Il Diluvio Biblico

Genesi 6,1 - 9,29

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Se si vuol esaminare il racconto biblico del Diluvio Universale è indispensabile, prima di ogni altra considerazione, chiarire alcune idee fondamentali relative al possibile utilizzo dei racconti biblici quale fonte di notizie storiche e all'attendibilità delle narrazioni contenute nel libro dei libri.
La problematica è immensa, ed è assolutamente impensabile poterla condensare in poche righe, tanto più che mi trovo a muovermi su un terreno che conosco solo in minima parte e dunque mi è precluso anche solo il tentativo di una sintesi, possibile solamente a chi è in grado di conoscere a fondo ogni aspetto del problema.
Ma questo mio handicap non mi impedisce di suggerire alcune considerazioni.

Fino al Regno di Davide (950 a.C. circa) la letteratura d'Israele resta essenzialmente una letteratura di tradizione, all'interno della quale la scrittura svolge un ruolo molto ristretto.
E' dunque evidente che nulla di scritto ci proviene direttamente dai tempi e dall'ambiente patriarcale né, tantomeno, dalla cosiddetta preistoria biblica.
L'opera scritta più antica viene solitamente identificata nella redazione dello Jahvista [J] (risalente appunto alla prima età dei Re e così chiamata perché l'autore - o gli autori - indica Dio con il nome di Jahwè): il fine ultimo che questa opera vuole raggiungere è cantare la condotta di Dio in favore del suo popolo.
Alla narrazione dei fatti operati da Dio per il suo popolo si è aggiunto il racconto della preistoria del popolo d'Israele, composto da antiche tradizioni, con la finalità di inserire a pieno titolo Israele nella storia universale dell'umanità.
Narrare la discendenza diretta del proprio clan dai primi popoli della Terra, dimostrando in tal modo una sorta di eccellenza rispetto a tutti gli altri clan, era una preoccupazione comune di ogni civiltà antica e dunque anche quella ebraica si inserisce in questa tradizione.
Dal punto di vista storico appare però evidente che anche solamente la narrazione dell'ingresso del popolo di Israele nella terra di Canaan dopo le vicende in terra d'Egitto prende forma scritta ad una distanza di almeno 300 anni da quei fatti.

La seconda opera scritta, di poco posteriore all'opera Jahvista, è la tradizione Elohista [E].
Si tratta di un documento che ebbe la sua pubblicazione definitiva dopo la divisione dei due regni alla morte di Salomone e deve la sua denominazione all'appellativo di Elohim impiegato per indicare Dio. Ha uno stile didattico e presenta una moralità più rigorosa di quella presentata dallo Jahvista: descrive l'alleanza tra Dio e il popolo d'Israele come il punto culminante della storia.
Dopo il crollo di Israele (721 a.C.) queste due tradizioni vennero unificate riservando però maggior peso alla redazione Jahvista.

Una terza opera letteraria (collocabile storicamente al tempo della cattività babilonese, vale a dire negli anni 597-538 a.C.) è il codice Sacerdotale [P].
La finalità che quest'opera si prefigge è prettamente dottrinale: tracciare la storia dell'alleanza (meglio sarebbe delle alleanze) di Dio con gli uomini, riconducendo a questo ambito le diverse tradizioni cultuali presenti nella religiosità del popolo d'Israele.

Alleanza nella creazione Þ legge del sabato
Alleanza con Noè Þ legame con le antiche tradizioni
Alleanza con i Patriarchi Þ circoncisione
Alleanza del Sinai Þ legislazione Mosaica

L'intento di quest'opera non è narrativo, ma unicamente dottrinale: tutto è pensato in funzione teologica.

A queste tre grandi tradizioni bisogna aggiungerne altre due non meno importanti: la produzione letteraria legata all'attività profetica e la cosiddetta letteratura del patto, una serie di opere letterarie che godevano di una certa ufficialità e che sono confluite nel documento deuteronomistico.
L'opera deuteronomistica è un ripensamento, un tentativo di ricostruzione delle vicende storico-religiose che hanno portato alla somma catastrofe, la distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. e la perdita degli archivi e dei documenti scritti contenenti le tradizioni del popolo d'Israele.
Queste due ultime tradizioni sono sicuramente fondamentali ai fini della stesura definitiva dell'Antico Testamento, in esse, tuttavia, non si affronta in maniera diretta la problematica delle origini e della preistoria dell'umanità se non in termini di citazione delle altre tradizioni.

 

 

Da queste scarne notizie storico-letterarie emerge in modo evidente che, volendo utilizzare la Bibbia quale possibile fonte di informazioni storiche riguardanti le vicende della preistoria dell'umanità, è assolutamente indispensabile leggere i racconti tenendo conto delle redazioni che hanno contribuito alla loro composizione e soprattutto delle finalità che tali redazioni si prefiggevano.
Non siamo di fronte, infatti, ad un libro storico, ma ad una rilettura religiosa delle vicende storiche, sulla "storicità" di alcune delle quali bisogna nutrire seri dubbi.
Il che non significa che tutte le vicende narrate siano frutto di fervida fantasia e non presentino alcun collegamento con eventi realmente accaduti; talune indagini archeologiche, al contrario, suggeriscono a tal proposito scenari veramente suggestivi: per citare il primo notevole tentativo in tal senso, chi non ha mai sentito parlare del libro "La Bibbia aveva ragione" scritto negli anni '50 da Werner Keller con l'intento di mostrare la corrispondenza dei racconti biblici con quanto gli archeologi riportavano alla luce?  Molti altri dopo di lui hanno ripercorso, con nuove conoscenze, questo cammino giungendo a conclusioni a dir poco stupefacenti: si legga, a tal proposito il recentissimo (l'edizione in lingua inglese è del 1998) "La Genesi aveva ragione" di David Rohl (Ed. Piemme).
Ritengo, comunque, che la cosa migliore sia accettare la coesistenza nella Bibbia di questi due aspetti inscindibili: da un lato la certa provenienza dei racconti da tradizioni reali, provenienti dalle radici storiche e dalle vicende di un popolo e dall'altro la loro successiva rielaborazione in chiave religiosa, fatto questo che, quasi inevitabilmente, distorce le tradizioni stesse, procedendo non secondo i canoni del nostro concetto di storicità, ma secondo quelli ben differenti dell'interpretazione religiosa.
Questa riflessione, naturalmente, non toglie nulla al significato ed alla fondamentale importanza che la Bibbia riveste per ogni credente quale Parola di Dio: è questa una differente chiave di lettura delle parole del Libro, guardato esclusivamente con gli occhi della fede.

Il nucleo fondamentale dell'analisi storica delle vicende della preistoria del popolo d'Israele può, a mio avviso, essere identificato in Deuteronomio 26, 5-7:

"Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa.
Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù.
Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce…"

Il "fatto storico" fondamentale nella storia del popolo d'Israele è la liberazione dall'Egitto: una vicenda complessa, molto meno lineare di quanto il racconto biblico ad una prima lettura consente di ricostruire; una serie di eventi che hanno segnato profondamente la vita di più clan inizialmente indipendenti, al punto da innescare un potente richiamo alla coesione ed all'identificazione quale unico popolo.
L'uscita dall'Egitto e l'ingresso nella terra di Canaan sono, però, fatti troppo recenti: non si può proclamare la propria elezione a popolo dell'unico Dio senza poter dimostrare che questo privilegio è radicato nelle vicende dell'alba dell'umanità.
Diventa indispensabile, per essere almeno alla pari di altri popoli le cui origini si perdevano nella notte dei tempi ed erano intessute di eventi prodigiosi, riempire con eventi altrettanto eccezionali anche le proprie origini.
A questo proposito si attinge a piene mani a quei racconti tramandati dai propri antenati oppure mutuati dalle tradizioni delle tribù limitrofe e già modificati per renderli patrimonio della propria tribù: l'idea che deve emergere è che il popolo d'Israele è un grande popolo e dunque altrettanto grandi devono essere le sue origini, non meno portentose di quelle degli altri popoli (Sumeri, Babilonesi, Egiziani, …).

La stesura dei racconti orali doveva rispettare tre punti fondamentali:

  1. la "famiglia dell'Arameo errante" è privilegiata;
  2. il Dio di questa famiglia è il più potente di tutti gli altri Dei;
  3. negli eventi storici deve emergere "il braccio potente e la mano distesa" di Dio che "con prodigi e segni" costruisce le vicende del suo popolo.

In questo contesto emerge evidente il motivo per il quale il racconto del Diluvio Universale (la seconda creazione) si incontra con stupefacenti somiglianze sia nella Bibbia che nelle tavolette cuneiformi che narrano le vicende di Atra-hasis (tradizione sumerica) e l'epopea di Gilgamesh (tradizione babilonese).
Le molte affinità riscontrabili tra i testi biblici e l'epica classica mesopotamica suggeriscono che alcuni temi fossero largamente diffusi nel mondo antico e testimoniano profondi rapporti culturali fra i popoli, non documentati e, per il momento (ma ritengo che le acque siano in fermento), non documentabili attraverso altre vie.
E perchè allora non considerare in modo serio la possibilità che alcune di tali tradizioni  fossero già parte del patrimonio del popolo d'Israele, non acquisite, dunque, da altre culture, ma, assieme a quelle, nate da una identica esperienza storica e culturale?  Lascio per il momento in sospeso questa ipotesi: un approfondimento lo si potrà trovare nella pagina lasciata alla Scienza...

 

 

Dopo questa premessa storico-letteraria e alla luce di quanto detto possiamo ora cercare di cogliere qualche spunto dal racconto biblico, precisando, a scanso di equivoci, che non è certo il mio intento quello di proporre una lettura religiosa, ma unicamente suggerire elementi di discussione e di approfondimento.

Il primo dato che balza all'occhio leggendo il racconto del Diluvio universale è la sconcertante discordanza della narrazione su taluni aspetti tutt'altro che secondari della vicenda di Noè: discordanza attribuibile proprio alle diverse tradizioni che hanno concorso alla stesura finale.
Se al versetto 6,19 Dio dice a Noè di far entrare nell'Arca una coppia per ognuna delle specie viventi, poche righe più avanti (7,2) viene introdotta la distinzione tra animali mondi e non mondi e, mentre il numero rimane fermo ad una coppia per quelli non mondi, aumenta a sette paia per gli animali mondi.
Inutile dire, a proposito del numero degli animali, che è certamente da considerarsi un inutile esercizio matematico (ammesso poi che si riesca a trovarne la soluzione) il calcolarne quanti ne furono stipati nell'arca, ipotizzare la loro collocazione al suo interno e immaginare le soluzioni logistiche adottate da Noè per affrontare la sua avventura…

Sempre a proposito di discordanze, ancora più sconcertante è l'indicazione della durata del Diluvio: la versione sacerdotale è estremamente dettagliata nell'elencare la scansione temporale delle varie fasi e addirittura fissa con precisione il giorno e quello conclusivo facendo durare l'intera vicenda 375 giorni (notiamo, per inciso, che il giorno nel quale Noè esce dall'arca corrisponde, nel calendario babilonese, al primo giorno dell'anno, e questo la dice lunga sugli intenti dottrinali di tale tradizione).
Non è così dettagliato, invece, il racconto jahvista, per il quale la durata complessiva (pioggia + ritiro delle acque + vicende del corvo e della colomba) ammonta a 101 giorni.

Incerta è anche la natura del fenomeno-diluvio.
Per il racconto sacerdotale il diluvio riveste il carattere di una catastrofe planetaria e di un ritorno al caos primordiale; "eruppero le sorgenti del grande abisso e si aprirono le cateratte del cielo": tutto viene ricondotto alle condizioni iniziali della creazione, all'epoca in cui ancora non era avvenuta la separazione tra acque superiori ed inferiori (Genesi 1,7), ed il vento che Dio manda per far abbassare le acque sulla terra non può non richiamarci "il soffio di Dio che aleggiava sulle acque" prima che venisse pronunziato il "fiat lux!".
L'intento dottrinale è chiaro: siamo di fronte ad una seconda creazione dell'umanità, alla nuova creazione suggellata da un nuovo patto (simboleggiato dall'arcobaleno) dopo il fallimento di quello stipulato con Adamo
Non si trova, invece, questa connotazione nel racconto dello jahvista: secondo la sua versione "cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti", presentando dunque il diluvio come un evento certamente eccezionale, ma pur sempre nell'ambito dei fenomeni naturali.

Ma non vi sono solo discordanze nelle due tradizioni dal cui intreccio ci proviene il racconto biblico del Diluvio universale: uguali infatti sono il punto di partenza ed il punto di arrivo dei racconti.
Per ambedue le tradizioni "ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra" e "ogni disegno concepito dal suo cuore non era altro che male": l'origine del Diluvio è dunque da imputare alla condotta dell'uomo.
Ben diversa - vedremo - è la causa scatenante il Diluvio nel racconto di Gilgameš: nell'epopea mesopotamica l'unica colpa dell'umanità è quella di essere diventata troppo numerosa, non vi è alcun giudizio morale o etico sul suo comportamento.
Per lo scrittore ebraico non poteva essere così.
Nella sua visione della storia il Diluvio è la punizione di Dio per la condotta depravata dell'uomo; è questa condotta che rende necessaria una rifondazione delle regole del vivere civile, un nuovo sollevarsi dal caos nel quale era ripiombata l'umanità.

Dal racconto emerge anche la necessità di rassicurare l'umanità che non vi sarà più il ritorno al caos primordiale e che l'esperienza del Diluvio non verrà più rivissuta dall'uomo e proprio in questa luce va interpretata la promessa di Dio a Noè al termine della sua avventura.
Nella versione jahvista è la promessa che il regolare ritmo della vita (giorno/notte, estate/inverno, seme/messe) fissato fin dalla creazione del mondo non verrà mai più interrotto; in quella sacerdotale la valenza è più profonda e riveste i toni di una vera e propria alleanza che Dio stipula con il creato, in armonia con la specifica finalità che tale tradizione si era proposta.
E non è azzardato pensare che questa esigenza di rassicurare l'umanità per i futuro non abbia solamente un significato religioso, ma possa avere le sue radici profonde in esperienze (magari ripetute) di crollo della società civile, un ricadere nel caos primordiale la cui eco doveva essere ancora molto viva nei racconti della tradizione orale di quei popoli.

 

 

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