Il giudice e il suo boia
di Friedrich Dürrenmatt
Feltrinelli
2003 (14a edizione)
Collana Universale Economica
Pagine: 109
Costo: 5.50 Euro
Può un libro così piccolo essere così potente? Possono 109 pagine di una sottile edizione in brossura farsi largo, con forza e autorità, tra altri libri grossi ed imponenti nella loro edizione rilegata?
Bene, se il libro s'intitola "Il giudice e il suo boia" e l'autore è Friedrich Dürrenmatt allora poco più di cento pagine bastano per delimitare un ampio e meritato spazio tra gialli ben più voluminosi e magari più noti.
Questo breve romanzo giallo pubblicato dall'autore svizzero nel 1952, ha una potenza difficilmente eguagliabile, che si fonda su una trama solidissima, su personaggi delineati alla perfezione e su una scrittura ineccepibile.
La classe di Dürrenmatt emerge, tra l'altro, nelle numerose descrizioni che costellano questo libro e che giocano un ruolo attivo nella narrazione. Questi stupendi tratti di scrittura, infatti, sono parti funzionali alla storia e conferiscono alle pagine di Dürrenmatt una grande forza espressiva.
Valgano per tutti due esempi: l'immagine di un mattino a Berna e il rientro in auto verso casa del commissario Bärlach; li cito entrambi qui di seguito.
"Il giorno saliva chiaro e enorme; la sfera bianca del sole proiettava ombre lunghe e recise sulle strade. Come una bianca conchiglia imbevuta di luce, contratta nei suoi vicoli, la città si distendeva al sole, un mostro enorme che partoriva gente, la disperdeva, la inghiottiva, senza tregua. Il mattino era sempre più limpido, uno scudo di luce sui rintocchi delle campane."
"La pioggia si era diradata; nel Muristalden Bärlach si trovò immerso in una luce abbagliante: il sole sbocciò dalle nubi, poi scomparve di nuovo e tornò, nel giuoco burrascoso della nebbia e degli agglomerati delle nubi, mostri che il vento spingeva dall'ovest e che andavano a schiacciarsi contro le montagne, gettando squarci d'ombra sopra la città adagiata attorno al fiume, un corpo inanimato tra i boschi e le colline. Bärlach si passò la mano stanca sul cappotto bagnato; le sue pupille brillarono un istante, godeva avidamente lo spettacolo; la terra era bella."
Della storia è meglio dire poco o nulla perché essa è un gioiello intarsiato del quale il lettore scopre i riflessi uno dopo l'altro arrivando alla visione d'insieme, rivelatrice della complessa bellezza del disegno, solo alla fine.
Tutto parte dalla morte di un valido poliziotto in forza ad un commissariato di Berna, tale Schmied, il quale viene trovato cadavere nella sua auto nei pressi di un paesino nella zona di Bienne. L'uomo è stato ucciso con un colpo alla nuca. L'indagine viene condotta dai poliziotti dell'ufficio di Berna cui il poliziotto apparteneva in particolare dal commissario Bärlach e dal collega di Schmied, Tschanz.
L'indagine è tutt'altro che lineare e viene gestita dal commissario Bärlach con un approccio non condiviso dal più aggressivo Tschanz. Ci sono delle precise ragioni per questa divergenza, ma esse non sono per nulla evidenti in principio.
La trama riserva sorprese, solleva dubbi e ordisce colpi di scena che non danno pace al lettore fino all'ultima pagina. "Il giudice e il suo boia" è un libro da leggere assolutamente. Per farlo però, mettetevi comodi e prendetevi il tempo necessario perché una volta che avrete iniziato la lettura, sarà molto difficile interromperla prima di essere arrivati alla soluzione ultima del giallo.
L'incipit:
"La mattina del tre novembre 1948, nel punto in cui la strada di Lamboing (uno dei villaggi del Tassenberg) esce dal bosco che degrada lungo il vallone del Twannbach, il gendarme di Twann, Alphons Clenin, trovò una Mercedes azzurra ferma sul ciglio della strada. C'era nebbia, come spesso accade nei mattini di tardo autunno; Clenin era già andato oltre ma poi si decise a tornare indietro. Passando aveva gettato una rapida occhiata attraverso i cristalli appannati e aveva avuto l'impressione che il conducente se ne stesse abbandonato sul volante. Pensò che l'uomo fosse ubriaco: era persona normale, Clenin, e ricorreva sempre alle spiegazioni più ovvie. Perciò decise di affrontare lo sconosciuto non in veste professionale, ma così, da semplice amico. Si avvicinò all'automobile col proposito di svegliare il dormiente, di ricondurlo fino a Twann e di fargli passare la sbornia all'Hotel Bären con un buon caffè nero e una minestra calda; perché era proibito, sì, condurre in stato di ubriachezza, ma non era proibito dormire sbronzi in una macchina ferma sull'orlo della strada. Clenin aprì la portiera e posò paternamente la mano sulla spalla dello sconosciuto. Nello stesso istante si accorse che l'uomo era morto."
Una citazione dal testo:
"Bärlach non s'era aspettato quell'incontro, quellanimale enorme, e ora era come paralizzato. Continuava a ragionare freddamente, ma aveva dimenticato la necessità di agire. Guardava l'animale senza paura ma come affascinato. Così il male l'aveva sempre ripreso nel suo cerchio, il grande enigma, una fascinosa tentazione di risolverlo."
Claudio Palmieri, Maggio 2003
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Pagina aggiornata il 23 Giugno 2003
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