‘60/’61, “Era Cousy”, con quattro Hall Of Famers componenti dello starting five (Cousy, Russell, Sharman e Heinsohn, il quinto era “Satch” Sanders), più altri tre dalla panchina: il sesto uomo Frank Ramsey, e i due Jones, Sam e KC. Poi il team del ‘65/’66, “Era Russell”, con i due nuovi Hall of Famers Havlicek e Nelson, con Russell e i due Jones a garantire la continuità della dinastia. Non fu da meno la squadra che vinse il titolo del 1974, “Era Havlicek”, con Dave Cowens, l’essenza del Celtic Pride, anche lui nella Hall of Fame, supportato ancora da Havlicek e Nelson, con JoJo White, Silas, Westphal in campo e Tom Heinsohn in panchina. Heinsohn, che ha guidato i biancoverdi per 9 anni dopo Bill Russell, è oggi, per il 24mo anno consecutivo, opinionista televisivo della TV FoxSportsNE, e forma, insieme al telecronista Mike Gorman una delle coppie più longeve e spassose dello Sport Usa sul piccolo schermo. Last but not Least, la squadra leggendaria del 1986, “Era Bird”, quella che vinse 67 gare in stagione regolare, perdendone solo una in casa -contro i Blazers-, con “The Big Three” Bird-McHale-Parish a far sognare i ragazzini anche al di là dell’Atlantico. E poi c’erano Bill Walton, sesto uomo di extralusso, arrivato in cambio di Cedric “Cornbread” Maxwell- protagonista dei titoli del 1981 e 1983-, DJ, Ainge e KC Jones in panchina. Regista di tutto questo, sempre il grande Auerbach.
Nel frattempo fa sempre più freddo nella notte di Quincy Market, accanto a Red sulla panchina di Fanueil Hall, ma noi non ce ne accorgiamo e la mente continua a viaggiare. Ok, le migliori squadre sono queste, ma qual è stato il più grande giocatore della storia biancoverde? La scelta ricade ovviamente in un testa a testa tra Russell e Bird. Anche qui è difficile prendere una decisione. Se guardassimo solo ai titoli NBA vinti, Bill stravincerebbe, ma i fattori da considerare sono anche altri. Innanzitutto occorre analizzare la realtà NBA al tempo in cui hanno giocato il n.6 e il n.33, quindi il tipo di gioco espresso nella lega e il numero di squadre appartenenti. Da quest’ultimo infatti dipende la diluizione del talento in più formazioni, e quindi il valore dei compagni di squadra, oltre che il numero di partite, di viaggi, ecc...Occorre inoltre considerare anche la capacità di saper migliorare i propri compagni, il proprio talento fisico e la completezza di gioco ed infine, il coach che li ha allenati. Non facile dunque l’impresa. Ai tempi di Russell la NBA era in una fase pionieristica, al suo primo anno le gare di regular season erano 72, e le gare di playoffs potevano al massimo essere dodici, mentre nel suo ultimo anno si passò a 82 e 21. Ai tempi di Bird 82 e 26. Fattore dunque che non incide, ma le squadre ai tempi di Russell erano in totale 8 al suo primo anno e 14 nell’ultimo, mentre ai tempi di Bird le squadre erano 23 durante i suoi tre titoli, quindi il talento era ripartito in un maggior numero di franchigie. L’allenatore di Russell era Auerbach. KC Jones e Bill Fitch, gli allenatori dei titoli di Larry, con tutto il rispetto, pur bravi, non sono nemmeno paragonabili. In quanto al tipo di gioco, ovvio che con il continuo miglioramento delle tecniche di allenamento e di condizionamento fisico, il gioco degli anni ’80 fosse più duro e atletico rispetto agli anni ’60, ma non crediamo che le gare NBA ai tempi di Russell fossero meno toste fisicamente di quelle dei tempi moderni. In quanto alla capacità di migliorare i compagni, sia Russell, sia Bird non hanno avuto eguali, emblematico il fatto che le rispettive squadre abbiano iniziato a vincere al loro arrivo. Infine, argomento “capacità atletiche e talento cestistico”. Bill Russell era un afroamericano, dotato di un atletismo e di una velocità fuori dal comune, che lo aiutavano a prendere rimbalzi, a stoppare, più volte anche nella stessa azione, e a correre in campo aperto con una facilità disarmante, il più grande centro difensivo della lega. E’ stato un buon attaccante, non eccelso, ma di grande intelligenza. Capitolo Bird: bianco, alto, ma meno dotato atleticamente e difensivamente rispetto al “rivale”, eccezionale attaccante, tantissime armi offensive con un range di tiro illimitato, buon rimbalzista e divino passatore. Ma soprattutto una mostruosa capacità nel capire il gioco e nel trascinare i compagni, una fame di vincere e una competitività fuori dal comune, che lo hanno portato a primeggiare nonostante come già detto doti fisiche non speciali. Leader in campo, meno silenzioso di Russell, ed anche hustle player, all’occorrenza: leggendari i suoi tuffi per recuperare il pallone, voli che gli hanno accorciato la carriera...Ancor più confusi dunque su chi sia il migliore? La risposta ce l’ha ancora una volta il vecchio Red: ”If I had to start a team, the one guy in all of history I would take would be Larry Bird”....
Improvvisamente, quasi un boato. La panchina dei Celts esplode, Pierce ha messo il canestro del sorpasso, 70-69 contro Washington. Un sussulto, ci ritroviamo sì seduti, ma in poltrona; i biancoverdi poi perderanno la gara. E Quincy Market, la notte di Boston, la panchina con Red? Era tutto un sogno! La passeggiata a Faneuil Hall, la statua, il Market, esistono davvero, ma noi non eravamo lì, almeno fisicamente. Però c’eravamo con il cuore. Il cuore serve a ricordare, ma ora c’è da pensare al futuro. Pierce, West, Gomes, Telfair, voi indossate una maglia gloriosa, ed è ora di riportare in alto la Mistica dei Celtics, nel nome di Red.

Vittorio Festa

FAREWELL RED

 


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