L'orario dello sfruttamento

Nel 1980 la Fiat aveva insegnato a tutti che si può distogliere l'attenzione dall'obiettivo cercato proponendone uno apparentemente più grande, più pesante. Chiedere licenziamenti per ottenere poi, come male minore, cassaintegrazione (che è pagata dallo stato in buona parte). In realtà allora l'obiettivo prescelto era già da subito la cassaintegrazione.

Quella lezione - per il padronato - fu appresa e ripresa più volte, magari in tante piccole vertenze che ai più sfuggono e sicuramente non fanno notizia, ma che costellano il campo della lotta di classe, quella lotta "oggettiva", fatta dai padroni contro gli operai, quella lotta che tanti oggi si impegnano a dare per morta (forse per far si che a combatterla coscientemente sia solo una parte).

La questione delle "35 ore per legge" sta assumendo connotati simili. Il gioco delle parti è chiaro: chi propone una legge "rivoluzionaria", anzichè essere rivoluzionari nella pratica di tutti i giorni (PRC), chi gestirà tale legge per nome e per conto dei capitalisti (il governo) i quali, a loro volta, fanno gli intransigenti, piangono per i loro profitti.

Dietro questo teatrino si nasconde un accordo di fatto tra le parti in causa (il sindacato sta apparentemente a guardare con occhio critico, ma sapendo già quale posto prendere nella recita). E da questo accordo si cerca di distogliere l'attenzione con una legge che - sia bella, sia brutta - nel 2001 imporrà una riduzione d'orario legale.

Ma da qui al 2001 che prezzo pagheranno la classe operaia, i lavoratori salariati, i disoccupati?

Il nocciolo della questione sta qui, non in una controversa - e sempre in tempo ad essere ritirata, annullata, abrogata - legge sull'orario.

Governo, industriali, sindacati e amministrazioni locali stanno stipulando accordi, patti e contratti per abbassare non l'orario ma il salario, le garanzie dei lavoratori. Stanno introducendo tale e tanta flessibilità che semmai si arriverà al 2001, sarà con la schiena rotta, senza diritti e soprattutto con il culo scoperto di fronte ad una legge che già prevede limiti applicativi (i 15 dipendenti famosi) e che di fronte ad una frantumazione della classe operaia, ad una deregolamentazione dell'impiego della forza lavoro, a salari sotto il minimo contrattuale e tutta una serie di deroghe alle garanzie sindacali, normative ecc., potrà essere applicata in modo assolutamente indolore per il capitale ad una ristretta cerchia di lavoratori ancora inquadrati in "normali" condizioni lavorative.

Guardare oggi, come fanno in molti, con attenzione mista a speranza a questa legge (sempre che non venga ulteriormente limata, deludendo anche i più ingenui difensori) rientra proprio in quell'inganno cui accennavamo all'inizio: i padroni fingono di incazzarsi per le 35 ore, mentre oggi - qui e subito - si fregano le mani dalla gioia per i patti territoriali, i contratti d'area e tutta una serie di contratti aziendali che incrementano la produttività, flessibilizzano la manodopera e riducono, in molti casi, i salari.

Abbiamo obiettivi ben più concreti oggi: impedire questa deriva e frammentazione dello stato della classe; bloccare aumenti di produttività, tempi e ritmi di lavoro; lottare per gli spazi sindacali; contro gli straordinari; per occupazione garantita, con contratti uguali per uguali mansioni (contro l'esternalizzazione e i contratti atipici).

Questo è il presente della lotta di classe. Se tutto questo fosse oggi un "sogno", un impossibile obiettivo da realizzare nell'attuale fase di crisi capitalistica, può solo voler dire che è arrivato il momento di superare il capitalismo stesso. E questa possibilità deve essere sempre ben chiara ai comunisti, ai lavoratori più coscienti.

In ogni caso, organizzarsi adesso per questi obiettivi ha senso; non ha senso mettersi a sbirciare governi padroni e sindacati che fanno il loro teatrino, sperando che la legge non sia poi tanto male, che possa essere migliorata (da chi? da coloro che fanno gli accordi a Crotone e Manfredonia?).

Per un Primo maggio contro la flessiblità, per ritmi di lavoro meno intensi e niente più straordinari.

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