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Le valanghe

Storia dell'arva| Utilizzo | Modelli | Prova comparativa

 

Valanga

valanga

Massa di neve che precipita lungo il pendio di una montagna ingrossandosi sempre più, trascinando altra neve e detriti e abbattendo tutto ciò che incontra. Si verificano generalmente d'inverno (aumento di peso dello strato nevoso per abbondanti nevicate) e di primavera (disgelo). L'inclinazione minima di un pendio perché possano aversi delle valanghe si aggira sui 22 gradi.

 

ORIGINI DEI TERMINI “VALANGA” E “SLAVINA”

(tratto da Colin Fraser “L’enigma delle valanghe”)
Le origini dei nostri attuali termini “valanga” e “slavina” sono da ricercarsi nella lingua latina. Nei testi antichi erano chiamate “labinae” o “lavanchiae”. Lavanchiae è probabilmente di origine pre-latina, forse ligure, ed ha la stessa radice di “lave” che significa scorrere di fango o lava. Molto più tardi la confusione con il vocabolo francese “aval” (che significa “verso valle, all’ingiù”) produsse l’attuale vocabolo “avalanche”, usato in inglese e francese, da cui deriva “valanga” in italiano. Il termine si potrebbe applicare alla caduta di qualunque materiale, ma quando lo si usa senza specificazioni ci si riferisce sempre alla caduta di neve. L’altro vocabolo latino labinae deriva da “labi” che significa “slittare, scivolare giù”. In seguito la parziale intercambiabilità delle lettere b, v e u originò molti termini propri di particolari regioni alpine come lauie, lavina, lauina e infine l’attuale vocabolo tedesco lawine, introdotto nell’uso corrente da Schiller e Goethe, da cui deriva il termine italiano “slavina”.

Fin dall'inizio degli anni settanta, il Servizio Valanghe Italiano del CAI, per convenzione, aveva deciso di non usare mai il termine "slavina" in quanto e' sinonimo di "valanga", ma foriero di idee confuse (c'era, ad esempio, chi sosteneva che la slavina scivolasse e la valanga "rotolasse", mentre in natura le valanghe che rotolano non esistono e sono legate solo alle fantasie tradizionali, sia pur raccolte da eminenti poeti come il Carducci, o, addirittura, da un vocabolario della lingua italiana che va per la maggiore che e' il Devoto-Oli).


La stragrande maggioranza delle persone coinvolte nella valanga muore per soffocamento; molti periscono anche in seguito alle ferite riportate. La possibilità di essere ritrovati ancora in vita diminuisce drasticamente col passare del tempo:dopo 45 minuti, solo un terzo delle persone completamente sepolte sotto la neve viene ritrovato ancora in vita.

Il pericolo di valanghe è determinato dall'azione reciproca di più fattori naturali quali il terreno, la quantità di neve fresca, il vento, la struttura del manto nevoso e la temperatura. Gli appassionati della neve devono conoscere il significato di tali fattori, poiché il 90% delle persone travolte provoca personalmente il distacco della valanga.

Terreno

Il pericolo di valanghe aumenta proporzionalmente alla pendenza del terreno. Una valanga può staccarsi già da pendii di 30 gradi di inclinazione. I pendii ombreggiati sono spesso più pericolosi di quelli esposti al sole.

Neve fresca e vento

Più neve fresca è caduta, più aumenta il pericolo di valanghe. Particolarmente critico è il primo giorno di bel tempo dopo un periodo di maltempo. Il vento può depositare ulteriore neve sui pendii sottovento. Le cornici di neve sulle creste delle montagne indicano spesso la presenza disimili accumuli. Già 10­20 cm di neve fresca possono ­ con condizioni sfavorevoli ­ accrescere marcatamente il pericolo di valanghe. Il tipico pendio a rischio di valanghe è ripido, esposto all'ombra, in prossimità della cresta e coperto di accumuli di neve portata dal vento.

Manto nevoso

Il peso della neve genera all'interno del manto nevoso grandi forze di taglio alle quali spesso i diversi strati del manto nevoso non sono in grado di contrapporre la necessaria resistenza. In un pendio a rischio è solitamente sufficiente un piccolo sovraccarico, come quello provocato dal passaggio di una persona, per rompere l'equilibrio e provocare il distacco di una valanga. Un manto nevoso di spessore modesto e pietre sporgenti non implicano un minor pericolo di valanghe.

Il pericolo maggiore è rappresentato dalle cosiddette valanghe di neve a lastroni perché entro pochi secondi un'intera lastra di neve si mette in movimento. Le vittime ne vengono rapidamente travolte e spesso seppellite completamente. Valanghe di neve a lastroni recenti, crepe nel manto nevoso o sordi rumori riscontrati su un pendio sono inconfondibili segnali d'allarme.

Temperatura

Le basse temperature dopo una nevicata possono rallentare il consolidamento del manto nevoso e mantenere per lungo tempo invariato il pericolo di valanghe. Un rialzo della temperatura dapprima riduce le resistenze del manto nevoso provocando un aumento del pericolo di valanghe; esso ne favorisce però l'assestamento comportando di regola dopo un certo periodo una diminuzione del pericolo di valanghe. In primavera, la maggiore insolazione e il conseguente riscaldamento inumidiscono e appesantiscono la neve, facendo così aumentare nel corso della giornata il pericolo di valanghe.


Pericolo di valanghe

Il bollettino valanghe non può tener conto delle situazioni locali. I responsabili delle piste o dei servizi di soccorso osservano costantemente l'evoluzione del pericolo di valanghe e mettono in guardia tramite tavole d'avvertimento (spesso accompagnate da segnali luminosi lampeggianti) dall'avventurarsi nella zona non controllata per gli sport sulla neve, oppure sbarrano piste, itinerari e sentieri per gli sport sulla neve.


Scala del pericolo di valanghe

1 Debole

Condizioni generali favorevoli. Sui pendii ripidi più estremi,evitare i freschi accumuli di neve portati dal vento. Il distacco è possibile con un forte sovraccarico su pochissimi pendii ripidi estremi. Sono possibili solo piccole valanghe spontanee. Condizioni generalmente sicure per gite sciistiche

2 Moderato

Condizioni in buona parte favorevoli. Evitare tutti ipendii ripidi estremi di esposizione e quota nonché gli accumuli di neve portata dalvento. Percorrere prudentemente e non in gruppo ipendii molto ripidi. Il distacco è probabile con un forte sovraccarico (**) soprattutto sui pendii ripidi indicati. Non sono da aspettarsi grandi valanghe spontanee. Condizioni favorevoli per gite sciistiche ma occorre considerare adeguatamente locali zone pericolose.

3 Marcato

Condizioni in parte sfavorevoli. È necessario avereesperienza nel giudicare la situazione sul fronte dellevalanghe. Evitare i pendii molto ripidi. Il distacco di valanghe è probabile con un debole sovraccarico soprattutto sui pendii ripidi indicati. In alcune situazioni sono possibili valanghe spontanee di media grandezza e, in singoli casi, anche grandi valanghe. Le possibilità per gite sciistiche sono limitate ed è richiesta una buona capacità di valutazione locale.

4 Forte

Condizioni sfavorevoli. Limitarsi a zone moderatamente ripide, evitare i pendii ripidi. Attenzione alle zone dideposito delle valanghe (distacchi a distanza, valanghe spontanee). Il distacco è probabile già con un debole sovraccarico sulla maggior parte dei pendii ripidi. In alcune situazioni sono da aspettarsi molte valanghe spontanee di media grandezza e, talvolta, anche grandi valanghe. Le possibilità per gite sciistiche sono fortemente limitate ed è richiesta una grande capacità di valutazione locale.

5 Molto forte

Condizioni molto sfavorevoli. Sono da aspettarsi numerose grandi valanghe spontanee, anche su terreno moderatamente ripido. Le gite sciistiche non sono generalmente possibili.

Tipologie:

Caratteristica Definizione e differenze
Forma della rottura Valanghe di lastroni di neve

rottura partendo da una linea,

a spigoli vivi, perpendicolare alla superficie di slittamento

Valanga di neve senza coesione

rottura partendo da un punto

Posizione della superficie di slittamento Valanga di superficie

superficie di slittamento all’interno della coltre nevosa

Valanga di fondo

superficie di slittamento al suolo

Movimento Valanga di neve polverosa Valanga di neve fluida
Umidità Valanga di neve asciutta Valanga di neve umida
Forma del percorso Valanga di superficie Valanga di canalone
Lunghezza del percorso Valanga di fondovalle

fin sul fondovalle

Valanga di pendio

fino ai piedi del pendio

Tipo di danni Valanga con danni materiali

case, vie di comunicazione, boschi

Valanga con danni corporali

sciatori e alpinisti

 

GENESI E METAMORFISMI DELLA NEVE

Ad un osservatore superficiale la neve, quando cade, pare una moltitudine di farfalline bianche volteggianti nell’aria in una danza fantasmagorica. Osservando, pero', queste farfalle depositate su un corpo scuro, meglio se con una lente contafili, prima che il nostro alito caldo le trasformi in goccioline d’acqua, vediamo che si tratta di un insieme di multiformi cristalli di ghiaccio.

Essi si formano, a temperature inferiori a 0 C°, per sublimazione di molecole di vapore e congelamento di microscopiche gocce d'acqua attorno ad impurita' presenti nell'atmosfera che fungono da nuclei di cristallizzazione. I cristalli assumono, inizialmente, la forma di una microscopica piastrina esagonale che si accresce man mano che, nel suo movimento nell'aria satura della nube, aggrega a se' altre molecole di vapore e goccioline di acqua sopraffusa.

La crescita dei cristalli avviene in modo diverso a seconda delle fasce di temperatura in cui avviene: per esempio, attorno ai -6 C° la piastrina cresce nel senso dello spessore, formando sottilissimi aghi di sezione esagonale; intorno ai

-10,-12 C° l'aumento della dimensione dei cristalli avviene nel senso delle dimensioni maggiori dell'esagono iniziale, formando piastrine esagonali piu' ampie.

Oltre i -12C°, fino a -!6,-18 C° la crescita avviene sui vertici del perimetro, con la formazione di dendriti che danno, alla piastrina iniziale, la forma stellare a sei punte.

Oltre i -18C°, la crescita avviene ancora nel senso dell'altezza, dando luogo alla formazione di prismi esagonali cavi internamente.

Naturalmente si possono avere infinite forme composite in relazione ai movimenti dei cristalli di neve in zone delle nubi a temperature diverse. Quando il cristallo ha raggiunto un certo peso, sufficiente a vincere le correnti ascensionali della nube, tende a perdere quota, continuando ad aggregare vapore e, urtando contro altri cristalli o contro goccioline di acqua sopraffusa, le aggrega, aumentando ancora il peso ed il volume per coalescenza.

In assenza di vento, i cristalli, giunti al suolo, si accumulano uniformemente l'uno sull'altro dando origine ad un manto nevoso uniforme che risulta essere un miscuglio d'aria e di cristalli di neve legati debolmente tra loro per mezzo delle loro piccole e fragili ramificazioni. La coesione iniziale del manto nevoso, la proprieta', cioe', dei cristalli di star uniti tra loro, in questo caso e' di tipo feltroso ed e' labile in quanto le ramificazioni sono tanto piu' fragili quanto piu' le temperature sono basse. Nel caso che la precipitazione avvenga in presenza di vento, invece, la distribuzione dei cristalli al suolo e' disomogenea e vengono privilegiati accumuli di cristalli, semidistrutti, sottovento alle asperita' del terreno.
La vita dei cristalli di neve, pero', non finisce a questo punto, ma continua fino alla completa fusione, in primavera, con la loro ultima trasformazione. A terra, essendo mutato radicalmente l'ambiente in cui i cristalli vengono a trovarsi rispetto a quello di formazione nell'atmosfera, essi cominciano a subire una serie di trasformazioni. Nel nuovo ambiente, infatti, sono soggetti a temperature diverse che ne determinano il tipo e la rapidita' delle trasformazioni (metamorfismi).


Il metamorfismo per isotermia

La prima trasformazione tende a distruggere le belle forme iniziali dei cristalli e a dar loro, progressivamente, una forma finissima e rotondeggiante, con dimensioni dell'ordine dei decimi di mm: la neve, da fresca, diventa farinosa. Il colore e' bianco opaco. Questo tipo di metamorfismo, ha luogo finche' lo strato interessato mantiene una temperatura pressoche' uniforme ed e' tanto piu' rapido quanto piu' la temperatura e' prossima allo 0C°.

Come si spiega questo fenomeno? E' semplice: per sublimazione, le punte dei cristalli si trasformano in vapore che viene attratto verso il nucleo centrale dove, per sublimazione inversa, si ritrasforma in ghiaccio, fino a quando le ramificazioni spariscono e resta un granellino finissimo.

Si verifica, quindi, per differenza di tensione di vapore tra le cuspidi e le concavità, un trasporto di vapore dalla periferia al centro dei cristalli, per cui lo spazio occupato dal cristallo iniziale si riduce grandemente, pur non diminuendo la sua massa.

In questo modo, i cristalli, prima, staccandosi tra loro, perdono la coesione feltrosa, quindi, per effetto della gravita', si avvicinano al suolo e si comprimono l'uno sull'altro dando luogo, sulle superfici orizzontali, all'assestamento che si traduce in una riduzione dello spessore dello strato iniziale ed in una saldatura dei cristalli nei loro punti di contatto, sia per apporto di ulteriore vapore dalle parti convesse a quelle concave, sia per compressione. Il manto nevoso, da una situazione di coesione labile, passando attraverso una fase di quasi totale mancanza di coesione, diventa compatto.

La prima fase di questo processo, la perdita, cioe', della coesione feltrosa, da' origine, sulle superfici inclinate, ad una situazione di instabilita' della neve in quanto i cristalli, ormai separati tra loro, muovendosi spontaneamente o per qualsiasi sollecitazione esterna, possono dal luogo alle valanghe di neve a debole coesione, caratteristiche dei giorni immediatamente successivi alle precipitazioni nevose. Quando e dove le temperature sono piu' alte, il percolo e' immediato ma di breve durata in quanto l'assestamento e' piu' rapido. Quando le temperature sono basse o sui pendii in ombra, il pericolo e' della stessa entita', ma dura molto di piu' nel tempo, in quanto le valanghe spontanee si staccano piu' tardi e l'instabilita' puo' favorire valanghe provocate.


Metamorfismo meccanico

Anche questo tipo di metamorfismo comporta la distruzione delle forme originarie dei cristalli. Esso puo' verificarsi, in fase di assestamento del manto nevoso, per effetto della compressione dei grani l'uno sull'altro, specie in caso di precipitazioni abbondanti ed intense; la causa principale, tuttavia, e' l'azione del vento che, assoggettando i cristalli ad urti, rotolamento e confricazione, li frantuma in grani finissimi, li comprime l'uno sull'altro e li accumula sottovento rispetto alle asperita' del terreno.

Puo', cosi', dar luogo alla formazione di cornici e lastroni, ora durissimi ma fragili, ora soffici e teneri, a seconda del grado di temperatura ed umidita' dell'aria e della neve. Sia le cornici che i lastroni sono caratterizzati da neve compatta e con scarso contenuto d'aria, quindi a densita' elevata. I lastroni formati dal vento, hanno difficolta' a legarsi con la superficie di neve preesistente, in quanto le caratteristiche morfologiche e termiche della neve che li compongono sono diverse.

Un metamorfismo di questo tipo e' anche prodotto dalla compressione esercitata sul manto nevoso per la battitura delle piste da sci.

Il metamorfismo di tipo meccanico prodotto dal vento crea le premesse per il distacco di lastroni negli avvallamenti, sui pendii sottovento, nei canaloni e a ridosso delle cornici; il loro distacco e' causato, generalmente, da un sovraccarico (caduta di cornici e di sassi, passaggio di sciatori e animali, nuove precipitazioni ecc.) o da una diminuzione della resistenza interna (forte e prolungato riscaldamento, metamorfismi da fusione o da gradiente termico).

La rottura degli ancoraggi che sostengono il lastrone determina lo scivolamento di questo sul piano d'appoggio sottostante e, successivamente, col progredire del movimento, la sua rottura in blocchi che vanno via via sminuzzandosi, fino all'arresto nella zona di deposito della valanga.


Metamorfismo da gradiente

Per gradiente termico, nel manto nevoso, si intende la variazione di temperatura a partire dalla neve al suolo, fino alla superficie, misurata in gradi al cm (C°/cm).

Il metamorfismo da gradiente si instaura nel manto nevoso quando, negli strati, si verifica un gradiente dal basso verso l'alto, di 0,25C°/cm, vale a dire quando la temperatura diminuisce, dal basso verso l'alto, nell'ordine di un grado o piu', ogni quattro centimetri di altezza.

Durante lunghi periodi di tempo con cielo sereno e temperature molto basse, il manto nevoso a contatto del suolo si riscalda per effetto del flusso geotermico che, a causa della copertura isolante della neve, non puo' disperdersi nello spazio, quindi la neve puo' raggiungere temperature prossime allo zero ed i cristalli piu' piccoli sublimano in vapore mescolandosi all'aria contenuta nel manto nevoso. La neve in superficie, per effetto della mancanza di nubi, irraggia fortemente il suo calore, raggiungendo temperature molto basse. La presenza, quindi, di temperature piu' elevate al suolo che non in superficie, instaura, nel manto nevoso, una circolazione dell'aria in senso verticale (moto convettivo) che e' tanto piu' veloce quanto piu' la temperatura e' alta al suolo e bassa in superficie.

L'aria calda che si trova negli strati piu' profondi e contiene il vapore prodotto dalla sublimazione determinata dal flusso geotermico, salendo viene a contatto con strati piu' freddi ed il vapore contenuto sublima in senso inverso, dando luogo alla formazione di nuovi cristalli a contatto con i cristalli piu' freddi soprastanti.

Questi cristalli di nuova formazione, detti brina di profondita' o brina di fondo, tendono ad assumere forme piramidali cave a base esagonale, con sfaccettature piatte a gradini e possono raggiungere dimensioni anche di 10 mm e piu'. Sono traslucidi, fragili e, soprattutto, sono caratterizzati da bassissima coesione.

Quanto piu' e' sottile il manto nevoso, tanto piu' e' elevato il gradiente ed i conseguenti moti convettivi dell'aria, quindi anche la rapidita' del metamorfismo che ne consegue.

Altri fattori che favoriscono il metamorfismo da gradiente sono l'elevata porosita' della neve, che favorisce i moti convettivi dell'aria al suo interno, e la vegetazione erbacea e cespugliosa che, impedendo alla neve di ancorarsi al terreno, crea cavita' in cui l'aria puo' circolare facilmente.

Permanendo la situazione di tempo bello, quindi freddo, lo spessore dello strato di brina di profondita' aumenta dal basso verso l'alto a spese dello strato di neve preesistente gia' assestata, creando, a qust'ultima, una base di appoggio sempre piu' fragile.

Gli strati superiori, quindi, si assottigliano fino al punto di cedere sotto il proprio stesso peso o sotto il peso di un agente esterno (nuova nevicata, sciatore, animale ecc.) e produrre una valanga di lastroni, per cui, un pendio rimasto a lungo stabile per effetto di un buon assestamento, dopo un certo tempo, caratterizzato da temperature molto basse, puo' diventare improvvisamente pericoloso, una vera trappola, in quanto l'aspetto della superficie esterna non cambia.

La presenza di brina di fondo e' piu' frequente sui pendii freddi e in ombra, rispetto a quelli esposti al sole, dove le temperature esterne, almeno di giorno, sono piu' elevate.

Una nevicata precoce a cui faccia seguito un lungo periodo di tempo bello e freddo, puo' trasformarsi totalmente in brina di fondo, pregiudicando, per tutto il resto della stagione la stabilita' delle nevicate successive.


Metamorfismo da fusione

Questo tipo di metamorfismo e' dovuto al riscaldamento della neve fino a 0C° ed e' caratteristico della neve primaverile, talvolta anche di quella autunnale molto precoce. D'inverno e' infrequente, ma, talvolta, e' possibile sui versanti a bassa quota e bassa latitudine molto soleggiati o in situazione di prolungato rialzo termico, per Foehn o, anche, per scirocco o libeccio, seguiti da un ritorno di basse temperature.

A zero gradi, i cristalli piu' grandi, che offrono una maggior inerzia alla fusione, vengono avvolti da una pellicola d'acqua dovuta alla fusione di quelli piu' piccoli, il successivo congelamento li ingrandisce ulteriormente dando loro una forma arrotondata.

In fase di fusione, la coesione tra uno strato e l'altro ed anche all'interno degli strati, si riduce notevolmente, mentre il raffreddamento in superficie salda i cristalli tra loro incrementando la coesione negli strati superficiali che si trasformano in lastroni spesso portanti, specie nelle ore del mattino.

Si creano cosi' le premesse per distacchi di valanghe rispettivamente di neve a debole coesione bagnata nella tarda mattinata e nel pomeriggio fino a sera inoltrata, in genere a distacco spontaneo, e di lastroni di superficie, anche duri, ma che appoggiano su strati di neve bagnata a debole coesione, con distacco, generalmente, provocato.

Nel tardo inverno ed inizio primavera, quindi, durante il gelo notturno, e' caratteristica la formazione di croste superficiali con spessore e resistenza variabili in funzione del tempo di esposizione alle temperature notturne rispetto a quelle diurne.


CARATTERISTICHE DELLE NEVE

Abbiamo visto che i vari tipi di metamorfismo modificano le caratteristiche di forma e coesione dei cristalli. Nel manto nevoso, in cui si possono riconoscere strati diversi in relazione alle nevicate od agli apporti da vento successivi, si possono rilevare cristalli caratterizzati da diverso tipo e diverso grado di avanzamento dei metamorfismi, che danno, a ciascuno strato, caratteristiche meccaniche diverse.. Queste, per quanto concerne la stabilita' della neve, si traducono in valori diversi di coesione, di plasticita', di densita', di angoli di attrito, nonche' di resistenza alle forze di compressione e di taglio.

Come vedremo piu' avanti, la resistenza alla forza di taglio non ha nulla a che vedere con la traccia (spesso denominata impropriamente "taglio") lasciata dagli sci su un pendio che, con la stabilita' del manto nevoso non ha nulla a che vedere. Tale traccia non e', come i luoghi comuni lasciano intendere, una causa del distacco delle valanghe che uccidono lo sciatore. Ripeto: normalmente le valanghe che uccidono gli sciatori sono valanghe di lastroni che vengono staccate dallo sciatore stesso che turba, con il proprio peso o con le sollecitazioni dinamiche derivanti dall'effettuazione delle curve, l'equilibrio precario della neve.

L'attraversamento di un pendio da parte dello sciatore puo' spostare della neve a valle degli sci quando questa e' a debolissima coesione, specie se molto bagnata; in questo caso puo' staccare valanghe di neve a debole coesione che partono a valle degli sci e, in genere, non coinvolgono lo sciatore che le ha provocate. Possono essere pericolose per chi si trovasse a valle dello sciatore che le ha innescate.


La densita'

E' il rapporto tra la massa della neve ed il volume che occupa e si misura in Kg/mc. Essa e' tanto maggiore quanto piu' limitata e' la quantita' d'aria inclusa tra i cristalli, per cui e' minima nella neve fresca e massima nella neve di nevato. In un manto nevoso a densita' limitata, e', quindi, limitata anche la coesione in quanto i cristalli di neve sono piuttosto distanziati tra loro; non sempre, invece, e' vero il contrario e cioe' che una neve ad elevata densita' abbia anche una elevata coesione: basti pensare alla neve a temperatura di fusione, in cui l'acqua che avvolge i cristalli va ad occupare il posto dell'aria, tuttavia la coesione diminuisce per effetto della disaggregazione dei cristalli e della loro lubrificazione da parte dell'acqua percolante nel manto nevoso.

La viscosita' e la plasticita'

La viscosita' (attrito interno) e' la proprieta' per cui i grani di neve incontrano difficolta' a scorrere gli uni sugli altri. Il manto nevoso compatto tende a rimanere rigido Essa aumenta con il diminuire della temperatura.

La plasticita' e' la proprieta' per cui i grani di neve, o il manto nevoso, possono subire deformazioni permanenti anche rilevanti. Aumenta con l'aumentare della temperatura, ovviamente sempre al di sotto della temperatura di fusione.

Il neviflusso

Poiche' la neve e' soggetta alla forza di gravita', quando si trova su un pendio non e' piu' soltanto caratterizzata dall'assestamento (moto verticale dei cristalli che si comprimono uno sull'altro) ma da diversi tipi di moto lento verso valle che, combinati fra loro, vengono detti "neviflusso".

In particolare, nel manto nevoso su un pendio, si possono distinguere due tipi di moto combinati:

moto dei cristalli gli uni sugli altri verso il suolo e verso valle, con conseguente diminuzione dello spessore del manto nevoso nel suo insieme, (assestamento) e spostamento piu' accentuato verso valle dei cristalli in superficie rispetto a quelli verso il suolo (scorrimento).

moto verso valle dei cristalli al suolo lungo il piano d'appoggio, con trasporto di tutto il manto nevoso soprastante (slittamento).

Questo moto complesso, spiega, a titolo di esempio, il maggior spessore della neve sulla gronda di un tetto rispetto al colmo. Quanto piu' il manto e' viscoso (temperature basse) tanto piu' il neviflusso e' lento e le deformazioni sono piccole (ad esempio, la neve sul tetto esce dalla falda e mantiene un moto rettilineo fino a che il peso della neve aggettante non e' tale da rompere lo strato nel punto piu' debole, cioe' in corrispondenza della grondaia).

Quanto piu' la neve e' plastica (temperature elevate), tanto piu' il suo movimento e' veloce e la possibilita' di deformarsi aumenta (nell'esempio del tetto la parte aggettante oltre la grondaia, venendo a mancare l'appoggio, per effetto del peso si incurva a ricciolo anziche' rompersi). Su un pendio, quindi, per effetto del neviflusso, il manto nevoso tende a muoversi scendendo verso valle con un moto lento e continuo, la cui velocita' e' legata alla pendenza, agli attriti sul piano d'appoggio ed alla temperatura.

Il manto nevoso sara' quindi soggetto a trazione nelle zone convesse ed a compressione nelle zone concave. Inoltre, se lo strato e' plastico si adattera' alle irregolarita' del piano d'appoggio (terreno) su cui appoggera' e le eventuali sollecitazioni di carico potranno essere assorbite, almeno in parte, dalla deformazione del manto.

Se, invece, le temperature sono basse ed il manto nevoso sara' rigido, esso tendera' ad un moto rettilineo, lasciando dei vuoti nelle concavita' e autosostenendosi su punti di appoggio periferici. Va da se' che venendo a mancare l'appoggio sottostante, una diminuzione di resistenza o una sollecitazione di carico che, data la rigidita' del sistema, va a ripercuotersi sui punti di appoggio, puo' dar luogo al distacco di un lastrone in quel punto molto piu' facilmente che se la neve fosse plastica.

La velocita' del neviflusso varia da qualche millimetro ad anche un cm in 24 ore ed e', ad esempio, molto elevata dove i pascoli abbandonati presentano al suolo erbe lunghe coricate. Queste, spesso, vengono imprigionate dalla neve che le estirpa durante il neviflusso, scoprendo il terreno che, con le piogge primaverili, potra' essere facilmente eroso e creare le premesse per smottamenti e frane.

Gli angoli di attrito

Ogni materiale granulare (sabbia, terra ecc.) e' caratterizzato da:

un "angolo di attrito statico" che e' l'angolo limite in cui l'elemento granulare puo' restare in equilibrio su un piano inclinato,

un "angolo di attrito cinetico" che e' l'angolo a cui l'elemento granulare, messo in movimento su un piano inclinato, si dispone naturalmente (angolo di scarpa naturale).

Quest'ultimo e' sempre inferiore al primo. Ad esempio, quando viene aperta una strada a mezza costa, il terreno a monte presenta un'inclinazione notevole, ma, con il passar del tempo, esso si muove fino a raggiungere un'inclinazione inferiore, stabile e naturale per quel tipo di terra.

Gli angoli di attrito sono funzione della forma dei grani e della loro coesione.

Anche la neve e' caratterizzata da questi due angoli, ma, poiche' la neve, per effetto dei metamorfismi, cambia continuamente forma e coesione, anche questi angoli sono soggetti a continui mutamenti. Per questo possiamo vedere che la neve fresca puo' stare in equilibrio, grazie alla sua forma ed alla coesione feltrosa, anche su pendii inclinati fino a 80 e piu' gradi; quando, pero', subentrando il metamorfismo da isotermia, viene a mancare la coesione feltrosa e la forma del cristallo cambia, il cristallo non puo' piu' restare fermo su quella inclinazione e si mette in moto.

In sintesi, per ogni tipo di trasformazione, la neve assume angoli di attrito diversi.

Le ricerche dell'eminente studioso svizzero delle valanghe Andre' Roch hanno appurato che la neve fresca, nella sua trasformazione fino a neve farinosa, occupa una gamma di angoli di attrito statico che va da circa 85 gradi fino a 38 ed una gamma di angoli di attrito cinetico che va da 35 gradi a 23. (salvo nei primi due o tre giorni dalla caduta e per particolari tipi di neve, in cui questo angolo puo' scendere fino a 17 gradi).

Il valore di questi angoli sale nuovamente quando la trasformazione avviene per effetto del gradiente e la neve passa dalla forma di neve farinosa assestata (con angolo di attrito statico di 38 gradi e cinetico di 23) alla forma dei cristalli a di brina di profondita' che sono caratterizzati da un angolo di attrito statico di 48 gradi ed un angolo di attrito cinetico di 35 gradi.

Poiche' il metamorfismo da isotermia e' il piu' rapido, si puo' dedurre che durante o subito dopo la nevicata, la neve puo' permanere poco tempo su pendii fino di 85 gradi, ma deve portarsi rapidamente su inclinazioni di 35 e, in particolari situazioni, di 17 gradi. Cio' significa che i pendii a inclinazione piu' elevata e quelli esposti a temperature piu' alte, tendono a scricarsi subito, mentre quelli ad inclinazione meno elevata tendono ad accumulare molta neve che, per scaricarsi, necessitera' di una causa ulteriore che vada ad aggiungersi al suo peso.

Facendo un confronto fra gli intervalli tra gli angoli di attrito statico e quelli di attrito cinetico si puo' dedurre che i pendii al di sopra dei 48 gradi scaricano perlopiu' spontaneamente valanghe di neve a debole coesione nei primissimi giorni dopo la nevicata (prima quelli piu' caldi e dopo quelli piu' freddi) , mentre sui pendii compresi fra i 28 ed i 48 gradi la neve si accumula, e le eventuali valanghe sono, in genere, di lastroni e si scaricano piu' facilmente se sono soggette a sollecitazioni.

Questi pendii, quindi, per uno sciatore, sono assai piu' pericolosi, dal punto di vista del distacco delle valanghe, di quelli utilizzati per lo sci estremo, che vengono percorsi solo dopo che la neve instabile si e' gia' scaricata spontaneamente.

La resistenza a compressione ed a trazione

Nella neve la resistenza a compressione e' notevolmente superiore alla resistenza a trazione. Esercitando una lenta compressione su un campione di neve compatta questo, entro certi limiti, prima della rottura, tende a diventare piu' solido; sottoponendolo a trazione si rompe con una forza dieci volte inferiore.

Ammettendo questo principio, lo stesso tipo di neve, su un pendio, potra' essere in equilibrio stabile o instabile a seconda che si trovi in zona di compressione o di trazione..

Queste resistenze variano in relazione al tipo di metamorfismo subito dalla neve: ad esempio, mentre la neve di fine metamorfismo di isotermia (a grani fini o farinosa) ha resistenze generalmente elevate, a fine metamorfismo di gradiente le resistenze sono minime.

La resistenza al taglio

La resistenza al taglio e' riferita alla resistenza alla rottura opposta dai grani di neve, ma principalmente da strati diversi del manto nevoso, soggetti a due forze parallele e contrarie (forze di taglio). Anche questa resistenza varia in relazione ai metamorfismi, alla temperatura alla forma dei grani, all'inclinazione del pendio ed al coefficiente di attrito statico.

La neve offre, in genere, una resistenza al taglio molto debole rispetto alle resistenze a trazione o a compressione. A parita' di quota e di esposizione del pendio possiamo avere resistenze al taglio diverse. Considerando, ad esempio un lastrone compatto e duro di un accumulo di neve ventata, circondato da neve a debole coesione: in corrispondenza delle linee periferiche del lastrone la resistenza al taglio fra la neve del lastrone e quella della neve circostante e' minima e un sovraccarico puo' determinarne il distacco; altre zone di resistenza minima si possono trovare tra due superfici non perfettamente saldate tra loro, o tra le quali sia interposto uno strato debole (brina di profondita' tra i due strati o tra lo strato superiore e il suolo, brina di superficie incorporata nel manto per effetto di una nevicata successiva alla sua formazione ecc.).

Poiche' i tempi dei metamorfismi, che sono i principali responsabili della vita e dell'evoluzione della neve, sono condizionati da molti fattori (temperatura, condizioni meteorologiche, quota, esposizione dei versanti, vegetazione, spessore del manto nevoso, latitudine ecc.), non e' possibile stabilire a priori le caratteristiche dei vari strati senza analizzarle, strato per strato, su un profilo scavato nel manto nevoso.

LA DINAMICA DEL DISTACCO DELLE VALANGHE

Valanghe di lastroni

Il manto nevoso e' soggetto alla forza di gravita' che, considerando un blocco isolato, puo' essere espressa con un vettore verticale (peso) "P" applicato al suo baricentro.

Quando il piano d'appoggio del manto nevoso e' inclinato, la forza "P" puo' essere scomposta in due forze:

la forza "T" tangente al pendio e rivolta verso la massima pendenza; essa e' tanto piu' elevata quanto maggiore e' l'inclinazione del pendio e tende a far scivolare la neve verso valle (forza di taglio);

la forza "N" (di compressione) che e' ortogonale al piano d'appoggio, verso cui e' rivolta, e tende a comprimere la neve contro il terreno favorendone l'adesione.

Per mantenere in equilibrio il manto nevoso, a queste due forze si oppongono, rispettivamente:

la forza "R" (resistenza) che e' la sommatoria di tutte le resistenze del manto nevoso (coesione e attriti dello strato piu' debole) ed e' rappresentata da un vettore applicato sullo strato piu' debole, parallelo al pendio ma rivolto verso monte.;

la resistenza del piano d'appoggio (suolo) che annulla la forza "N" in quanto sempre maggiore della stessa forza "N".

Pertanto, quando la forza "T" e' minore (<) di "R" la neve e' stabile.

L'equilibrio diventa instabile quando "T" diventa uguale (=) a "R"

Quando la forza di taglio "T" diventa, per una qualsiasi causa, superiore alla resistenza "R", la neve si mette in movimento.

La forza "T" aumenta per effetto dell'aumento del peso e cioe' per effetto di una nuova precipitazione o per una sollecitazione di carico (per es.: passaggio di uno sciatore). La resistenza "R" diminuisce per riduzione della coesione connessa ai metamorfismi. In caso di pioggia sul manto nevoso avviene contemporaneamente l'aumento di "T" e la riduzione di "R" con le ovvie conseguenze di una facile perdita dell'equilibrio.

Il distacco di lastroni, che si verifica con una frattura lineare, presuppone un manto nevoso piu' o meno compatto ed interessa una superficie che puo' essere anche molto estesa. Il cedimento primario si verifica in corrispondenza della superficie di contatto del lastrone con lo strato debole sottostante, in cui e' piu' debole la resistenza al taglio, successivamente cedono gli ancoraggi periferici.

La valanga di lastroni asciutti puo' anche trasformarsi in nubiforme quando la sua velocita' e le asperita' del terreno sono in grado di frantumare minutamente i lastroni stessi, specie se si tratta di lastroni soffici.

Le valanghe di lastroni sono le piu' pericolose per gli sciatori fuori pista e gli sci-alpinisti in quanto non e' sempre possibile riconoscere per tempo un lastrone instabile. La maggior parte degli incidenti e' dovuta al distacco provocato dal peso o dalla sollecitazione dinamica (ad esempio sciatore in discesa a fine curva) delle stesse persone che ne vengono coinvolte. Poiche' la linea di frattura si verifica normalmente a monte del punto in cui viene applicato il carico, e non lungo la traccia in cui il pendio viene percorso, lo sciatore ne viene travolto. E' pertanto un luogo comune errato il concetto che il distacco, in questo caso, si verifichi per il "taglio" della superficie nevosa effettuato dagli sci.

Al contrario, uno sci che affonda nel lastrone lasciando una traccia sta a significare che una parte del carico provocato dallo sciatore e' assorbita dalla deformazione della neve, per cui l'equilibrio viene turbato di meno, mentre un lastrone duro, che non viene deformato dagli sci, trasferisce la sollecitazione di carico direttamente sugli ancoraggi che, se non sono sufficientemente resistenti, possono cedere.

Valanghe di neve a debole coesione

La mancanza di coesione, caratteristica della neve fresca all'inizio del metamorfismo di isotermia o della neve molto bagnata, determina un tipo di distacco pressoche' puntiforme. Basta il movimento di pochi cristalli mossi dal vento o di un piccolo grumo di neve caduta da un albero, da un sasso, da una cornice, per determinare, per urti successivi, il moto spontaneo della valanga che, su un terreno uniforme, tende ad assumere la forma di una pera.

Anche forti vibrazioni sonore quali esplosioni, bang supersonico, battimenti del rotore di un elicottero relativamente vicini, possono provocare un distacco, se la neve si trova gia' in equilibrio instabile..

Se la causa del distacco e' uno sciatore, a differenza della valanga di lastroni in cui la frattura avviene normalmente a monte dello sciatore stesso, il moto della valanga di neve a debole coesione inizia, normalmente, a valle degli attacchi degli sci. Lo sciatore che provoca questo tipo di valanga, generalmente, nel momento in cui la provoca non viene coinvolto (ad esempio se e' in salita o in discesa diagonale); puo' esserlo, invece, se sta scendendo con una serpentina, in quanto la sua velocita' e la sequenza stretta di curve puo' portarlo a valle del punto di distacco prima che la neve abbia vinto l'inerzia dell'inizio del movimento, per cui lo sciatore puo' non fare in tempo ad accorgersi di aver messo in moto la valanga. Va da se' che chi si trovasse gia' a valle e sulla potenziale traiettoria della valanga puo' essere travolto.

Se la neve e' molto bagnata, la sua velocita' non supera, in genere, i 30 - 50 Km/h. e il moto resta radente. Se, invece, la neve e' asciutta, tanto piu' se e' molto fredda, le particelle in movimento, superata la velocita' critica, valutata in 70-80 Km/h, o incontrando ostacoli ed asperita' del terreno, cominciano a sollevarsi nell'aria ed il moto, da radente, diventa nubiforme. In questo caso la velocita' puo' raggiungere e, talvolta, superare, i 300 Km/h, esercitando pressioni, sugli ostacoli ortogonali al moto, dell'ordine di 50 t/mc, mentre l'aria che viene spostata sulla fronte e sui lati (soffio) puo' arrecare danni anche al di fuori della traiettoria della valanga.

Queste sono le valanghe piu' devastanti e pericolose per gli abitati ed i manufatti e si verificano, in genere, durante o poco dopo una abbondante nevicata, di giorno come di notte, specialmente con temperature basse. Il distacco, in genere, e' piu' precoce sui pendii soleggiati, (metamorfismo di isotermia piu' rapido e quindi perdita della coesione feltrosa in anticipo) per cui, sui pendii esposti ai quadranti settentrionali, piu' freddi, il pericolo dura piu' a lungo.

Le valanghe

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