Considerazioni sulle modifiche della composizione di classe e il sindacato

Consideriamo l'attuale stato dello scontro di classe tra forza lavoro salariata e capitale in un paese imperialista come l'Italia: molti elementi indicano stravolgimenti nelle condizioni dei lavoratori salariati e della classe operaia in particolare. Ci siamo chiesti spesso in questi anni se queste trasformazioni hanno modificato il meccanismo di accumulazione e quindi di sfruttamento, oppure se si trattava di aggiustamenti strutturale e sociali che, lungi dall'annullare l'estrazione di plusvalore con i mezzi usati dal capitalismo (sfruttamento assoluto e relativo) modificava in realtà la forza della classe operaia, riducendola numericamente e scomponendola al suo interno e negli altri settori salariati (precariato, interinale ecc.) inducendo un numero più o meno grande di intellettuali o militanti della "sinistra antagonista" a cercare altrove il referente sociale. E di conseguenza rendeva più complesso il lavoro di tipo sindacale.

Ebbene, negli ultimi 3 o 4 anni si sono spesso riaffacciati alla ribalta fortissimi movimenti proletari e operai che hanno indicato esattamente che la tendenza alla scomposizione di classe non annulla nè la forza potenziale (data dalla contraddizione tra capitale e salario) nè il dinamismo, ossia la capacità di dialettizzarsi da elemento trainante con le "nuove" componenti del proletariato.

La Francia e gli USA pur con mobilitazioni diverse per composizione di classe e per effetto sociale hanno esemplificato queste tendenze che, guarda caso, gli apologeti di un capitalismo senza capitale a proposito dimenticano. Né l'interesse sta solo nel rintuzzare la stupidità ideologica delle nuove teorizzazioni "post-": si tratta di elementi necessari per capire "dove va" quel capitalismo che oggi ha guadagnato molti sostenitori tra gli ex di varia provenienza e che si rifanno spesso agli USA, per esempio, quando poi è proprio lì che si verificano le più forti lotte contro quel sistema del precariato diffuso che si sta introducendo in Italia.

A distanza di 2 anni dall'analisi delle lotte in Europa che abbiamo realizzato con il Dossier n° 4, oggi tentiamo di esaminare lo stato dei rapporti di forza e delle modifiche che subisce la classe.

In particolare, vogliamo tentare una analisi delle ripercussioni sull'organizzazione sindacale, il modo in cui la composizione di classe genera o meno delle trasformazioni nelle forze sindacali. Prendiamo ad esempio e pretesto dei materiali su Francia e USA, per poi affrontare la questione italiana.

Francia

(Da Le Monde Diplomatique - gennaio 2000)

"Just in Time" è la parola chiave dell’avvenire dell’industria. Parola magica che riduce al minimo l’occupazione e aumenta la produzione individuale. Nuovo sistema di produzione che precarizza il lavoro e disgrega la classe operaia, annientandone la coscienza di classe. Con il consenso dei governi e l’avallo dei sindacati, la nuova economia impone le sue regole e ridefinisce il rapporto tra lavoro e capitale, tra sfruttati e sfruttatori. Si insinua tra vecchi e giovani assunti cancellando la memoria storica delle lotte dei primi e ricattando i secondi con la precarietà del lavoro. Nelle officine Peugeot e Renault di Sochaux e Douai, come anche nelle piccole imprese di sub-appalto, da una decina d’anni ormai si assume solo con contratti atipici e si lavora a ritmi giapponesi. Alle catene di montaggio i tempi sono ridotti all’osso: non c’è più neanche la pausa pranzo.

In Francia la tendenza che vuole ridisegnare le figure sociali per i comodi del padronato e soprattutto della sinistra imperialista al governo sta inventando "l’operatore", il lavoratore che dovrebbe prendere il posto dell’operaio specializzato. Tutti giovani tra i venti e i trent’anni, vengono assunti con contratti a termine, per un obiettivo limitato, con salari e tempi di produzione minimi, con flessibilità d’orari e d’impiego. Al massimo possono aspirare a un rinnovo del contratto. In fabbrica non si socializza più: non c’è ne modo ne tempo. La precarietà economica prima e quella del lavoro poi hanno spaccato la classe lavoratrice. I nuovi assunti non si riconoscono nella vecchia cultura operaia perchè la fabbrica non è più una sicurezza come lo è stato fino agli anni ‘80 e il sindacato è il bastione dei vecchi operai che stringono le poche certezze temendo questo processo di sottoproletarizzazione.

L’omogeneità di riconoscimenti, diritti e salario era il collante della classe operaia. Il problema, infatti, sta proprio nel riconoscimento di quei diritti che agli "operatori" non sono riservati. A Sochaux come a Douai l’operatore svolge le stesse mansioni con tempi e salari minimi. Alla Renault di Douai i tempi di assemblaggio della Scènic sono frazionati in 100esimi di minuto, concentrando così, il più possibile, i gesti utili. E’ la catena che porta i pezzi da assemblare all’operatore - che non si sposta mai sposta dal suo posto operativo - eliminando qualsiasi pausa tecnica. A Douai l’operatore lavora all’interno di un entità autonoma di produzione chiamata UET (unità elementare di lavoro). Ogni UET, formata da circa 30 operatori, controlla autonomamente la propria produzione, mettendo in rigida e obbligata collaborazione gli appartenenti di ogni stessa unità. Ogni distrazione, pausa o assenza anche per malattia di un singolo operatore, ricade sul resto della squadra, che dovrà coprire il buco produttivo dell’operatore "indisciplinato".

Sono l'equivalente delle UTE di Melfi o delle "isole della qualità totale", delle squadrette produttive. I ritmi estenuanti di lavoro inducono sempre più lavoratori a cure antidepressive, ai quali, come da logica perversa, si propone un reintegro nell’unità alleggerito dalle mansioni precedenti e con attività più idonee al suo stato fisico. Sono queste le circostanze che spoliticizzano e pauperizzano la classe operaia francese frammentadola sempre più. Questa frammentazione (tra vecchi operai e "operatori", lavoratori francesi e immigrati), crea corporativismo, oppure lotte di resistenza isolate, a volte capaci di una ricerca di riconoscimento politico-sociale, come ha dimostrato lo sciopero dei lavoratori delle officine di subappalto di Hombach contro una ristrutturazione della fabbrica che avrebbe permesso una riduzione dei tempi di assemblaggio alla catena della Smart city car, del 30-40%, o come fanno i giovani immigrati che trasmettono la memoria storica dei propri genitori sfruttati in fabbrica tramite l’arte (cinema, libri).

La realtà Francese, tradotti i termini propri di quell'esperienza sindacale e politica, è simile a quella italiana. Non si può però dimenticare che la Francia ha espresso tra il '95 e il '98 movimenti di massa rivendicativi molto avanzati, come quello dei lavoratori del pubblico impiego, della sanità, della scuola, e molto duri come quello dei camionisti che oltre a porsi obiettivi immediati avanzati, si sono posti su un terreno di scontro che se da un lato li ha posti duramente nei confronti delle controparti (scioperi a oltranza, blocchi, picchetti) hanno saputo, dall'altro, conquistare la solidarietà pratica degli altri settori sociali. Questo è un insegnamento, un esempio da cui non si può prescindere guardando alle lotte in Francia e paragonandole con analoghe lotte in Italia.

Quindi è vero che possono sorgere nuovi fronti di lotta: anzi questo è auspicabile e deve essere incentivato. Ma essi raggiungono gli obiettivi solo se si inseriscono nel movimento di classe più ampio, non isolandosi o corporativizzandosi. La lotta dei camionisti, per esempio, ha suscitato solidarietà nonostante tra le prime "vittime" degli scioperi ci fosse la classe operaia stessa, le famiglie proletarie ecc. Da noi le giuste lotte dei settori "non operai" nascono spesso già isolate. E' facile fare il paragone con le lotte nel settore dei trasporti in Italia. E' chiaro che questo non è solo un problema di "soggettività" o sensibilità di classe, che pure non deve essere disconosciuto. C'è un problema di organizzazione sindacale, di sindacato di massa, che nonostante i tradimenti delle dirigenze, vive ancora tra la base.

 

Sindacalismo negli U.S.A.

(Da "il manifesto" - febbraio 2000)

Si respira aria di una nuova politica sindacale nell’attuale corso del sindacalismo U.S.A.. Un’aria che fa guardare al sindacato con più simpatia e speranza, secondo gli esponenti della sinistra americana, probabilmente sull'onda dell’entusiasmo della lotta di Seattle e che, ha detta di tutti, si deve anche alla nuova leadership. John Sweeney è l’uomo del rinnovamento che da 5 anni guida l’AFL-CIO, la potente associazione del lavoro che confedera 88 organizzazioni sindacali. Nel 1995, anno della sua nomina, Sweeney si trovò a guidare una associazione che negli ultimi 16 anni aveva perso 5 milioni di iscritti, grazie alla mala gestione del suo predecessore Lane Kirkland: una mano

al declino delle adesioni l’hanno data anche la ristrutturazione industriale, la chiusura di fabbriche e miniere, il calo dell’occupazione grazie agli aumenti di produzione e l’outsourcing in territorio messicano di alcune lavorazioni (maquilladoras). Occorreva quindi sindacalizzare quanti più lavoratori possibile, occorreva allargare la forza lavoro. Ma il già particolare sistema d’iscrizione al sindacato (ci si iscrive solo per interi settori o stabilimenti ecc. dietro voto di maggioranza tra tutti i lavoratori) e il calo di forza lavoro all’interno di comparti notoriamente forti da un punto di vista sindacale (metalmeccanici, automobilistici, trasportatori e dipendenti pubblici) non incentivavano le adesioni.

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Bisognava così ricercare nelle nuove forme di lavoro i nuovi soggetti di lavoratori da sindacalizzare, allargando quindi il raggio del sostegno sindacale dalla tradizionale difesa dei lavoratori "garantiti" all’inquadramento di lavoratori precari o immigrati da sempre messi da parte dalle organizzazioni sindacali. Di buon aiuto è stata la lotta vincente del sindacato dei trasportatori (Teamster) contro l’UPS del 1997, dove i lavoratori "garantiti" hanno lottato per i "non garantiti" che svolgevano comunque lo stesso lavoro a 10 dollari in meno l’ora e senza l’accantonamento per la pensione e la mutua. Da allora in poi il proselitismo sindacale ha sortito i suoi effetti tra categorie restie alla sindacalizzazione: dai 110.000 iscritti di un’altra multinazionale del trasporto ai 16.000 insegnanti di Dallas; dai 35.000 raccoglitori di mele della California ai primi 5.200 lavoratori tessili del North Carolina, regione storicamente antisindacale.

Vittorie come quella contro l’UPS fanno capire che si può penetrare anche dentro categorie difficili che possono essere rappresentate da lavoratori atipici o da nuovi settori, come tra gli informatici (la Microsoft impiega 50.000 lavoratori part-time), o come sta tentando di fare il SEIU (sindacato degli impiegati di servizio) per i lavoratori a domicilio. L’importante, come dicono al SEIU, è essere in continuo fermento organizzativo con mezzi e fondi.

Un’altra importante campagna di proselitismo si è conclusa dopo 12 anni a Las Angeles, dove il sindacato SEIU è riuscito a iscrivere 74.000 lavoratori domiciliari. Ma nonostante questo vortice confortante di cifre, il quadro non è poi così gratificante. L’AFL-CIO registra la stessa adesione di 5 anni fa. Causa ne è la crescita economica che ha determinato una maggiore occupazione con la creazione di nuovi posti di lavoro. A questo punto una riflessone necessita, un interrogativo si fa largo.

Si può davvero parlare di cambiamento di corso?

I Teamsters

E’ guerra aperta nelle "Locals" (sezioni sindacali) dei Teamsters. Riformatori contro conservatori. Sindacato di base contro sindacato di vertice. I "Teamsters for a democratic Union" (riformatori) alle ultime elezioni per il presidente della "Union", hanno subìto la netta sconfitta del loro candidato a favore del conservatore J.P.Hoffa, figlio del più famoso presidente dei Teamsters, nonchè più indagato dagli agenti federali del "RICO" (racket e corruzione) per collusioni con il crimine organizzato e Cosa Nostra. D'altronde i sindacati americani non hanno mai goduto di una buona fama sotto questo punto di vista. Attualmente la maggior parte delle Locals è presieduta da presidenti della vecchia guardia. Locals che in passato sono state indagate dagli agenti federali per speculazioni e appropriazioni di denaro della sezione per fini illeciti dei suoi presidenti o tesorieri. E’ evidente, data la situazione, che ha prevalso la concezione di un sindacato al servizio esclusivo dei propri iscritti - come di norma nella politica sindacale americana -.

Ha prevalso la concezione di sostenere i garantiti, coloro che portano soldi, linfa vitale per chi usa il sindacato come un impresa.

Il morale dei riformatori è basso, ma nonostante tutto si continua a lavorare per elevare le coscienze dei lavoratori, per spostare l’attenzione verso i "non garantiti", perché la lotta del 1997 contro l’UPS non rimanga un episodio. Ma il lavoro di J.Sweeney si presenta difficile anche per le rivalità tra Locals e Union che comunque lo sostengono. Rivalità per motivi tattici, strategici e di tesseramento, come è avvenuto per i 2.000 infermieri (impiegati statali) degli istituti privati nell’Illinois. Sia il SEIU che l’AFSMCE (sindacato degli impiegati municipali), per motivi diversi, rivendicavano la rappresentatività di quella categoria di lavoratori. Riconoscimento che comunque è andato all’AFSMCE. Ma il male che più affligge il sindacalismo americano , lo scandalo, non ha risparmiato neanche l’AFSMCE. A tutt'oggi questa Union deve rispondere di frode e corruzione da parte dei dirigenti.

Siderurgici

B.Carey, rappresentante dei siderurgici, non accetta molto l’etichetta di conservatore, ricordando gli scioperi degli anni ’30 e ’40 e lo sciopero del ’59 durato 119 giorni. Ma erano altri tempi, e altre necessità motivano quella strategia. Oggi accetta il coinvolgimento della base e l’apertura verso altre tipologie di lavoratori, anche se non condivide, secondo quanto afferma, il fatto che Sweeney abbia messo in secondo piano il settore operaio rispetto a quello dei servizi.

B.Carey, rappresentante dei siderurgici, non accetta molto l’etichetta di conservatore, ricordando gli scioperi degli anni ’30 e ’40 e lo sciopero del ’59 durato 119 giorni. Ma erano altri tempi, e altre necessità motivano quella strategia. Oggi accetta il coinvolgimento della base e l’apertura verso altre tipologie di lavoratori, anche se non condivide, secondo

quanto afferma, il fatto che Sweeney abbia messo in secondo piano il settore operaio rispetto a quello dei servizi.

Altra polemica forte si riferisce al summit di Seattle del WTO. Sebbene sia l’USWA che Sweeney fossero tutte e due dalla stessa parte della barricata contro il libero mercato, Carey accusa Sweeney di aver firmato un accordo comune sul libero mercato con Clinton. Quindi l’USWA non voterà il candidato democratico alla vice presidenza Al Gore. Così agiranno pure i Teamsters, ma con diversa motivazione: il sindacato dei trasportatori non voterà mai un candidato democratico e in più è a favore del libero mercato.

 

 Abbiamo visto come due diverse concezioni sindacali si rapportano attualmente con la classe operaia: quella statunitense e quella francese. Tutte e due sembrano invertire la rotta rispetto la loro storia, ma in direzioni opposte. La prima cerca simpatie in quella categoria di lavoratori (immigrati, giovani assunti, part-time ecc.), che per loro natura sono solitamente restii alla sindacalizzazione, con un cambio di mentalità che lo sciopero del ’97 contro l’UPS può aver dimostrato. La seconda invece avalla decisioni di ristrutturazione aziendale che decisamente non offrono garanzie ai nuovi assunti, sollecitando sempre meno la mobilitazione della classe, favorendo una sua attiva integrazione alla produzione. In altri termini, da una parte il sindacato sembra rafforzarsi proprio accettando lo scontro sul terreno della flessibilità, unendo anche i settori più deboli ai più forti; dall'altra esso è vittima della sua accettazione del ruolo subalterno, per cui anche nei settori di classe storicamente sindacalizzati si profilano divisioni - generazionali, razziali, professionali - generate dalla riorganizzazione produttiva e del mondo del lavoro che lasciano indietro il sindacato.

A cura del Centro di Documentazione e Lotta - Roma

Marzo 2000