Indice

I Filosofi e il Ludus deportivo

NOTE INTRODUTTIVE STORICHE ED ANTROPOLOGICHE, DAI "LUDI SACRI ALLO SPORT" PERCORSO STORICO-FILOSOFICO E PEDAGOGICO NELL'AREA MEDITERRANEA ED OCCIDENTALE ( Dall'Impero Egizio alla rivoluzione Industriale)

L'iter storico filosofico ed i suoi aspetti mondani

ASPETTI DI PSICOLOGIA CLINICA, I MECCANISMI DI DIFESA

Concetti introduttivi 
L'originedella psicoanalisi
L'io ; Definizione del concetto di Io Suo sviluppo e funzioni Studi ad esso relativi;concetti introduttivi sui meccanismi di difesa.
I Meccanismidi difesa
Qualche considerazione finale sui meccanismi di difesa.
La scherma

L'AGGRESSIVITA' ED IL SUO "CURSUS" NEL GIOCO E NELLO SPORT  Approfondimenti nell'ottica dell'interpretazione clinica ed etologica - La scherma "ponte" fra pulsioni ,gioco e sport

BREVE STORIA DELLA PSICOLOGIA CLINICA E DELL'OSSERVAZIONE CLINICA DIRETTA (NELLA ETA'EVOLUTIVA). UN NUOVO CAMPO DI APPLICAZIONE E DI VERIFICA: LA PRATICA SPORTIVA

- La nascita della psicologia clinica
Il bambino nel periodo di latenza( 7-11 anni); Sviluppo psichico in rapporto ai compagni di gioco I giochi come specchi dell'anima e la loro osservazione diretta -

STUDI, RICERCHE, ELABORAZIONE DEI DATI IN PSICOLOGIA CLINICA DELLO SPORT

Introduzione generale alle ricerche -
Aspetti
psicoanalitici dell'attività sportiva: nuova metodologia di osservazione clinica applicata alla scherma nell'età evolutiva
Raffronto tra un indagine scolastica ed una societaria con il metodo di osservazione clinica diretta applicata alla disciplina schermistica
Il metodo di osservazione clinico diretto applicato al tennis ed al tennis tavolo, estensione della nuova metodica e nascita della nuova griglia di osservazione

SVILUPPO DELLE RICERCHE , NUOVE APPLICAZIONI

Introduzione generale alle ricerche
I meccanismi di difesa rilevati con il test di scrittura.Confronto con i risultati dell'osservazione clinica diretta nello sport
Aspetti terapeutici complementari all'attività sportiva schermistica e prospettive terapeutiche per altre discipline
Il rilancio dell'attività sportiva nella sua dimensione di "prevenzione ed integrazione"
Aspetti preventivi ed integrativi dell'attivita sportiva (sport ed handicap mentale): la psicologia clinica e la disciplina schermistica "liberano tutti" da vecchi pregiudizi
Nota conclusiva all'estensione delle ricerche

PERCORSO DI AVVICINAMENTO ALLA PROGETTAZIONE DI UN "MODELLO CLINICO DELL' ATTIVITA' LUDICO SPORTIVA COME PREVENZIONE AL DISAGIO GIOVANILE"

- Basi per una pedagogia a carattere clinico-analitico
Note
Un modello clinico dell'attività ludico-sportiva come spazio di prevenzione al disagio giovanile.Il progetto "Campus".
Le caratteristiche generali del progetto "Campus" 1988-1998
Quadro generale
Considerazioni finali
note
bibliografia

CRITICA EPISTEMOLOGICA ALLA METODOLOGIA DI RICERCA

introduzione
Considerazioni sulla validità del metodo induttivo nelle scienze
Spunti di riflessione
Verso un modello di " ricerca scientifica" nell'impianto clinico di lavoro

CONCLUSIONI

 

 



Note introduttive ad un'esperienza educativo-pedagogica/ ludico-sportiva, clinica nelle scuole elementari

Per introdurre l'argomento mi sembra opportuno rilevare attraverso un estratto diun recente scritto di Corradini alcune delucidazioni sul quadro odierno della condizione giovanile nel contesto europeo secondo il punto di vista dei diretti interessati. "Passiamo a considerare gli atteggiamenti del mondo giovanile sulla base del cosiddetto "Eurobarometro", il complesso dei dati che la CEE periodicamente raccoglie sugli atteggiamenti giovanili. Per i giovani il primo valore per cui vale la pena impegnarsi e' la pace. In cima alle loro speranze sta la scienza: in cima alle loro paure sta la disoccupazione; in cima ai loro pensieri sta lo sport .... Lo sport da una parte, la pace dall'altra sono valori con cui fare i conti: sono entrambi dinamiche che portano l'individuo ad uscire dalla solitudine. Se si accetta di lavorare sugli interessi dei giovani, allora bisogna valorizzare lo sport piu' di quanto non sia stato fatto sino ad ora, anche per dare alle singole scuole quel carattere di vivacita', di competitivita', di identificazione che lo sport, in alcuni casi, riusciva a dare e forse puo' dare anche oggi, .... Bisogna pensare ad una scuola che fa apprendere, si ripete oggi con insistenza. Se questo e'vero e giusto, bisogna pero' anche pensare alle persone capaci dimotivare e ad un clima capace di sostenere l'apprendimento. Si puo' dunque aggiungere, per limitarsi ad un solo aspetto, che una scuola che prescinda dallo sport o lo neghi, o non lo prenda in considerazione, svolge male il suo compito, come sapeva l'antica Grecia e come sanno il Regno Unito e gli Stati Uniti" (1). Tutto oggi comunque cioe' e' potenzialmente attuabile anche nella nostra realta' nazionale , e su cio' ci soffermeremo piu' in la' nel discorso nell'esposizione del progetto "Campus" Parafrasando le prove di M.G. Riva, esistono luoghi dell'educare che potremo definire: "quasi formali" ... luoghi ludico-sportivi di ogni tipo ... sono oggi aspetti di contesto e di vita quotidiana nella scuola stessa" (2). Sono concorde con lei nel deputare le istituzioni scolastiche nel loro toto e alle attivita' ludico-sportive grand parte del contesto educativo. Nel lavoro cercheremo di osservare come queste due aree educative siano coesistite, e quali rapporti con altri ambiti sociali, medico-psicologici hanno legato nel cursus della loro storia. Questo prima di provare a proporre delle vie nuove di interazione con ovvie finalita' educative di" crescita." e di prevenzione Inoltre il rapporto fra l'educatore e il soggetto delle sue cure, la struttura, e le connessioni fra il gioco nei vari contesti psico-analitici, trasferali, e di socializazione, nonche' altre mille sfumature scientifiche ad esso legate troveranno excurso durante la stesura. Dapprima mi soffermerei a riportare quello che Sigmund Bernfeld, allievo prediletto di Freud, scrisse a proposito della figura del pedagogo. "La sua attivita' consiste nel mettersi contro di essa (societa'). Infatti concepire il nuovo vuol dire operare contro il vecchio, contro il consueto, contro cio' che non e' ancora razionalizzato. Il senso della sua tragedia o, se si vuole della sua commedia consiste appunto in cio', che la sua opera, per poter spiegare i suoi effetti, ha bisogno del consenso e della partecipazione della societa'. Sono tutti nel suo caso, a occuparsi di questioni sociali. Con comprensibile inquietudine ci chiediamo cos'e' che determina il progresso? Il potere, l'autorita', la facolta' carismatica, l'attivita' dell'autore. Se questi riesce a far valere la propria autorita' consegue la soppressione del consueto e l'introduzione del nuovo costume. O, il che e' lo stesso, un'istanza di potere deve far propri i suoi risultati e conseguirli per lui. E questo un destino frequente delle scoperte dei pedagoghi (3)". Sembrerebbe un triste destino; per questo l'autore intitolo' l'opera da cui e' tratto questo scritto "Sisifo ovvero i limiti dell'educazione". Ma e' pur sempre vero che vi siano dei limiti all'introduzione di qualcosa di nuovo e nella sua attenzione; credo che non sia sempre così; almeno per quanto riguarda altre realta'. Ad esempio riguardo l'analisi clinica o psicoanalitica dei bambini l'incontro con il pedagogo e' avvenuto, attraverso l'interpretazione del gioco infantile, o dei fenomeni intersoggettivi (4). Con un metodo clinico si tratterebbe di estendere tanto un'attribuzione educativa razionale, quanto alla qualificazione pedagogica alla conoscenza di tutti gli eventi di apprendimento, di socializzazione o di interlocuzione siano essi o no internazionali, formali o informali, e di specificare in particolare una simile qualificazione in ordine al dispositivo che li determina tutti oggettivamente. Prevedendo inoltre com'e' naturale, uno spazio autonomo per la ricerca didattica. Ma questo richiede appunto un plurarismo metodologico, capace di integrare metodo clinico e metodo sperimentale, procedure quantitative e regole qualitative, entro la specificita' teorica di una scienza pedagogica empirica dell'educazione. Tornando al metodo clinico, in quanto tale, occorre infatti richiamare alla congruenza che esso presenta riguardo alla conoscenza empirica di aspetti fondamentali dell'accadere educativo, all'elaborazione di interventi adeguati per un controllo razionale di esso (5). In un ciclo di conversazioni incentrate sull'esigenza di una valorizzazione del metodo clinico nell'indagine pedagogica Massa si chiede: "- Come mai la pedagogia non ha rivendicato esplicitamente la dimensione clinica che sembrerebbe di per se' cosi' congruente con un oggetto come quello della relazione, della situazione e della vicenda educativa? Si puo' pensare ad una legittimazione del metodo clinico, ed a quali condizioni senso implicazioni avesse alla ricerca sperimentale in educazione? Cosa significa il silenzio ostile o l'esplicito pregiudizio della pedagogia laica e marxista con la psicoanalisi?" (6). Lo stesso Massa ci lascia questa testimonianza. "Si deve alla psicoanalisi, al di la' di quanto essa stessa non possa riconoscere in proposito pena la propria relativizzazione la scoperta dell'educazione come dispositivo inconscio. E quindi la scoperta pero' ancora tutta da tematizzare in ambito pedagogico, che nell'esperienza dell'educare, dell'essere educati e dell'educarsi sono sempre agenti una dimensione generativa (in quanto derivante da pulsioni libidiche), distruttiva (in quanto derivante da pulsioni aggressive), conflittuale (e quindi ansiogene), riparatoria (e quindi terapeutica) oltre che in particolare sudditiva, fantasmatica e transferale (di traslazione affettiva in ordine alle relazioni primarie con i genitori). Qui l'educazione svela il suo volto di possessione e di perversione, di rinvio a fantasmi ed a metafore di inseminazione e di incestimento, di ristagno nel narcisismo e di procastinazione alienante; di abuso pedagogico dei meccanismidi difesa, delle ansie adolescenziali, quali l'intellettualismo e l'ascetismo (e l'uniformismo);di legame duale il cui gioco si specchi ed il cui delirio di onnipotenza puo' essere rotto solamente da una mediazione esterna. Ed e' in quest'ultimo senso che il fatto ed il compito educativo esibiscono ancora una volta, nel loro porsi a livello inconscio, e soprattutto nel produrre le determinazioni, le proprie irriducibilita' riguardo a fenomeni di altro tipo. In ogni modo, sia che la triangolazione educativa risulti un dispositivo di avanzamento dell'io, sia che faccia regredire su fissazioni pregenitali ed intransitive, riattivando cosi' istanze superegali, l'educazione si riafferma come un'esperienza ineliminabile di piacere e di sofferenza, di passione di desiderio" (7). Grazie al contributo dell'esimio autore ci si sta introducendo nel campo psicoanalitico, per poter poi proseguire l'esposizione e giungere all'esplicazione del nostro contributo clinico-ludico-sportivo. E' all'Io del bambino che necessariamente si volge la terapia psicoanalitica (8). Il settore dei bambini che si ritengono suscettibili di trattamentosi e'inoltre andato estendendo e comprende ora la scuola (si deve dire che il primo interesse di Anna Freud*, fin dall'inizio del secolo, fu rivolto alla scuola, e soprattutto alla scuola dell'infanzia, come testimoniano le "Quattro conferenze di psicoanalisi per insegnanti e genitori) (1930). Tecniche di gioco sono ora correnti se pure in forma modificata; l'importanza delle interpretazioni e' stata vastamente accettata (9). Il vedere cioe' concretamente, nel gioco e nelle comunicazioni sponetanee, il sollievo che puo' avere un bambino da una interpretazione corretta costituisce di per se' grossa meraviglia e gratificazione per molte analisi infantili (10). Tramite il gioco del bambino l'analista viene a conoscenza di molti elementi di cui si potra'servire per individuare i conflitti e conoscere i meccanismi di difesa. Ma proprio per poter svolgere questo lavoro e' importante che egli non sia eccessivamente assorbito dal gioco e dalla partecipazione ad esso (11) . Il gioco, inteso nel senso piu' ampio del termine; e' forse l'unico mezzo, ma anche il piu' importante di cui egli dispone per affrontare la realta': con esso il bambino impara "giocando" a vincere le battaglie ed a superare gli ostacoli. Il gioco costituisce il suo strumento per instaurare una forma di comunicazione tra la rappresentazione magica (inconscia) ed i problemi esistenziali reali (consci) (12). Da qui il nostro progetto si potrebbe collocare in questa area ludica ed in prima fase come una pedagogia psicoanalitica che puo' essere intesa soltanto in quanto un aiuto per osservare e risolvere i conflitti nella fase precedente quella terapeutica, ovvero come un aiuto per risolvere dei conflitti che non hanno ancora assunto una veste definitivamente patologica (13). Sempre sull'argomento gioco e psicoanalisi sono basilari per comprendere, gli scritti di Winnicott*al riguardo: "La psicoanalisi infantile, da qualsiasi scuola provenga, e' costruita intorno al gioco dei bambini ... il terapeuta cerca di capire la comunicazione del bambino, e sa che il bambino non possiede di solito quella padronanza del linguaggio che puo' fare intendere le infinite sottigliezze che si possono trovare nel gioco sapendo cercare" (14). Inoltre: "il gioco porta alle relazioni di gruppo; puo' essere una forma di comunicazione in psicoterapia" (15). "La cosa importante del gioco e' sempre la precarieta' di cio' che si svolge tra la realta' psichica personale e l'esperienza di controllo degli oggetti reali. Quando un paziente non puo' giocare il terapeuta deve prestare attenzione a questo sintomo grave, prima di interpretare frammenti del comportamento "(16). E' bene ricordare sempre che il gioco e' esso stesso una terapia. Fare in modo che i bambini siano messi in condizione di giocare di giocare e di per se' una psicoterapia che ha applicazione immediata ed universale, e include lo stabilirsi di un'atteggiamento sociale positivo verso il gioco. I giochi e la loro organizzazione debbono essere considerati come parte di un tentativo inteso a tenere a bada l'aspetto pauroso del gioco. "La caratteristica essenziale della sua comunicazione "- spiega Winnicott -" e' che il gioco e' una esperienza che e' sempre una esperienza creativa e che e' un'esperienza che si svolge nel continuum spazio-temporale, una forma fondamentale di vita" (17). Il momento significativo di tutta l'esperienza ludica-terapeutica é quello in cui il bambino sorprende se stesso. "Il gioco appunto per essere d'aiuto deve essere spontaneo, e non compiacente o acquisente se si deve dare della psicoterapia "(18). Altre sue interessanti osservazioni: "Mi sembra che sia valido il principio generale che la psicoterapia si svolge nella sovrapposizione di due aree di gioco, quello del paziente e quello del terapeuta. Se il paziente non e' in grado di giocare allora c'e' bisogno di fare qualcosa per mettere il paziente in condizioni di diventare capace di giocare, dopo di che la psicoterapia puo' cominciare. La ragione per cui giocare e' essenziale e' che proprio mentre gioca il paziente e' creativo, ... fa uso dell'intera personalita', ed e' solo nell'essere creativo che l'individio scopre il se': legato a questo e' il fatto che solo nel giocare e' possibile la comunicazione "(19). Oltre a Winnicott importanti studi sull'analisi del bambino gli effettuo' J. Piaget.* La sua metodologia di ricerca tende a fondere tecniche cliniche e tecniche sperimentali, in un approccio unitario. Per Piaget le occasioni di fuga nel fantastico o di gioco simbolico tipiche della prima infanzia, sono chiare manifestazioni di assimilazione del mondo esterno alle proprie esigenze profonde (20). M. Zulliger *esprime il suo pensiero su questi argomenti affermando che il gioco e' uno spazio esclusivo del bambino, uno spazio di reinvenzione, e di controllo della realta'; da questo punto di vista l'incapacita' di giocare risulta sintomatica di una cattiva elaborazione della relazione con gli oggetti interni e la realta'. Il fatto che nel gioco emergano frammenti di vita interna analogamente al materiale onirico ha fatto si che tale ambito diventasse il canale privilegiato di interpretazione prr la psicoanalisi dei bambini tale e' stato il metodo utilizzato da M. Klein,* in cui le azioni ludiche del bambino venivano assunte alla stregua di associazioni mentali e come tali interpretate (21). Dal canto suo Wygotsky,* si esprime nei seguenti termini. "Il primo paradosso del gioco e' che il bambino opera con un significato staccato, ma in una situazione reale. Il secondo paradosso e' che il bambino segue nel gioco la linea di minor resistenza cioe' che desidera di piu' perche' il gioco e' legato al piacere. Nello stesso tempo impara ad agire secondo la linea della maggiore resistenza: sottomettendosi alle regole, i bambini rinunciano a cio' che vogliono. Poiche' la sottomissione alle regole e la rinunzia ad agire secondo un impulso immediato nel gioco e' la via verso il massimo piacere" (22). Studio' cosi' il gioco infantile evidenziandone tutte le componenti e le dinamiche, e soprattutto svelandone il valore di risorsa multiforme per la crescita psichica, cognitivo ed effettivo: il gioco e' realizzazione di desideri, e' addestramento, e' rispetto alle regole, conoscenza e negazione della realta' e' il piacere ma anche norma e' progetto ed esercizio (23). Vygotsky affermo' con forza l'immensa potenzialita' evolutiva dell'attivita' ludica: "il gioco e' una fonte di sviluppo potenziale (...) nel gioco il bambino e' sempre al di sopra della sua eta' media, al di sopra del suo abituale comportamento quotidiano (...) nel gioco egli e' in qualche modo di una testa piu' alta di se stesso" (24). Il punto di vista di Massa e che il gioco corrisponde pertanto ad una dialettica di educazione e vita nel suo dupplice statuto di finzione e realta' da un altro, di condizionamento e spontaneita' dall'altro (...). " Cio' non comporta per nulla privileggiare una pedagogia del gioco, e ridurre l'educazione ad una sequenza di giochi, ma domandarsi invece se l'educazione nel suo insieme, allo stesso modo del linguaggio, non riveli la propria essenza ed il proprio ordine qualore venga studiata come un certo contesto di gioco, entro il quale l'educatore ed il bambino compiono le proprie mosse e se non altro affermare che il meccanismo ludico, piu' che svolgere una funzione determinata, costituisce una delle condizioni fondamentali che rendono possibile l'accadere stesso del processo formativo "(25). Nella Montessori* il legame fra gioco ed educazione e' quello che i materiali di costruzione (giochi) non hanno una funzione gratuita o simbolica, quanto una finalita' pragmatica e sperimentale di addestramento dei sensi e della percezione. Un'ulteriore osservazione viene da Massa: " Fare entrare il gioco nella scuola significa introdurre una variabile che pone in discussione un assetto fondato sul principio della funzionalita' e dell'economia; significa porre in discussione i materiali, la luminosita', la distribuzione degli spazi; significa istituire spazi-gioco accanto alle tradizionali palestre e strutture sportive; significa infine aprirsi all'extrascuola ed allestire i cosidetti parchi Robinson come luoghi dove realizzare costruzioni in cui giocare e trascorrere il tempo libero " (26) Nel progetto di cooperazione in seguito proposto ci spingeremo oltre i parchi Robinson. Prima di definire e affrontare cosa si intende per definizione di gioco, ci avvalliamo di un altro prestigioso autore per introdurre in contrasto caro alla psicoanalisi ed oggetto frequente di studi: l'aggressivita' in rapporto con l'educazione ed i giochi. Come si è diffusamente esposto nel secondo capitolo Adler, Ammon, Storr, Fromm erano concordi nel concepire lo sviluppo infantile,una lunga lotta per la conquista e l'affermazione di se' che richiede al bambino il continuo ricorso ad atteggiamenti "aggressivi" e che apre continui conflitti con gli adulti, che tendono a riaffermare la dipendenza infantile e a bloccare percio' l'aggressivita' emancipatrice (27). Lorenz* indica all'uomo la necessita' di non negare l'aggressivita', bensi'di indirizzarla su obiettivi accettabili. Altri autori della corrente etologica indicano nelle capacita' umane di stabilire legami affettivi e di identificarsi con un altro un potente mezzo di controllo dell'aggressivita'. L'intervento educativo e' un ruolo per Massa di mediazione che esso puo' realizzare nel rapporto tra spettacoli a contenuto violento e comportamento aggressivo. Senza approfondire la posizione psicoanalitica classica, fra l'altro gia' accennata precedentemente possiamo dire che la psicoanalisi vede un'espressione di questa aggressivita' in fase di infanzia nel linguaggio e nel gioco simbolico, cio' a giustificare il passaggio del bambino dal principio di piacere al principio di realta' che implica la capacita' di esprimere in modo mediato le proprie pulsioni (28). L'energia aggressiva si serve delle strutture mentali via via realizzatesi per esprimersi in forme sempre piu' evolute: se si esegue lo schema piagetiano si puo' osservare come da scarico senso motorio essa passi con la capacita' di rappresentazione, all'espressione attraverso oggetti sostitutivi ed infine grazie alla capacita' simbolica, alla verbalizzazione e all'espressione attraverso il gioco simbolico, o il disegno (o la grafia). Giocare alla guerra, competere in un gioco piuttosto che fare a pugni ha lo stesso significato. Tradurre a livello grafico e plastico uno stato di collera prefigura l'ipotesi dell'uso dell'aggressivita' come affermazione creativa di se'. Il contributo psicoanalitico a una pedagogia dell'aggressione, sembra per Massa e coll. cosi' sintetizzabile: " necessita' di un intervento (...) di influenza educativa sul passaggio a forme sempre piu' simboliche e mature di espressione dell'aggressivita'" (29). L'aspetto degli studi etologici che piu' interessa i pedagogisti e' quello della possibilita' di ritualizzare l'aggressivita'. Gli etologi nel tentativo di indicare delle possibilita' di ritualizzazione umana, pensano in particolare allo sport ed alla competizione, che conservano il significato di opposizione a un rivale e di manifestazione prevalentemente motoria; i pedagoghi porgono attenzione nel bambino e nell'espressione simbolica, come giochi, disegni e grafo-verbale,come è stato visibile grazie anche ad un'aspetto delle ricerche prima esposte nel quinto capitolo* . Compito dell'educatore e' quindi di "contenere" le manifestazioni aggessive entro confini ben precisi, ove l'aggressivita' esiste ha il compito di favorirne l'espressione indicando oggetti sostitutivi sui quali indirizzarla (30). Massa prosegue nel suo saggio indicando l'adozione del gioco simbolico come nodo di elaborazione dell'aggressivita' come l'espressione piu'ricca di indicazioni pedagogiche (31). Riprendendo Piaget : "Gli e' dunque indispensabile disporre di un settore di attivita' la cui motivazione non sia l'adattamento al reale, ma al contrario l'assimilazione del reale all'io, senza costruzioni ne' sanzioni; tale e' il gioco simbolico che trasforma il reale per assimilazione ai bisogni dell'io, mentre limitazione e' accomodamento "(32). La Psicoanalisi e Piaget concordano nel ritenere il gioco simbolico un elemento fondamentale dello sviluppo sia affettivo sia intellettivo del bambino. Proprio il manipolare attivamente gli elementi del reale, trascendendo le leggi e i limiti che lo formano consisterebbe l'accettazione e la conoscenza del piano di realta' e la sua differenziazione da quello della fantasia e della finzione. L'educazione all'aggressivita' sottolinea Massa e coll. non sta nella sua inibizione repressione e negazione, bensi' nella possibilita' di manifestarla e controllarla in forma non nociva ne generatrice di sensi di colpa. Inoltre la crescente aderenza alla realta' lo sviluppo della funzione comunicativa del linguaggio e il prevalere del pensiero logico rispetto a quello magico riducono progressivamente l'importanza e l'uso del gioco simbolico (33). Nella nostra prima esperienza nelle scuole elementari di Desio abbiamo introdotto dal 1988 la disciplina schermistica, quale espressione palese di un gioco simbolico e ritualizzato. Colpire senza sensi di colpa, senza che cio' esprima disagio, in un contesto di regole prestabilite. Ritorneremo su questo aspetto piu' avanti; ricordando che cio' che per J.Bowlby *caratterizza la malattia psichica e': " l'incapacita' di regolare i propri conflitti in modo soddisfacente "(33b). Ora esaminiamo di nuovo il concetto di gioco, ed entriamo piu' vicino alla definizione dello stesso. Nel Longman Dictionary of Psychology and Psychiatry, il gioco e' cosi' definito: "attivita' liberamente cercata e perseguita per il divertimento individuale e di gruppo. Gli studi indicano che la spinta a giocare e' altrettanto naturale quanto mangiare o dormire ed e' strumento indispensabile per la crescita, contribuendo in modo incommensurabile praticamente ad ogni fase dello sviluppo fisico, mentale, sociale e ricreativo. E' anche un mezzo di primaria importanza per esplorare il se' e il mondo, oltre che mezzo per mantenere la salute mentale e raggiungere l'equilibrio nella vita" (34) Per Callois* i valori pedagogici del gioco sono indiscutibili. "Niente d'altronde rivela meglio il ruolo civilizzatore del gioco, dei freni che esso suole opporre all'attivita' naturale. E' assodato che il giocatore ideale e' quello che sa considerare con una certa eleganza distacco e un'ombra, almeno di sangue freddo, i risultati negativi dello sforzo piu' costante ... la decisione, anche ingiusta, dell'arbitro e' approvata per principio" (35). Sul rapporto tra creativita' e "regole del gioco" si invita il lettore alla letteratura di un bell'intervento di Laura Frontori che si ispira con originalita' al pensiero di Fornari e di Jaques, sostenendo la centralita' nella riflessione pedagogica dei temi della "prescrittivita' e della trasgressione". Per delineare in modo piu' circostanziato il concetto di prescrizione, ci sembra opportuno partire dal mondo del lavoro e da una definizione che descrive la prescrizione come "limite intorno al lavoro", in quanto stabilisce le regole, le linee di condotta, il metodo, le procedure a cui attenersi nell'attuazione delle proprie decisioni operative inerenti a un compito (Jaques, 1956). In tal senso essa ha un effetto liberante, perche' delimita l'area entro la quale chi opera deve impegnarsi nell'uso della discrezionalita' cosicche' puo' concentrarsi su di essa senza preocuparsi anche di doverne stabilire il confine. La prescrizione, dunque, lungi dal porsi come fattore di costrizione costituisce, in quanto quadro realistico di riferimento, un contenitore dell'ansia che l'esercizio di discrezionalita' comporta. E' strutturante, quindi, per le capacita' decisionali e creative dell'individuo (36). A questo riguardo in un articolo, riguardante fra l'altro i lavori a voi esposti (*), la Vegetti Finzi si è così espressa: "Nel gioco il bambino esprime la sua fantasia, le sue pulsioni erotiche ed aggressive in modo spontaneo, poco attento alle reciprocita', comportandosi, per lo piu', come se fosse solo in mezzo agli altri. Lo sport invece esige che si riconosca un sistema di regole, magari rudimentali, ma valevoli per tutti. L'adozione di un codice di comportamento trasforma l'anarchia dell'infanzia in socialita', l'onnipotenza fantastica in calcolo dell'utile. Tutto questo non perche' l'autorita' degli adulti lo esiga ma perche' e' obiettivamente necessario altrimenti, come dicono i ragazzi, "non c'e' partita". "La norma non imposta dal di fuori (ma vissuta nella concretezza dei fatti) viene accettata anche da coloro che, nella scuola, si comportano da ribelli o ostentano una radicale estraneita'. Cosi' le gerarchie di valore spesso si invertono a favore dei meno apprezzati nelle prestazioni scolastiche. Per tutti l'attivita' sportiva offre la possibilita' di esprimere le tendenze aggressive, neutralizzandone pero' le valenze distruttive e le potenzialita' asociali. Nel nostro immaginario domina la figura del torneo medioevale, della contesa, finalizzata non gia' a distruggere ma a umiliare l'avversario prevalendo su di lui simbolicamente. La punta protetta del fioretto rappresenta ancora oggi, formalizzazione estrema dello scontro fisico. "Se la scherma, la spada - ha scritto Fromm - si svilupparono dall'esigenza di uccidere un nemico in difesa o in attacco la loro funzione originaria e' andata quasi completamente perduta, e sono divenute un'arte". "Le modalita' con le quali ciascuno di noi risponde agli attacchi che gli provengono dal mondo esterno sono soggette ad una dinamica evolutiva che porta dall'iniziale ricorso a meccanismi di difesa ripetitivi e stereotipati, sino all'adozione di una pluralita' di tattiche selezionate in base a una complessa valutazione dei fattori in gioco. Ora questa tendenza maturativa sembra essere favorita dal tirar di scherma cosi' come lo sara', probabilmente, da qualiasi sport correttamente praticato". (35) Ora queste disgregazioni nel mondo ludico sportivo servono per esercitare quella coesione che vi e' fra aspetto ludico ed oggetto sportivo, oggetto cio' per chiarire ulteriormente in seguito il nostro servizio. Ma ritornando agli aspetti pedagogici del gioco. Aspetti pedagogici che possono coinvolgere la formazione con l'intera figura umana nei vari aspetti del suo vivere. Schiller* e' certamente uno dei primi se non il primo ad avere sottolineato l'importanza straordinaria del gioco per la storia della cultura. Egli scrive: "Una volta per tutte e per concludere, l'uomo gioca solo quando e' uomo nel pieno senso della parola ed e' un uomo completo solo quando gioca" (39). Spencer*: "Il gioco é una drammatizzazione dell'attività degli adulti" ( 40) Eraclito* che sembra addirittura creare uno stretto legame tra pensiero e gioco quando afferma: "Le idee degli uomini: giocattoli di fanciulli"*, ed E. Fink* ci ammonisce: "Alla fine non e' affatto vero che in prevalenza solo il fanciullo gioca, forse gioca altrettanto anche l'adulto, soltanto in modo diverso, clandestino, mascherato" (41). Per Scaparro:* "Ogni nostra azione adulta puo' rientrare nella categoria dell'avventura o del gioco" (42). Eric Berne *sull'argomento: "Dire che il nocciolo dell'attività sociale consiste nel gioco non significa neccessariamente che è divertente o che le parti non prendono sul serio il loro rapporto. Da un lato giocare a calcio o ad altri ludi atletici può essere unja cosa serissima, talvolta fatale" * Daltra parte alcuni autori per esempio J Huizinga* includono tra i " giochi " altre attività addirittura macabre, come i banchetti cannibaleschi (42 b) Percio' sempre per Berne: "definire "giochi" certi tragici tipi di comportamento, come il suicidio, l'alcoolismo, la tossicomania, la criminalita' o la schizofrenia, non significa essere irresponsabili, o fare dello spirito di pessima lega. L'aspetto essenziale del gioco umano non e' il carattere spurio delle emozioni, ma il fatto che le emozioni obbediscono a detrminare regole. Lo dimostra la condanna che pesa su certe mnifestazioni emozioni illegittime. Il gioco puo' essere crudelmente, addirittura fatalmente serio, ma la condanna sociale diventa grave solo quando si viene meno alle regole" (43). Si ritorna così alle regole: infatti Jean Piaget sin dal 1930 in due conferenze all'Istituto Jean Jacques Mausserie tenute a Ginevra aveva molto insistito sulla contrapposizione per il bambino dei giochi di fantasia e dei giochi regolati.* Si ricorda d'altronde l'importanza che egli molto giustamente attribuisce al rispetto delle regole del gioco da parte del bambino e la formazione morale di quest'ultimo. Per Caillois le facolta' che esso sviluppa beneficiano certamente di questo allenamento supplementare, che e' per di piu' libero, intenso, divertente, creativo e protetto. Ma funzione specifica del gioco non e' mai quello di sviluppare una capacita'. Scopo del gioco e' il gioco stesso. Se ne deduce che le attitudini che esso sviluppa sono le stesse che servono anche per lo studio e le attivita' serie dell'adulto. Se queste capacita' sono sopite o manchevoli, il bambino non sa ne' studiare ne' giocare, in questo caso, non sa ne' adattarsi ad una sistuazione nuova, ne' fissare la propria attenzione, per piegarsi ad una disciplina (44). A questo proposito, le osservazioni di A. Brauner *sono tra le piu' convincenti. "Il gioco non e' assolutamente un rifugio per ritardati o handicappati, li sgomenta quanto il lavoro. Questi bambini o questi adolescenti psichicamente deboli si rivelano incapaci di dedicarsi con qualche continuita' o applicazione tanto ad un'attivita' ludica che a un lavoro reale. Per essi, il gioco si riduce ad un semplice prolungamento occasionale del movimento, puro impulso incontrollato, senza misura ne intelligenza (intervenire quando gli altri giocano impossessandosi della bilia o del pallone, disturbare, spingere, creare confusione, etc...). Il momento in cui l'educatore riesce ad inculcare loro il rispetto della regola o, meglio ancora, il gusto di inventarne, e' il momento della guarigione. Non e' alcun dubbio che il piacere di rispettare volontariamente una regola convenuta sia in questo caso essenziale "(45). Ecco cosi' assumere il gioco nella funzione e nelle sfumature psicopedagogiche applicative. Ora come si vengono ad applicare nella scuola il gioco, l'attivita' sportiva, l'aggressivita', i meccanismi di difesa, la socialita' ecc. vediamone un esempio francese. Il programma di Lapierre e Aucouturier membri della societa' francese di Educazione e Riabilitazione Psicomotoria. Per loro l'educazione va intesa come libero atteggiamento da parte del bambino nei confronti del gioco e nei confronti della figura trasferale dell'educatore. C'e' nel programma una specie di progressione qualcosa che si avvicina alla liquidazione del transfert; non si tratta di distruggere di colpo il personaggio dell'educatore cosa che renderebbe ogni azione educativa impossibile ma di modificarla progressivamente fintanto il bambino sara' capace di liberarsene assumendo cosi' la sua vera autonomia. Facendo esprimere i bambini in attivita' spontanee. Questa fase d'attivita' spontanea e' per l'educatore una fase di "non direttiva" e di "ritiro", dunque per i partecipanti (bambini o adulti) una fase d'insicurezza. "Noi pensiamo che questa fase e' primaria nel senso che permette un decondizionamento della situazione pedagogica abituale, una rimessa in causa del ruolo del maestro, un primo invito all'autonomia creatrice ... che permette di mettere in evidenza le difficolta' di ciascuno. Ma su questa fase possono innestarsi, in funzione delle circostanze degli interventi rassicuranti, piu' o meno direttivi e piu' o meno prolungati dell'educatore."* Gli autori non credono ne' all'essenza totale delle direttive ne' alla totale direttivita', ma all'alternanza complementare, a condizione che la direttivita' non abbia altro scopo che quello di condurre verso l'autonomia ... dunque verso la non direttivita'. Tutto cio' e' legato all'autenticita' della persona di fronte al bambino. "Dopo che i bambini si sono strutturati in gruppi ed hanno messo in moto le loro dinamiche gruppali, solo dopo aver esaurito tutto il loro "saper fare" dopo aver superato la fase di gioco fittizio, i partecipanti sono in grado di orientarsi verso le attivita' piu' autonome, piu' autentiche e piu' simbolicamente rivelatrici." E' in questo momento che conviene osservare attentamente e cercare d'analizzare questo vissuto per poter eventualmente orientarlo e condurlo verso il suo pieno sboccio. Anche quando cessano le attivita' stereotipate il rifugio nel gruppo persiste. Questi gruppi, sono gruppi gregari, nei quali ciascuno cerca la propria sicurezza e perde la propria individualita' e la propria autonomia; quindi l'opposizione di leaders. Sono gruppi poco creativi, ove la comunicazione e' difficilissima. Cio' che sembra essenziale, e' la relazione interindividuale da persona a persona. La base di questa relazione e' la relazione duale la coppia (es. coppia schermistica). Piccoli passi, ma comunque una tappa da superare per andare, a partire da qui, verso la plurarita' degli scambi individuali. Si puo' allora ritornare al gruppo, sempre piu' numeroso: non si tratta piu' dello stesso gruppo-rifugio, ma di un gruppo composto da indiviui autonomi capaci di cooperare, di dare e di ricevere, ma senza dissolversi nella massa. L'esperienza prova che in un simile gruppo il leader, rimesso in causa, si degrada a persona, scompare a favore di una organizzazione democratica, cosa che non avviene sempre senza urti e senza conflitti. Parallelamente a questa evoluzione della relazione all'altro, si sviluppa un'evoluzione della relazione all'oggetto: gli oggetti qualunque essi siano, sono dapprima utilizzati nell'azione dinamica; si dona loro del movimento, si dona a se stessi del movimento con loro, e questo movimento dell'oggetto, prolungamento dell'Io, ci aiuta ad investire lo spazio, a non curarci dello spazio, ..." La relazione dinamica con l'oggetto e sovente vissuta in una modalita' d'identificazione immaginaria e simbolica: essa diventa arma (fioretto ad esempio), macchina, cavallo, ecc." E' anche attraverso questa attivita' dinamica che si scopre l'altro e che si entra in relazione con lui. Relazione stereotipata dapprima, come si è gia' detto, attraverso giochi organizzati, poi, dopo questa relazione codificata che ha permesso un primo approccio rassicurante, l'oggetto diventa mezzo di scambio e di comunicazione sempre piu' autentica, comunicazione che puo' diventare molto stretta, in un lavoro a due, e aprire un vero dialogo simbolico, un piacere di scambio, a contenuto emozionale ed attraverso delle fasi repressive (rituali, es.) a questo livello che si ha l'autenticita' dell'essere, l'autenticita' della relazione che noi vogliamo ritrovare."* Per Aucouturier e la scuola francese bisogna partire da qui, reintrodurre "l'oggetto come primo mediatore simbolico della comunicazione "(46). A riguardo dell'aggressione, puo' essere interpretata per gli autori francesi come domanda di relazione. " E' un mezzo per "dare" e "ricevere" non fossero altri che colpi..., se per certi bambini molto disturbati, e' l'unico mezzo per entrare in relazione, noi dobbiamo accettarlo come tale e partire da qui per far evolvere questa relazione. Proibire l'aggressione, reprimerla con mezzi coercitivi, e entrare nel gioco, sado-masochista, e per questi fatti rafforzarlo. Tollerare l'aggressione senza rispondervi non fa che aumentare la sua intensita', perche' cio' che l'interessato vuole ottenere e' una risposta, una relazione, e non dargliela non puo' che incitarlo ad accrescere la sua domanda di aggressivita'. Non ci resta dunque che trasporre il tutto sul piano simbolico, ove l'aggressione potra' essere accettata e decolpevolizzata. E' il significato di tutti i giochi d'agressione, simbolica, che non incoraggiano e suscitano: palloni, cerchi, corde, foulards, tessuti e in genere tutti gli oggetti "non pericolosi" servono da strumenti a questi giochi e anche le lotte di disequilibrio, la conquista e la difesa del proprio spazio, le lotte di tradizione, di pressioni, di tensione, ecc.." Nel nostro progredire col bambino andremo ancora piu' oltre quando l'aggressione si manifestera' mediante la semplice "messa in difficolta'" dell'altro; in uno scambio di palloni, d'oggetti che l'altro dovra' fermare, afferrare, rilanciare secondo le modalita' che il partner gli imporra' attraverso la sua azione; nelle molteplici situazioni in cui non si esercita piu' la forza bruta, ma la propria abilita' la propria destrezza, la propria immaginazione. E' attraverso questa padronanza dell'aggressivita' che inizia l'adattamento all'altro "far finta" e non far male e' trovare i limiti di tolleranza dell'altro... e' anche fargli conoscere i propri limiti. Tolleranza fisica, quando si e' molto prossimi al passaggio all'atto, nell'affronto corporeo, ma anche tolleranza affettiva quando ci si avvicina al; simbolico; lanciare la palla perche' l'altro non possa mai afferrarla comporta a sua volta un rifiuto di giocare; occorre adattarsi alle sue possibilita', dosare la difficolta' perche' il gioco conservi interesse. Cio' non prepara forse alla ricerca della tolleranza intellettuale che porta alla compensazione? L'affrontarsi diventa piacere comune, base di un accordo reciproco preludio sovente di un accordo piu' profondo che e' scoperta dell'armonia. "La maggior parte dei giochi, sia degli adulti che dei bambini consiste nell'affrontarsi, investimento simbolico di una aggressivita' latente moderata dall'accettazione delle regole, al rispetto dell'avversario. L'ultimo atto del progredire pedagogico del gioco e quello intellettuale trasposizione dell'aggressione a questo livello" (47). Ed infatti Fine* ci ricorda che: "Se ci rivolgiamo all'Io del giocatore (vedi scacchi) per cominciare, che egli si serve in primo luogo di difese intellettuali . Negli scacchi, il pensiero sostituisce l'azione. Contrariamente ad altri sport come, per esempio la boxe, qui non esiste alcun contatto fisico. Non c'e' nemmeno quella forma mediata di contatto che esiste nel tennis o nella pallavolo in cui: due uomini colpiscono il medesimo oggetto. Al giocatore di scacchi e' permesso di toccare i pezzi dell'avversario soltanto quando "mangia" (in termini schermistici porta la stoccata); quando cioe' secondo le regole, il pezzo deve essere tolto dalla scacchiera" (48).

 

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