LE 4 GIORNATE DI GENOVA

LA CRONACA

 

VENERDI’ 20

 

 

 

 

I genovesi e le centinaia di migliaia di persone arrivate da tutto il mondo si svegliano al rumore degli elicotteri che sorvolano la città. Per tre giorni sarà l’ultimo suono che sentiranno prima di addormentarsi ed il primo, ancora prima di svegliarsi. Nella notte, intanto qualcosa è cambiato e si vede subito: sono spuntati serie di container che delimitano piazza della Vittoria e strade adiacenti, un’estensione di fatto della zona rossa non annunciata e realizzata anche con cordoni di camionette e uomini schierati. Avrebbe dovuto essere la giornata della disobbedienza civile, delle piazze tematiche e dei “gruppi di affinità” che, ognuno secondo le proprie strategie e le proprie motivazioni, avrebbero provato ad assediare simbolicamente o materialmente la “zona rossa” dove si sono asserragliati gli otto uomini più potenti del mondo. Ma lo spiegamento di forze che impedisce anche solo di avvicinarsi in certi punti alla zona rossa ha già decretato il fallimento del programma di una giornata, messo a punto in infinite riunioni tra tutte le componenti del movimento e infinite trattative con le autorità. Ci sono la Rete Lilliput, Legambiente e la Banca Etica che alle 10 si ritrovano in piazza Manin; Attac, la Pink March, le European Coalitions e Globalize Resistance alla sede di Punta Vagno del Genoa Social Forum; ancora Attac, Arci, Rifondazione Comunista, Lila, Fiom. Tavola della Pace, Jubilee South arriveranno a piazza Dante a ridosso della recinzione della zona rossa a Piazza Carignano; da Piazza Paolo da Novi si muoveranno invece i Cobas e la piazza del lavoro dei Work Square, mentre i disobbedienti civili delle Tute Bianche, con i Giovani Comunisti e No Global Rage, partiranno dalla loro base dello Stadio Carlini; un corteo di lavoratori dei Cub, infine,partirà dal ponente della città alle 14. E’ il palinsesto di una giornata che andrà a rotoli quasi da subito, perché come dal nulla appaiono loro: tra i gruppi di manifestanti cominciano a gironzolare alieni tutti vestiti di nero, hanno il viso coperto e non danno confidenza a nessuno, parlano poco anche tra di loro ma sembrano sapere molto bene cosa fare. Fra loro tedeschi e francesi, inglesi e spagnoli ma anche molti italiani. Molti sono giovanissimi, parecchie le ragazze. Tutti presi dalla loro lugubre estetica paramilitare si esibiscono persino in uno show di sbandieratori e in marcette scandite dal suono di una banda di tamburini. E’ il Black Bloc, un nome che la maggior parte dei manifestanti non ha mai sentito, ma che impareranno a conoscere sulla loro pelle (letteralmente) prima di sera. E’ “l’oggetto politico non identificato” che un movimento fatto di circa 800 associazioni non ha potuto intercettare, decodificare e isolare. E dal quale non è stato difeso da chi doveva garantire la sicurezza della stragrande maggioranza dei dimostranti pacifici. In una protesta che ha tutti i colori dell’arcobaleno, devono aver pensato in molti, in fondo ci può essere spazio anche per questo nero. Ma a quelli non gliene frega niente della zona rossa e del G8. E neanche dell’anti G8. Vogliono solo spaccare quello che, a caso, incontrano sul loro cammino: banche, supermercati, negozi, seguendo una logica puramente simbolica, in una specie di reazione allergica al logo commerciale che sembra quasi nascere da un effetto di sovraesposizione. Tutto questo anche se molti di loro calzavano scarpe Nike. Si dice siano “anarchici insurrezionalisti” ma tra loro viene segnalata anche la presenza di naziskin. E non si contano le testimonianze di coloro che giurano di aver visto alcuni di loro in ottimi rapporti con le forze dell’ordine. Perché non sono stati fermati? Si chiedono in molti. Una risposta che non sa darsi neanche quel poliziotto che ha ammesso alla “Gazzetta del Lunedì”: “E’ inspiegabile. Di certo potevamo isolarli dopo poche ore, ma non è stato fatto. In piazza Corvetto, per esempio, avremmo potuto accerchiarli con facilità e non è stato fatto. E dire che erano riconoscibilissimi”.

 

 

Ore 11.00

 

Il primo corteo comincia a muoversi in direzione del centro.

 

 

Piazza Dante – ore 12 circa

 

Il corteo dell’Arci, di Attac, della Fiom e della Lila, con in testa Vittorio Agnolotto, giunge a ridosso della grata di protezione alla zona rossa. Dopo qualche tentativo poco più che simbolico, di assaltare la barriera, subito respinto dagli idranti, si fa marcia indietro verso piazzale Kennedy. Ma è proprio allora che sul serpentone pacifico e in ripiegamento vengono sparati inspiegabilmente dei lacrimogeni.

 

<Nessun pericolo. Al centro della piazza distribuiscono specchi per abbagliare i militari. Un gruppo sotto i porticati, prepara un lenzuolo di palloncini colorati che innalzeremo oltre la cortina e che andrà a colpire il mezzo blindato che spinge una grata verso il cancello, unico varco.Qualcun altro risponde ai getti d’acqua ( che ci fanno immenso piacere visto che quel giorno è caldissimo) con bombe d’acqua. Senno che guerra è? Dopo aver studiato la folla variegata, alcuni militari coperti dal casco si avvicinano alle grate che da qualche ora venivano usate come percussioni e dalle quali si urlava “siete ridicoli”.All’improvviso avanzano mani che impugnano bombolette a spray al pepe, mirando agli occhi dei manifestanti. Pochi sono colpiti ma in modo serio. Ho visto un giovane non riuscire ad aprire gli occhi due ore dopo. Non ci piace. “Bastardi!”n grida qualcuno. E non hanno tutti i torti. Noi usiamo specchi, cartelloni, palloncini, fischietti e aerei di carta che non fanno male a nessuno. Qualche specchietto e qualche bottiglia allora volano oltre il muro. Alle 16.30 Vittorio Agnolotto, presente con noi fin dal mattino,vedendo l’arrivo di altri gruppi, invita alla calma:”Siamo in 6-7000: in questa piazza non siamo attrezzati per subire l’assalto della polizia.”. Nessuna vetrina rotta, nessun segnale divelto. L’incidente più grave che abbiamo provocato oltre ad aver rotto il lucchetto del cancello del muro, che comunque non potevamo oltrepassare, è stato quello di aver coricato la paratia innalzata davanti al cancello, a 5 metri di distanza ( forse avevano paura che giocassimo all’ariete per invadere la zona rossa). Ore 17.30. Ci incamminiamo verso piazzale Kennedy dove ci incontreremo con gli altri cortei e avrà luogo una conferenza stampa. Il corteo si muove e comincia a defluire ordinatamente dalla piazza. Noi ci troviamo oltre la metà del corteo. Poco prima di lasciare la piazza i militari ci attaccano senza nessun motivo con i lacrimogeni. La paura si diffonde, tutti scappano. I  lacrimogeni lanciati dai tetti dei palazzi arrivano anche nella via che risalivamo.Accendono le sirene, sembra che vogliano caricarci. Si sentono potenti loro, dietro le barricate e armati fino ai denti… I pochi chilometri di marcia ci aiutano a sbollire la rabbia cresciuta dopo quella provocazione. Perché l’anno fatto? Incontriamo file di container messi lì, probabilmente per chiudere le strade se la situazione fosse degenerata. Ci sfoghiamo usandoli come enormi bonghi. Intanto guardiamo Genova: le case hanno le tapparelle abbassate fino al secondo piano, pochi i genovesi rimasti, qualcuno mostra il poster del Che Guevara, simbolo di qualunque rivoluzione. Si applaude. Arriviamo in piazzale Kennedy rasentando un gruppo di 200 militari a cui fischiamo. Nessun disordine. Finchè non arriviamo in piazzale Kennedy Lì sono passati i neri demolendo le due banche al di là della strada. Completeranno l’opera il giorno successivo. In piazza ci sediamo e, come una doccia fredda, arriva la notizia di un morto.Gli altri cortei, Sindacati in piazza Paolo da Novi, Rete Lilliput, Botteghe del commercio Equo e solidale, Marcia delle Donne e Legambiente in piazza Manin sono stati attaccati dai militari, senza distinzione tra violenti e non, con manganelli.

(Luca Paseri)

 

 

 

Coso Buenos Aires e adiacenze – ore 12 circa

 

Hanno inizio i primi scontri. Il Black Bloc, nemmeno un centinaio di persone in questo caso, approfitta della presenza del corteo dei Cobas per cominciare a demolire le aiuole e attaccare le banche. Primo lancio di lacrimogeni che sposta i disordini solo al prossimo incrocio. I cassonetti vengono incendiati, le campane per la raccolta del vetro diventano arsenali di proiettili per la preparazione delle molotov.

A questo punto i “neri” si separano: un troncone attraversa il tunnel della ferrovia e si dirige verso la Valbisagno, dove darà l’assalto al carcere di Marassi. L’altro prosegue gli scontri in un quadrato di vie, fra Brignole e la Foce. Momenti di paura per un gruppo di carabinieri, il cui cellulare blindato rimane per qualche motivo indietro rispetto al gruppo degli altri mezzi. Assalito da ogni parte, viene, infine, dato alle fiamme dopo essere stato abbandonato dagli occupanti. Ma è subito dopo, quando in zona arriva il corteo delle Tute bianche, immediatamente attaccato dalle forze dell’ordine, che la situazione diviene totalmente incontrollabile.

 

 

 

Piazza Manin – ore 13

 

E’ la sede della piazza tematica della Finanza Etica. Si muove lo spezzone forse più pacifico in assoluto: Rete Lilliput, Legambiente,Marcia delle Donne, Botteghe eque e solidali, genitori col figlioletto sul passeggino cercano di avvicinarsi alla rete per stendervi una fila di quelle mutande lavate, aborrite dal presidente del consiglio e vietate da un’ordinanza del sindaco nei giorni precedenti. Con loro ci sono i Pink, “l’ala creativa” del movimento si sarebbe detto un tempo: delle specie di drag queen colorate e rumorose, che hanno come armi, fiori di carta, parrucche e boa di struzzo. In fondo a via Assarotti, un cordone di polizia impedisce di giungere alle grate. Ma l’atmosfera è ancora serena: arriva una specie di supereroe in mantello arancione che comincia a parlare con un graduato baffuto che lo ascolta divertito. Arrivano anche Franca Rame e Don Gallo, accompagnati da Sergio Cusani in divisa da carcerato.”Come si fa a dialogare con le sbarre?” si chiede il prete e invita tutti ad armarsi di creatività. Viene negoziata la possibilità di aggirare il cordone in fila indiana per “andare a toccare con mano il muro della vergogna”. Permesso accordato: sulla recinzione comincia a fiorire una vegetazione di striscioni, fogli e indumenti. Il corteo viene fatto defluire verso la vicina piazza Marsala, dove tenta un secondo pacifico assedio. Un ragazzo che si arrampica sulla grata viene fatto bersaglio del getto d’idrante dell’autopompa della forestale, piazzata dall’altra parte dello sbarramento. Riesce a resistere qualche secondo tra gli applausi generali.

 

 

 

Ore 14.20

 

Quando tutti stanno già ripiegando per tornare verso Manin partono i primi lacrimogeni, che scatenano un fuggi fuggi verso la circonvallazione a monte.

 

< Da questo momento in avanti i fatti si succedono rapidamente: cominciano a circolare voci secondo cui gli anarchici sarebbero diretti verso la zona del nostro corteo; già in piazza Marsala- da cui però siamo distanti- pare stia succedendo qualcosa. Vi eravamo entrati in quattro poco prima, a dare un’occhiata, ma, vista la massiccia  e minacciosa presenza della polizia, ci eravamo prontamente ritirati da quella trappola. Il resto del gruppo, già risalito fino a Manin , ci chiama concitato pregandoci di ricongiungerci in fretta, perché il gruppo dei violenti è arrivato in piazza. Abbiamo giusto il tempo di raggiungere l’incrocio in cima a via Assarotti: c’è un elicottero che vola bassissimo, sopra una folla di persone con le mani dipinte di bianco rivolte verso l’alto. Sento gridare “No, no”, ma non capisco, lì per lì, quello che sta succedendo. Poi è l’inferno: vedo gente terrorizzata corrermi addosso e poi sparpagliarsi in tutte le direzioni, tra le urla, il fumo dei lacrimogeni. Lì per lì, istupidita, colgo al volo un avvertimento confuso: “Via via, stanno caricando”. Intanto ho perso i compagni, ma uno mi vede, torna indietro e mi guida giù per la scalinata laterale, dove già scorre impazzito un fiume di gente. Temo di essere strattonata nel parapiglia, cadere e farmi male, così salgo sui muri di contenimento laterali. Nella calca ho perso nuovamente il compagno, mi giro e vedo una donna con la testa spaccata e copiosamente sanguinante a un metro da me, in preda allo shock e in totale stato confusionario. La portano via sulle spalle. Anche ascoltando la gente esterrefatta attorno a me, comincio a realizzare: la polizia ci ha bombardato con i lacrimogeni e poi ha caricato la folla pacificamente protestante in piazza Manin senza alcun motivo, ha aggredito donne con bambini di sette- otto anni che gridavano atterriti e distrutto tutto quello che ha trovato sulla strada. Gli anarchici , pere, siano ancora tutti lì, a Manin sembra che torni un minimo di calma. Io e il mio compagno tentiamo di ritrovare gli altri. Ce la facciamo. Pare che la polizia abbia lasciato libero il varco per uscire dalla piazza verso corso Montegrappa. Andiamo. Due minuti e c’è un’altra carica. Dobbiamo andarcene alla svelta, se non vogliamo prendere delle botte: però non sappiamo dove scappare perché davanti a noi si dice ci siano il gruppo di “picchiatori e spaccatutto”, mentre Manin è un inferno di gas. Un ragazzo mi supera di corsa e chiede ad un signore di farlo entrare nel portone. In corso Montegrappa restiamo bloccati per quasi un ora, senza via di fuga e senza possibilità di palare con nessuno, dato che è impossibile telefonare sulla rete urbana e chiedere notizie fresche. Ci passa davanti persino un gruppo di “facinorosi” con mazze e spranghe, assolutamente indisturbati e sicuri del fatto loro: ci guardano poi vanno a sfasciare cassonetti e campane 50 metri più in là. Grazie ai suggerimenti di persone del posto e agli amici che ci chiamano, alla fine riusciamo a infiltrarci giù per una scalinata che ci porterà fino allo stadio e da lì a Terralba, San Martino e Borgoratti. Qui, in prossimità dello stadio Carlini, apprendiamo da un manifestante che hanno ammazzato un ragazzo.

(Camilla Ferroni)

 

 

Ore 15.00

 

Senza troppi danni e a ritmo di samba tutti hanno riguadagnato piazza Manin luogo di partenza. Mentre i vari gruppi si riuniscono per stabilire il da farsi, cominciano ad arrivare le avanguardie del Black Bloc che, reduce dall’assalto al carcere di Marassi, proviene dalla Valbisagno, sospinto a passo d’uomo da un reparto della polizia. Per un attimo lo spettacolo è straziante: ragazzi armati di bastoni e dal volto coperto ciondolano tra coetanei seduti per terra con le mani alzate. Dura poco. Subito si alzano le parabole dei lacrimogeni e parte la carica della polizia che spazza tutto. Si salva solo chi ha l’istinto di buttarsi su per le “crose” che salgono verso il Righi, sempre incalzato dai Blocker, che durante la ritirata danneggiano e danno alle fiamme auto e cassonetti. Chi si è spinto in collina raggiunge un istituto femminile gestito da suore, che con la canna dell’idrante danno sollievo ai volti arrossati dai gas. Sotto si alza il fiumo delle auto incendiate e il vento porta a tratti, l’odore pungente dei lacrimogeni.

 

< In piazza Manin era regolarmente autorizzato il raduno di ambientalisti, scout, gruppi femministi, Lilliput, Gsf. Nessun anarchico insurrezionalisti era presente. La manifestazione era assolutamente pacifica e senza tensioni. Don Gallo, insieme a Franca Rame, era riuscito a mediare con il colonnello responsabile delle forze dell’ordine schierate a quaranta metri dalle cancellate, in fondo a via Assarotti, la possibilità di avvicinarci in fila indiana alle cancellate stesse e di affiggere cartelli e striscioni, cosa che è stata fatta in un clima relativamente calmo. Analoga situazione in piazza Marsala dove dopo qualche momento di tensione si è assistito anche ad episodi di fraternizzazione tra poliziotti e manifestanti. Improvvisamente provenienti da via Montaldo, alcune decine di Black Bloc, sono arrivati in piazza Manin, seguiti a poche decine di metri di distanza da una squadra di circa 15 poliziotti.. Appena arrivati in piazza questi ultimi iniziavano un lancio di lacrimogeni provocando la fuga disordinata di molti presenti, mentre il gruppo di Lilliput, rimasto compatto bloccava sia al Black Bloc che ai poliziotti l’accesso a via Assarotti, alzando le mani dipinte di bianco. Black Bloc e poliziotti sfilavano lungo questa barriera umana ( e qui cominciavano le prime manganellate ai pacifisti), poi i due gruppi, distanziati da alcune decine di metri, imboccavano corso Armellini, dove incominciavano gli atti di vandalismo. A questo punto gli anarchici erano chiaramente separati dai manifestanti che si erano dati alla fuga e, all’altezza di piazza San Bartolomeo degli Armeni, con i cassonetti e le campane di vetro rovesciate facevano una barricata da dove cominciavano un fitto lancio di bottiglie verso i poliziotti sopraggiunti dopo alcuni minuti. Questi avanzavano in gruppo compatto ed ordinato fino alla barricata, ma giunti nei suoi pressi invece di inseguire i Blockers, chiaramente distinguibili e rimasti gli unici occupanti del corso, su comando del caposquadra si fermavano e compatti deviavano verso la piazza San Bartolomeo dove aveva trovato rifugio un gruppo di pacifisti, in maggior parte donne e ragazze, assolutamente inermi e senza vie di fuga e due signore anziane di passaggio. Il comandante del plotone faceva allontanare le due signore e poi dava ordine di colpire i pacifisti.Una delle ragazze pesantemente picchiata, era stata strappata con forza al gruppo e portata via. La polizia scendeva quindi verso via Assarotti  dove altre testimonianze raccontano di ulteriori aggressioni ai manifestanti presenti, nonostante, lo ricordiamo, fossero autorizzati ad occupare quella strada e avessero atteggiamenti assolutamente pacifici, anche verbalmente. Nel frattempo i Blockers continuavano, indisturbati la loro opera di distruzione lungo corso Solforino, mentre la presenza di un'altra squadra  di forze dell’ordine, alla fine di questo corso e pochi uomini posti a presidiare la salita di San Rocchino, avrebbe permesso facilmente di “Bloc-carli” in  odo definitivo, soluzione realizzabile senza difficoltà se solo si fossero voluti spostare lungo via Bertora e via Palestro parte degli uomini schierati in difesa della zona rossa, alla fine di via Assarotti e in piazza Marsala. Questa operazione sicuramente si sarebbe potuta realizzare anche in accordo con i dimostranti che, preoccupati dal preannuncia dell’arrivo dei Black Blockers, avevano già sgombrato la parte alta di via Assarotti, temendo di rimanere chiusi tra la polizia e gli anarchiciSiamo certi che la polizia schierata in piazza Marsala era a conoscenza dell’arrivo dei Neri, in quanto ha collaborato allo sgombero della zona dei dimostranti. Peraltro, durante le devastazioni in corso Solferino nessun militare ha lasciato la propria posizione a difesa della zona rossa.

(Federico Valerio)

 

 

 

Ore 16.45

 

Chi si è rifugiato in alto comincia a  ridiscendere verso corso Solforino. La carica è stata breve e non portata in profondità, ma si è accanita su ragazzi con le mani alzate, parlamentari e giornalisti. Così, poco più in là, i “neri”  hanno tutto il tempo di riorganizzarsi ai giardinetti. Lungo tutta la strada altre scene surreali: un gruppetto di genovesi rimprovera degli sfasciacarrozze italiani. “Abbiamo incendiato solo le auto più costose” si difendono questi, “non è vero e poi avete distrutto la macchina di una persona Handicappata. Adesso come farà ad andare a lavorare?”. “Non lo sapevamo…” rispondono.

 

 

 

Piazza Alimonda – ore 17.20

 

Gli scontri proseguono da ore e non coinvolgono più solo il Black Bloc, quando si verifica la tragedia e il popolo di Seattle dovrà contare il suo primo morto.

Carlo Giuliani, 23 anni, di Genova, viene ucciso dal proiettile di un carabiniere che spara dall’interno di una Land Rover presa d’assalto dai dimostranti. Immediatamente, i carabinieri fanno cordone attorno al corpo, nascondendolo alla vista, mentre la gente folle di rabbia, li incalza al grido di “assassini”. Qualcuno tenta di accreditare la versione di una morte accidentale, magari per mano degli altri dimostranti, ma non regge: sul sito di “Repubblica” è già pubblicata la sequenza fotografica che inchioda l’Arma a quanto è accaduto. Carlo è stato raggiunto dal proiettile sparato, da una mano chiaramente visibile, dal lunotto posteriore sfondato della vettura, in direzione del quale il ragazzo stava scagliando un estintore. Steso a terra è stato poi travolto dalla stessa camionetta che faceva marcia indietro. L’autopsia accerterà che in quel momento era già cadavere, anche se poi lo sarebbe ugualmente diventato visto che la camionetta lo calpesterà sul collo. Nel punto esatto della sua morte, segnato da una macchia di segatura, si viene a creare una specie di monumento funebre spontaneo, Un sacrario completo di foto del defunto, che sembra vivere di vita propria e si arricchisce di ora in ora  di fiori, poesie, magliette, testimonianze (“Io non ti conoscevo ma mio padre ti è stato professore. Oggi l’ho visto piangere”), caschi, lumini ricavati dalle cartucce lacrimogene sparate e altri “residuati” della battaglia. Intorno, una piccola folla silenziosa si dà il cambio a qualsiasi ora del giorno e della notte, molti hanno gli occhi lucidi. Qualcuno ha già cambiato con il pennarello la targa della piazza: da oggi piazza Carlo Giuliani, ragazzo.

 

 

 

Ospedali San Martino e Galliera – ore 23 circa

 

Un giro ai Pronto Soccorso dei due principali ospedali genovesi fa registrare un bilancio della giornata di 100 accessi, di cui 26 ricoverati. 50 manifestanti, 30 carabinieri e 8 giornalisti. Al San Martino. In un angolo quattro ragazzi di Lecce: uno medicato alla testa, racconta di essere stato ferito da un lacrimogeno  sparato ad altezza d’uomo appena uscito dalla stazione Brignole. Una ragazza piange: hanno tutti paura di essere acciuffati e picchiati appena messo piede fuori dall’ospedale, non se ne andranno finche non trovano qualcuno che li accompagni. Al Galliera 78 accessi e 13 ricoveri  di cui il più grave è un ragazzo a cui è stata asportata la milza.