Dossier n° 5Ristrutturazioni e repressione delle lotte |
Unità delle lotte, unità contro il governo borghese
Nel 1999 abbiamo lanciato, unitamente ad altri compagni che lavorano a fianco della classe operaia, dei lavoratori dei servizi, dei disoccupati, precari ecc. una parola d'ordine precisa: ristrutturazioni e repressione sono due facce della stessa medaglia.
Non abbiamo certo scoperto l'acqua calda, ovviamente. Ma questa indicazione nasce dall'esigenza, comune a quanti sono autenticamente a fianco di chi lotta nelle varie forme contro il capitalismo, di "unire ciò che il capitalismo divide", di mettere a nudo le contraddizioni che fanno apparire separate realtà altrimenti unite nella condizione di essere "piegate" alle necessità del capitale.
L'acuirsi dei processi ristrutturativi - che abbiamo già iniziato ad affrontare nel Dossier n° 4 - conduce da una parte a divisioni massicce tra i lavoratori salariati, dall'altra a lottare per resistere all'impoverimento e alla rapina di salari e diritti perpetrati dalla borghesia.
Dall'incontro inevitabile di questi due aspetti sorgono lotte più o meno spontanee che portano il loro corollario repressivo. Come abbiamo definito più avanti, si tratta di forme repressive dirette e indirette, poliziesche o economiche, interne al posto di lavoro.
Con l'assemblea del 27 febbraio 1999 di Roma - di cui alleghiamo i materiali - abbiamo pertanto iniziato un percorso: non è facile tenere insieme anime diverse che, tutte a buon titolo, cercano di condurre in porto lotte più o meno specifiche e settoriali. Né noi abbiamo questa pretesa organizzativa! Il nostro contributo è più teso ad acquisire elementi che fortifichino l'analisi di fase, confrontando situazioni altrimenti tenute separate, e riproporre questa analisi alla pratica stessa.
Con questo Dossier, proseguendo il lavoro sulle Ristrutturazioni, intendiamo aggiungere un altro tassello al lavoro di conoscenza della lotta di classe, che deve spingere sempre più comunisti a unirsi alle lotte della classe proletaria, non restando separati negli alvei che la crisi capitalistica stessa scava, ma lavorando per unire i mille rivoli del proletariato, intuendone e denunciandone la comune origine che tutto deve far confluire nel torrente in piena della lotta proletaria per la trasformazione sociale.
I materiali
Stiamo mettendo insieme documenti e materiali vari che indicano la strada che il governo, il padronato e i sindacati confederali stanno perseguendo contro tutto ciò che si muove sul terreno della lotta contro la ristrutturazione, Che, ricordiamo, è sia ristrutturazione vera e propria del ciclo produttivo, sia processo di privatizzazione del settore pubblico, attuazione di legislazioni repressive e antisindacali, tese a ridurre al minimo la conflittualità autentica.
Abbiamo seguito, quindi, i diversi percorsi che la ristrutturazione impone ai lavoratori che vogliono difendere le condizioni di vita e di lavoro, tra l'altro sempre negative finché sottostanno alla logica del profitto.
In questo scenario "ordinario" si è inserita la guerra nei Balcani, che ha acuito le contraddizioni (e anzi su questo occorre lavorare), portando alla luce la difficile convivenza anche all'interno dei sindacati confederali, con scomuniche e denunce, ritiri di deleghe, proibizioni di sciopero (soprattutto se fatti dall'autorganizzazione). Si sono succedute lettere e prese di posizione di singoli militanti, gruppi, sezioni sindacali; sono state indette azioni di lotta fuori dai vincoli confederali, il tutto con il corollario di cui sopra.
L'INCHIESTA COME STRUMENTO INSOSTITUIBILE DI ANALISI
Una valida analisi di fase deve fondarsi sulla realtà dello scontro di classe in atto, tenendo conto delle forme che esso assume e delle tendenze da esso mostrate. L'inchiesta è uno strumento insostituibile per la conoscenza di questi fattori, pertanto l'obiettivo che il presente lavoro si propone di raggiungere è proprio quello di individuare in quale modo la borghesia imperialista intende procedere per garantire ai capitalisti il recupero dei propri profitti, quali sono le misure adottate e se hanno un carattere comune per i vari settori dell'economia. Ma soprattutto l'obiettivo dell'inchiesta è quello di registrare e diffondere il modo in cui il proletariato si oppone al procedere della crisi, per fornire una valida sponda alle lotte operaie, per renderle visibili propagandandone la presenza oramai massiccia' per evidenziarne i tratti in comune e per mettere a disposizione di tutti i lavoratori l'enorme patrimonio di esperienze che da ogni lotta scaturisce.
Un breve excursus riguardante il conflitto di classe in corso attraverso la raccolta di documenti che di seguito vengono riportati, ci mostra in maniera inequivocabile che la strategia adottata dal governo borghese in armonia con i dettami padronali, è estensibile a tutti i settori economici. I provvedimenti adottati creano a tutti i lavoratori (pubblici e privati) gli stessi disagi.
Un altro dato balza agli occhi in questa inchiesta che stiamo portando avanti e che certo non si esaurisce con il presente documento, riguarda uno dei provvedimenti a cui le aziende sia pubbliche che private attualmente fanno ricorso più frequentemente e che praticamente tutti i lavoratori individuano come uno dei maggiori pericoli: si tratta delle cosiddette ESTERNALIZZAZIONI Tutto il materiale di agitazione e propaganda prodotto dalle situazioni di lotta riserva uno spazio all'analisi delle conseguenze generate da questo nefasto provvedimento, portatore secondo tutti i lavoratori, di: peggioramento delle condizioni di lavoro, perdita dei diritti sindacali, divisioni tra lavoratori "interni ed esternalizzati" e molto spesso perdita vera e propria del posto di lavoro.
La ricerca di percorsi alternativi di organizzazione, slegati dalle logiche della compartecipazione aziendale (tanto cara ai sindacati confederali), è anch'essa una necessità espressa da tutti lavoratori che si trovano a dover fare i conti con le ristrutturazioni. Ma nel momento in cui si rompe con i sindacati confederali, molto spesso ci si imbatte nella repressione, che può assumere diverse forme. E questo i lavoratori lo stanno sperimentando sulla propria pelle, imparando al contempo a riconoscere quali sono i veri nemici e soprattutto quali sono le tendenze della borghesia contro le quali bisogna combattere.
I CARATTERI DELLA FASE POLITICA
La borghesia non riesce più di nascondere alle masse il proprio ruolo di classe sfruttatrice. Prova ne è che proprio coloro i quali fino a pochi anni fa, sbandieravano ai quattro venti la possibilità per il proletariato di vivere decorosamente anche in epoca capitalistica, proprio loro, i riformisti di ieri, oggi si fanno carico di gestire questo assalto forsennato dei padroni alle condizioni di vita del proletariato. Un attacco che non lascia tranquillo niente e nessuno, lavoratori (pubblici e privati), disoccupati, pensionati, studenti, il proletariato intero. Le ristrutturazioni (che oggi significano perdita di lavoro per molti e peggioramento delle condizioni di lavoro per quelli che rimangono) colpiscono tanto il comparto produttivo, quanto quello dei servizi in genere.
Questa fase però, dal un punto di vista della dialettica materialista, se da un lato rappresenta per le grandi masse proletarie un periodo in cui il peggioramento delle condizioni di esistenza è il dato essenziale, dall'altro è portatrice di chiarezza, rivela in maniera inequivocabile che il capitalismo riesce a perpetuare la sua esistenza solo precipitando nella miseria la classe subalterna. Una fase in cui non c'è spazio per alcun genere di illusioni circa la magnanimità del modo di produzione capitalistico. Insomma un periodo in cui si sedimenta nella coscienza del proletariato la consapevolezza che il compito dell'apparato politico della borghesia è quello di garantire a qualsiasi costo la sopravvivenza del capitalismo; più questi annaspa e più essa si fa feroce nei confronti della classe sfruttata. E non si tratta di "cattiveria" della borghesia, ma di necessità vitale da parte del capitalismo. E' la sua natura parassitaria a renderlo famelico, sempre in cerca di plusvalore da estorcere alla classe operaia.
Gli accordi di del 23 luglio 1993, il successivo patto per il lavoro del settembre 1996 e il recente Patto Sociale per lo sviluppo e l'occupazione del 22 dicembre 1998, hanno ribadito ancora una volta che il ruolo dell'apparato politico borghese è quello di servire gli interessi dei capitalisti. In una situazione di emergenza occupazionale, di aumento dilagante della miseria nelle famiglie proletarie, di degrado ambientale, di degrado culturale generalizzato, i provvedimenti adottati dai governi borghesi vanno sempre e comunque in un'unica direzione: SOLDI AI PADRONI E MISERIA PER I PROLETARI. Introduzione massiccia della precarietà nelle nuove normative in materia di occupazione e ulteriori sgravi contributivi per i capitalisti, sono i binari su cui viaggia tutta la politica della borghesia.
Mai come in questo momento la classe operaia può rendersi conto che non esistono più margini di contrattazione con la classe avversa, anche perché la completa adesione dei sindacati confederali alla causa padronale, rende ancora più netta la frattura fra le due classi in lotta. I lavoratori devono acquistare la consapevolezza che solo la lotta può rappresentare quell'elemento risolutivo, unificante, vincente, nel conflitto di classe e che non c'è più spazio per tattiche compromissorie.
Questo è senz'altro l'aspetto positivo della situazione. Una situazione in continua evoluzione che genera una mobilitazione di massa sempre più vasta, anche se ancora scarsamente unitaria, che coinvolge di volta in volta un maggior numero di lavoratori dei settori economici più disparati, molti dei quali non avrebbero mai immaginato di dover fare i conti con tagli occupazionali, flessibilità, tagli salariali, cancellazione di diritti sindacali ecc..
E la borghesia? Di certo non sta a guardare Ristrutturazioni e repressione vanno di pari passo. Contenimento del costo del lavoro e leggi antisciopero, licenziamenti e intimidazioni subite dai lavoratori più combattivi, flessibilità selvaggia e reparti confino, sono facce diverse della stessa medaglia. L'impegno profuso dalla borghesia per uscire dalla crisi, è pari a quello messo in campo per reprimere le lotte dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti, ecc.
Gli apparati borghesi si affannano nel cercare di rendere innocue le lotte dei lavoratori che si fanno sempre più numerose. Le denigrano attraverso i mass-media, cercano di isolarle scagliando contro di esse l'opinione pubblica e quando tutto questo non è sufficiente, allora intervengono gli apparati repressivi dello stato o le intimidazioni nei vari posti di lavoro, fino ad arrivare all'aggressione fisica verso chi non si allinea alla logica aziendale.
Questo affannarsi della borghesia imperialista nel tamponare la mobilitazione proletaria sta a dimostrare in maniera inequivocabile che la strada della lotta intrapresa dagli operai, dai lavoratori pubblici, dai pensionati, dai disoccupati, dagli studenti è l'unica via attraverso la quale è possibile porre le basi per il superamento del modo di produzione capitalistico.
Assemblea del 27 febbraio 1999 - Roma Intervento introduttivo |
Dal 1996, con il governo Prodi, ad oggi, con un governo che potremmo definire tra i più a sinistra che la borghesia possa permettersi, i padroni ne hanno fatta di strada nel loro assalto alla condizione operaia, intesa come quell'insieme di risultanze frutto della lotta di classe nei decenni passati, in campo normativo, sindacale, economico e politico che definivano una base da cui la classe operaia e gli altri lavoratori salariati partivano per andare avanti e non certo per difendere l'esistente.
Certo, in assoluto non c'è nulla di nuovo sotto il cielo. I padroni, con i loro governi, cercano sempre di ridefinire i rapporti di forza a loro vantaggio.
Però possiamo dire con certezza che in questi ultimi tre anni si sono realizzate le manovre antiproletarie più a largo raggio dagli anni '50. E non sarà neppure un caso che i profitti dei padroni ripercorrono l'andamento positivo di quell'epoca. Anche se in un quadro di accumulazione capitalistica internazionale ben diverso, con una fase di crisi per sovrapproduzione assoluta di capitali che permette solo delle brevi pause per prendere respiro, con soluzioni temporanee e locali.
Le politiche condotte da Prodi e D'Alema hanno solo accelerato la strategia dei governi cosiddetti tecnici, da Amato in poi. L'antesignano delle attuali politiche sociali ed economiche è stato l'accordo del 23/7/93. Per capire quali sono le basi su cui questi governi, definiti - ormai solo ironicamente si spera - "amici dei lavoratori" hanno potuto poggiare i loro attacchi ai diritti conquistati dai lavoratori un'analisi di fase e della composizione di classe è irrimandabile.
Questi attacchi si svolgono sia su base politica che tecnica con la ricerca del consenso, o per meglio dire della tiepida deplorazione di alcuni settori delle forze di governo (Rifondazione, ma anche i sindacati) come elemento che tenesse a bada gli animi e cercasse di far passare tutte le manovre come elementi di un "patto". Ciò riporta alla memoria la politica piccista del "patto tra produttori": ne sembra anzi la realizzazione post mortem del PCI stesso.
Dal Patto per il Lavoro del settembre '96 al Patto Sociale del dicembre '98, ci si basa su una simbologia "concertativa" per sostenere il padronato e flessibilizzare e deregolamentare la forza lavoro. Tutta la forza lavoro.
Vogliamo solo ricordare alcuni elementi costitutivi di questa strategia.
Dal settembre '96 viene introdotto per legge il lavoro interinale, viene cioè legalizzato il lavoro nero, sottopagato e temporaneo. Infatti l'obiettivo proclamato dai legislatori è quello di far "emergere il lavoro sommerso", allargando l'area del precariato ufficiale.
L'apertura di questa strada porta anche alla ricerca della massima differenziazione salariale da realizzate tramite Contratti d'Area e Patti territoriali, firmati in tutta Italia, portando nelle tasche dei padroni miliardi di sovvenzioni. Queste forme mascherate di "gabbie salariali" mettono lavoratori di distinte aree gli uni contro gli altri, spingono i giovani, i disoccupati a "vendersi" per un boccone di pane e nello stesso tempo si ricattano i lavoratori "stabili", per cui o accettano sostanziali rimaneggiamenti dei loro diritti oppure, perdendo il lavoro, li perderanno del tutto nell'universo di precarizzazione globale in cui verranno cacciati.
L'obiettivo è la deregolamentazione generale della forza lavoro. Le esternalizzazioni, terziarizzazioni, i contratti atipici e il più consueto lavoro in appalto mirano a recuperare profitti differenziando i lavoratori all'interno dello stesso comparto produttivo. In fabbrica si trovano gomito a gomito operai con contratti e diritti differenti. E, come grande obiettivo del padronato - e dei loro sostenitori nella sinistra borghese - c'è la fine del contratto nazionale, i cui rinnovi rappresentano sempre una spada di Damocle per la borghesia, anche se può contare sul lavoro sporco condotto dai revisionisti e dai sindacati gialli all'interno della classe operaia e del lavoro salariato per confondere le acque.
Acque ben agitate quelle del capitalismo in una fase di crisi: e per questo che parte l'attacco ai diritti sindacali, alla rappresentanza, al diritto di sciopero, già ristretto con la legge 146/90. Da Bassanini a Treu, passando per il trasversale patrigno dello statuto dei lavoratori Giugni, è stato realizzato uno scenario in cui il predominio sul movimento operaio e sui lavoratori in generale possa restare ai sindacati confederali, con qualche goccia di "libertà" formale, come le RSU. Attualmente si mira a dividere i lavoratori anche sulla base dei diritti: nel pubblico impiego ogni sciopero prevede rigide restrizioni, ma Cofferati e Giugni preparano lo sciopero virtuale, che non danneggi i nuovi padroni che sono le amministrazioni locali: si cerca di mettere i lavoratori del settore privato, gli operai, contro i lavoratori dei servizi.
E anche su questo terreno è importante non rimanere a guardare.
L'attacco alla legge 300/70 con l'ampliamento del diritto di licenziamento senza "giusta causa" è un passo ancora in compimento, ma certo ci sembra difficile che Giugni arretri su questa scelta, senza un fortissimo movimento di opposizione.
Le contraddizioni interborghesi possono produrre anche guadagni per i lavoratori, ma solo in condizioni di forza del movimento operaio. Per questo è profondamente sbagliato attendersi che determinati cambiamenti possano avvenire solo su base legislativa, quando l'elemento economico che muove le cose va in altra direzione. E' il caso di orari, salari forme di lavoro: in particolare, le 35 ore per legge, a certe condizioni e solo ad alcuni settori contrattualizzati, hanno forse tratto in inganno qualcuno all'inizio, ma ora, di fronte all'aumento dei ritmi, agli straordinari (ricordiamo di passaggio il pastrocchio governativo sulla direttiva comunitaria per le 40 ore), alle forme di lavoro flessibile e ricattato, al precariato diffuso, la coscienza dei lavoratori può portare ad una più chiara ridefinizione di obiettivi per il futuro, sui quali occorre insistere perché la battaglia sui tempi e sui carichi di lavoro diventi elemento di punta dell'assalto operaio alla fortezza capitalistica.
Infine, ma non certo per ordine di importanza, abbiamo voluto porre l'attenzione sulla questione della repressione, individuale, collettiva, giudiziaria, sindacale o puramente economica dei lavoratori e delle loro lotte. Il 1998, solo per restare a "ieri" riporta moltissimi casi di lavoratori e lavoratrici e di disoccupati aggrediti dalle forze repressive nelle piazze o davanti ai posti di lavoro che stavano presidiando. In alcuni casi ciò ha sortito l'effetto di arricchire la mobilitazione con altri lavoratori che hanno solidarizzato. Decine di avanguardie di lotta, nelle fabbriche come nel pubblico impiego, così come tra di disoccupati e precari hanno subito la repressione: alle botte nelle manifestazioni si sono aggiunti i licenziamenti in tronco, i trasferimenti punitivi, i reparti confino, le restrizioni dell'agibilità sindacale. Dall'Ilva alle Poste, dagli ospedali alla Fiat New Holland, dalla Zanussi alle imprese di pulimento e agli aeroportuali è stato un fioccare di provvedimenti repressivi. A cui molto spesso si è risposto con grande solidarietà tra lavoratori, anche se ancora senza mobilitazioni di rilievo e più come comunicazione tra avanguardie.
Questo quadro è attraversato tutto da un filo nero, quello della borghesia che tenta di ricostruire i propri profitti a danno della classe operaia, in primo luogo. Tutto ciò dimostra che questo sistema non lascia più spazio per mediazioni: possiamo e dobbiamo dire che ogni lotta per quanto piccola oggi si scontra con l'insieme della politica borghese e capitalista.
Un momento di dibattito come questo ha le intenzioni, e le possibilità a nostro avviso, di utilizzare un altro filo, quello "rosso", per disegnare un altro ordito, quello dei lavoratori che confrontano esperienze che come vediamo sono unite ben aldilà degli sforzi che CGIL CISL UIL e partiti revisionisti vari fanno per isolare i singoli momenti di lotta. Confrontano e scelgono la strada della lotta insieme, sfuggendo al dominio della borghesia anche all'interno della classe.
Crediamo che sia importante tracciare questo quadro, in cui borghesia e padronato operano per ridurre ai minimi termini il valore della forza lavoro utilizzando chi all'interno della classe operaia agisce per nascondere i veri ruoli, per mistificare lo sfruttamento capitalistico.
Per concludere va posta una questione immediata, di una futura ma vicina battaglia: la proposta di tregua sociale fatta per Roma, ma crediamo adattabile a tutta Italia per il Giubileo va respinta, prima ancora che cominci. Le lotte devono acuirsi, casomai, in questo periodo. C'è una festa da rovinare... e come al solito molto da guadagnare dalla lotta.
Roma, 27/2/99
Cari compagni lavoratori e lavoratrici della Haefely Trench, siamo venuti a conoscenza della vostra lotta per la difesa del posto di lavoro. Una lotta simile a tante che in Italia si conducono, grandi e piccole, vincenti o meno che siano. La crisi capitalistica peggiora le condizioni di vita di milioni di uomini e donne e spinge alla lotta anche i più recalcitranti. In Italia la crisi genera lotta alla crisi stessa, crea coscienza che cosi' non si può più andare avanti. Nell'immediato, la lotta per il posto di lavoro si unisce alla lotta contro la repressione. Infatti, i padroni, nel loro tentativo di ristrutturare, calpestano anche i piu' elementari diritti, sindacali e umani, ottenuti in decenni di dure lotte. Siamo attualmente impegnati nel sostenere la lotta dei lavoratori dell'Ilva di Taranto: i quali, dopo essere stati ceduti dall'impresa statale IRI al padrone privato Riva hanno visto un aumento dello sfruttamento, la riduzione della loro agibilità sindacale in fabbrica, la creazione di un reparto confino in cui relegare i lavoratori più combattivi. Vorremmo mettere in contatto la vostra esperienza di lotta con quelle simili in Italia, ma anche con le Forges di Clebeq in Belgio: creare una possibile rete di lavoratori che lottano dal basso contro la ristrutturazione capitalistica. Esprimendo quindi tutta la nostra solidarietà come lavoratori e compagni impegnati nella resistenza operaia allo sfruttamento, vi chiediamo di tenerci informati sulle vostre iniziative e ci impegniamo a sostenere e far conoscere la vostra lotta anche in Italia. Facciamo nostro la vostra parola d'ordine: "Chi lotta, può perdere, chi non lotta, a già perso". SOLIDARIETA' CON I LAVORATORI IN LOTTA Roma, 4/1/99 Cdl Rosso 16 |
Volantino dei lavoratori metalmeccanici della Haefely Trench AG. - Svizzera Protesta contro licenziamenti Il 28.12.1998 i lavoratori dell' Haefely Trench AG., Lehenmattstrasse 353 a Basilea si sono riuniti in assemblea. Come reazione a questa iniziativa la direzione della ditta ha convocato per un incontro informativo il 15.12.1998 i lavoratori che avevano aderito alla protesta. Contro questo tentativo di divisione dei lavoratori è stata organizzata una mobilitazione. Il 16.12.1998 la direzione della ditta ha tentato di giustificare il loro allontanamento con lo stato generale dell'economia e la necessaria riduzione numerica. Ne abbiamo abbastanza! Noi protestiamo contro la logica che vuole che le cattive condizioni economiche salvino il guadagno per l'azienda a spese dei lavoratori. Chi lotta può anche perdere, ma chi non lotta ha già perso. Traduzione a cura delle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) Politecnico di Torino - Corso Duca degli Abruzzi, 24 - 10129 Torino |
Dal Comitato Lavoratori Ex- palazzina LAF ILVA - Taranto
Ai partecipanti dell'Assemblea di Roma
Compagni e Lavoratori,
Vi salutiamo con gratitudine. Impegni locali e difficoltà pratiche, compresi i soldi, ci impediscono di essere direttamente presenti all'assemblea come avremmo voluto. Per questo abbiamo affidato ai compagni dello Slai Cobas di taranto questo breve messaggio per illustrarvi sinteticamente qual è la nostra situazione attuale.
Siamo oltre 50 fuori dell'azienda, pagati a casa, in attesa dell'esito della trattativa confederale con l'ILVA nel prossimo incontro del 5 marzo a Roma, ma non abbiamo fiducia, né ci aspettiamo nulla, dato che è chiara l'intenzione di "Padron Riva" di inserirci negli esuberi (500/700) è la sua richiesta) a meno che a titolo individuale non facciamo atto di sottomissione e accettiamo di essere mandati a lavorare dove vuole lui, privati di dignità e diritti acquisiti, probabilmente nelle altre "Palazzine LAF", e negli altri ghetti di cui è disseminata oggi l'ILVA - vedi Reparto Pulizie Industriali ecc.
Il sindacato confederale che pure dice di difenderci, e che stiamo tallonando, sembra disponibile a "scambiarci" con un atteggiamento più aperto di riva in materia di sicurezza e di conferma dei contratti di formazione per i tanti giovani chiamati a fare da manodopera a basso costo e soprattutto docile e ricattabile.
Il ministro Bassolino, che a Taranto non è venuto, sta operando in questo senso.
Anche con la riunione del consiglio comunale tenutasi davanti alla portineria ILVA il 15/12/98 pensavamo si fosse aperta una fase nuova. Tutta la città aveva visto la cosa come un segnale per affermare l'autorità della città e ridimensionare l'arroganza di "Padron Riva". In quell'occasione il Consiglio Comunale approvò un documento nel quale si intimava a Riva di mettere fine allo scandalo Palazzina LAF entro un mese.
Sono trascorsi oltre due mesi e Riva ha disatteso anche questo documento.
Tutto resta fermo alla solidarietà e alla denuncia e alle intenzioni che non servono a mettere fine a un regime persecutorio e di ricatti perpetrati ai danni di tutti i dipendenti ILVA.
Non si comprende a pieno che noi lavoratori della Palazzina LAF stiamo conducendo una battaglia per il ripristino della democrazia in fabbrica e dei nostri diritti. Stiamo denunciando la strategia di terrorismo psicologico che Riva sta usando nei nostri confronti, quella che alcuni studiosi chiamano "Mobbing" (accerchiamento), un'azione sistematica pianificata allo scopo di eliminare i dipendenti scomodi.
"Dall'emarginazione alla compromissione dell'immagine nei confronti dei colleghi [...] alla sistematica persecuzione mediante l'assegnazione di compiti dequalificanti, fino al sabotaggio nel lavoro e ad azioni legali [...] si esercita una forte pressione sulla psiche del lavoratore per distruggerlo socialmente e indurlo alle dimissioni.
Formalmente non lo si licenzia ma lo si perseguita per indurlo alle dimissioni. Il mobbing causa alla vittima gravi danni: disturbi psicosomatici, depressione[...] in alcuni casi si arriva fino all'invalidità psicologica"
Intendiamo fare un convegno su questo sistema, con l'ausilio di alcuni studiosi, a cui vi invitiamo sin d'ora.
Noi crediamo che sia un dovere lottare per i valori che qualcuno vorrebbe mettere in discussione.
Gli uomini si giudicano dalle azioni e non dalle parole.
Noi siamo piccoli se rapportati alla potenza economica della famiglia Riva, ma siamo dei giganti nella nostra dignità di essere umani.
Taranto, 27/02/99
Poste Italiane / Ente Poste: storia di una privatizzazione e relativa repressione
(da un comunicato dello Slai Cobas di Milano - marzo 1999)
La storia dei primi 5 licenziamenti politici di Poste Italiane S.p.A.
Il 1 febbraio 1998 le Poste Italiane diventano Società per Azioni. Vengono immediatamente bloccati tutti i piani occupazionali (a gennaio era stato firmato un accordo per 10.000 assunzioni). Vengono annunciate e messe in atto drastiche riduzioni di personale, dapprima con il blocco del turnover, poi con i prepensionamenti (che l'ultima finanziaria stabilisce vengano pagati con un fondo comune sovvenzionato dall'azienda e dai lavoratori) e, come già stabilito dal Piano d'Impresa, per il prossimo futuro con la cassa integrazione (pagata con lo stesso fondo da padroni e lavoratori) e la successiva messa in mobilità (anticamera del licenziamento). Viene tagliata ogni forma di salario accessorio e il personale, dal 1 agosto 1998, viene messo "a pane e acqua" (il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è scaduto il 31.12.97 e non si vede l'ombra del suo rinnovo). In compenso vengono aumentati enormemente i carichi di lavoro (dal 1 agosto per alcune produzioni è stato stabilito un incremento di produttività che arriva ad oltre il 50%) e dentro gli uffici comincia il clima di terrore: turni disumani, orari che tengono conto solo delle scelte produttive aziendali, contestazioni disciplinari per chi alza minimamente la testa, nessun rispetto delle misure minime di sicurezza e igiene del lavoro. Il ruolo dei sindacati confederali è quello ben preciso di dar man forte all'Azienda in questa fase di ristrutturazione selvaggia, di sfruttamento e di repressione di ogni lotta, piccola o grande che sia. E se l'Azienda arriva al punto di effettuare straordinario tutti i giorni, Domeniche e festivi compresi, sicuramente neppure una parola "contro" si leva da parte dei sindacati confederali che anzi, spesso e volentieri, sono quelli che incoraggiano la gente a lavorare di straordinario. Questo può avvenire attraverso la firma di accordi su accordi siglati senza sentire alcun lavoratore, osteggiando in tutti i modi le libere elezioni dei rappresentanti sindacali (le Poste, insieme alle Banche, sono l'unica realtà lavorativa che non ha le R.S.U.), arruolando tra i "sindacalisti" tutti i capi e capetti in grado di controllare e di intimorire i lavoratori. [...] Come si arriva ai licenziamenti. Il 6 novembre 1998 CGIL CISL UIL e UGL firmano un accordo con la sede Lombarda delle Poste per l'effettuazione di nuovi turni di lavoro al C.M.P. di Roserio. Lo firmano senza il mandato, senza ratifica, di nascosto e contro gli interessi dei lavoratori. I turni di lavoro diventano sette al giorno e vengono introdotti alcuni nuovi orari (5-11, 16-23.12) che mettono a repentaglio la stessa vita familiare delle persone. Effettuare questi due turni, considerata l'ubicazione dell'ufficio e il fatto che un buon 30% del personale applicato è pendolare (da Lodi, Piacenza, Novara, ecc.) vorrebbe dire in qualche caso essere costretti a pernottare su una panchina della Stazione Centrale per 4-5 ore (tanto per fare un esempio il primo treno per Lodi, dopo la mezzanotte, è alle 5 di mattina). In altri casi, per chi deve effettuare il turno 5/11 non esiste proprio alcun treno utile per arrivare in ufficio. [...] Il 7 novembre, alle 13.30, viene pubblicato l'orario per la settimana successiva. Scoppia la ribellione. Quel pomeriggio a Roserio non lavora nessuno, perchè i lavoratori si portano in massa presso gli uffici della direzione e lì restano, protestando "vivacemente ". La Posta chiama la Polizia Postale prima e la Polizia di Stato dopo (la CGIL di categoria giustificherà qualche giorno dopo questi metodi "cileni" in un comunicato pubblico). |
Dall'indomani il conflitto a Roserio diventa permanente. La gente si stringe attorno ai responsabili sindacali dello SLAI COBAS e al rappresentante di base della CGIL: quest'ultimo non ha voluto firmare l'accordo e più volte ha dichiarato che gi accordi vanno firmati solo con il consenso dei lavoratori. La lotta si allarga ad obiettivi più generali. I lavoratori si rifiutano di lavorare senza le minime condizioni di sicurezza e di igiene. L'Azienda è in grave difficoltà e continua, comunque, ad utilizzare lo straordinario normalmente, Domenica e festivi compresi. Il presidio del 29 novembre 1998 (Domenica). Il Circolo PT di Rifondazione Comunista promuove un presidio-manifestazione fuori dai cancelli di Roserio per protestare contro lo straordinario domenicale. Si tratta di una manifestazione autorizzata ed è presente, quindi, la Polizia Il presidio è pacifico. Si distribuiscono volantini e si parla con i lavoratori (molti precari, i più ricattabili): Tanti lavoratori ritornano a casa, tanti altri entrano comunque a lavorare di straordinario. Un crumiro tenta di provocare ed aggredire i manifestanti, ma viene bloccato immediatamente. Allora inscena una "farsa" che porta all'arrivo di un'ambulanza che lo trasporta al S. Carlo, dove gli viene diagnosticata una micro-frattura al pollice con prognosi di 15 giorni. La Polizia assiste "tranquilla" e il crumiro "si limita" a sporgere querela contro ignoti. Il resto lo fa l'Azienda. Per liberarsi delle 4 avanguardie di lotta più combattive del C.M.P. di Roserio prima le sospende (il 1 dicembre) e poi le licenzia (il 10 dicembre). Ne sospende addirittura un quinto che neppure era presente al presidio. Tutto questo con i metodi golpisti del processo sommario, senza sentire i licenziati a loro difesa, senza tener conto di testimonianze che scagionano completamente i licenziati, che pure esistono e che sono state subito fornite all'Azienda. Dopo i licenziamenti. L'attacco è alla democrazia: quella dentro i posti di lavoro (i lavoratori di Roserio, ancora oggi, chiedono la presenza alle trattative di una delegazione liberamente scelta - che comprende tutti e 4 i licenziati- e che non si firmi nessun accordo senza il consenso dei lavoratori) e quella fuori dai posti di lavoro, dove a nessuno deve essere impedito di manifestare le proprie idee. Il 16 dicembre lo SLAI COBAS indice uno sciopero di 24 ore. Aderisce quasi l'80% dei lavoratori del C.M.P. Roserio. Un corteo si muove fino a Piazza Cordusio, sotto la sede regionale delle Poste. Il traffico, in Centro, resta paralizzato per quasi sei ore. Ma l'Azienda non molla, nonostante l'intervento della stessa Prefettura. L'ordine è partito dalla dirigenza romana dell'Azienda e l'intenzione - neppure molto celata- è quella della rappresaglia contro le avanguardie di lotta dei lavoratori. Solidarietà. BISOGNA RESISTERE UN MINUTO PIÙ' DEL PADRONE. |
FERROVIE
Alla fine del 1999 i ferrovieri si apprestano ad affrontare un'altra battaglia contrattuale. La direzione delle ferrovie fa sapere che la riduzione del costo del lavoro sarà l'obiettivo a cui bisogna puntare senza tentennamenti e senza avere l'obbligo politico di "indorare la pillola ai lavoratori" (oramai la borghesia non può più permetterselo).
La direzione delle Ferrovie intende raggiungere il suddetto obbiettivo con una intesa praticamente già raggiunta con i sindacati confederali. L'intesa si snoda attraverso una serie di provvedimenti agghiaccianti" per i lavoratori di per se già provati da condizioni di lavoro veramente pesanti da sostenere e con l'opinione pubblica schierata contro, grazie alle vili campagne mediatiche commissionate dai vertici FS tutte le volte che si mobilitano. L'intesa prevede:
1. L'azienda a sua discrezione può usufruire dei contratti a termine e di formazione lavoro, con salari più bassi per i nuovi assunti. Quindi viene accettato di fatto il doppio regime contrattuale
2. Pianificazione dell'orario di lavoro non più su base settimanale (troppo vincolante per l'azienda) ma su base annua, così da poter giostrare la forza lavoro in maniera totalmente flessibile.
3. Diminuzione delle spettanze in materia di ferie, dai 32 gg attuali ai 26 proposti.
4. Permessi sindacali ridotti
5. Eliminazione degli scatti di anzianità e blocco degli automatismi di carriera
6, Blocco dei salari almeno fino al 31 dicembre del 2001
7. Riduzione della base di calcolo del TFR,
Tante a tali misure non sono comunque sufficienti a placare la fame dei padroni infatti si preannuncia qualcosa di più devastante: l 8.000 di licenziamenti su 113.000 ferrovieri!
"Pillola amara da digerire ma necessaria", affermano i sindacati confederali di categoria i quali stanno portando avanti una politica di trasformazione degli aspetti contrattuali in sintonia con Azienda e Governo (come ad esempio le proposte del 29/10/1999 e l'accordo quadro con i suoi allegati del 23/11/1999) che di fatto stravolgeranno il lavoro in ferrovia e non solo. Contro questo è nato un coordinamento dei sindacati autonomi (COMU, FISAFS, UCS, SAPEC, SAPENT) che intende riappropriarsi del potere di decidere le condizioni che regolamenteranno il lavoro e la propria vita.
CONTRATTO ?! In questi giorni sta girando una bozza che dovrebbe illustrare le linee guida del prossimo contratto. Le organizzazioni sindacali stanno lavorando per ridurre al minimo l'informazione e il confronto con la categoria. Infatti quello che gira e' un documento che evita di chiarire quali saranno le ricadute sui lavoratori in termini occupazionali, economici e normativi, del resto i giochi se li sono già fatti a Roma e quel giro di assemblee che e' previsto serve solo a contenere le reazioni che potrebbero esserci quando si scoprirà che il contratto avrà pesanti conseguenze. [...] Ma cerchiamo di evidenziare almeno quei punti che emergono dalle quattro paginette e dalle poche informazioni che trapelano in questo clima di massima segretezza. 1 - Creazione di un contratto del ferro al quale di fatto partecipa solo Fs spa con l'intento di sottrarre qualsiasi potere contrattuale all'ambito territoriale infatti i due livelli di contrattazione previsti nell'accordo del 23\07\1993 vengono così identificati, il primo interaziendale (contratto del ferro) ed il secondo presso la sede nazionale della holding Fs; Sottraendo al livello territoriale qualsiasi potere contrattuale lasciando all'azienda la possibilità di fare il bello ed il cattivo tempo sulla pelle dei lavoratori. 2 - Assoluta mancanza di ogni riferimento alla tenuta degli attuali livelli occupazionali, evidentemente si da per acquisito il taglio di circa 20.000 posti di lavoro. 3 - Inserimento del doppio livello salariale infatti poiché il trattamento economico di questo fantomatico contratto del ferro sarà inferiore all'attuale, viene previsto che la differenza determinata dal transitamento nel nuovo contratto sia riconosciuta al personale già in servizio con un assegno "ad personam" ma per tutti i nuovi ferrovieri l'inquadramento sarà quello indicato nel contratto del ferro per cui vi saranno ferrovieri di serie A e ferrovieri di serie B. 4 - Allargamento dell'attuale normativa contrattuale in materia di assunzioni, che introdurrà apprendistato forme di precariato varie (vedi lavoro interinale) etc. 5 - Eliminazione dell'attuale normativa sull'orario di lavoro con conseguente esasperazione della flessibilità chè vedrà venir meno qualsiasi articolazione dell'orario di lavoro chè tenga conto anche delle esigenze dei lavoratori. 6 - Ridefinizione delle competenze accessorie con l'obbiettivo di ridurre i costi e che avranno come risultato un forte indebolimento del potere d'acquisto, l'obbiettivo infatti è quello di consentire all'azienda di usufruire del personale come meglio crede senza doverlo retribuire adeguatamente. Per cui riduzione delle competenze per reperibilità, attività notturna, lavori usuranti etc. 7 - Modifica degli attuali automatismi stipendiali. 8 - Tenuto conto che solo una parte del salario sarà considerato parte fissa, e che si intende tagliare drasticamente sulle competenze accessorie la quota del salario legata al conseguimento degli obbiettivi aziendali si prefigura a dir poco inquietante. Sarà come dire invece che intervenire sugli sperperi, che ricordiamo al sindacato sono la principale causa del dissesto di questa azienda, (anche se non vediamo la stessa abnegazione che vediamo quando si tratta di determinare il peggioramento delle condizioni di tutta la categoria) gli errori che caratterizzano da sempre questa dirigenza facciamoli pagare ai lavoratori che tanto.... 9 - Inoltre le circa 80.000 lire medie mensili che sarebbero previste in base all'accordo del 23\07\1993 non andranno sulla parte fissa del salario ma saranno la base per assegnare il premio di risultato. In questo modo riusciranno a far sparire pure quelle. Come lavoratori non possiamo assistere inermi allo smantellamento di tutta la categoria e di qualsiasi forma di garanzia contrattuale, per questo invitiamo tutti i ferrovieri a trasformare le assemblee (farsa) in momenti di forte critica alle scelte delle organizzazioni sindacali. Coordinamento lavoratori - delegati R.S.U. |
Nel mese di giugno, sulla base di presunti illeciti avvenuti nella biglietteria di Roma Termini, una fantomatica truffa sulla base di carte di credito "clonate", un ferroviere veniva dapprima sospeso ed il 27 luglio licenziato, dopo un sommario processo interno tenuto dai dirigenti responsabili l'ASA Passeggeri - Servizi alla clientela, in assenza di prove certe e negandogli il diritto a difendersi dalle accuse. Il ferroviere e' un capogestione, attivista sindacale della FLTU - CUB.
I dirigenti delle ferrovie, a corto di elementi di prova, ma pieni di livore nei confronti di chi lotta alla luce del sole per la difesa dei diritti dei lavoratori hanno atteso, per agire, che la Polizia Ferroviaria, di concerto con i "solerti investigatori", orchestrasse un'operazione provocatoria quanto inconsistente con l'accusa grottesca di collegamenti con la morte di D'Antona nel maggio '99.
Sebbene questa montatura si disarticolasse nello spazio di poche ore, montatura basata unicamente sul perverso teorema che la crescita del sindacalismo di base ed antagonista al regime sia l'alimento dell'eversione, restava in piedi la provocazione contro il lavoratore, giudicato e licenziato prima che le accuse fossero contestate e provate e nonostante che lo stesso avesse respinto gli addebiti. A quanto pare la filosofia di Fossa e dell'esecutivo confindustriale viene messa in atto dalle traballanti FS prima della stessa grande industria privata. La Societa' FS SpA trasferisce, sospende, licenzia, attuando cosi' tutta la nuova flessibilità che Governo e Confindustria stanno introducendo nel mondo del lavoro.
Vale a dire che chi resiste e lotta contro gli attacchi al salario dei vari Governi, contro gli attentati al contratto ed alla sicurezza del lavoro dei manager di turno (Ligato, Schimberni, Necci, Cimoli, De Mattè), contro le aggressioni al diritto di sciopero sostenuti ed ampliati da certa stampa padronale e forcaiola, può venire messo fuori del lavoro con accuse infondate in ogni momento.
Questo c'è dietro l'angolo delle nuove Ferrovie dello Stato, frazionate e normalizzate, pronte per il mercato.
RESPINGIAMO QUESTA PRATICA DISCRIMINATORIA E PUNITIVA E LA LOGICA INTIMIDATORIA DI COLPIRE UNO PER ADDOMESTICARE TUTTI!
DICIAMO NO AI LICENZIAMENTI POLITICI!
DICIAMO NO AL LICENZIAMENTO DI EMILIO!
Roma, 24/09/99
COMITATO DEI FERROVIERI A SOSTEGNO DI EMILIO
TELECOM/TIM
OLIVETTI / TELECOM: SCIOPERANO I LAVORATORI
La scalata messa in atto da Olivetti è la conclusione scontata della privatizzazione di Telecom Italia tanto voluta dai Democratici di Sinistra di D'Alema, dai sindacati confederali e da tutte le forze politiche. Le uniche voci fuori dal coro sono state, sin dall'inizio, quelle dei COBAS, del sindacalismo di base e di Rifondazione Comunista. Vi ricordate quante ne hanno dette e scritte pur convincere lavoratori e cittadini che era giusto cedere le azioni del colosso delle telecomunicazioni in mano del Tesoro? Public company, azionariato diffuso , lavoratore-azionista e tante altre scemenze per sostenere nuove formule societarie con la partecipazione del cittadino, del lavoratore. Tutto fumo per distogliere l'attenzione dal reale obiettivo, in pochissimo tempo la situazione si è ribaltata e Telecom Italia ha ora un nuovo padrone, paradossalmente proprio Olivetti il tanto odiato concorrente. Ecco alcune tappe della prevedibile "sconfitta":
* - A settembre del '97 il Ministero del Tesoro annuncia di aver costituito, sotto la regia di Mediobanca, un nocciolo duro che guiderà la società (costituito dall'Ifil di Agnelli e diverse banche, molte delle quali legate a Mediobanca) e dà avvio alla privatizzazione del pacchetto azionario in suo possesso. Inizia da allora la telenovela dei vertici aziendali, mentre il "nocciolino" tutto fa meno che imprimere una svolta nella politica aziendale.
* - Nel gennaio 1998, dopo l'abbandono di Guido Rossi, viene nominato presidente Gian Mario Rossignolo che annuncia i futuri miracoli del suo piano industriale (lui stesso si definisce "very powerfull chairman" - un presidente molto potente - sic!). In realtà si preoccupa solo di silura re i precedenti vertici aziendali, a partire da Tommasi e Gamberale. Nel frattempo la Telecom rimane un pachiderma acefalo privo di qualsiasi strategia industriale.
* - Il "regno" Rossignolo dura appena un anno senza lasciar segni positivi. Nell'ottobre '98 Gian Mario si dimette a causa del giallo dei conti Telecom che fanno precipitare, nel giro di poco tempo, le azioni da oltre 15.000 a sotto le 9.000 lire.
* Ancora una volta, in novembre, si annuncia l'arrivo dell'uomo giusto, il "nocciolino" porta Bernabè alla guida della società. Due mesi dopo le prime voci della scalata successivamente ufficializzata da Colaninno dell'Olivetti. Bernabè tenta due mosse per fermare la scalata a Telecom : la fusione con TIM e l'alleanza con Deutsche Telekom. Nelle cronache della carta stampata l'amministratore delegato è sembrato battersi come una tigre. A noi il dubbio è sorto lo stesso. L'ormai ex amministratore di Telecom doveva ben sapere che buona parte del nocciolo duro era già schierata con gli scalatori e che quindi non ci sarebbero mai stati i numeri per deliberare la fusione con Tim. Ancora più improbabile la riuscita del matrimonio con D.T. in tempi utili per bloccare l'OPA. Comunque sia andata, tutto si è risolto in un gran polverone che ha permesso a Colaninno di lavorare con calma mentre i riflettori si spostavano sulle proposte di Bernabè.
* - La sempre presente Mediobanca aveva già tessuto la ragnatela.
[...]Nè i Democratici di Sinistra nè i sindacati confederali (in particolare la Cgil) sono del tutto estranei alla vicenda visto che la loro apparentata UNIPOL è proprietaria di una quota del pacchetto azionario della lussemburghese BELL di Colaninno (che controlla Olivetti). Il risultato è sotto gli occhi di tutti: gruppi di speculatori finanziari hanno messo mano su di una preda che renderà migliaia di miliardi di profitti con il consenso dichiarato di chi ci governa. Un'operazione in parte pagata attraverso le stesse speculazioni azionarie fatte sotto il regno di Rossignolo (anch'esso azionista di riferimento di Bell) e in parte accumulando migliaia di miliardi di debiti. Chi sono le vittime di quanto accaduto: innanzi tutto i cittadini/utenti che fino al '97 erano i veri "padroni" di Telecom Italia, in seconda istanza i lavoratori del gruppo che subiranno a breve termine gli effetti dell'enorme indebitamento. [...]
I COBAS TELECOMUNICAZIONI indicono un primo pacchetto di 4 ore di sciopero per tutti i lavoratori Telecom Italia, TIM...
COBAS TELECOMUNICAZIONI
Da un volantino FLMUniti-CUB - T.I.M. Firenze Informa:
TURNI : NO ALLE INTIMIDAZIONI ! !
IL COORDINAMENTO NAZIONALE TIM REAGISCE CON SDEGNO ALLO SPORCO TENTATIVO DELLA TIM DI INTIMIDIRE UNO DEI MAGGIORI PROTAGONISTI ATTIVI DEL COORDINAMENTO NAZIONALE CONTRO I TURNI NELLE PTR.
L'AZIENDA, ATTACCANDOSI A MOTIVAZIONI SUBDOLE E PRETESTUOSE TENTA DI LIMITARE L'ATTIVITA' DEL DELEGATO FLMU DI FIRENZE PIERACCINI STEFANO, CONTESTANDO PSEUDO MANCANZE DISCIPLINARI RISALENTI AD OLTRE 2 MESI FA.
CONDANNANDO TALE COMPORTAMENTO, IL COORDINAMENTO NAZIONALE ESPRIME PIENA SOLIDARIETA' ALL'ATTIVISTA COLPITO DALLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE.
LA FLMUNITI SI RISERVA INOLTRE DI INTERVENIRE NELLE SEDI APPROPRIATE PER DIFENDERE IL PROPRIO ATTIVISTA DA QUALSIASI GENERE DI PROVVEDIMENTO CHE L'AZIENDA VOGLIA ADOTTARE NEI SUOI CONFRONTI, E DENUNCIA UN CHIARO COMPORTAMENTO ANTISINDACALE MIRANTE AD OSTACOLARE LA LIBERA DIFFUSIONE DI UN SINDACATO VERAMENTE AL FIANCO DEI LAVORATORI.
LA RISPOSTA DELL'AZIENDA NEI CONFRONTI DEL DELEGATO FLMU E' LA CHIARA INDICAZIONE CHE L'OBBIETTIVO PERSEGUITO DAL COORDINAMENTO NAZIONALE, CIOÈ DI CREARE UNA COOPERAZIONE TRA I LAVORATORI A LIVELLO NAZIONALE, METTE IN CHIARA DIFFICOLTA' AZIENDA E SINDACATI CONFEDERALI: ADESSO È MOLTO PIÙ DIFFICILE FAR PASSARE UN ACCORDO SENZA IL CONSENSO DEI LAVORATORI !
INSOMMA, LA STRADA INTRAPRESA E' QUELLA GIUSTA ANCHE SE PER I TURNI SEMBRA TUTTO FERMO, È IMPORTANTE NON ABBASSARE LA GUARDIA: L'AZIENDA DOPO L'ESTATE PUÒ TORNARE ALL'ATTACCO IMPROVVISAMENTE E CON MAGGIORE IMPETO; È FONDAMENTALE QUINDI NON FARCI TROVARE IMPREPARATI ED ANZI CONTRIBUIRE SEMPRE PIÙ ALLA ORGANIZZAZIONE ED AL RAFFORZAMENTO DEL NOSTRO COORDINAMENTO!!!
Questa prima parte illustra per sommi capi come ai processi cosiddetti di "aziendalizzazione" degli Enti prima pubblici si associano, a fronte delle lotte contro di essi, attacchi repressivi, fatti sia di intimidazioni, licenziamenti, sospensioni, sia di denunce alla magistratura.
Il settore pubblico è estremamente frammentato: la politica sindacale concertativa ha svolto una funzione di sedativo della coscienza dei lavoratori di svolgere una funzione anche in relazione alla classe complessiva salariata. I servizi pubblici così come andarono nascendo dagli anni '70, furono frutto di lotte sociali, svolte sia dai lavoratori dei vari servizi sia dal resto della classe operaia, degli studenti, delle donne. Pur non dovendo mai dimenticare che il lavoratore dei "servizi pubblici" è un dipendente salariato dello Stato, e che contribuisce con il suo lavoro al mantenimento di questo stato borghese, indubbiamente esso, all'interno di un processo di lotta di classe più ampio, può e deve svolgere il ruolo di "controllo" dell'utilizzo che lo stato stesso fa del servizio pubblico. Esso può con la sua attività politico/sindacale garantire che il proletariato e le classi popolari ottengano effettivamente il servizio sociale previsto.
Ma questo è appunto un passaggio all'interno della lotta più generale.
Questi lavoratori sono stati volutamente isolati dal corpo della classe, considerati di volta in volta "lazzaroni" o "garantiti".
A conclusione di un percorso sindacale filo padronale (in questo caso filogovernativo) la "malasanità", le tariffe elevate dei telefoni, le poste che non funzionano sono diventati tutti sinonimi di "lavoratori non produttivi", e la scadente qualità di un servizio sociale "pubblico" è stata attribuita a costoro piuttosto che agli interessi contrapposti delle fazioni borghesi interessate a spartirsi i ricavi di un ritorno al "privato".
La nascita in questi comparti di sindacati di base, autorganizzati, sta permettendo di rompere questa situazione. Ma l'elemento più importante su cui troppo si indugia è il costruire o ricostruire un rapporto preciso, di classe, con i settori di lavoratori privati, operai delle fabbriche, disoccupati ecc., che costituiscono la parte più importante della cosiddetta "utenza".
Di seguito una cronologia di episodi di ristrutturazioni e di lotte da ottobre '99 a febbraio 2000.
Ottobre 1999 ITALTEL: Settecento esuberi (su duemila addetti) nella fabbrica aquilana Italtel: sono il punto d'approdo del processo di deindustrializzazione che ha investito il capoluogo abruzzese da oltre un decennio. L'impianto è ormai transitato nel sistema Siemens, e si chiama "Telecomunicazioni Esse". La Siemens presenta un nuovo piano industriale che praticamente distrugge l'impianto abruzzese (da 1700 a 90 occupati), lasciandovi in produzione solo uno spezzone che occupa attualmente 300 operai e 200 addetti al laboratorio. Ai primi di ottobre i lavoratori danno vita ai picchetti (di operai, impiegati, tecnici) che attuano il "blocco delle merci". IVREA SCIOPERO GENERALE: Circa ventimila persone hanno partecipato alla manifestazione indetta a Ivrea a sostegno della vertenza Op computer. "Op-computer fabbrica occupata": l'occupazione della fabbrica prosegue ad oltranza dal 16 settembreLA Star DI SARNO CHIUDE: comincia una fase di minacce aziendali e di lotte dei lavoratori, in una delle aree critiche del Sud. I lavoratori della Star di Sarno, si sono recati a manifestare presso la sede centrale milanese dell'azienda e sono stati accolti da uno sciopero di solidarietà (e da un'assemblea che non si vedeva da anni) dei mille operai dei due stabilimenti Star di Agrate Brianza e Carnate.BELLELI: la ex Belleli Off-shore, azienda all'avanguardia nella costruzione di piattaforme per l'estrazione di petrolio e gas a grandi profondità marine, è passata l'8 maggio scorso dal gruppo mantovano alla nuova cordata societaria "Boi, Belleli Off-shor International", del gruppo Abb, Halter, Itainvest. Il nuovo gruppo proprietario s'era assunto l'impegno di assumere 1.050 dei 1.800 lavoratori dell'ex-Belleli. La fabbrica versa in abbandono: omissioni del gruppo in materia di interventi su impianti e macchinari, manutenzione straordinaria e corsi di formazione professionale. Un caso anomalo, quello della ex-Belleli Off-shore, nel panorama industriale italiano, dopo che l'azienda è stata leader nella costruzione di piattaforme petrolifere, in quel settore dell'impiantistica e della cantieristica in cui alcuni anni fa ha costruito la più grande piattaforma del mondo per l'estrazione del petrolio, già attiva nel Golfo del Messico, un lavoro commissionato dalla Shell.ACCORDO ALLA TEKSID LA CHIUSURA SARA' "MORDIBA". Dopo un mese di scioperi in tutto il gruppo, l'ipotesi iniziale della Fiat - chiusura immediata dello stabilimento ghisa e mobilità per i 1020 addetti - è stata ridimensionata: la Teksid di Carmagnola (Torino) resterà aperta fino al luglio del 2001, riducendo progressivamente la propria attività per permettere il ricollocamento dei lavoratori. 563 passeranno al comparto alluminio che la stessa Teksid ha a Carmagnola, 150 saranno assunti dalla Teksid di Crescentino, 190 andranno in mobilità lunga verso la pensione (su base volontaria), il rimanente centinaio sarà ricollocato in altri stabilimenti Fiat.650 LAVORATORI IN MENO ALLA FIAT DI ARESE. La denuncia arriva in un comunicato dello Slai-Cobas: la Fiat vuole mettere in mobilità650 lavoratori. Un segnale chiaro che si vogliono stracciare gli accordi che prevedevano "una fabbrica di 4mila dipendenti", la famosa "auto elettrica" non si produrrà più, e d'altra parte già i consorzi che dovevano occupare 1500 lavoratori non hanno mai preso il via, e i 100 ex Alfa che dovevano essere occupati sono in cigs per due anni. Il Cobas chiama in causa "l'avallo di Cgil, Cisl, Uil e enti locali" che "anche adesso" si appresterebbero ad apporre nuove firme per consentire alla Fiat di procedere indisturbata.CHIUDE LO STABILIMENTO BELOIT DI PINEROLO. La multinazionale americana Beloit ha comunicato la chiusura dello stabilimento di Pinerolo (fabbricava macchine per la produzione della carta), con la messa in mobilità dei suoi 422 operai e il licenziamento degli otto dirigenti. I sindacati hanno indetto uno sciopero con manifestazione.Novembre 1999 PININFARINA. Uno dei principali esponenti del fronte padronale ha annunciato per la sua azienda cinque settimane di cassa integrazione ordinaria per 400 operai di Grugliasco, sulla base delle contrazioni produttive imposte dal mercato; questo, mentre su altre linee produttive e in |
altri stabilimenti, continuava a chiedere straordinari e ad assumere giovani lavoratori interinali. ALENIA. A Roma hanno manifestato sulla Tiburtina, a Napoli sulla circonvallazione esterna i lavoratori della Alenia Marconi Systems - con stabilimenti a Roma (290 lettere di cassa integrazione) Fusaro e Giugliano (80 lettere di licenziamento e 290 di cig).MICRON: il nuovo responsabile della Micron Technology di Avezzano (che nel sistema-mondo della multinazionale statunitense è definita "Fab9") non usa mezzi termini: "ci sono molti posti in cui investire". Questo per imporre il nuovo orario basato su turni di 12 ore.Dicembre 1999 MERLONI. Rifiuta i 70 milioni dell'azienda, licenziato senza giusta causa un lavoratore "colpevole" di essere impiegato in un'area produttiva in via di "razionalizzazione". FERROVIE. Sciopero contro il "piano d'impresa" che, tra scorpori aziendali e messa in liquidazione di buona parte del patrimonio edilizio, aveva subito diverse robuste revisioni. Ma un punto decisivo era rimasto inalterato lungo tutta la faticosa gestazione: il costo del risanamento dei conti Fs l'avrebbero pagato i lavoratori. 18.000 gli "esuberi" previsti dal piano; riduzione del salario di circa il 20%. La gravità della situazione ha portato i diversi "sindacati di base", nel corso del '99, a federarsi nell'"Orsa", una formazione che ormai raccoglie consistenti gruppi di lavoratori dei trasporti (non solo ferrovieri).ILVA DI TARANTO. Sotto processo l'imprenditore lombardo Emilio Riva, suo figlio Claudio e altri dieci dirigenti del più grande polo siderurgico d'Europa. Devono rispondere di tentata violenza privata in relazione allo scandalo della famigerata Palazzina Laf, reparto-confino in cui la direzione ha tenuto reclusi per anni una settantina di lavoratori in qualche modo indesiderati e sgraditi al management, che fin dal suo arrivo nel capoluogo ionico ha avviato un violento processo di ristrutturazione.BELLELI. Dopo un ennesimo incontro al ministero dell'industria col responsabile di Palazzo Chigi - Giampiero Borghini - è stata prorogato di un altro anno la cassa integrazione, che i lavoratori vedono sempre più come l'ultimo gradino prima di finire in mobilità.TELECOM SRL. Una decina di dipendenti della Telecom srl, una società di appalti telefonici, sono saliti sul campanile del Duomo di Messina per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi, in arretrato da 5 mesi. Per la stessa ragione giovedì hanno protestato sui tetti dei capannoni dell'impresa gli operai di Enna, ai quali peraltro sono stati notificati provvedimenti di mobilità.COCA COLA. Per la prima volta i lavoratori degli stabilimenti italiani della Coca Cola sono entrati in sciopero. L'agitazione, che ha coinvolto il deposito di Oriago Venezia, si è svolta contro il piano di ristrutturazione per il 2000 presentato dalla multinazionale di Atlanta e che prevede nuove riorganizzazioni e la probabile chiusura dello stabilimento di UdineGOOD YEAR : Scioperi contro la chiusura. "Costate troppo, non ci servite più", questo il senso del messaggio con cui la Good Year ha deciso di chiudere il suo stabilimento di Cisterna, licenziando oltre cinquecento lavoratori e mandando in crisi un indotto che ne coinvolge altri quattrocento. Gi operai si alternano nella staffetta dello sciopero della fame, incatenati ai cancelli. Altre iniziative di lotta sono allo studio: gli stessi sindacati hanno invitato a boicottare i prodotti Good Year.MICRON . Dal 1 gennaio i turni di 12 ore nello stabilimento Micron di Avezzano saranno formalmente operanti. Alle 4 del mattino del 24 dicembre, dopo quattordici ore di trattativa, il sindacato metalmeccanico (Fim, Fiom, Uilm e il sindacato autonomo Fismic) e il management di Micron Technology hanno firmato l'accordo. |
Gennaio 2000 PORTI. Hanno scioperato per otto ore i marittimi che lavorano sui rimorchiatori della Contug, una società attiva nel porto di Gioia Tauro. Una delle rivendicazioni è la riduzione dell'orario di lavoro, attestato sulle 48 ore settimanali. "Mentre in Francia - dice un comunicato di solidarietà del sindaco - si tratta per la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali per favorire la piena occupazione e in Italia si delinea già una politica sulle 35 ore, a Gioia Tauro si fanno 48 ore a discapito della occupazione". SCIOPERI A MALPENSA E NELLE FERROVIE. Per 4 ore si sono fermati gli addetti alla manutenzione degli aeroporti di Milano e Malpensa. Per altre 4 ore hanno incrociato invece le braccia i macchinisti di metropolitane e ferrovie in concessione, organizzati nel Comu. Lo sciopero ha interessato Milano e la Lombardia (con la rete nord), la Circunvesuviana di Napoli, la ferrovia sud-est di Bari, le ferrovie Apulo-Lucane, le ferrovie sarde, alcune tratte nel genovese e nel perugino, le ferrovie venete e la Ferrara-Suzzara.Braccianti in rivolta a Paternò. Braccia incrociate e strade presidiate sin da notte fonda. Cassonetti al centro delle carreggiate delle vie di accesso al paese, copertoni incendiati per impedire il transito, automobili e camion davanti i cancelli di magazzini e aziende. E' "guerra contro lo sfruttamento" ripetono gli uomini che invadono le strade. Chiedono innanzitutto l'applicazione del contratto di lavoro, che non è poco di questi tempiS TAR. Con la firma dell'accordo al ministero del lavoro si chiude la vertenza della Star di Sarno. L'azienda viene ceduta al gruppo agroalimentare "La Doria" di Angri che promette di investire nel rilancio della fabbrica 60 miliardi. L'accordo, firmato dal sindacato e ratificato da un'assemblea dei lavoratori dove non sono mancati dissensi ed emozioni (molti lavoratori questa fabbrica l'hanno costruita, come si suol dire, con le loro mani), prevede un investimento triennale in cui si dovrebbe tornare al prodotto vegetale d'origine (pomodoro, frutta) dopo aver abbandonato il settore del tonno in scatola.ENICHEM: 400 POSTI A RISCHIO. Esce l'Enichem da Gela e tramonta definitivamente il sogno dell'industrializzazione pesante siciliana iniziato negli anni 50. A rischio sono 400 posti di lavoro, gli ultimi rimasti. Dopo la chiusura dell'impianto "Ossido di etilene" decretata con la fine del '99, infatti, nel giro di due anni scomparirà anche il settore dell'acrilonitrile, cioè la materia base per le fibre acriliche. A Gela l'Enichem manterrà solo la titolarità dell'impianto per la produzione dell'etilene che serve per produrre polietilene. E' stato subito proclamato lo stato di agitazione e 24 ore di sciopero per mercoledì e giovedì prossimi. LA SYLEA LICENZIA. C'è una grande retorica dietro contratti d'area e patti territoriali che dovrebbero risollevare le sorti del Sud e della disoccupazione meridionale. Il caso Irpinia, identificato da molti come un territorio meridionale dove può avvenire un cambiamento strutturale grazie a questi strumenti, è un esempio del vecchio adagio gattopardesco del cambiare tutto perché tutto resti come prima. E così, mentre si è in attesa dei frutti (cioè l'aumento dell'occupazione in una provincia dove si marcia verso i sessantamila disoccupati) di questi "miracolosi" strumenti, fioccano i licenziamenti in molte fabbriche. Febbraio 2000 FIAT: TANTI PADRONI PER GLI OPERAI. Le meccaniche di Mirafiori un tempo rappresentavano il cuore della fabbrica, il motore era considerato il pezzo più pregiato del ciclo dell'auto, quello che determinava il maggiore valore aggiunto. |
E, conseguentemente, anche i lavoratori delle meccaniche erano ritenuti - per l'impresa - più importanti dei loro compagni delle carrozzerie. Oggi non è più così: "I motori sono semplici componenti, come tutti gli altri pezzi che formano l'auto - afferma l'amministratore delegato di Fiat-auto, Roberto Testore - e noi li acquistiamo da chi ce li fornisce alle condizioni migliori". I settecento esuberi annunciati dalla Fiat per le meccaniche di Mirafiori (su 2.900 addetti) si inseriscono in questa logica, la stessa che porta alla vendita delle presse di Rivalta, alla consegna dei carrellisti alla Tnt e che presto determinerà la vendita di altri pezzi di fabbrica - operai inclusi - ad altrettanti "produttori specializzati". Alla fine la fabbrica sarà un grande puzzle di sigle, con a fianco una lunga serie di satelliti per la componentistica e i servizi, tutti a suonare lo spartito scritto da Fiat-auto. Il motore diesel e quello per la Panda ormai vecchi verranno da altri stabilimenti (dalla Turchia e dal Brasile) verso i quali si indirizzano gli investimenti del gruppo torinese, perché lì il costo del lavoro è più basso. Cassa integrazione (1.400 la prima settimana di marzo, altri 1.000 la seconda, sempre alle meccaniche) sulle linee del motore "Torque", l'unico che la Fiat intende mantenere a Mirafiori proponendo i 18 turni settimanali in cambio del riassorbimento parziale di una parte degli esuberi annunciati (400). In più entra in gioco l'ormai certa vendita di una parte di Fiat-auto alla Daimler-Chrysler. L'EX SIGMA: ESTERNALIZZAZIONE E LICENZIAMENTI Vertenza in corso all'ex Sigma contro serrate, licenziamenti, cassa integrazione, accordi sindacali non rispettati, promesse di mantenimento occupazionale che vengono disattese. Da due settimane sono in sciopero i dipendenti della fabbrica tessile, trasformatasi negli anni da Sigma in Dali e acquistata, dal 1996, dalla "Manifatture Miraglia". Un acquisto agevolato da una ricapitalizzazione della Gepi di ben sei miliardi e mezzo che avrebbe dovuto garantire i livelli occupazionali. Il primo ostacolo, però, sono 18 mesi di cassa integrazione per avviare un progetto di riorganizzazione aziendale. Poi altri 30 giorni, chiesti all'inizio di quest'anno, per un trasloco dello stabilimento. Ma il 19 gennaio, dieci giorni prima che si chiuda la Cig, l'azienda invia 35 lettere di mobilità ed il 31 gennaio, quando avrebbe dovuto riaprire i battenti, lascia gli operai fuori dai cancelli. L'obiettivo è relegare all'esterno l'intero settore di taglio, cucito e stiratura, cioè la produzione (che già sarebbe decentrata in Tunisia ed in molti paesi del messinese) per mantenere all'interno dell'azienda solo uffici e magazzini, quindi confezionamento e spedizione. STANDA/COIN: LA LOTTA DI BASIGLIO CREA GUAI AI SINDACATI La protesta dei 200 lavoratori della ex Standa (ora Coin) di Basiglio crea problemi ai vertici nazionali che hanno firmato, scavalcando le delegazioni, l'intesa per la chiusura della sede amministrativa e il taglio di 600 posti di lavoro. La Filcams-Cgil nazionale non ha più sottoscritto la cessione di magazzini a P&G, compresa nel "piano" già firmato. APPALTI IN ARSENALE 150 POSTI A RISCHIO Un taglio del 60% agli appalti di manutenzione sulle navi ancorate nell'Arsenale di La Spezia è stato deciso dallo stato maggiore della marina militare. La drastica riduzione degli mette in pericolo 150 posti di lavoro. |
Come abbiamo detto e visto, l'acuirsi della crisi e della ristrutturazione necessaria a ridurre la caduta del saggio di profitto produce conflitto anche contro i sindacati istituzionali, nel momento in cui questi non hanno più mezzi di "mediazione" rispetto al padronato. Riportiamo qui un paio di esempi e alcune considerazioni.
Allo stabilimento chimico Montefibre di Acerra, gli operai hanno respinto con la lotta un'ipotesi di accordo, firmata dai sindacati locali e dall'azienda, che prevede la deroga al contratto nazionale con la posticipazione di un anno degli aumenti contrattuali e l'eliminazione del premio di produzione per i nuovi assunti. La contraddizione tra il vertice nazionale della CGIL e le segreterie regionali dei sindacati confederali dei chimici firmatarie dell'accordo, sulla questione del rispetto dei diritti acquisiti con i contratti nazionali, ha portato a sopprimere il punto decisivo dello slittamento degli aumenti. Una vittoria evidente dei lavoratori. Quindi i sindacalisti traditori hanno dovuto incontrarsi con gli operai in fabbrica, ma senza riconoscere di aver avuto torto, hanno riproposto come giusta quell'ipotesi di accordo. I lavoratori, in lotta da un mese, sono esasperati e sempre più sfiduciati da un sindacato arrogante e sordo a ogni rapporto con gli operai.
Alla ripresa delle trattative, su basi diverse da quelle respinte dagli operai, si va alla rottura tra le organizzazioni sindacali dei chimici e la direzione delle Montefibre.
I sindacati nazionali avevano richiesto la sospensione del punto 2 dell'ipotesi di accordo del 12 gennaio e il suo rinvio ad una sede di confronto nazionale; l'azienda ha richiesto, al fine di compensarne i costi relativi, interventi strutturali sulla retribuzione che le organizzazioni sindacali hanno ritenuto inaccettabile.
Il punto 2 è appunto quello respinto dagli operai, voluto dell'ipotesi di accordo firmata dai sindacati regionali.
Dunque su quel punto decisivo (ma ce n'è un altro non meno importante che riguarda la cancellazione del premio di produzione per i nuovi assunti) lo scontro si riacutizza e i lavoratori che hanno condotto una battaglia, si può dire, in solitudine, escono finora vittoriosi da questo braccio di ferro con l'azienda, i sindacati territoriali firmatari e la maggioranza delle Rsu di fabbrica.
Anche alla Piaggio, la Fiom si è divisa sulla firma al nuovo piano industriale presentato dall'azienda. L'accordo è stato siglato e sarà presentato e illustrato ai lavoratori, in vista della votazione finale prevista entro due settimane. Sono tre i motivi principali della divisione interna alla Fiom. Nell'ordine, una flessibilità di 80 ore, solo al sabato, che supera le 64 ore massime previste nel contratto nazionale firmato appena cinque mesi fa. Poi la deroga sui contratti a termine, che come lo scorso anno porterà all'assunzione di un migliaio di "stagionali": è il 25% dei lavoratori della fabbrica, e anche in questo caso il contratto nazionale prevede una percentuale massima dell'8%. Infine non si chiude il capitolo degli esuberi: altri 180 operai e 100 impiegati, in un'azienda già abbondantemente "dimagrita" negli ultimi cinque anni.
In questo scontro si inserisce il reintegro di Giuseppe Corrado, che subito riprende il suo posto di lotta, per niente piegato dalla repressione aziendale. "Io la firma su quest'accordo tra sindacati e azienda non l'ho messa. Decideranno i miei compagni di lavoro se ho ragione o no". L'operaio è rientrato in Piaggio appena due settimane fa, dopo oltre quattro anni di esilio, due sentenze favorevoli della magistratura del lavoro e una pressione psicologica che avrebbe stroncato un toro. Ha ricordato subito ai colleghi sindacalisti e alla proprietà che non sta bene derogare al contratto nazionale sulla flessibilità, gli esuberi e le assunzioni stagionali. Ha costretto la Piaggio a masticare amaro: non si trasferiscono per punizione i dipendenti "scomodi". Un caso raro in aziende del gruppo Fiat come era la Piaggio.
Quattro anni dopo "sono cambiate tante cose. Anche in meglio. Tra i lavoratori si è formata la sempre più precisa coscienza della liquidazione dei loro interessi. Sono sempre di più quelli che hanno preso le distanze da una strategia sindacale fatta di cedimenti continui, di trattative al ribasso e deroghe alle prescrizioni del contratto nazionale di categoria". Per questi motivi è uno dei sindacalisti Fiom che non ha votato l'accordo con l'azienda su flessibilità, deroghe alle assunzioni stagionali e nuovi, ulteriori esuberi.
Questi due momenti di lotta, tuttora in corso danno alcune indicazioni. Prima di tutto, non è vero che nelle grandi fabbriche la classe operaia è comunque piegata ai voleri dei sindacati maggioritari e che quando lotta lo fa solo sotto la loro bandiera. Le frizioni e i contrasti tra operai e sindacati confederali sono continui. Ma, e questo è un altro dato, esplodono in conflitto soprattutto in presenza di avanguardie di lotta che hanno chiari gli obiettivi politici oltre che economici immediati. Come nel caso della Piaggio.
Un altro dato che emerge è che questo conflitto in cui i lavoratori si oppongono sia al padrone che ai sindacati venduti non produce immediatamente una diversa organizzazione sindacale. Questo induce molti compagni del sindacalismo di base a "storcere il naso" ritenendo che queste "lotte" non siano "avanzate".
Noi crediamo che bisognerebbe guardare le cose in modo opposto. Laddove esplodono forti questi conflitti - che sono sempre e comunque conflitti di classe - il ruolo del sindacato di base, delle avanguardie di lotta, dei comunisti deve essere quello di inserirsi per far maturare le contraddizioni, evitare il riflusso e soprattutto trasformare la rabbia in organizzazione di classe. Quello che in realtà succede quasi sempre è che si aspetta che le cose vadano per la loro strada, sottovalutando sia la capacità di recupero dei sindacati confederali (in assenza di altre forze organizzate della classe), sia le condizioni materiali, oggettive, economiche in cui questi scontri si collocano: ossia il raggiungimento di obiettivi immediati, concreti, piuttosto che obiettivi di natura generale e politica. Questi ultimi sembrano, almeno negli intenti, appartenere di più al sindacalismo "alternativo": in realtà, spesso questo si pone da controparte non solo verso CGIL-CISL-UIL ma anche verso i lavoratori che ne fanno parte, anche quando questi devono combattere per i propri diritti contro gli stessi loro sindacati.
Più che criticare occorre sporcarsi le mani nella classe, anche quando questa agisce in modo "non rivoluzionario" (che è poi una condizione normale!). Per esempio, occorrerebbe che la cosiddetta "galassia del sindacalismo di base" ("galassia" è già indice di una frammentazione, che i lavoratori non capiscono e non accettano, giustamente) si presentasse in fabbriche come Montefibre o Piaggio e si schierasse a sostegno dei lavoratori che lottano, non per carpire "iscritti" ma per mostrare una posizione di classe, coerente e intransigente, più vicina a quegli operai che lottano di quanto lo siano i sindacati confederali.
C'è una sopravalutazione nella sfera Cobas, Slai, SinCobas ecc. del proprio ruolo, dando per scontato che se gli operai non cambiano sigla è per una scelta e non perchè ignorano esattamente con cosa hanno a che fare. Gli operai non sono "spontaneisti" hanno decenni di lotte alle spalle e l'organizzazione di massa del sindacato fa parte del loro patrimonio genetico. Non è possibile, pertanto, per loro rompere con la loro organizzazione senza sapere esattamente dove andare. A questo deve servire la presenza a fianco dei lavoratori in lotta delle avanguardie di classe anche quando la loro forma organizzativa non è lì presente: da quell'esempio di solidarietà di classe nasce la simpatia e la comprensione del giusto percorso
Un altro elemento della divisione tra lavoratori sono le Cooperative. Da strumento di unità e solidarietà tra lavoratori, mezzo di emancipazione dal lavoro salariato, sono diventate strumento del padronato per abbassare il valore del lavoro e tenere lontani i sindacati. In questo le coop non si distinguono più tanto fra "rosse", cattoliche o altro. Ecco alcuni materiali
UN NUOVO ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA SINDACALE NELLE COOPERATIVE: NEGATI I DIRITTI SINDACALI AL COMITATO DIFESA LAVORATORI COOPERATIVE
E QUANDO I LAVORATORI SI AUTORGANIZZANO PER TUTELARE I PROPRI DIRITTI QUESTA E' LA RISPOSTA: (a nome della "Suprema Corte LEGACOOP - L'Imperatore) CHE COSA DOBBIAMO FIRMARE PER AVERE IL NOSTRO SACROSANTO DIRITTO A TUTELARSI COME MEGLIO CREDIAMO? Non ci nasconderemo dietro al fatto che "...quando è stato firmato non c'eravamo" perché un contratto così non lo accetteremo mai (come peraltro non lo accettarono moltissimi lavoratori coop) e non lo firmeremo mai, come non firmeremo niente che va nella direzione di considerare e far diventare i lavoratori coop "lavoratori di serie B". Questa legge che tende a escludere i lavoratori autorganizzati da ogni riconoscimento è farina del sacco di qualcuno ben conosciuto, CGIL CISL UIL, oramai complici delle politiche di annientamento dei diritti dei lavoratori, dalla rappresentanza al diritto di sciopero, alle politiche di contenimento dei salari che portano a rinnovi di contratto che solo loro possono avallare. Non siamo disposti ad accettare in silenzio, come fa qualcuno che i diritti ce l'ha, trasferimenti senza nessun criterio, il clima di ricatto continuo, il non riconoscimento della professionalità acquisita, la subalterneità e la complicità con gli enti appaltanti e il potere politico che ricorda tanto il "miglior consociativismo" degno della cosiddetta prima repubblica. NON CI TAPPERANNO LA BOCCA, Comitato Difesa Lavoratori Cooperative |
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Gazzetta di Modena - mercoledì 9 giugno 1999 |
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Ma chi l'ha detto che essere soci-dipendenti di una cooperativa dà maggiori garanzie di mantenersi il posto di lavoro? Ne sa qualcosa Adriana Agnoletto, lavoratrice all'Aliante, estromessa e licenziata in tronco per "avere espresso opinioni diverse da quelle della direzione". Licenziata in tronco da una cooperativa sociale. [...]"Il consiglio di amministrazione della cooperativa sociale Aliante - si legge nella nota - ha licenziato una socia lavoratrice 'colpevole' di avere espresso opinioni diverse sul caso di una persona, dipendente della stessa coop, che doveva essere allontanata dal posto di lavoro". In sostanza la donna e giovane madre che adesso è senza lavoro, ha segnalato al sindacato autonomo Slai-Cobas presunti casi di violazione dei diritti dei lavoratori. Ai dirigenti della coop, che a Carpi ha molti appalti del Comune nell'ambito |
dell'assistenza anziani e manutenzione del verde, questa scelta non è affatto piaciuta. [...]La donna [...]ha deciso di opporsi e per questo si è rivolta a un legale denunciando la cooperativa presieduta da Vittorio Saltini, ex presidente dell'Arci. "Ci sono vicende molto gravi - racconta Adriana Agnoletto - che riferirò al magistrato. Quello che mi stupisce è il fatto che i sindacati confederali, Cgil, Cisl e Uil, non tutelino i lavoratori delle cooperative sociali. Si è molto più protetti lavorando nelle aziende private". La donna dice di avere già da tempo rinunciato a rivolgersi alla Camera del Lavoro. "La cosa singolare - dice Adriana Agnoletto - è che Aliante aderisce alla Legacoop e ad Arci solidarietà. Nessuna però di queste organizzazioni verifica di tanto in tanto se gli standard delle condizioni di lavoro sono rispettati". |
Comunicato Cobas G.S. ai giornali locali
Carpi, 11/6/1999
Le lavoratrici e i lavoratori aderenti allo Slai Cobas della ditta G.S. di Correggio (RE) desiderano esprimere tutta la loro solidarietà ad Adriana Agnoletto, ingiustamente revocata dal suo ruolo di socia-dipendente della Cooperativa Aliante e perciò stesso, di fatto, licenziata.
La nostra solidarietà va ad Adriana principalmente per due motivi: primo Adriana è una nostra compagna, una iscritta allo Slai Cobas, una delle tante lavoratrici e lavoratori che hanno compreso sulla loro pelle, attraverso la loro viva esperienza, la necessità di non piegarsi alle ingiustizie, di non accettare passivamente la condizione di minorità in cui padronato, governo e sindacati confederali costringono i lavoratori salariati, la necessità di ricostruire dal basso attraverso lo strumento dell'autorganizzazione una nuova forma di sindacalismo di classe, democratico e di massa. Per questo è stata licenziata.
Il secondo motivo è che noi, sebbene impiegati in un diverso settore, quello metalmeccanico, sappiamo bene che la precarizzazione del lavoro è uno strumento formidabile nelle mani di chi detiene il potere economico, e sappiamo altrettanto bene quante forma possa assumere la precarizzazione; alcune le sperimentiamo anche sulla nostra pelle: l'ulteriore sfondamento verso una flessibilità della prestazione e l'innalzamento del tetto degli straordinari nel nostro ultimo contratto, l'introduzione di lavoro interinale, apprendistato fino ai 26 anni, contratti d'area, contenuti nel cosiddetto "patto per il lavoro". Ebbene come non considerare parte del processo di precarizzazione del lavoro quell'area "grigia" rappresentata dalle cooperative "no-profit" dove (parecchi sono i casi documentati), grazie alla qualifica di socio-dipendente si spogliano i lavoratori dei loro diritti sindacali e li si utilizza per coprire a più basso costo (stipendi più bassi) i buchi lasciati aperti dallo smantellamento dello stato sociale, magari con ampio utilizzo di manodopera femminile, l'ultima a essere assunta e la prima ad essere licenziata nel settore privato, condannata a essere relegata a ruoli di assistenza e riproduzione sociale sia in casa che fuori.
Non sappiamo se questo sia il caso della Cooperativa Aliante, questo potrà essere appurato, eventualmente, da una sentenza del pretore e, in ogni caso, non è nostro compito entrare nel merito.
Auspichiamo tuttavia che il caso di Adriana non passi in sordina, e che da parte delle forze politiche, sindacali e, perché no, del tanto acclamato associazionismo e cooperazione, possa venire, al contrario delle solite accuse di estremismo e di "covare" neobrigatisti che ci vengono rivolte, la volontà di affrontare il merito delle questioni e di aprire un dibattito serio sulla condizione dei lavoratori dipendenti (ancorché soci) nel terzo settore.
Invitiamo tutti i lavoratori iscritti e non iscritti a qualsiasi sindacato a manifestare pubblicamente la propria solidarietà ad Adriana in tutte le forme possibili: lettere, comunicati, raccolte di firme, ecc.
COBAS G.S. Correggio (RE)
tel. 0338-4460173 fax 0535-47048 e-mail vivamao@iol.it
PERCHÉ ORGANIZZARSI SINDACALMENTE
COME LAVORATORI DELLE COOPERATIVE?
La nostra condizione è in continuo peggioramento. il nostro potere come lavoratori delle cooperative rasenta ormai lo zero; la gran parte dei C.d.A. (pur da noi eletti) si stanno trasformando in puri esecutori delle riduzioni della spesa pubblica nel nostro settore decisi dalle pubbliche amministrazioni. Quei pochi C.d.A. che ancora svolgono il loro compito di rappresentanti degli interessi di tutti i lavoratori della cooperativa vengono puniti da gare d'appalto che privilegiano la competitività economica (leggi prezzi ribassati, minor numero di operatori, introduzione del volontariato) sulla qualità dei servizi.
Nello stesso tempo governo, centrali cooperative e sindacati confederali si stanno accordando su una nuova regolamentazione della figura del socio-lavoratore che cancellerà quei pochi diritti ( previdenza, ferie, mutua) di cui ancora disponiamo. [...]
Le pubbliche amministrazioni appaltano alle cooperative un sempre maggior numero di servizi, riducendo gli stanziamenti per il funzionamento dei servizi stessi, e le cooperative si rifanno sui propri lavoratori, peggiorandone le condizioni di lavoro. Tutto l'insieme di questo meccanismo ci viene presentato come un impersonale "necessità" imposta a tutti da dio sa cosa, il mercato, la globalizzazione, ecc... Mentre procede il peggioramento delle nostre condizioni di lavoro, la pubblica amministrazione richiede una sempre maggior qualificazione degli operatori dei servizi che essa stessa appalta. Detto così non ci sarebbe nulla di male; peccato che la formazione degli operatori già in servizio (la famosa riqualificazione) spesso sia svolta in condizioni punitive: aggiungendo ore di studio, di tirocinio e di frequenza all'orario di lavoro (senza i miseri rimborsi previsti dal contratto), pagando di tasca propria (quando non si riesce ad accedere ai corsi finanziati dalla Regione) ed il tutto per ottenere un attestato non riconosciuto dal settore sanitario e non valido su tutto il territorio nazionale.
L'insieme delle nostre condizioni diviene ogni giorno più intollerabile. La partecipazione (peraltro sempre più scarsa e disattenta) alle rituali assemblee dei soci, cooperativa per cooperativa, non può certo bastare come canale per le nostre rivendicazioni. Per questo abbiamo costituito il Coordinamento Lavoratori delle Cooperative come embrione di organizzazione per tutti gli operatori torinesi. Fin da subito dobbiamo iniziare un lavoro di mobilitazione basato su due punti:
DIRITTO AL REDDITO: il nostro salario deve essere agganciato a quello degli operatori del settore pubblico. A questo scopo devono essere riviste convenzioni, appalti, ecc.., in modo da rispettare il principio per cui ogni servizio deve avere il personale necessario per funzionare. Vanno respinti i tentativi già avanzati di introdurre volontari ed assumere giovani con il salario d'ingresso.
DIRITTO ALLA FORMAZIONE: la formazione deve essere gratuita, compatibile con l'orario di lavoro e non comportare perdite sul piano del reddito; se la formazione é un diritto serve per acquisire conoscenze utili al proprio lavoro e non é un'imposizione (o ti riqualifichi alla svelta, a qualunque condizione, o smetti di lavorare).
COORDINAMENTO LAVORATORI DELLE COOPERATIVE SOCIALI aderente alla F.L.A.I.C.A.-C.U.B.
Corso Regio Parco 31/bis, 10152 Torino - Telefax 011/282929
Un ultima osservazione in chiusura. E' in corso la campagna referendaria che, eliminati gli altri da parte della Consulta, vede al centro il quesito sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ossia il reintegro del lavoratore licenziato, qualora la magistratura ritenga "senza giusta causa" il suo licenziamento. Su questa questione occorre dire, in questa sede, solo poche cose. E' necessario che i lavoratori si mobilitino, come già avviene, per respingere l'abrogazione tramite referendum di questo estremo strumento di difesa. E' necessario che si costruiscano Comitati che si oppongano alla politica radicale e confindustriale. Ma deve essere altrettanto chiara la necessità di non fermare la mobilitazione al referendum. Dalla fine del 1998 esiste un progetto governativo di modifica dell'art.18 che va nello stesso senso del referendum radicale: a studiarlo è Gino Giugni. Esistono inoltre proposte di legge già in discussione per modificare non solo questo aspetto ma anche altri del diritto del lavoro, così come del diritto di sciopero per non parlare delle politiche governative in materia di collocamento, interinale e sanità. Tutto questo prescinde dai referendum. Pertanto la classe operaia e gli altri settori di classe devono porsi un obiettivo più ampio: sconfiggere l'attacco governativo padronale alle proprie condizioni di vita e di lavoro. Fermarsi al NO - legittimo e sacrosanto - al referendum radicale sarebbe un suicidio. Fermarsi a questo tipo di mobilitazione significa permettere ai sindacati confederali, al governo e ai padroni di trovare tutti gli accordi - già stanno provvedendo! - necessari a portare a compimento la ristrutturazione del rapporto capitale/forza lavoro per aumentare la flessibilità di quest'ultima. La parola d'ordine deve essere No ai referendum radicali e No alle politiche governative antioperaie, antisciopero, antisociali. |