LA RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO STILE "SINISTRA PLURALE"

di Charles Paz*

Il governo PS-PC-Verdi esalta le 35 ore come il suo principale successo al livello sociale. Per un osservatore esterno al settore privato e competitivo in cui si applicano le Leggi Aubry la cosa può apparire attraente e addirittura radicale. All'estero la misura può essere presentata come il coraggioso modello da seguire da chiunque sostenga la politica socialdemocratica del governo Jospin, o come la cosa peggiore per le destre liberali. Anche in Francia, partiti di destra e organizzazioni padronali ne hanno denunciato lo "statalismo", gli effetti nefasti per la competitività delle aziende e il MEDEF (la Confindustria francese) non ha risparmiato dichiarazioni ostili a questa misura. La realtà è ben diversa, vista dall'interno delle aziende e delle branche professionali. La maggior parte delle direzioni aziendali, pur sostenendo ufficialmente le posizioni dell'organismo padronale, al momento della conclusione di accordi locali in materia è stata nella pratica aiutata spesso dalla politica della CFDT, che si è buttata in questo processo, mentre le strutture di fabbrica delle altre organizzazioni sindacali (CGT e soprattutto FO) subivano la legge e i lavoratori la guardavano scettici e addirittura spaventati. Come mai?

Una rottura nella storia della riduzione d'orario

In Francia, l'imponente legislazione sociale è nata con testi sull'orario di lavoro. Dopo una legge del 1814 che istituiva le domeniche e i giorni festivi non lavorativi in base al calendario cattolico, negli altri sei giorni l'orario era tra le 12 e le 14 ore lavorative giornaliere. Con una legge del 1900 esso viene riportato a 10 ore al giorno, che diventano 8 nel 1919, cioè orari settimanali ufficiali di 48 ore. In quarant'anni, dunque, l'orario si è ridotto di circa il 30%, dopodichè non si sarebbe quasi più mosso. La riduzione passerà per altri canali; nel 1936, con l'istituzione delle 40 ore (due giorni di riposo settimanali) e delle due settimane di ferie pagate. In realtà, dal 1938-39 l'orario settimanale effettivo si attesta sulle 44-45 ore (con il pagamento dello straordinario) fino alla fine degli anni Sessanta. Con la crisi e l'ascesa del part-time, l'orario settimanale reale diminuirà per arrivare a 40,5 ore nel 1981, poi a 39 nel 1982. Nel frattempo, le ferie sono passate a 4 settimane, poi a 5 nel 1982. Ogni volta il processo era lo stesso: una mobilitazione operaia a cui il governo rispondeva adottando leggi che valevano per tutti i lavoratori. Dopo il 1982 la durata complessiva del lavoro ha continuato a diminuire, soprattutto per la disoccupazione. Il problema di un'ulteriore riduzione formalizzata dell'orario è stata allora avanzata dal governo nel 1988.

Gli obiettivi degli uni. e degli altri

Per i lavoratori è sempre stata ed è forte l'aspirazione a ridurre la disoccupazione e a migliorare le condizioni di lavoro, anche se la riduzione d'orario a parità di paga non è quasi mai stata avanzata nelle mobilitazioni. Le direzioni sindacali si sono sempre più sistematicamente orientate verso la contrattazione a freddo, senza mobilitazioni, per arrivare ai cosiddetti accordi di "pari convenienza" con le organizzazioni padronali, quasi non esistesse conflitto di interessi inconciliabili tra padroni e salariati (posizione tradizionale di FO). La CFDT ha assunto una posizione ancora più di destra, sostenendo la necessità di concessioni reciproche. La direzione della CGT, contraria a parole a questa politica senza organizzare mobilitazioni concrete contro il governo della "sinistra plurale", ormai tende ad accettare ufficialmente questo quadro di negoziati a freddo. Il governo, auspicava l'adozione di una misura simbolica sulla riduzione d' orario, intendendo instaurare quella che chiama la "repubblica sociale". Vuole evitare qualunque pretesto per scontri centrali, unificanti per le lotte dei lavoratori, privilegiando quadri di discussione in cui le direzioni sindacali contrattano gli arretramenti, gli attacchi ai lavoratori, fabbrica per fabbrica, categoria per categoria. L'obiettivo concreto dei padroni era il rigetto dello "statalismo" e la scelta della contrattazione a freddo di tutte le leggi sociali con le direzioni sindacali, in un quadro in cui i rapporti di forza sono favorevoli per loro, in assenza di lotte e soprattutto grazie alla divisione sindacale. Quando un sindacato non vuole firmare, basta concedere parziale soddisfazione ad un altro per ottenere un accordo applicabile, anche se firmato interamente da organizzazioni minoritarie. Sono i sindacati meno esigenti a firmare per tutti. L'altro obiettivo padronale era aumentare la produttività delle aziende, in vari modi: aumento della durata dell'impiego di macchinari sempre più costosi e da sostituire sempre più spesso; diminuzione di scorte che costano introducendo il just-in-time, flussi tesi che impongono un lavoro irregolare nell'arco dell'anno, della settimana, in funzione delle commesse; riduzione dei salari diretti sopprimendo ore di straordinari, premi vari, aumenti automatici, e di quelli indiretti ridimensionando i costi sociali. Con le due Leggi Aubry il governo darà ai salariati l'impressione della riduzione d'orario, alle direzioni sindacali un ruolo centrale come negoziatori professionali a freddo e ai padroni tutto quel che concretamente era importante per loro.

Aubry 1, Aubry 2. una manovra in due tempi

Dopo il 1982, i socialisti al governo volevano legare riduzione d'orario e flessibilità. Il testo che allora istituiva le 39 ore settimanali al posto delle 40 ottenute nel 1936, ha aperto tutte le brecce in cui si infilarono i governi di destra, nel 1987 e nel 1993. Esso istituiva il calcolo annuale dell'orario di lavoro scontando le ore di straordinario nell'arco dell'anno; prevedeva la possibilità di introdurre moduli orari annuali con accordi aziendali, offrendo una sovvenzione alle aziende che avessero ridotto l' orario; prevedeva la possibilità di accordi aziendali più sfavorevoli di quelli stabiliti per legge! Tali misure, ampliate nel 1996, hanno avuto pero ' soltanto effetti limitati Con la prima Legge Aubry il governo creava il primo obbligo formale. Fissava una data dopo la quale l'orario di lavoro legale si sarebbe fissata a 35 ore, prevedendo la trattativa azienda per azienda di modalità della riduzione e del calcolo dell'orario di lavoro. Ma la legge legava espressamente la riduzione d'orario alla flessibilità, prevedendo inoltre contributi finanziari per i padroni nel caso in cui avessero assunto il 6% di salariati per una riduzione del 10% dell'orario di lavoro. L'obiettivo era quello di frammentare le trattative, categoria per categoria, fabbrica per fabbrica, per arrivare a ogni tipo di flessibilità adeguate alle "esigenze delle aziende"" con gli unici limiti legali di un tetto di 10 ore giornaliere e 46 settimanali. La seconda Legge Aubry confermava la scadenza legale per arrivare alle 35 ore, confermando le flessibilità contrattate ed eliminando qualche disposizione estrema. Concedeva inoltre ai padroni notevoli sgravi fiscali se avessero trattato con i sindacati maggioritari o fatto riconoscere l' accordo per referendum, il tutto questa volta senza alcun obbligo di assunzioni.

Ripercussioni molto deboli sull'occupazione

Gli uffici di statistica del ministero si fanno in quattro per valorizzare i successi del governo, con non poche difficoltà. La ministra annunciava nel settembre 2000 che più del 50% dei salariati privati (oltre 6 milioni) erano a 35 ore (l'applicazione della legge è progressiva, a seconda delle dimensioni delle aziende), e che la misura aveva creato più di 200.000 posti di lavoro. Questi dati ufficiali sono significativi: anche considerando le cose nel modo più ottimistico, si può vedere che meno di un terzo delle ore soppresse è stato compensato dalle nuove assunzioni! Ma la cifra va inoltre relativizzata. In fase di ripresa economica vi sono naturalmente assunzioni, anche in aziende che non hanno ridotto l'orario. Come si fa a stabilire la quota dovuta alle 35 ore e quella derivante dalla ripresa? Tra l'altro, le aziende che hanno avviato trattative hanno congelato le assunzioni appena avviato il processo. per assumere appena firmato! I dati annunciati segnano la differenza degli effettivi dichiarati dall' azienda prima e dopo la firma dell'accordo. Ci si può più o meno fidare che seguano assunzioni, ma non vi è alcuna garanzia sulla cifra di partenza. Se l'imprenditore non ha inserito lavoratori interinali e precari vari, la loro assunzione, ancorchè reale, non cambia niente nella realtà delle officine e degli uffici. Analogamente, non è obbligato a tenere conto delle ore di straordinario, se con l'accordo sulle 35 ore le elimina, le assunzioni possono limitarsi a compensarle. Non si considera il livello medio di qualificazione dei nuovi assunti: per le statistiche, si equivalgono tutti. Per i lavoratori, invece, l'assunzione in un altro servizio lo costringe a fare in 35 ore il lavoro di 39. Il padrone che aveva bisogno di tecnici, di quadri, di rappresentanti, risponde agli obblighi impostigli rendendoli compatibili con le proprie esigenze. Raramente i posti di lavoro si creano per le basse qualifiche: il 66% delle aziende hanno sviluppato la "polivalenza", il che spesso si traduce in maggiori livelli di qualifica richiesti all'atto dell'assunzione. Infine, la principale ripercussione sull'occupazione della riduzione d' orario è ormai superato. Gli imprenditori, prima del gennaio 2000, avevano un piccolo obbligo di creare occupazione. Non ve ne è più nessuno per tutti coloro che passeranno d'ora in poi alle 35 ore! La spiegazione di fondo dei limitati effetti occupazionali sta nella connessione flessibilià-annualizzazione dell'orario di lavoro.

Sistematizzazione della modulazione dell'orario di lavoro

Da 15-20 anni i padroni tentavano di introdurre l'"annualizzazione", cioè la modulazione dell'orario di lavoro sull'anno, la flessibilità. Ma era difficile, perchè anche le organizzazioni sindacali più di destra esitavano a firmare accordi del genere. La contropartita formale della riduzione d'orario ha sbloccato la situazione. La quasi totalità degli accordi (l'84%) prevede l'adeguamento alle fluttuazioni dell'attività. Il 64% di essi introducono la modulazione degli orari, l'annualizzazione, sia tramite giornate di riposo, sia con settimane con orari diversi. Alcuni prevedono addirittura il lavoro di sabato in ore normali. Un quarto degli accordi (25,8%) aumenta l'orario di apertura, il 20% l'orario di impiego degli impianti. Gli intervalli di preavviso dei dipendenti in caso di cambiamenti d'orario sono brevissimi. Prima della legge già il 9% dei salariati conosceva il proprio orario solo per la settimana successiva, l'8% per il giorno dopo e il 5% per il giorno stesso! Questi dati non potranno che peggiorare. Solo in parte i giorni di riposo sono a scelta dei lavoratori e si sono ridotti i ponti di recupero. Cioè, perlopiù il riposo dei lavoratori non è in funzione dei loro bisogni ma delle esigenze della produzione. Il lavoro in squadre, che aveva ripreso la sua ascesa dopo gli anni Ottanta, si estendera ' ulteriormente, riguardando il 37% degli operai dell'industria e il 60% degli stabilimenti industriali con oltre 500 addetti. Diversi vantaggi, o accordi, o abitudini (giorni di ferie eccezionali, pause, uscite anticipate, ecc.) vengono rimangiati dai padroni negli accordi dal momento che l'orario si calcola in ore effettivamente lavorate sull' anno. Uno studio del Ministero del novembre 2000 nelle grandi aziende che hanno contrattato rifiutando le agevolazioni mette in luce che l'effettiva riduzione dell'orario di lavoro è, in queste, del 5,4% e non del 10,3%, grazie a questo tipo di calcoli! Tra l'altro, si è sviluppata la personalizzazione degli orari che, in caso di tensione o di aumento di lavoro, mette i salariati di fronte al padrone individualmente: la si prevede nel 57% degli accordi. Invece di un miglioramento netto delle condizioni di vita e di lavoro, questi parametri messi insieme in certi casi riescono ad annullare qualsiasi vantaggio, se non a peggiorare le cose. Significativo è l'esempio della Renault di Clèon, in cui ormai i lavoratori sono costretti a mangiare un panino in officina, invece che consumare un pasto alla mensa, come prima.

L'intensificazione del lavoro

Essa avviene in vari modi: In primo luogo, il padrone cerca di mantenere il suo livello produttivo nonostante il numero di ore lavorate in meno. L'unico obbligo della prima Legge Aubry e il 6% statistico di posti di lavoro, in realtà non rispettato, come si è visto. Se lo fosse, per mantenere il livello produttivo bisogna aumentare del 4% la produttività del lavoro. In realtà, spesso aumenta di più. La flessibilità aumenta la produttività. Anzichè lavorare meno in certi periodi dell'anno e di più in altri con straordinari, i salariati sono meno presenti quando c'è poco lavoro e più presenti quando ce n'è di più; i periodi meno duri diminuiscono in favore di quelli in cui si lavora al massimo. La nuova organizzazione del lavoro legata al just-in-time, alla polivalenza, alla responsabilizzazione dei ruoli, dei controlli, ecc. con i cambiamenti dei ritmi di lavoro aumentano lo stress, le malattie professionali, i disturbi del sonno. I condizionamenti legati ai ritmi di lavoro sono in costante espansione. Mentre solo un 10% degli operai dichiarava nel 1984 di lavorare con obblighi dell'ordine di un'ora, oggi sono il 35%. Un terzo dichiara di non poter lasciare un solo momento il lavoro, e si tratta del 54% fra i lavoratori dell'industria; bisogna lavorare sempre di più sotto lo stimolo della fretta!

Diminuzione del costo del lavoro

Le 35 ore si traducono per i lavoratori in un periodo di stagnazione dei salari. La legge prevede il rispetto dei salari solo per i lavoratori pagati al minimo legale (SMIC). In realtà, il grosso degli accordi firmati (94%) mantiene fermi tutti i salari quando si passa alle 35 ore, ma nei 2 o 3 anni successivi il 42,5% degli accordi prevede un blocco e il 13 un contenimento salariale,mentre gli altri non dicono niente, ma di fatto, quasi in tutti i casi, il padronato applica il contenimento. I lavoratori che rimpolpavano il proprio reddito con gli straordinari vedono spesso diminuire la loro busta paga, perchè con la modulazione si riducono gli straordinari. Gli accordi costringono i padroni a pagare 39 ore le 35 ore lavorate, ma essi ottengono notevoli compensazioni: aumentano i sussidi e soprattutto gli sgravi fiscali. Ridurre i contributi sociali è la posta in gioco della battaglia padronale. Non sopportano il salario indiretto che spetta ai lavoratori con le pensioni, la copertura della malattia nel quadro di una gestione non privatizzata. Vogliono ridurre questi costi, per arrivare al sistema USA, dove c'è una copertura minima per tutti e il resto con assicurazioni private, per avere reale garanzia in caso di malattia e in vecchiaia. La seconda Legge Aubry soddisfa in parte questa richiesta padronale. L' obiettivo essenziale è l'aumento costante dell'esenzione delle quote sociali che spettano ai padroni senza alcuna altra condizione (niente sull' occupazione, per esempio) che non sia la firma dell'accordo con rappresentanti del personale o la convalida dell'accordo con referendum. Essa salda le agevolazioni per la riduzione d'orario (4.000 franchi l'anno per dipendente) con la riduzione dei contributi padronali per i salariati che stanno di 1,8 volte al di sopra dello SMIC, vale a dire 12.250 franchi lordi mensili.. Finora, con gli sgravi concessi dal precedente governo di destra, l'esonero andava fino a 1,3 volte lo SMIC (circa 8.850 franchi lordi mensili; erano interessati 5 milioni di salariati) e ammontava a 13.000 franchi all'anno per uno con SMIC, poi era decrescente. Con la seconda Legge Aubry passa a 21.000 franchi annui per un salariato al livello SMIC (cui vanno aggiunti i 4.000 franchi di contributi alla riduzione d'orario, per semplice applicazione di legge) e scende fino a 1,8 SMIC: il numero di salari interessati va aumentando progressivamente. Con questa legge cambia il costo complessivo del lavoro. Bisogna pagare! L'ammontare annuo complessivo degli sgravi è passato da 4,2 miliardi di franchi nel 1993 a oltre 43 miliardi nel 1998. L'ammontare previsto per il 2000, con circa 4 milioni di salariati interessati dalla riduzione d'orario passa a circa 64 miliardi, ma quando tutti i dipendenti privati saranno a 35 ore, supererà i 100 miliardi annui, ogni anno, senza limiti di tempo. Il governo non sa ancora esattamente come pagare. Nonostante tutto, i padroni mugugnano sui salari. Prima della modulazione, c'erano vari modi per adeguare la produzione: in periodi molto magri, la disoccupazione parziale, e in quelli grassi, gli straordinari e l' interinale. Il tutto ha un costo che si può ridurre, o eliminare con l'annualizzazione: le ore lavorate oltre le 35 settimanale in periodo grasso non vengono pagate come straordinari, visto che la media annua rimane a 35 ore.

Integrazione dei sindacati

Il governo ha vinto conquistando alla flessibilità e all'annualizzazione le direzioni delle grandi confederazioni sindacali. Qualche anno fa le sosteneva solo la CFDT, ora, sotto la spinta combinata di padronato e governo, tutte le confederazioni hanno firmato accordi che 5 anni fa denunciavano. Come mai? Padronato e governo, ciascuno a suo modo e con suoi obiettivi, sorretti dalle direzioni sindacali (CFDT in particolare, ma anche FO e CGT a modo loro) sono riusciti a imporre il principio della contrattazione "si concede da una parte-si concede dall'altra", "si guadagna da una parte-si guadagna dall'altra", anche contemplando deroghe rispetto alla legge sfavorevoli ai lavoratori. Fino a qualche tempo fa, le direzioni sindacali riformiste respingevano lo scontro frontale con il padronato e il governo, pur trattando alle spalle dei lavoratori piccoli passi avanti, di gran lunga inferiori a quel che sarebbe stato possibile ottenere, evitando di rimettere in discussione gli equilibri sociali. Le Leggi Aubry e il governo della "sinistra plurale" sono riusciti nell'attuale contesto politico a inserire tutte le confederazioni in un'altra logica: perchè i padroni concedano qualcosa, bisogna che siamo capaci di concedere qualcosa anche noi, bisogna comportarsi cosi' per essere riconosciuti come interlocutori. Tale pressione si è esercitata ovunque; in tutte le categorie, in tutte le aziende, le squadre sindacali, frammentate tra loro, hanno dovuto affrontare il problema, costrette a trattare in un ambiente difficile, spinte a far passare cattivi accordi, cercando di fare in modo che fossero meno peggio possibili. Difficile trovare rappresentanze sindacali di fabbrica soddisfatte dell'accordo firmato. La Legge ha inoltre costituito una novità per quanto riguarda il sistema cosiddetto dell'incarico. Finora, solo una sezione sindacale costituita in una fabbrica poteva siglare un accordo; occorreva dunque che si costituisse una forma di organizzazione collettiva, anche se limitata, contro il padrone. Ma ci sono molte piccole e medie aziende senza sindacato. Per aggirare il problema e consentire ovunque la firma di accordi, il governo ha cambiato le regole del gioco: Un salariato incaricato dal sindacato adesso può concludere un accordo che, per consentire le sovvenzioni previste, va convalidato da un referendum dei lavoratori. Per una vera sezione sindacale creata grazie a un mandato, quante decine di salariati, senza un'effettiva struttura collettiva in fabbrica, per incitamento padronale sono stati incaricati di concludere un accordo, con scarso controllo delle confederazioni che non hanno nemmeno il tempo o i mezzi per farlo? Non c'è confronto, in effetti, tra la dinamica di una nuova sezione sindacale che nasce per combattere il padrone, con i lavoratori feriti dall'ingiustizia e che cercano di organizzare una risposta collettiva, e un singolo lavoratore che, più o meno istigato dal padrone, fa le sue prime esperienze sindacali come contrattante sperso in un imbroglio giuridico. Ma questo è il principale metodo per la firma degli accordi Aubry: un 50% firmati da lavoratori incaricati, contro un 24% sottoscritti da vere sezioni sindacali (il resto, è l'applicazione diretta di accordi di categoria, senza trattative locali). Conoscendo le difficoltà di trattare, e poi di controllare l'applicazione di questi accordi, con una sezione sindacale realmente attiva, combattiva, ecc., è facile rendersi conto dei disastri un po' dappertutto, nel 74% delle aziende in cui l'applicazione diretta è opera del padrone, in cui i lavoratori delegati non diventano delegati sindacali e i lavoratori non hanno sezione sindacale per intervenire collettivamente, nè strumenti per contrastare quello che il padrone decide di fare dell'accordo. I dibattiti politici pubblici tra padronato e governo non hanno impedito che i padroni siano nelle fabbriche all'offensiva, essendosi immediatamente resi conto di quel che potevano ricavare da questa legge. Ci si è ritrovati in questa situazione: di fronte a una legge di un governo di sinistra, pubblicamente screditata dal padronato, ma in pratica messa in atto di sua iniziativa nelle aziende e non dalle organizzazioni sindacali, costrette dal dispositivo in posizione difensiva! Le 35 ore, tra l'altro, in questo modo risultano un elemento di accentuata integrazione delle organizzazioni sindacali.

A mo' di conclusioni

Ci sono anche, ma sono rare, imprese dove la riduzione d'orario giova ai lavoratori. Ma dobbiamo ricavare il bilancio complessivo di una misura che si pretende emblematica del governo della "sinistra plurale" da quel che succede nella maggior parte dei casi. Per il movimento operaio l'idea di una massiccia riduzione d'orario per migliorare le condizioni di vita e di lavoro è positiva, entusiasmante. Perchè il processo avviato non ha messo in moto sezioni sindacali, militanti combattivi, lavoratori, per mobilitarli contro i padroni sulla base della Legge Aubry? Semplicemente perchè il governo ha sabotato il concetto di riduzione d'orario accoppiandolo alla flessibilità, perchè a partire da qui ha regalato tutto ai padroni e le direzioni sindacali riformiste sono state inghiottite dal dispositivo. Per i lavoratori resta soltanto una riduzione contabile dell'orario di lavoro annuale che nel migliore dei casi modifica di poco le loro condizioni di vita ma il più delle volte non le migliora affatto, con l'annualizzazione e l'intensificazione dei ritmi (donde l'auspicio dei più di ottenerlo in giornate di riposo che in riduzione quotidiana), e con il blocco dei salari. Insomma, la Legge Aubry è stata una trappola per i lavoratori che, di fatto, con la scusa verbale della soddisfazione di una rivendicazione operaia, ha avviato contro di loro un'offensiva su tutti i piani, amplificata dalla seconda legge.

 

* Pseudonimo di un Ispettore del lavoro, militante della LCR, sezione francese della IV Internazionale.

La redazione di Bandiera Rossa News