--Il Vedovo-------

Lo Scapolo, Il Marito, Il Vedovo: la trilogia del con-iugum

Tra la metà e la fine degli anni cinquanta, Alberto Sordi è stato interprete di tre film che, non si sa quanto involontariamente, rappresentano una ideale trilogia che inocula l’ironia della commedia all’italiana all’interno e nei dintorni della vita coniugale.
Ad un’attenta analisi comparata più Lo scapolo (1955) di Antonio Pietrangeli, Il marito (1957) di Nanni Loy e Gianni Puccini e Il vedovo mostrano una serie di incastri e rimandi che non possono essere il frutto di pura casualità. D’altronde c’è un filo rosso che lega gli sceneggiatori poiché Ettore Scola e Ruggero Maccari sono presenti nei primi due, Sandro Continenza nel primo e nel terzo e Rodolfo Sonego nel secondo e nel terzo. Dunque una specie di staffetta, sulla quale incombe l’essenziale contributo coesivo di Sordi che, pur essendo accreditato solo del soggetto ne Il marito, non può non aver portato il vissuto personale e le doti di improvvisazione che tutti conosciamo. Un elemento chiave in questo senso è dato dal nome proprio dei/l personaggi/o da lui interpretati/o. Nell’opera prima di Pietrangeli si chiama Paolo, anche se il film, entrato nella top ten degli incassi dell’anno 1955-56, era popolarmente conosciuto con il nome di Alberto il conquistatore.1 Una chiara assimilazione tra la vita reale dell’attore e quella impressa sulla celluloide, un lapsus che sarà corretto nelle altre due pellicole dando vita agli imprenditori Alberto Mariani ed Alberto Nardi.

Pur volendo resistere alla tentazione di considerare questi tre film un corpus unico, è difficile ignorare la relazione tra la prima scena de Lo scapolo che si apre su un corteo nuziale e la conclusione de Il vedovo con i funerali di Nardi. Questa congiunzione tra il matrimonio e la morte (il detto ‘la tomba dell’amore’, Padre Agostino che ricorda a Nardi «Ricordi le mie parole quando vi sposai, sarete uniti fino alla morte») è in qualche modo programmatica, racchiude il senso della trilogia, un destino ineluttabile al quale non ci si può sottrarre. Un ulteriore conferma ce la dà un dialogo del film di Pietrangeli tra Paolo/Alberto e la sua segretaria alla quale sta pensando di fare la corte:
Paolo/Alberto: «Si deve decidere però, il matrimonio è molto importante per una donna, lo sa ?»
Segretaria: «Solo per una donna ?»
Paolo/Alberto: «Embè no…l’uomo ha sempre tempo, infatti lo scapolo può diventare marito, ma quando è marito come ritorna scapolo…semmai vedovo !»

Quindi la morte della moglie come unica via di fuga, prefigurata ancora prima di sposarsi, di liberazione dal giogo (iugum) coniugale (con-iugum).
Ne Lo scapolo Paolo/Alberto tenta di non farsi intrappolare, vivendo gli ultimi fuochi da ‘vitellone’ (il film di Fellini è di due anni addietro e Il seduttore del 1954) passando da un’avventura amorosa all’altra. Eppure la sua voce off iniziale, che commenta negativamente la scelta del socio di sposarsi, più che rafforzare le sue convinzioni, è un urlo nel vuoto. Il fermo immagine finale, con Paolo/Alberto sull’altare in un’espressione pietrificata di terrore quasi munchiana, ne è la parafrasi. In questo film si delinea una costante della trilogia, la forte personalità della madre (la ‘sora’ Elvira, non vi ricorda qualcuno ?) e della futura moglie Carla (che lui chiama ‘il colonnello’). Stretto da questa morsa, Paolo/Alberto prova a godersi gli ultimi scampoli di libertà che tuttavia si risolvono in atti di piccola vigliaccheria nei confronti delle donne ‘deboli’ che incontra e di sbruffoneria al cospetto degli altri maschi ‘perdenti’. Non gli andrà meglio ne Il marito con la micidiale triade moglie-suocera-cognata per non parlare della dark lady Elvira Almiraghi de Il vedovo.
Lo scapolo si conclude dunque con il matrimonio di Paolo/Alberto, a questo proposito Enrico Giacovelli ha fatto notare come anche gli altri due titoli siano idealmente fra virgolette poiché ne Il vedovo questa condizione sarà solo temporanea e addirittura si ribalterà. Ne Il marito il ruolo sembrerebbe rispettato, ma nel corso dell’ultima scena sul treno, in un sussulto di orgoglio, Alberto Mariani comincerà a corteggiare delle procaci ragazze dichiarandosi scapolo2. Il cerchio si richiude.

Il treno è un altro elemento unitario. Ne Lo scapolo è proprio durante il viaggio di ritorno dal paese della madre a Roma che Paolo/Alberto inizia a vacillare riguardo alla prospettiva di sposarsi. Ne Il marito, questo mezzo di trasporto apre e chiude il film e nella scena iniziale, proprio in opposizione con quella finale appena citata (che tra l’altro termina con il convoglio mostrato in campo lungo mentre attraversa un ponte, possibile metafora della penetrazione), Alberto comunica ad una viaggiatrice il suo imminente matrimonio. Ne Il vedovo l’ipotetico coinvolgimento di Elvira Almiraghi nella disgrazia ferroviaria è alla base degli eventi della prima parte del film.

Nella pellicola di Loy e Puccini, il secondo incipit riprende il finale de Lo scapolo. Siamo in chiesa, durante la cerimonia nuziale ed alla fatidica domanda del si, Alberto ha una lunga incertezza , ma al terrore ormai si sostituisce la rassegnazione e la parolina fatidica arriva. Stacco ed ecco una brevissima immagine di un temporale, l’inferno può iniziare.
E’ un Alberto profondamente diverso, il commerciante di elettrodomestici che iniziava a sentire il profumo del boom economico ne Lo scapolo è adesso un piccolo imprenditore edile (ex capomastro) che cerca di prendersi la sua fetta di benessere come self made man. Ma la scalata è dura alle prese con pagamenti che non arrivano, cambiali che scadono e finanziamenti solo vagheggiati. Nel Mariani c’è già Nardi, dal palazzo all’ascensore il passo è breve e le difficoltà le stesse. Ed anche i pescecani sono sempre quelli, il ragioniere che dovrebbe dare il prestito qui non ha nome, ma è lui, Lambertoni, stesso attore, stesso vestito, stessa borsa, stesso sudore. In questo contesto conta anche l’ambiente sociale e quindi la famiglia. Alberto ci prova a fare il marito, si sorbisce gli estenuanti quartetti per archi della moglie violoncellista Elena (questi nomi con la E…) e delle colleghe musiciste, rinuncia a vedersi con gli amici, rinuncia alle partite, rinuncia alle donne e forse anche al sesso con Elena. Poi deve subire una suocera ed una cognata invadenti al punto che da essere un segno di distinzione (l’estrazione alto-borghese) si trasformano in un ostacolo alle sue ambizioni. In particolare l’ultimo tentativo di evitare il fallimento fa da cerniera della trilogia, con Alberto che torna seduttore per ottenere da una ricca vedova di mezza età (e qui con un poderoso forward ci proiettiamo addirittura in un immaginario futuro post Il vedovo3) una scavatrice. Il progetto però naufraga quando la moglie, informata dalla sorella che ha visto Alberto al night in compagnia della possidente, finge un appendicite e si fa ricoverare in ospedale. Il marito corre al capezzale di Elena rinunciando ad un viaggio con la vedova che doveva sancire l’affare. Scoperto l’inganno, nel tentativo di picchiare la consorte, Alberto cade fratturandosi la gamba. Il potere femminile è dunque invincibile, non resta altro che piegarsi, meglio fare il commesso viaggiatore di dolciumi che ti permette di stare a lungo lontano da casa e riprendere le buone abitudini di seduttore. Nardi avrà l’amante, come del resto Elvira, la famiglia si ridurrà ad un simulacro basato sull’interesse, almeno da una parte, mentre ci si potrebbe chiedere perché la Almiraghi resta ancora accanto al coniuge.

Altre tracce presenti ne Il marito ci conducono verso Il vedovo, ad esempio l’anziana cameriera di casa Mariani che sostituisce la giovanissima e piacente Paolina e che ritroveremo a casa Nardi, pardon Almiraghi, lì come qui ovviamente sodale con le mogli. Il socio di Mariani, parafulmine dei suoi sfoghi ci ricorda il marchese Stucchi, anche perché in entrambi i casi hanno fatto la guerra insieme. Anche il paesaggio urbano, come ha osservato Enrico Giacovelli, ci appare ne Il marito come l’embrione di quello che vedremo sin dai titoli di testa, con la Torre Velasca, ne Il vedovo4. I palazzi sono ancora in costruzione, Alberto mostra alla moglie la periferia romana ancora vergine che da lì a poco sarà cancellata dal sacco edilizio degli anni sessanta, non immagina che proprio in uno di quei mostri in cemento avverrà la sua fine.


1 «C’era una committenza determinata, erano film per un attore preciso. Era accaduto soprattutto per Totò, e poi accadde per Sordi. Bisognava fare un film per lui, per il suo personaggio: Il seduttore, Il marito, Lo scapolo erano costruiti ad hoc» dichiarazione di Ettore Scola tratta da L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano, 1979, pag. 353

2 Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana, Gremese, Roma, 1990, pag. 42

3 La vedova durante il primo incontro chiede ad Alberto «Romano ?». La stessa domanda che Elvira Almiraghi fa al marito quando lo incontra per la prima volta

4 Enrico Giacovelli, op. cit., pag. 105