Conclusione
Siamo
giunti alla fine del nostro viaggio nell’Illuminismo,
un’epoca nella quale noi
europei siamo diventati quelli che siamo attraverso il
superamento (ma non certo all’abbandono!)
di una tradizione religiosa che
permea ancora fortemente larghi strati della
società e delle istituzioni. Con la cultura illuministica è nata quella
“forma” scientifico-tecnologica della cultura
occidentale che affianca quella umanistica in un connubio specifico della
civiltà
dell’Occidente. Una civiltà talvolta contraddittoria,
problematica, incoerente,
dove i progressi tecnologici hanno portato
anche a
estremi disumanizzanti e a nuovi mali che
si sovrappongono ai vantaggi. Già
Diderot, in una nota erratica del 1774, si
domandava se la meccanicizzazione
del lavoro non fosse «andata troppo oltre»
e se non fosse il caso di «ritardare
i progressi del figlio di Prometeo» per evitare
che sfuggissero di mano
all’uomo stesso. Eppure la mentalità tecnico-scientifica
trasmessaci dal
progressismo illuminista è quella che ha
permesso di elevare il livello di vita
delle masse a traguardi prima impensabili,
cui si accompagna la realizzazione
di una diffusa democrazia sconosciuta nei
contesti che
non hanno conosciuto l’Illuminismo. Da ciò
la necessità di riflettere sul fatto
che, forse, la forma mentis
illuminista, che Adorno ed Horkheimer così
ferocemente biasimavano,
non sia, alla fine, il “meglio di ciò che
siamo”. Possiamo anche rifiutarla in
nome di nuovi messianismi che considerano
abortite le istanze
dell’Illuminismo o in sé negative o male
interpretate, nella prospettiva di un
orizzonte umano differente (e spesso “anti-occidentale”).
Noi
non abbiamo nulla da aggiungere al nostro
giudizio molto positivo
su tutto ciò che ci è venuto dall’Illuminismo,
tanto più se lo si confronta con
lo stato socio-culturale dei contesti che
non l’hanno conosciuto. Esso, d’altra
parte, è un orizzonte, da condividere o rifiutare, non una panacea
per i
mali dell’umanità, poiché indubbiamente le
istanze dell’esistenza,
collettiva o individuale, che sono state
nell’Età dei Lumi avanzate hanno
trovato soluzioni solo parziali sia allora
che dopo. L’eudemonismo è stato posto
correttamente, ma non realizzato, come molte
altre istanze
politiche tra le quali emerge l’equità sociale;
sì da farci concludere che la
cultura illuministica ha posto numerosi problemi
e non li ha risolti, ma anche
che senza la mentalità illuministica non
sarebbero neppure stati posti.. È peraltro
indubbio che sia più facile imporre dei modelli
e far proseliti che risolvere
problemi; il discrimine tra la teologia e
la filosofia sta proprio nel fatto
che la prima fornisce sempre ben confezionate
risposte e la seconda pone sempre
scomode domande. Non è necessario filosofare,
se ne può fare benissimo a meno, anzi, forse conviene teologizzare!
Ma
se si decide di far
filosofia bisogna farlo in modo coerente
non ricadendo nella metafisica che
l’inquina nel suo fondamento, e la miglior
filosofia illuministica lo ha fatto..
L’Illuminismo può essere considerato l’esisto
di un lungo processo culturale iniziato due
secoli prima, nel Rinascimento,
epoca in cui due elementi dirimenti appaiono
e si dispiegano in tutto il loro
valore antropologico. Essi sono: A. L’individuazione
di un nuovo rapporto tra
la natura e la realtà umana; B. La scoperta
dell’individualità come elemento di autoriconoscimento dell’uomo rispetto al
criterio unitario-totalitario
della socialità cristiana in quanto Ecclesia. È l’onda lunga della
cultura d’avanguardia del Rinascimento, che
nel XVII secolo, sia pure in modo
sotterraneo (si pensi alla cultura libertina),
si rafforza e trova consonanze
nella ricerca scientifica e nel nuovo metodo
di approccio
alla realtà indicato da Bacone, che matura
e prende forma nel XVIII. L’elemento
anti-cristiano dell’Illuminismo non sta,
come sostiene la cultura revanscista
cattolica di Burke, de Maistre, Taine, Cochin
e più recentemente di
Jean-François Chiappe e Jean Dupont, nell’anticlericalismo.
L’Illuminismo
autentico più che anti-cristiano è anti-metafisico,
poiché è nella libertà
metafisica che l’uomo apre il proprio orizzonte
sia ontologico che esistenziale
e pone la conoscenza scientifica a base di ogni altra
conoscenza. Una libertà metafisica che non può che determinare,
come suoi correlati, una libertà di pensiero
e d’azione che le ideologie e i loro
regimi non sono disposti a tollerare. La lotta tra l’Illuminismo e
l’assolutismo dell’Ancièn Régime restano paradigmatici di ogni nuovo orizzonte gnoseologico ed etico
che possa
attentare al potere costituito; e quello
più forte, con le radici più profonde,
è indubbiamente quello teologico, esplicito
o camuffato.
Relativamente all’ateismo occorre rilevare che in questo
nostro excursus sull’Illuminismo, a dispetto
di ciò che solitamente si pensa,
non ne abbiamo trovato molto. La ragione
sta nel fatto che la libertà
metafisica, pur tematizzata, è difficile da mettere
in pratica in maniera
completa. Un caso esemplare è quello di d’Holbach: preoccupato soprattutto di abbattere
il
Cristianesimo, non si è accorto di operare
in un modo talvolta dogmatico e
dottrinario finendo per ripeterne i procedimenti.
Non è in questo modo che si
supera la religione e si riesce a relegarla
nell’ambito che le è proprio sin
dalle sue origini, quello di illudere l’uomo
di un ordine soprannaturale a cui
poter guardare e in cui riconoscersi. Un
ordine che per quanto turbato, alla fine
sempre si riaffermerà, poiché Dio “deve”
sempre trionfare e con esso il Bene e l’Ordine come suoi correlati.
Ciò è
consolante, rassicurante, corroborante, ma
è falso. Non c’è ordine cosmico in
generale se non come stato di equilibrio tra forze in
gioco, ma tale ordine è continuamente turbato
da mutazioni e catastrofi.
L’evoluzione, la generazione di situazioni
abortive, il loro superamento in
equilibri precari, l’instaurazione di un
nuovo ordine apparente in attesa di essere nuovamente turbato: è questo
lo scenario
della realtà cosmica. Così accade da quasi
quattordici miliardi di anni e così accadrà ancora non sappiamo per
quanto. Di
certo sappiamo invece che tra sei miliardi
di anni il
Sole avrà esaurito il suo combustibile e
si contrarrà sino a diventare una nana bianca, che sulla Terra scomparirà
la luce e calerà il gelo, sì che la vita
che la vita probabilmente scomparirà,
tutta. Non solo non ci saranno più uomini
a pensare né al Dio-Volontà né al
Dio-Necessità (scomparsi ormai da miliardi
d’anni), ma forse neppure i batteri,
che rispetto ad essi potrebbero essere definiti
“eterni”. Certo, nel Settecento non si poteva
essere consapevoli di tutto ciò
(e la prima nana bianca sarà stata scoperta
solo nel 1862), ma per la prima
volta qualcuno si poneva il problema dell’uomo
in rapporto al cosmo nella sua
realtà vero e non a quello mitico delle teologie.
L’universo pare avere leggi univoche, ma
di esso
in realtà conosciamo pochissimo ed è persino
difficile pensarlo come un’unità
non sapendo dove finisce. Esso si costituisce
come un enorme volume vuoto solcato
da radi “filamenti” di ammassi di galassie con
miliardi di miliardi di stelle che costituiscono
solo il 5% di tutta la massa
del cosmo (il 30% è materia oscura e il 65% è energia oscura). Ma
forse, come in numero sempre maggiore i cosmologi
cominciano a pensare, il
“nostro” potrebbe essere soltanto uno dei
molti o infiniti universi esistenti,
e qualcuno ha persino supposto che nel profondo dei buchi
neri massicci possano nascere altri universi
dall’”altra parte” del nostro
spazio-tempo. Il sommamente ridicolo è che
l’homo sapiens continui a
ritenersi al centro dell’essere,
immaginando che ci sia un “Qualcuno-Qualcosa”
con un’iper-intelligenza simile
alla sua che ha progettato l’universo, lo
ha ordinato e lo gestisce in riferimento a lui. Nel Seicento tutti ne
erano convinti, nel Settecento tutti “meno
qualcuno”, e ciò era già
estremamente importante, segnando il passaggio
da una forma mentis esclusivamente teologica a tutt’altra. Ci
si può
domandare come sia possibile che oggi, nel
2007, la maggior parte delle persone
continuino a credere alle mitologie cosmologiche delle
molteplici e svariate metafisiche, ignorando
totalmente i risultati delle
ricerca scientifica. Abbiamo già trattato
altrove quest’argomento, ma vogliamo
qui ribadire le due cause che riteniamo di poter
individuare all’origine di questa quasi paradossale
situazione: una
antropologica e l’altra politica. Quella antropologica
sta nella ricerca inconscia dell’omeostasi
psichica, che indirizza l’homo
sapiens alle visioni del mondo più rassicuranti e gratificanti, quelle
che contemplano un ordine cosmico realizzato
da un Progettista-Garante che
assume le connotazioni o di un personale
Dio-Volontà o di un impersonale Dio-Necessità.
Quella politica sta nel fatto che le teologie
operano una sistematica
delegittimazione di ogni acquisizione scientifica
“non-compatibile” con esse, e di converso
strumentalizzando abilmente tutto il
“compatibile”, utilizzato addirittura come
“conferma teologica”. Il caso più noto ed eclatante
riguarda sicuramente il Big-Bang, interpretato
come il momento iniziale della
Creazione “dal nulla” da parte del Dio della
Bibbia.
Una
digressione cronologica sommaria (che però
può apparire pedantesca) ci sembra
opportuna. Il “nostro” universo si è formato
13,7 miliardi di
anni fa, da cinque miliardi esiste la Terra,
da tre e mezzo è nata la
vita sotto forma di microbi acquatici monocellulari,
dopo di che nascono quelli
pluricellulari e per quasi 3 miliardi d’anni
non c’è altro. Poi l’evoluzione
della vita entra in una fase particolare:
545 milioni di anni
fa, nel Cambriano, la vita accelera e compare
una numero incredibile di nuove
specie acquatiche e poco dopo, 400 milioni
di anni fa, il primo vertebrato,
un’anguilla primitiva. Anche la terra comincia
a popolarsi, ed appaiono
salamandre lacustri, ma ancora null’altro, né erba né
piante; eppure il pianeta, 310 milioni di
anni fa, è già popolato di
innumerevoli specie viventi (ma il “Re del
Creato” è ancora da venire!).
Intorno ai 260 milioni d’anni fa appaiono
le felci, i primi insetti, i
dinosauri ed anche piccoli proto-mammiferi; ma da 248
milioni di anni fa in poi si verificano estinzioni
di massa, i dinosauri
sopravvivono e diventano i dominatori assoluti
dei pianeta. Ciò fino a 65 milioni di anni
fa, allorché improvvisamente, forse per l’impatto
di un meteorite, essi
scompaiono; finalmente i mammiferi terricoli
possono popolare la superficie ed
evolvere (e tra essi ci sono i lontani antenati
dell’homo sapiens). Forse intorno a 3 milioni d’anni fa, da
un antenato
comune, nascono due linee evolutive che portano
da una parte agli scimpanzé e
dall’altra agli uomini. Circa 2,4 milioni
di anni fa
compare l’homo habilis e dopo una
decina di passaggi evolutivi nasce, finalmente,
circa 200.000 anni fa, il sapiens! Difficile evitare l’ovvia
domanda: ma perché Dio ha aspettato tanto
per fare quest’essere privilegiato “a
sua immagine e somiglianza”? Una domanda
che nella testa di qualche zoologo
illuminista del XVIII secolo, ormai consapevole
che le cose non potevano stare
com’erano narrate nel Genesi,
cominciava ad affacciarsi insieme a qualche
timido dubbio teologico.
Questo
per il passato, e per il futuro? I grandi
mammiferi sono esigentissimi dal punto
di vista climatico: poco sotto lo zero° C.
il sangue congela, poco sopra i 100°
C. bolle, e in ogni caso il cuore smette
di funzionare in un arco di
temperatura assai più ristretto. D’altra pare il
sangue è sostanzialmente acqua, la vita c’è
grazie all’acqua, nella quale è
nata e con la quale si perpetua. Noi dipendiamo
in tutto e per tutto
dall’acqua, che ci costituisce per oltre
l’80% e ci
fonda come organismi. Si può affermare che
se qualcuno-qualcosa ci ha creati è
stata l’acqua, anzi l’H2O in fase liquida; essa è in noi, esistiamo
grazie a questa molecola e spariremmo senza
di essa.
Sarebbe sufficiente un aumento dell’attività
solare o dell’effetto-serra tale
da portare la temperatura al suolo oltre
gli 80°C nella zona temperata perché
gran parte della Terra diventasse invivibile per l’homo
sapiens, che solo “interrandosi” o “annegandosi”,
forse, riuscirebbe per un
po’ a sopravvivere. La luce, da mitica creatrice,
può diventare l’assassina
della vita. Come miseramente può finire in
un attimo il glorioso destino del Re
del Creato, l’essere fatto da Dio “ a sua
immagine e somiglianza”, per un
banalissimo capriccio di quella natura tanto
disprezzata dai metafisici! La
vile materia, energia termica o vili molecole
inorganiche, potrebbero
far scomparire d’un tratto tutta la metafisica
boria antropocentrica che la
filosofia illuministica ha incominciato a
contrastare. E poi c’è anche
l’abbastanza incerta dinamica dell’universo, mostruosa
nella sua complessità, o quella ultra microscopica
e insignificante del sistema
solare (il solo buco nero al centro della nostra galassia ha già una
massa pari a 2,5 milioni quella del Sole),
ma per noi fondamentale. Che
sicurezza abbiamo che un aumento dell’attività solare
non secchi il terreno o che l’impatto di
un meteorite sulla Terra o qualsiasi
altro trauma meccanico-gravitazionale, ancor
prima che termico, generi
condizioni inconciliabili con la vita o quanto
meno con quella dei mammiferi?
Ciò che è sicuro che essi si estingueranno
molto prima degli
insetti ed incommensurabilmente prima dei
batteri. Soprattutto questi,
da sempre, esistono in versioni infinite
e mutevoli, alcune delle quali vivono
anche in ambiente acido ed a temperature
proibitive per ogni altra forma di
vita. Facile concludere che la Terra continuerà ad
esistere senza i mammiferi, così come l’universo
continuerà ad esserci senza il
Sole e senza la Terra. Si comprende bene
che cosa siano gli 00000,2 miliardi
d’anni di esistenza dell’animale homo sapiens
contro i 13,7 miliardi vissuti dall’universo
senza di esso, e le infime
possibilità che quest’animale ha di sussistere
a lungo e di significare qualche
cosa per i destini dell’universo. Questo,
esistendo “per sé” (e non certo “per
noi”) non ha nessun riguardo nei nostri confronti
e vive le esplosioni, i
collassi, gli scontri e le cannibalizzazioni di stelle
e galassie in una molteplicità di caos creativi
mostruosi per natura e
dimensioni che accadono nella più totale
ignoranza di noi. Non dobbiamo mai
dimenticare che il pensiero dà senso a noi che lo possediamo
e lo usiamo, ma non può darlo a ciò che non
pensa essendo massa-energia pura, e
tuttavia il senso del nostro esistere può
esser solo colto in relazione alle
entità e alle forze che non hanno alcun bisogno
del pensiero per essere. Ma per far questo ci vuole una modestia che
l’uomo può
conquistarsi soltanto con la conoscenza e
la consapevolezza di ciò che è,
abbandonando tutte quelle fantasie delle
quali si è nutrito per millenni
cavalcando l’ignoranza di se stesso, della
materia che lo circonda, del tutto
che ne costituisce il limite senza lasciarsi
conoscere al proprio limite.
Quest’excursus fisico-cosmologico può parere
forse ozioso ed estraneo a questo nostro
discorso conclusivo, ma noi pensiamo
di no. Siamo convinti che non lo sia proprio
perché con la mentalità
illuministica la scienza nelle sue varie
branche balza alla ribalta come componente essenziale della cultura in relazione a
un’evoluzione dell’uomo e del cosmo indipendente
dai voleri di Dio. Tra le
varie scienze sono la cosmologia e la biologia
ad avvalersi nell’Età dei Lumi
della nuova tecnologia, che porta alla costruzione
di apparecchi
d’indagine potenti e raffinati, sì da permettere
di conoscere meglio
l’infinitamente grande quanto l’infinitamente
piccolo. È con apparecchi ottici
molto potenti che è stato possibile ampliare
la conoscenza del cosmo e rendersi
conto dell’assoluta insignificanza del nostro
pianeta con tutto quel che c’è
dentro. Inoltre, è solo nel Settecento che
alcuni scienziati incominciano ad essere consapevoli del fatto che il mondo non è stato
creato da Dio nel 4004 a.C. come l’arcivescovo
James Ussher (in Annales Veteris Testamenti a prima mundi
origine deducti) aveva nel 1650 calcolato in base alle genealogie
bibliche,
ma ne abbia di più, anzi, enormemente di
più. Ed è ancora la scienza
illuminista, sulla base di nuove ricerche e
considerazioni biologiche, a comprendere
che le specie viventi non sono “fisse”
come uscite dall’Arca di Noè, bensì “evolvibili”.
Però
il rischio di finire sul rogo è ancora forte
e di tali cose si parla a mezza voce solo nei salotti intellettuali
e
nei laboratori scientifici; Buffon prova
a scriverne qualcosa e con molta
prudenza, ma passa i suoi guai e si ritira
in buon ordine, come altri suoi
colleghi. E tuttavia il ghiaccio è rotto: la Bibbia
(il libro dettato in gran parte da Dio stesso)
dice il falso! Lentamente, ma
inesorabilmente, la storia del mondo si dilata
a dismisura e si comincia a
pensare che il semi-divino homo sapiens non sia che
l’esito ultimo di un processo biologico evolutivo.
Esso, con buona pace di
Cartesio, è una “macchina” biologica, esattamente
come tutti gli altri animali,
ed è La Mettrie a dirlo chiaramente per primo,
ma è da tempo
che molti lo pensano, smentendo Descartes
e le sue fantasie metafisiche. E tuttavia
(i paradossi della cultura!), egli viene assunto da
molti come profeta della “macchina-uomo”,
laddove egli la vedeva soltanto come
il tabernacolo materiale e mortale di una
res cogitans divina e immortale.
Abbiamo detto che l’ateismo autentico nel
Settecento è poco, e tuttavia
si tratta del primo secolo, dopo ventitre
di assoluto
dominio teologico, in cui, timidamente, appare
la possibilità di una certa libertà
metafisica, tale da far
pensare che liberarsi dai lacci della teologia,
per quanto difficile, sia
possibile. L’Ottocento e il Novecento non
hanno affatto onorato l’eredità atea
illuministica con ulteriori sviluppi teorici: in essi
si è fatto molto “ateismo pratico”, ma pochissimo
“ateismo teorico”, ed è solo
questo che può aprire l’orizzonte a una vera
weltanscauung atea che
mandi in soffitta la teologia e la renda
mero oggetto di storiografia. Ma
questo fatto si spiega quando si constati che nel
Settecento l’ateismo filosofico si è presentato
in maniera spesso molto
equivoca, sì che non possiamo stupirci se
nei due secoli successivi esso ha potuto
fare così poca strada. Una strada che è comunque difficile
e irta di ostacoli ideologici radicati e
pervasivi, e ciò anche se la
contemporaneità (almeno nel mondo industrializzato)
mostra indifferenza
religiosa e un anticlericalismo assumente
spesso nei media una grande
evidenza. Ma di filosofia atea si continua
a vederne pochissima; quando si
parla di essa molto sovente non si viene capiti
proprio da sedicenti atei che non sanno di
essere ancora impregnati di teologia
e fanno del puro anti-cattolicesimo in
nome di qualche inconscia pseudo-religione
laica. Quanti sono
consapevoli di non riuscire a pensare il
cosmo senza un suo ordine interno,
senza una necessità o senza una sua ragion
d’essere? È questo il “nocciolo
duro” della teologia: tutto il resto è mero
dettaglio!
Nell’accomiatarci dal lettore vogliamo ringraziarlo
per la sua pazienza
nell’averci seguito sin qui in quest’esposizione
di una non proprio piccola
fatica storiografica. Siamo consapevoli del
fatto che non sia facile al giorno d’oggi leggere un lavoro di quasi
mille pagine e
per di più pieno di citazioni; per questa
ragione siamo molto grati a coloro lo
hanno fatto e la loro lettura è già il nostro
compenso. Abbiamo insistito
troppo con le citazioni? Ciò è possibile.
Però noi
siamo convinti che nella saggistica filosofica
sia indispensabile dar conto,
rigorosamente e nei limiti del possibile
in termini di spazio, di “ciò che” un
autore che si cita ha detto, limitando il
commento all’indispensabile. Così
operando è come se un saggio venisse scritto a più
mani, dove l’autore ufficiale è soltanto
una sorta di curatore del pensiero di
tanti altri di cui offre al lettore la flagranza
testuale originale. Ponendosi
come modesto chiosatore e interprete, ma
evidenziando con chiarezza e senza
ambiguità il proprio punto di vista, egli
rispetta colui che
cita e rispetta nel contempo se stesso, nel
suo assenso o nel suo dissenso. Dal
saggista non deve essere pretesa l’imparzialità
ma la correttezza, poiché solo
gli ignavi possono essere imparziali e chi
ha idee in testa è sempre in qualche
modo “di parte”. La correttezza è un filo
di rasoio sul quale si sta in un
equilibrio tagliente e scomodo; per noi,
che siamo “di
parte” in quanto atei, è difficile starci
quanto per chi la pensi in modo
opposto. Ci siamo qui posti il compito di
ripercorrere la storia della
filosofia del Settecento, che riteniamo scritta
perlopiù da storiografi idealisti, per cercare
di riportarla alla sua
autenticità concettuale e liberarla dal ciarpame
interpretativo metafisico. È
questo un intento di parte? Forse. Il vero
problema è se siamo riusciti a
rimanere su quel filo della correttezza critica
oppure no.