Giugno 1997
Fot. in prop.
Numero unico sperimentale


Bollettino delle lotte n°3
Lavoratori Renault in lotta

SOMMARIO

ROMPERE LACCI E LACCIUOLI

LO SCIOPERO NELLA FOSSA

ATAC: UNA LOTTA FUORI DALLE REGOLE

ZANUSSI

ROMPERE LACCI E LACCIUOLI

L'esperienza che si produce nella lotta di classe in questo periodo ha, tra le altre cose, il pregio di farci ragionare su cosa ne frena lo sviluppo. Dalla pratica delle mobilitazioni affiora la critica concreta di quei condizionamenti posti ai lavoratori e ai proletari da chi li vuole sottomessi schiavi salariati, flessibili, precari, sottopagati, divisi, ricattati.
Se i nostri avversari vogliono rompere le pastoie, le regole che reputano di ostacolo allo sfruttamento selvaggio, e chiamano ciò liberalizzazione, da parte delle realtà di lotta si può e si deve trasformare l'insofferenza ai vincoli che legano le proprie mani. Chiarire innanzi tutto quali sono, e lottare coscientemente per un primo livello di emancipazione, per il diritto di affermare pienamente i propri autonomi interessi. Questo marcia di pari passo con il riconoscimento di interessi comuni, di un programma di lotta valido per tutti perché intrecciato alle condizioni di chi oggi vive della propria forza lavoro.

I tentativi che i lavoratori fanno in tal senso supereranno questa fase embrionale, che già si configura come l'inizio di un ciclo di lotta, solo connettendosi, aggregandosi per sostenere una vertenza generale, per diventare un movimento di resistenza di classe. Quando i padroni e i loro sostenitori, comunque mascherati, attaccano gli elementi di rigidità del mercato del lavoro, dei contratti, del diritto del lavoro e dei diritti dei lavoratori, sanno bene quali vantaggi otterranno.
Ugualmente tra i lavoratori si fa strada la consapevolezza che rompendo certi condizionamenti alla lotta, alla solidarietà, all'unità, alla difesa intransigente degli interessi di classe e delle conquiste pagate a caro prezzo, la "partita" col fronte padronale può avere un esito tutt'altro che scontato.

Ma quali sono gli ostacoli in questione?

Infine, cosa dobbiamo aspettarci dal fermento e dall'attivismo che animano CGIL, CISL e UIL - ma in particolare la prima - sul "sindacatone unico entro il 2000"? La riunificazione del mondo del lavoro o una iniziativa reazionaria?
Consideriamo un paio di elementi: 1) Il segretario organizzativo della CGIL, Ghezzi, si fa interprete della volontà di cogliere l'occasione "irripetibile" offerta dalla commissione bicamerale per le riforme istituzionali, per intervenire sulla rappresentanza sindacale e sul diritto di sciopero, partendo dall'assunto che ci sono troppi sindacati (Corriere della sera 7/05/97). 2) Sempre la CGIL a Roma ha partecipato alla caccia alle streghe contro i lavoratori dell'Atac in lotta, ma rivelando un obiettivo ben preciso: criminalizzare ed eliminare quelle strutture di base che dimostrano di rappresentare gli interessi e la volontà di lotta dei lavoratori.
Allora è chiaro che la lotta di massa dovrà fare i conti con chi prepara queste prospettive e rivolgersi contro i passaggi che le materializzano. Impariamo dalle esperienze di lotta che spezzano "lacci e lacciuoli", sosteniamole, estendiamole. Ma nello stesso tempo poniamoci il problema della prospettiva, cioè del rafforzamento della resistenza e in questa degli elementi di rottura. Anche qui c'è da raccogliere, documentare, valorizzare le esperienze che si sviluppano. Appoggiando le spinte genuine verso piattaforme unificanti, opponendo al sindacatone l'unità di base dei lavoratori fuori e dentro i sindacati confederali.


Per il notiziario vi rimandiamo ai mesi di Aprile, Maggio e Giugno '97

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LO SCIOPERO NELLA ... FOSSA

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La legge 146/90, frutto del neocorporativismo italiano, è insufficiente: parola di Giorgio Fossa, presidente di Confindustria. Insufficiente a garantire l'accumulazione del capitale, in tempi di crisi. Gli ultimi avvenimenti nel settore dei trasporti hanno dato la stura a tutti gli apologeti del liberismo capitalistico, che non tollerano le lotte "autentiche", quelle che incidono sul profitto. Anche gli scioperi nei trasporti incidono sui profitti delle imprese manufatturiere e rendono meno competitive le imprese di trasporti stesse, che devono essere messe sul mercato, ossia privatizzate.
Gli strepiti di Confindustria contro il diritto di sciopero, già tanto limitato nel settore pubblico, fino a renderlo inefficace, sono solo una voce nel coro. Ma se si guarda attentamente si osserva una strana coincidenza di fattori, che si concentrano in questi ultimi 2 mesi, in cui il clima è stato riscaldato proprio dalla rottura di certe compatibilità, come quelle della 146/90.

La magistratura del lavoro, e la Cassazione che ratifica o meno certe sentenze, ci avevano, nel passato, abituati ad un occhio di riguardo verso i lavoratori in lotta. Attualmente si sta invertendo la tendenza.
Ci ricordiamo molte sentenze che hanno mandato assolti lavoratori rei di aver occupato stazioni e strade contro i licenziamenti, per i rinnovi di contratti ecc. La motivazione è sempre stata quella delle "elevate ragioni sociali" che stavano alla base della protesta. La Cassazione ha posto un freno a questo "favoritismo": il lavoro viene posto in secondo piano rispetto alla dignità dell'uomo, e perderlo non sarà più considerato un motivo valido per lottare fino in fondo!
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello di Firenze che aveva assolto i lavoratori della Ilva di Piombino dal reato di blocco stradale. L'assoluzione aveva riconosciuto "uno stato di necessità", rispetto alla possibilità di licenziamenti. La Cassazione stabilisce invece che il lavoro non costituisce un fatto essenziale per un essere umano. Il perderlo non costituirebbe, secondo la suprema corte, "un danno grave alla persona". Il lavoro, come elemento della vita umana, evidentemente ha importanza solo se messo a disposizione del capitale, alle condizioni imposte dai rapporti di produzione capitalistici. In questo caso, guai a scioperare, guai a protestare per i propri diritti. Nel caso contrario, il lavoro scende di un gradino nella scala delle priorità, e la perdita delle "condizioni materiali di esistenza" - tale è il lavoro nella società capitalistica - non giustifica "danni" a cose o interruzioni di servizi. In sostanza, il lavoro non nobilita affatto l'uomo: di questo eravamo certi ormai da tempo, perlomeno da quando Marx aveva scritto il Capitale! A questa inversione di rotta della "giustizia" si affianca la gestione autoritaria in fabbrica e in altri posti di lavoro. Qui il problema è piuttosto il tentativo di nascondere il più possibile il conflitto di classe, ponendolo fra saldi vincoli, visto che non si riesce a farlo sparire. A questo servono questi sindacati che guardano più al profitto che alla classe operaia.
Stanno venendo in luce una serie - crediamo solo iniziale - di atteggiamenti repressivi nei confronti delle lotte dei lavoratori, a qualunque settore appartengano.

 

ATAC
A Roma, nel momento in cui la lotta ha rotto gli argini della 146/90, l'Azienda di trasporti ed il sindaco Rutelli, con il sostegno delle confederazioni sindacali, hanno attaccato i lavoratori, spedendo 2155 lettere di sospensione, e cercando i "capri espiatori", per sottoporli a più dure punizioni.

POSTE
L'Azienda Poste mira al profitto, sacrificando la qualità del servizio. Se i lavoratori fanno qualche tentativo di difenderla, di informare l'utenza di come stanno andando le cose, allora piovono provvedimenti disciplinari, per "lesa immagine".

SANITA'
Cose analoghe capitano all'Ospedale S. Giovanni di Roma, quando un gruppo di lavoratori di diversa militanza sindacale, protestano contro gli sperperi dell'Azienda ospedaliera, denunciando le mancanze e le carenze.

FIAT HOLLAND
Se nel settore pubblico succede questo, figuriamoci laddove il padrone comanda senza freni. Succede che alla Fiat New Holland di Jesi l'opposizione operaia alla straordinario viene punita con il licenziamento.

STAR e DELONGHI
Anche fare la pipì può costare caro: le esigenze produttive non accettano limiti, neanche fisiologici. Così in queste due aziende si è provveduto a decurtare dalla busta paga le pause fisiologiche!

ZANUSSI
E se un delegato sindacale di base - di quelli non compromessi con il padronato - protesta per l'aumento dei ritmi, strappa l'ordine di servizio e va sbatterlo sulla scrivania del capo, allora è bene licenziarlo.

 

Fatti del genere sono frutto della politica "cogestiva", "partecipativa" dei sindacati e dei partiti "di sinistra", che mettono davanti a tutto la difesa della redditività del capitale, anziché la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati, per non dire la trasformazione della società! E' evidente anche, dall'esperienza, che la lotta paga: paga cioè il rompere le regole imposte dalle convergenze padroni-sindacati. E' pertanto fondamentale trovare le forme e i tempi per esprimere l'esigenza di lottare contro lo sfruttamento.


ATAC: UNA LOTTA FUORI DELLE REGOLE

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Ad aprile 1997 120 mila lavoratori del trasporto pubblico sono senza contratto ormai da 15 mesi. La melina tra le parti sociali è risolta da una mediazione governativa che i confederali spacciano come positiva, La posizione della Federtrasporti è di totale indisponibilità a sborsare quattrini per il rinnovo contrattuale; al contrario si pretendono sacrifici dai lavoratori in termini di orario flessibile e abbassamento del costo del lavoro del 30% circa.
E' una posizione che vuole distruggere conquiste costate anni di lotte. La proposta sindacale contempla l'abbassamento del costo del lavoro, i contratti d'area e atipici, l'apertura ai privati. Tace del tutto sulle malattie professionali.
Ma per la prima volta è presente sul tavolo delle trattative, una ipotesi di contratto alternativa. La piattaforma dei comitati di base rivendica le 35 ore di lavoro settimanali, il dimezzamento a 7 anni dell'anzianità lavorativa per raggiungere il 5° livello, miglioramenti sul piano della salute e sicurezza sul lavoro (un aspetto completamente ignorato dai sindacati confederali), recupero salariale sull'inflazione ed aumenti.
Le reazioni delle controparti a questa proposta, sono di assoluta indifferenza. Ma i lavoratori questa volta non ci stanno; a Roma si indicono assemblee a ripetizione, organizzate dai lavoratori stessi, senza la consueta copertura confederale, in cui i delegati Cobas e CNL spiegano ad autisti, operai ed impiegati che "razza di contratto" i sindacati ufficiali si apprestano a firmare. Roberto Cortese, 37 anni, da 9 autista dell'Atac (colpito dai provvedimenti repressivi) racconta come è nato lo sciopero: "C'erano state diverse assemblee spontanee sul contratto che i sindacati stavano per firmare.
La sera prima l'assemblea di Tor Sapienza si è dichiarata permanente, e la mattina i lavoratori decidevano autonomamente di astenersi dal lavoro. Nessuno ha impedito ai mezzi di uscire
". L'8 aprile l'adesione alla lotta è notevole: 2.155 lavoratori, il 70% delle vetture in servizio a Roma sono rimaste nei depositi con una punta del 98% a Tor Sapienza. Ed è una lotta fuori dalle norme antisciopero della legge 146, che impongono il preavviso e vietano di astenersi dal lavoro in determinati giorni e orari.
Una lotta partecipata, incisiva, che si impone all'attenzione. "Una giornata storica", dirà in un'intervista Emilio Dori, uno dei lavoratori sottoposti alla rappresaglia dell'azienda, ex sindacalista CGIL. "Dopo dieci anni lavoratori senza paura" hanno difeso i propri interessi rompendo la cappa imposta da "un sindacato ufficiale dispensatore di frottole". Il prefetto Musio interviene con la precettazione: dalla mezzanotte tutto il personale deve tornare al lavoro.
Del disagio che l'Azienda reca alla cittadinanza 365 giorni l'anno, facendola viaggiare su "carri bestiame", aumentando continuamente il prezzo del biglietto, diminuendo altrettanto continuamente le vetture e sopprimendo le linee, non viene fatta parola!

Ma a Monza gli autoferrotranvieri scendono in lotta in solidarietà con i colleghi romani, arriva il sostegno da Milano, Ancona, Napoli, Bologna, Livorno.
Il 19 aprile in mille sotto il Campidoglio, presente una delegazione di autoferrotranvieri di Milano; una manifestazione preparata da volantinaggi, raccolta di firme, incontri, che hanno contribuito a riattualizzare la tradizione di lotta e solidarietà propria dei lavoratori dell'ATAC fin dai tempi del fascismo. Contro la posizione forcaiola del sindaco, per ribaltare l'accordo sottoscritto da aziende, confederali e governo. E solidarietà ai 5 portavoce espressa ai megafoni da numerose realtà: scuola, Telecom, sanità, ENEL, poste ecc.
Il 6 maggio si ha il reintegro dei 5 sospesi (limitando la loro "punizione" ad una sospensione dal servizio e dallo stipendio che va dai 5 agli 8 giorni). La voglia di lottare espressa dai lavoratori in questa particolare situazione, da tempo non era più riscontrabile negli scioperi indetti dai sindacati confederali. Il fatto di porsi in aperto contrasto con le regole non è stata una scelta soggettiva, dettata dall'impulsività o dall'esasperazione.
Secondo Roberto, "non si poteva fare altrimenti. Avevamo tempi brevi, stavano per firmare un contratto che la categoria non voleva, non ci davano la possibilità nemmeno di aprire bocca". "Dobbiamo rompere questo cerchio. Un contratto che carica di lavoro noi può alterare ancora di più il rapporto con i cittadini. Quando noi chiediamo le 35 ore di tetto massimo, questo va incontro anche al cittadino. E comunque anche se la mia azione coinvolge la cittadinanza, non mi puoi togliere il diritto di aprire bocca e di alzare la testa".
Aziende, sindacati e governo con le loro concertazioni, impongono la sparizione progressiva dei diritti conquistati a caro prezzo dai lavoratori, per cui o si infrangono le regole spezzando i vincoli istituzionali o si va incontro ad un continuo arretramento delle condizioni di vita di tutta la classe lavoratrice. La solidarietà espressa verso questa lotta, dimostra la giustezza della strada intrapresa. I lavoratori ATAC sono stati presi come esempio da altri lavoratori, c'è stata una ampia identificazione con la loro lotta e ne è scaturita la consapevolezza che certi contenuti (no alla flessibilità, servizi pubblici qualificati, no ai rapporti di lavoro atipici e non tutelati, no alla precarietà) sono comuni, unificanti. Quella dei lavoratori ATAC è una lotta di tutti, un piccolo passo verso l'unità di classe, un obbiettivo che, mano a mano, diventa più concreto.


ZANUSSI, ovvero: TEMPI MODERNI

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Charlie Chaplin troverebbe sicuramente materiale interessante per un remake del suo celebre film: alla ZANUSSI la produzione aumenta, la forza-lavoro cala; il livello di saturazione sale di circa il 30%, con un abbassamento dell'occupazione di circa 500 unità. Le RSU lamentano incompatibilità e incomunicabilità con i vertici dei sindacati confederali, maggioritariamente rappresentati in questi organismi grazie soprattutto all'antidemocratico 33% assicurato ai sindacati firmatari di contratto. Vertici che avocano a sé il rapporto partecipativo con l'azienda, relegando le rappresentanze di fabbrica al ruolo di semplici interpreti e controllori; mentre queste dovrebbero agire direttamente per conto dei lavoratori da cui sono state elette. La Zanussi "vanta" un modello partecipativo che nasce grosso modo con l'accordo del 30 gennaio del '96 a Mel, con cui viene introdotto il lavoro notturno, tranne per le donne, e una riduzione d'orario. Tale accordo produce i primi contrasti tra azienda e sindacati nazionali, da una parte, e RSU di Mel, dall'altra.
Maurizio Castro, responsabile relazioni industriali del gruppo, arriva ad insultare i lavoratori, definendoli "individualisti, privi di qualsiasi senso di solidarietà". La Zanussi prima licenzia e aumenta i carichi di lavoro, poi si permette di fare la morale agli operai! I lavoratori respingono l'accordo, ma la spinta partecipativa del sindacato nazionale e le promesse (non mantenute) di nuova occupazione, lo impongono. L'azienda, avute le necessarie garanzie da parte sindacale, immette i nuovi regimi d'orario, ma sposta parte delle lavorazioni in un altro stabilimento, raggiungendo così tutti e due gli obiettivi col minimo sforzo: aumento della produzione, diminuzione dell'occupazione a MEL.

Nell'estate del '96 si inaspriscono i rapporti tra la base e i vertici per un accordo sulla flessibilità degli orari, fatto tra azienda e FIM-FIOM-UILM nazionali. Dopo un primo rifiuto da parte dei lavoratori di MEL (BL) , segue anche quello dello stabilimento di SUSEGANA (TV): in quest'ultimo si richiedeva un aumento degli straordinari, ma i lavoratori, che ritenevano di essere già abbastanza oppressi dai ritmi produttivi, si sono opposti, attuando, per tutta risposta, uno sciopero degli straordinari.
La Zanussi sporge denuncia alla magistratura! Pretende, in nome del modello partecipativo, il rimborso per la mancata produzione di 28.000 frigoriferi. I vertici nazionali della categoria intervengono garantendo all'azienda tutta la produzione necessaria per tutto il '97 perché quanto chiesto stava negli accordi, presi senza interpellare le RSU, perché l'importante è mantenere la centralità delle relazioni sindacali ai vertici.
L'azienda continua con il suo rigore, perseguitando con provvedimenti disciplinari chi sciopera o rifiuta il lavoro straordinario. Nell'estate '96 nello stabilimento di PORCIA (PN) una assemblea sulle sorti di 238 esuberi (500 in tutto il gruppo) si protrae per mezz'ora e la RSU indice mezz'ora di sciopero per coprirla. Ma dal nazionale FIOM arriva la condanna dello sciopero in quanto violerebbe le regole della partecipazione.
Nello stabilimento di Susegana, 9 operaie hanno ricevuto lettere di contestazione disciplinare per essersi rifiutate di lavorare mezz'ora straordinaria dall'una all'una e mezza di notte. L'azienda, interpretando arbitrariamente un accordo di pochi mesi prima, ha considerato il rifiuto come "abbandono del posto di lavoro".
Il 6 maggio Antonella Susana, delegata RSU a Mel, riceve una lettera di licenziamento per aver osato strappare - per portarlo al capo reparto - un ordine di servizio che aumentava i ritmi. Sui già sbilanciati rapporti tra operai e azienda, piove un "Testo Unico" per le relazioni sindacali e la partecipazione, fatto dalla ZANUSSI e tuttora in discussione tra le parti. Quello che viene proposto è un regolamento e un sistema di commissioni paritetiche unanimemente deliberanti, come uniche istanze per tutte le contrattazioni sindacali e partecipative del gruppo. Una commissione per il lavoro studierà le migliori condizioni produttive sulle linee di montaggio, una commissione nazionale di garanzia regolerà ogni controversia in quanto unica sede a questo deputata: in questo caso sarà vietato scioperare, e sono previste sanzioni per chi contravviene. (segue)


RISTRUTTURAZIONI

Pur nella sua peculiarità ("Testo Unico" ), la vicenda della ZANUSSI non è isolata, avendo visto cose analoghe alla FIAT di Melfi. Alla FINCANTIERI di Marghera e Monfalcone, dall'85 al '94 i dipendenti sono calati del 50%, e i profitti sono aumentati, nonché, parallelamente, le ore lavorate da ogni singolo dipendente. A gennaio '96 la PIRELLI boccia l'introduzione del lavoro notturno. L'accordo del '95 alla PIAGGIO di Pontedera sul lavoro notturno viene rimesso in discussione a settembre '96, per i danni che provoca. Nel Sud, poi, a distanza di 25 anni dall'abbattimento delle gabbie salariali, un operaio guadagna fino a 300 mila lire in meno di un suo omologo del Nord. Vince l'accettazione della logica capitalistica, ritenuta risolutrice anche dai sindacati; della centralità della contrattazione in mano ai vertici sindacali. Questo tipo di trattative pone in discussione il sistema della fabbrica come centro dello scontro: svilisce la personalità politica dell'operaio, riduce le sue capacità reattive. Da Mel, a Taranto, a Melfi, si è continuamente minacciati dalla perdita del posto di lavoro se non si accettano ulteriori flessibilità e sfruttamento. Si produce di più, in meno, lavorando di più. Torna alla mente una frase di Marx: "L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce...".

Facile intuire le intenzioni di totale messa in mora del conflitto in fabbrica da parte dell'azienda a beneficio della produzione. Per questo le RSU si oppongono al "Testo Unico", vedendosi sempre più defraudate dei propri poteri. Questi saranno totalmente assorbiti dalla centralizzazione delle relazioni azienda-sindacato, grazie anche alla spinta continua che Sateriale, segretario nazionale FIOM nonché membro della Comm. Naz. di Garanzia e da sempre alfiere della "centralità e partecipazione", dà a favore di questo progetto.
In questo come in altri casi si afferma la logica concertativa che esclude i diretti interessati (i lavoratori) e le loro rappresentanze elettive, nell'interesse comune dell'azienda, che può imporre la propria volontà, e dei vertici sindacali che cogestiscono le misure padronali e aumentano la propria influenza.