DA DOVE PARTIRE PER CAPIRE LA REALTA'

 

Alcune note, con l'aiuto di un articolo de "il manifesto" 19/09/01 ("Le radici nascoste della nuova economia di guerra", di Tonino Perna.

"Dopo dieci anni di crescita ininterrotta, gli USA ... davano segnali chiari di arretramento fino a sfiorare la 'crescita zero'. Prima del crollo delle Twin Towers c'era stato il crollo di Wall Street e a nulla sono valsi i tentativi della FED di abbassare i tassi."

"... Insomma anche gli USA rischiavano di entrare nella spirale deflattiva in cui è entrato il giappone nel '90 dopo lo scoppio della bolla finanziaria".

"La sbornia neoliberista ci aveva fatto dimenticare che esiste un ciclo economico connaturato al modo di produzione capitalistico. [...] le politiche neoliberiste che riducono i salari reali e tagliano la spesa sociale hanno accelerato la caduta della domanda globale che [...] ha determinato una situazione di caduta del saggio medio del profitto".

"A questo punto la domanda è: come, dove e quando può ripartire il processo di accumulazione...?"

"Gli effetti economici dell'ondata terroristica [...] vanno analizzati nel medio-lungo periodo, su due versanti. Da una parte, sul lato dell'offerta, le imprese saranno costrette a prendere delle misure [...]. Nei bilanci delle imprese, soprattutto delle grandi, accanto al costo del lavoro, materie prime e macchinari una voce rilevante sarà quella dei costi per la sicurezza ... assicurativi... Dall'altra parte, sul lato della domanda, sarà ancora una volta decisiva l'azione svolta dagli stati occidentali. Lo scudo spaziale era già nell'azienda politica USA come un volano necessario per far ripartire il sistema militare-industriale nordamericano. Oggi, non solo verranno rimossi gli ostacoli e le obiezioni relative a questa folle spesa, ma una generale corsa al riarmo e alle spese militari segnerà la politica economica occidentale."

"Dati i vincoli di bilancio pubblico [...] è molto probabile che la ripresa guidata dalla spesa militare farà crescere l'inflazione e, contemporaneamente, punterà ad una ulteriore abbattimento dei costi del lavoro e delle garanzie sociali".

"E' molto probabile che la risposta militare della NATO si protrarrà nel tempo [...] Se questo quadro si avverasse, in tutti i paesi occidentali gli spazi democratici si ridurranno pesantemente e a farne le spese saranno in primis le organizzazioni dei lavoratori e i movimenti di contestazione [...]. In tempi di emergenza globalizzata uno sciopero, se va oltre certi paletti, può essere assimilato ad un atto di diserzione o di sabotaggio, una manifestazione di pacifisti verrà facilmente accusata di disfattismo."

"[...] I grandi della Terra [...] si prenderanno la rivincita, ritrovando, nelle politiche dell'emergenza la strada per un consenso di massa".

"[...] Prezzi, ricavi e profitti saranno sempre più determinati dal rapporto tra lobby economiche e lobby politiche, in un processo di concentrazione e fusione di capitali ancora più grande [...]"

  


Al di là di un linguaggio che nasconde (contraddittoriamente, perchè poi deve fare i conti con la realtà) dietro "neologismi" la struttura stessa, fondante, del capitalismo, mi sembra interessante sottolineare alcuni punti che servono a fare chiarezza (se non pulizia) su certe posizioni attuali non tanto dei "movimenti", quanto di strutture/organismi/intellettuali.

Il punto di partenza è il "ricordare" la struttura capitalistica vigente e la ciclicità connaturata delle sue fasi (sviluppo/recessione) all'interno di una crisi che è strutturale.

In questo quadro, viene segnalato lo stato di crisi nella crescita ritenuta indefinita (dagli "opinionisti" occidentali) dell'economia USA prima dell'11 settembre. La crisi generale, che deve essere correttamente definita come da sovrapproduzione assoluta di capitali (su cui ritornerò), negli USA si mostra tanto in una crisi economica generale, di consumo, di obiettivi della produzione, di contrazione del mercato, quanto in una crisi politico-sociale, nella quale si mostra sia la reattività di una classe lavoratrice salariale "culturalmente e politicamente arretrata" e immemore della sua storia - che però non può fare a meno di reagire anche con forza e capacità all'oggettività dell'attacco portatole - sia la tendenza repressiva e militare dello stato e del padronato (dalle limitazioni ai diritti dei lavoratori alla proposta dello Scudo Stellare). Questo mix, quando una società di tale livello è in crisi, non si risolve se non interviene un elemento di spinta (interno o esterno). Non a caso, per utilizzare le giuste categorie marxiane e marxiste, si parla di possibilità di mobilitazione rivoluzionaria o reazionaria delle masse. La prima, per lo meno in un contesto immediato non è in grado di verificarsi, perchè la classe operaia non ha una sua autonomia ideologica e culturale (presenza di partiti e organizzazioni in grado di mobilitare), pur in presenza di condizioni materiali delle classi subalterne che invece la renderebbero possibile. La seconda si nutre, in particolare negli USA, di condizioni più favorevoli: nazionalismo, isolamento e isolazionismo, cultura di potenza, condizioni economiche generali migliori che nel resto del mondo, forze politiche reazionarie molto forti...

Fino alla mattina dell'11, questo mix di crisi economica generale, attacco alle condizioni di vita e ai diritti di milioni di lavoratori, crisi di valori ecc., era in un equilibrio (forse non necessariamente precario), in cui le soluzioni "estreme" non prevalevano. Si pensi al fatto che lo scudo stellare veniva bloccato per motivi "ragionevoli" da un punto di vista politico economico e strategico, pur contrastando con i forti interessi delle lobby militari-industriali. Si pensi che le lotte sociali, le rivendicazioni si opponevano con alterne fortune alle ristrutturazioni, ai tagli ecc.

Perna dice che "la sbornia neoliberista ci ha fatto dimenticare..."! Bhè, sicuramente è una sbornia e sicuramente la sua funzione è quella di far dimenticare o mettere in secondo piano contraddizioni insite nel sistema capitalistico, creando illusioni - che credo oggi siano più che mai dimostrate tali (vedremo poi) - sulla riformabilità del sistema.

Sicuramente però, sono anni che alcuni compagni, militanti politici e sindacali comunisti si sforzano di somministrare massicce dosi di caffè per svegliare quanti si attardano in fantastiche elucubrazioni che si scontrano poi a tempo debito con la realtà.

Ci voleva una guerra per far scrivere di "sbornia neoliberista"? E' drammatico, culturalmente parlando.

Si diceva di crisi di sovrapproduzione: l'articolo di Perna la definisce sovrapproduzione di merce, che resta "invenduta" per mancanza di domanda, la quale è prodotta dalla riduzione del potere d'acquisto dei salari interni, nonchè da un impoverimento generale delle masse nel mondo. Ora, è noto e stranoto, che tale tipo di sovrapproduzione è solo il prodotto di una sovrapproduzione assoluta di capitali (sarebbe a questo punto meglio non dividere mai i due fatti e dire "di capitali e di merci"). I capitali infatti, accumulati nelle fasi di crescita, non possono restare inoperanti. A dispetto di chi fa accentrare la ricchezza capitalistica in questa fase "globalizzata" nei mercati finanziari, è invece nella produzione di merci (in generale) che i capitali devono valorizzarsi. Aumenta quindi (pur in presenza di una caduta della domanda legata ai già citati problemi salariali) la produzione, la spinta al consumo cresce ma non trova uno sbocco sufficiente. E' la sovrapproduzione di capitali che crea una spirale di ulteriore crisi.

Ma come può "provare" ad uscire da questo quadro il capitale? Innanzitutto togliamoci dalla testa modelli "globali": non ce ne sono, e nella crisi si rivela l'inevitabile concorrenza intercapitalistica che si rivolge poi contro i presunti alleati, sul piano economico, mentre su un piano poltico-militare si sceglie altri bersagli.

Abbiamo spesso parlato di "tendenza alla guerra" del capitalismo, della borghesia. Dal dopo '89 questa tendenza si è concretizzata. Non è la guerra classica, prima e seconda mondiali per capirci, ma uno stato di guerra latente che, venendo a mancare la divisione in aree di influenza, ogni tanto (ma non casualmente e sempre legata a notevoli eventi economico-finanziari!) esplode in senso proprio, con distruzioni e morti.

Ecco: distruzione è la parola magica con cui il capitalismo, o meglio alcuni capitalisti o conglomerati di essi o stati borghesi, si "rigenera" o "prende una boccata d'aria". Le merci e i capitali - interconnessi dalla legge del valore - vengono "usati" e distrutti anche in senso proprio fisico. Naturalmente non tutti i settori produttivi ottengono lo stesso "recupero", ma alcuni settori possono tirare anche gli altri.

Facciamo il punto. USA in fase di crisi finanziaria e economica (ulteriore passaggio della sovrapproduzione assoluta di capitali), necessità di risollevarsi, condizioni generali e interne, "nazionalismo", "nemici" storici... e in questo mix si precipita - in senso letterale! - un elemento esterno che sposta l'equilibrio cui prima accennavo verso una verosimile mobilitazione reazionaria, premessa per una possibile ripresa dell'intervento militare USA, trainante per la ripresa della valorizzazione del capitale e quindi controtendenza alla caduta - tendenziale, ricordiamolo - del saggio di profitto.

Qui non entro nel merito se le azioni avvenute l'11 settembre contro New York e Washington, possano essere attribuibili ad un disegno di "stabilizzazione" interna. Alcune cose potrebbero farlo credere, soprattutto se lo mettiamo in collegamento diretto con l'analisi economica qui fatta e da farsi. Ma gli avvenimenti possono anche avere una loro autonomia e invece essere gestiti con maestria per il proprio vantaggio. In questo senso sarebbe interessante sapere quali considerazione di ordine geopolitico e economico possano essere alla base delle azioni compiute (terrorismo o guerra del terrore), ammesso che ce ne siano...!

Certo, inevitabilmente ci chiediamo se chi decide e pianifica determinate azioni in "assoluta autonomia" politica rispetto al nemico individuato (quindi gli USA o l'occidente capitalista) tenta di prevedere i possibili scenari per il dopo. Generalmente, al di là delle dimensioni degli atti, la storia ci dice che questa capacità o volontà previsionale non appartiene a queste pratiche.

Ma, realisticamente, in assenza tanto più di rivendicazioni (non tanto quelle a nome di una organizzazione X ma quelle politiche, con i contenuti le motivazioni ecc.), non possiamo prescindere dalle risultanti, economiche, militari e politiche, di ciò che è accaduto. In altre parole dell'uso che gli USA e le borghesie in generale (non solo quelle dominati occidentali ma anche quelle arabe, per esempio) possono fare di un evento di tale portata (a volte è bastato molto meno per innescare processi che non siamo stati in grado di gestire, da un punto di vista di classe).

Allora, tralasciando in questo scritto gli aspetti militari o strategici, gli aspetti economici, prendendo spunto dalle premesse all'11 settembre e dalle considerazioni di Perna, indicano che gli USA (ma non solo) sapranno utilizzare per una ripresa economica questa situazione. Perna ci ricorda che lo scudo spaziale già in agenda, ridiventa una priorità "realizzabile" pur in assenza di una qualsiasi logica "militare" o strategica. Il punto, infatti, come per tutto ciò che il capitalismo realizza, non è nel portare a compimento un piano: è nella "tendenza" a realizzare, perchè non avrà importanza, di per sè, che si arrivi a "realizzare" lo scudo stellare, ma avrà importanza che si mettano in moto investimenti, ricerca, controllo, dominio sulla tecnica che produrranno recupero di profitti. Già ai tempi del "primo" scudo stellare ('86-'87) tali investimenti erano "il progetto", ossia erano quelli che avevano importanza per il capitalismo. La sua mancata realizzazione non fu certo motivo di crisi economica, tutt'al più poteva rappresentare la sconfitta politica di una frazione di borghesia.

Quindi, scudo stellare "in prospettiva". Ma, anche e soprattutto tecnologia militare da sviluppare, mettere alla prova e "consumare", e ciò può avvenire per le ovvie caratteristiche di queste "merci" solo in guerra guerreggiata. Naturalmente c'è la ricostruzione, ci sono le commesse legate al settore militare (divise, alimenti, mezzi ecc.).

C'è poi, come ricorda Perna, il settore della "sicurezza": sicurezza nei voli, aeroporti, edifici. Vuol dire investimenti in impiantistica ad alto contenuto tecnologico, ma anche in "manopera" specializzata. Sicurezza però significa anche controllo sociale, quindi investimento nelle forze di polizia "ordinarie", controllo sulle devianze sociali serie (giovanili, razziali), controllo dei conflitti lavorativi, delle rivendicazioni ecc.

Da un punto di vista strettamente politico sociale, dice Perna, "i grandi si prenderanno la rivincita con il consenso di massa".

Questo genere di "investimenti" sono poco produttivi, e Perna dice che incidendo nelle passività dei bilanci alzeranno la spirale inflattiva, con conseguente attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, dei lavoratori salariati in primo luogo.

E quindi ritorniamo al nocciolo della questione: lo scontro capitale/lavoro, nella sua estensione mondiale. Non quindi uno scontro "tra civiltà" come fa comodo a qualche burattino della borghesia, ma uno scontro che è in casa della borghesia imperialista, così come è in ogni paese di questo mondo.

Inutile dire che la spirale riportando poi al peggioramento assoluto o relativo di certe condizioni di base delle masse, induce queste a uscire dal torpore e dalla febbre nazionalistica e a lottare di nuovo per affermare diritti.

Concludendo - sia pure per il momento -: I vari Perna ogni tanto, senza ammetterlo esplicitamente e anzi spesso perdendosi anch'essi in una spirale "inflattiva" in senso ideologico, finiscono per riscoprire ciò che molti di noi, militanti comunisti (o militanti e comunisti), hanno sottolineato con coerenza, tacciati però a più non posso di "vetero leninismo". Cioè che non c'è nessuna novità sostanziale nella spirale crisi-guerra-ripresa-crisi, e che sono le condizioni soggettive che si modificano, per cui si modifica la nostra capacità di comprendere e di intervenire.

In Italia, dove un governo di centro destra farà esattamente ciò che avrebbe fatto un governo di centro sinistra (ricordiamoci di chi ha fatto la guerra in Kosovo), si varerà una finanziaria di guerra (poco importano le raccomandazioni tranquillizzanti di Maroni o Fini) che, seppure per necessità populistiche, "non toccherà le tasche degli italiani" (ma c'è da credergli?) dovrà, per contrappeso "mantenere il controllo sociale".

Ecco quindi che il conflitto sociale dovrà adeguarsi, secondo il punto di vista della borghesia, allo stato di guerra, all'economia di guerra. Scioperare sarà un problema (lo è già oggi) manifestare idem.

Il punto è che anche dal nostro punto di vista il conflitto sociale dovrebbe adeguarsi allo stato di guerra e all'economia di guerra. Non indietreggiare in nessun modo nel conflitto, rivendicare titolarità da parte delle organizzazioni sindacali combattive, delle strutture territoriali presenti, dei movimenti di massa reali a lottare contro il capitalismo non per migliorarlo, ma per porre fine alla sua triste storia.

Questi movimenti attuali si nutrono di uno slogan affascinante: "un altro mondo è possibile". Ma che mondo è possibile? Un mondo senza capitalismo, non con versioni edulcorate e per ciò stesso impossibili da ripetersi (capitalismo dal volto umano) di esso. Sarebbe bello che Perna, come altri che hanno capacità e strumenti analitici migliori dei nostri, fornissero proprio questa chiave interpretativa, invece di rifuggiarsi negli slogan, nei "neologismi", che anzichè spiegare la realtà finiscono per nasconderla, e soprattutto finiscono per nascondere le possibili soluzioni (sempre che ce ne sia più d'una) ai problemi mondiali posti dalla fase attuale.

Roma, 19/09/01

a cura del Centro di Documentazione e Lotta