ROMPERE GLI ARGINI

CENTRALIZZARE IL DIBATTITO

Mentre una apparente convergenza di interessi e obiettivi da' luogo a iniziative come quella ultima di Venezia e a cartelli elettorali fino a poco tempo fa impensabili, anche se parte da più lontano e mira oltre, occorre riflettere su quello che sembra essere un appiattimento di aree, compagni, centri sociali e strutture di lavoratori più o meno autorganizzati attorno ad alcuni nodi teorici e pratici, che alimentano la favola del capitalismo possibile, delle uscite dolci e soggettive dal capitalismo ecc.

Alla luce di un dibattito diffuso, ma non ancora organizzato, in parte recepibile tramite rete informatica, in parte da resoconti di assemblee, interventi e iniziative di lotta, ci sembra importante fissare alcuni punti, attorno ai quali si sta oggettivamente coagulando una "opposizione all'opposizione", ossia una non omologazione ai canoni imperanti della cosiddetta "opposizione sociale", sempre più invischiata con pratiche istituzionaliste o, al contrario, autoreferenziali, presuntamente radicali, ma che lentamente si distacca sempre più da una "opposizione reale".

 

Ci sono alcuni elementi teorici e pratici che vanno identificati chiaramente e messi sotto il microscopio della analisi dei comunisti, i quali oggi sempre più possono riuscire a definirsi tali, sottraendosi alla banalizzazione cui viene sottoposto il nostro patrimonio, solo se prendono la parola come forza collettiva, uscendo dai più o meno piccoli orticelli e impegnandosi in una lotta controcorrente per una autentica opposizione di classe, proletaria e operaia, e che abbia come obiettivo strategico il comunismo, la fine dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, l'instaurazione di rapporti sociali di produzione collettivi, a misura d'uomo e di ambiente.

Che sappia però anche darsi degli obiettivi tattici, realizzabili fin da subito, pena il rischio di restituire tale nostra lotta a quelle forze che del "tutto e subito" hanno fatto uno slogan buono per questa stagione del centro-sinistra.

Vorremmo quindi cominciare a rompere alcuni "tabù" che negli ultimi due anni si sono andati definendo per chi si doveva trovare una collocazione in questo magmatico "movimento" dei giovani, dei senza lavoro, dei precari, delle donne, degli immigrati ecc.

Già nelle definizioni (si guardi anche l'ultimo comunicato del CSOA Corto Circuito di Roma) contenute in questo movimento, si vede come manca essenzialmente tutto il riferimento storico ma anche organizzativo della lotta di classe, passata e presente, ossia la classe operaia e più in generale il lavoro salariato.

Questo è il primo tabù: la classe operaia deve ritrovare il suo primato nella lotta di classe, a fianco di tutti i lavoratori salariati, e ancora di più, a fianco di tutti quei lavoratori che, pur privati delle garanzie contrattuali e formali tipiche del lavoro di fabbrica, sono però sempre più sottoposti al capitale (sussunzione reale). Ritrovare un primato, non quello oggettivo, che non ha mai perso per le condizioni stesse della produzione, ma soggettivo.

Da interventi prodotti da due anni a questa parte, che vanno dal nostro sulla questione del lavoro, alle analisi dei compagni di Parma sulla composizione del lavoro salariato, di quelle dei compagni di Torino, di Modena sulle fabbriche, di quelle di strutture precarie, dei compagni dell'Intifada di Firenze ecc., si delinea un quadro in cui realtà che fanno soprattutto pratica di lotta e sono radicate nei loro territori e nei posti di lavoro (ossia stanno "nella" lotta di classe oggettivamente) riprendono a dare il giusto peso a determinati soggetti sociali, non per mera ortodossia, ma perché‚ convinti che i movimenti e i soggetti sociali non si inventano, perché‚ sono il prodotto di condizioni di sfruttamento che, nella sostanza, sono immodificate, pur andandone comprese le modificazioni formali.

Quindi, Classe Operaia e lavoro salariato, non formale ma sostanziale.

Da qui passiamo all'altro aspetto che emerge nel lavoro di queste nostre strutture: la critica alle teorie postfordiste, dei Revelli, de "il manifesto" e di molti centri sociali.
Quello che abbiamo visto è il passaggio da una, anche interessante, disamina di nuovi fenomeni sociali e produttivi, modificazioni della fabbrica e del territorio, delle norme che regolano i rapporti di sfruttamento, alla affermazione che tutto è cambiato, che la "classe operaia è scomparsa" o manca poco a questo evento, che comunque non è poi così sconvolgente perché‚ "altri settori si affacciano già alla ribalta" e "si prospettano nuove soluzioni al lavoro salariato" all'interno del sistema capitalistico.
Quindi il particolare diventa generale, le modificazioni formali vengono tradotte in una "teoria rivoluzionaria", scevra da ogni richiamo alla realtà, ai rapporti reali di produzione.
E su questo da vari compagni viene invece una analisi convincente circa l'aumento del lavoro salariato e soprattutto il peggioramento delle condizioni in cui si attua, che comprende anche il fatto che il lavoratore espulso dalla fabbrica si ritrova a lavorare per il medesimo padrone, sotto una formale veste di autonomia (lavoratori autonomi e "impresari di se stessi"), ma senza le garanzie normative e senza la possibilità di organizzazione di massa e di classe, che lo stare in fabbrica o in posti di lavoro di certe dimensioni comporta.
Questo può essere il successivo punto in comune da cui partire.

Il lavoro salariato come elemento principale della catena di produzione e riproduzione dello sfruttamento, e adattamento di questo alle nuove condizioni dettate dalla crisi (diversi contratti all'interno dello stesso posto di lavoro, lavoro esternalizzato, decentramento, appalto ecc.).

La teorizzazione che oggi prevale tra tanti giovani compagni e meno giovani "ceti politici" ha trovato anche una sua estensione "internazionale", globale, detta "neoliberismo".
Se le parole non sono vane, si dovrebbe presumere che usciamo da un "vetero liberismo", non ben definito.
Sicuramente una analisi approfondita del capitalismo esula da queste poche righe, e certo i compagni hanno strumenti per farla e l'hanno già fatta.
Ad ogni modo, la teoria del "neoliberismo" sfuggendo forse alle intenzioni dei formulatori sta divenendo troppo una trovata, utilizzabile per scindere nuovi movimenti o nuove istanze dai legami del passato, del proprio passato e che rende l'anticapitalismo un po' come la notte in cui tutte le vacche sono grigie.
Il "neoliberismo" sembra aver senso solo leggendolo alla luce del postfordismo, che però giudichiamo essere una generalizzazione astrusa. Il capitalismo è liberista per definizione, ma statalista per opportunismo. Questo è un fatto, rimarcato più e più volte nel corso dei decenni, ed espressosi con intrecci più o meno forti di liberismo e di statalismo.

La "lotta contro il neoliberismo" rischia di tradursi (in teoria e prassi) in una lotta contro gli aspetti deteriori del capitalismo liberista, depurato dai quali - e rimpinguato da una certa dose di "stato sociale" - questo diventa nuovamente umano, e pronto a durare per altri 50 anni.
Il "neoliberismo" è un insieme di politiche, identiche alle precedenti, ma ovviamente adattate alle circostanze che sono l'aspetto del capitale oggi. Non sono, però, il capitalismo: sono politiche salariali, normative, politica internazionale.
Per comprendere luci ed ombre del fenomeno genericamente indicato come neoliberismo, per comprendere l'interpretazione che ne hanno fatto e fanno i vari settori che si muovono "contro", occorrerà andare anche alla fonte: fonte che da più parti viene rintracciata nello zapatismo, nel Marcos-pensiero.
Scopriremmo cose interessanti e noteremmo certamente che una cosa è "l'originale" un'altra le raffazzonate interpretazioni che di quell'esperienza, di quel contributo - comunque da rispettare - danno strutture operanti nell'ambito sociale nostrano.

In ogni caso, certi che solo un aperto dibattito possa far chiarezza ed evitare generalizzazioni da una parte e dall'altra, vorremmo su questo aprire un contraddittorio, che abbia come tema il capitalismo nell'attuale fase e le lotte che i proletari di tutto il mondo attuano e possono attuare per la propria liberazione.

Per ora la questione potrebbe essere riassunta così: non dobbiamo vedere il "neo" del liberismo, ma il suo male generale, irriformabile!

Perché‚ questo aspetto dell'analisi teorica, del chiarimento, abbia poi a ricongiungersi con una pratica in parte già operante, ci dobbiamo porre la questione degli strumenti con cui rinsaldare le fila, svolgendo la dovuta critica agli errori nostri e della nostra storia e uscendo dai settarismi che spesso ci hanno caratterizzati. Allora emerge la questione sindacale e dell'organizzazione di classe e dei comunisti, le forme di lotta ecc.

Sulla questione sindacale vorremmo concludere queste brevi note per un dibattito.

Dalle diverse esperienze da cui proveniamo ci portiamo naturalmente simpatie e sospetti per questa o quell'organizzazione sindacale. Oggi come oggi non abbiamo punti di riferimento validi. Molti di noi stanno con l'autorganizzazione, altri sono delegati sindacali CGIL. Dobbiamo affrontare questi nodi, non giudicare in base alle tessere: dobbiamo vedere la sostanza. Con alcuni compagni si faceva questo esempio, tuttora attualissimo, dopo la manifestazione del 18 ottobre scorso. Mentre gli operai, "seguaci dei confederali", si riunivano in assemblee, decidevano agitazioni e scioperi e li praticavano, contro l'attacco allo stato sociale (agivano quindi a livello di base) Cobas, Cobas Scuola, RdB, USI, Comu ecc. si riunivano con una precisa azione da "ceto politico", convocavano qualche parlamentare e avvocato e formavano il "Com. nazionale contro le Privatizzazioni", che non ha nulla di "base", non essendo stati i lavoratori aderenti alle strutture suddette interessati nella costituzione.
Da una parte si scioperava, sia pure al seguito di rappresentanti targati CGIL-CISL-UIL, dall'altra si fanno appelli alla difesa della costituzione. Ora è evidente che responsabilità gravi pesano sulle spalle della triplice, ma è anche evidente che a nulla serve promuovere l'autorganizzazione, se poi questa è staccata dalla classe. E allora è meglio essere dei Cobas o essere avanguardie dei lavoratori, seppure con la tessera confederale in tasca? Come si costruisce un sindacato di massa autorganizzato?
A queste domande dobbiamo provare a rispondere, ma non si può prescindere dai diretti interessati, che non si esauriscono evidentemente nell'esperienza limitata che abbiamo del "mondo del lavoro", ma che sono anche tutti gli altri lavoratori che ancora seguono questo o quel sindacato istituzionale.

La nostra pratica, in parte coincidente con quella di alcune altre strutture, si è mossa in questi ultimi due anni sul terreno della documentazione della lotta di classe e della sua "divulgazione militante". Ossia, raccogliere quegli elementi utili a comprendere come si evolve lo scontro, a dimostrare che la lotta di classe ha un aspetto "oggettivo" e uno "soggettivo", a ridare il giusto peso al primo aspetto, per dare forza alla miriade di piccole lotte di resistenza; e nello stesso tempo riportare questi contenuti all'interno delle lotte stesse, tramite il nostro essere "nella classe" come lavoratori o come compagni, e tramite il veicolare la documentazioni a strutture che in contesti diversi dal nostro perseguivano però gli stessi obiettivi.
La forma assunta dal nostro lavoro è ad alcuni nota: la produzione di un Bollettino delle Lotte, sia in forma cartacea che informatica, dove vengono raccolte le notizie riguardanti le più diverse lotte, e dove si esprimono valutazioni inerenti il contesto in cui esse avvengono e valutazioni su obiettivi e metodi.
La nostra proposta era ed è di far sì che questo strumento trascenda dalla nostra limitata esperienza e si trasformi in un veicolo collettivo. Questo, dopo 3 numeri, si è parzialmente realizzato: ci sono giunte sollecitazioni diverse per il prosieguo del lavoro e offerte di collaborazione, di diffusione ecc.
Abbiamo immaginato e costruito questo Bollettino come uno strumento "trasversale" all'organizzazione di classe sindacale: la base di partenza era ed è, fino a che le cose non evolvono, il militante, l'avanguardia che è tale indipendentemente dalla tessera che ha in tasca ma per il ruolo di organizzatore delle lotte, per il suo essere punto di riferimento dei lavoratori.

Questa scelta è stata dettata da condizioni oggettive: lo stato dell'organizzazione proletaria non permette di riversare le nostre attenzioni su quella più che su questa sigla, come abbiamo brevemente accennato prima.

La nostra proposta è ancora valida e soprattutto aperta al contributo di quanti si rifanno alle questioni qui accennate. In altri precedenti nostri scritti (che i compagni se vorranno potranno consultare presso il nostro sito Web oppure ottenere su richiesta via fax o posta) cercavamo di chiarire punti di partenza e discriminanti per questo lavoro.

Speriamo con queste brevi note di aprire un dibattito a stretto giro di posta (elettronica o cartacea) ma soprattutto di poter costruire collettivamente momenti di confronto e di lotta.
La prospettiva è di misurarci da un punto di vista di classe con le lotte che l'evolversi della crisi capitalistica porta comunque alla ribalta, e che vengono, in assenza dei comunisti, dirette, incanalate dalle forze revisioniste e opportuniste.

In occasione dell'iniziativa nazionale prevista per il 18 ottobre prossimo a Roma, contro l'attacco allo "stato sociale" e contro le privatizzazioni potremmo riuscire a formulare un nostro materiale di propaganda comune che metta sul tappeto le nostre critiche e le nostre proposte.

Saluti comunisti

 Roma, ottobre 1997