L'amicizia - Cicerone


 

“Chi osserva un vero amico, osserva un’immagine di se stesso. Per questo gli assenti diventano presenti, i poveri ricchi, i deboli forti e, cosa più difficile a dirsi, i morti diventano vivi; tanto li segue l’onore, il ricordo, il rimpianto degli amici.”

                                                                                           (da”L’Amicizia” cap. 23)                    

IL LIBRO

E’ un libro, redatto in forma di colloquio in cui i generi di Lelio (Fannio e Muzio Scevola) interrogano il suocero sul significato e il valore dell’amicizia quali da lui sono intesi dopo la morte dell’amico Scipione l’Emiliano, legatissimo a Lelio.

Cicerone traduce la propria opinione dell’amicizia in forma decisamente aristocratica ed elitaria: prendendo ad esempio Scipione, sottolinea che “l’amico” deve essere innanzitutto un uomo virtuoso, un soggetto cioè dotato di cultura, alte qualità morali, disinteressato, con elevato senso di attaccamento alla patria e alla famiglia. Di conseguenza l’amicizia non può nascere che tra persone di elevata coscienza morale; questo giustifica la frase di chiusura del libro per cui senza queste doti “non può esservi amicizia ed è da ritenere che non ci sia niente di più prezioso di essa”.

Nel libro, ricorrendo a molti esempi storici e letterari o al comportamento in vita di Scipione si evidenziano i valori dell’amicizia (“eccettuata la sapienza non è stato dato all’uomo dagli dei immortali niente di meglio di essa”) e alcune regole e principi che dettano il comportamento dell’amico: esclusione di ogni invidia e concorrenza per il potere e le cariche pubbliche, non ostentazione della ricchezza, disponibilità al soccorso in ogni circostanza, convincimento profondo di elargire con l’amicizia il proprio amore ed affetto.


L'AUTORE

La fama di CICERONE (Arpino 106-43 a.c.) è legata alle orazioni, alle opere di retorica e all’attività di politico che per decenni gli consentì di primeggiare nelle cariche pubbliche e in alcuni conflitti che lo videro essenziale protagonista.

Le sue fortune declinarono con il primo triumvirato essendosi trovato sul versante sbagliato (Pompeo) per cui decise il suo ritiro dalla politica sino alla dignitosa morte nelle mani dei sicari di Antonio; nella quiete della campagna arpinate si dedicò alla riflessione filosofica scrivendo tra l’altro, oltre All’Amicizia (Lelius de amicitia) anche un trattato sulla vecchiaia (De senectude).



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