ARCHITETTURA
CIVILE IN GALLIPOLI
TRA
NOBILTA' E BORGHESIA
Tra
i molteplici aspetti singolari per cui la Città di Gallipoli si connota,
pur all’interno di un territorio salentino caratteristico per conformazione
fisica e per ricchezza di memoria storica e rilevanza artistico-culturale,
vi è anche quello di essere stata da sempre, si può dire, progettata e
costruita quale roccaforte militare cui fu affidata la difesa dei suoi
cittadini ma ancor più quella dei confini del Regno di cui restava l’ultimo
estremo baluardo di difesa.
La Città già dal IX secolo era
stata compressa nel breve circuito delle sue mura(1), praticamente
isola, vigile scolta armata sul mare, e su queste sue caratteristiche
andò sviluppandosi per tappe successive ed in un crescendo esaltante ed
epico, quanto spesso drammatico e cruento, un sentimento collettivo di
onore e di valore quali virtù al servizio del proprio re.
Quella fidelitas che, insegna invidiata e temuta nei secoli della città
fedele, tale formalmente riconosciuta ed affermata dal XVI secolo (2),
maturò soprattutto attraverso le terribili esperienze dell’assedio angioino
del 1268 e di quello veneziano del 1484, che raggiunse toni epici altissimi
per l’alto valore e per l’estremo coraggio dimostrati.
E le alte e solide mura con progredita
tecnica innalzate dagli aragonesi contribuirono certamente a rinsaldare
gli animi di una communitas più
fiduciosa di poter accrescere il proprio valore nel segno di una nuova
rinnovata fedeltà all’aragonese che aveva saputo affrancare la Città
dalla dipendenza dal Principe di Taranto rendendola soggetta al solo re.
Nasce in quegli anni e si sviluppa
la nuova organizzazione civica attraverso la strutturazione in ottine(3) della sua popolazione
secondo un principio strettamente gerarchico anche in funzione di difesa
dei bastioni e delle mura, ma soprattutto di governo della univer~it.as con al vertice la nobiltà, guida ed esempio per il popoio
ma soprattutto garanzia di fedeltà al proprio re, cui spettavano nella
concordia delle classi le prerogative e le funzioni del potere civico
con il General Sindaco in testa, custode delle chiavi della porta e dei
bastioni della Città.
A quegli anni data pure lo svilupparsi
all’interno del suo circuito bastionato secondo i canoni del tempo mutevoli
con il progressivo passaggio dalle armi da lancio al cannone via via
più potente, una fitta trama urbana di vie e di abitazioni intricatissima,
correlata alle necessità della difesa molto più che alle esigenze di un
pratico ed ordinato sviluppo urbanistico,
con rinuncia assoluta ad ogni appariscenza architettonica e decorativa,
nello spirito di austera funzionalità strutturale.
Soprattutto la nobiltà privilegiò per la propria dimora la struttura difensiva
con lo scopo specifico di sottolineare le funzioni proprie del rango
e quelle più generali del proprio ruolo militare in ambito urbano fortificato,
nel cui contesto strategico è pensabile si collocasse perciò anche la
struttura civile, tanto più emergente, anche in rapporto alla articolazione
degli spazi urbani, quanto più gerarchicamente rilevanti furono le funzioni
ed i poteri.
È la
necessità di suddividere tra tutti i cittadini i complessi No- ed impegnativi
compiti della difesa che porta a selezionare gli individui tutti sottomettendoli ai propri capi, « organico insieme di
uomini gerarchicamente ben distribuiti, modello di una società ben conformata
»
Per tutto il XVI secolo perciò
l’attività costruttiva militare, che sarà intensa in tutta la provincia
per portare a termine i programmi di fortificazione del territorio, di
fronte alle minacce soprattutto dell’armata turca, in Gallipoli connoterà,
pur per la presenza di numerosi architetti militari, anche l’architettura
civile che si andò sviluppando secondo canoni standardizzati e secondo
una linguistica volta alla esaltazione delle masse costruttive resa attraverso
la realizzazione di alte muraglie chiudentesi su di un ampio portale di
influenza catalano-durazzesca e entro cui si apriva generalmente un vasto
cortile.
Con la evidente funzione della
moltiplicazione dei fronti che impossibilitati ad aprirsi verso l’esterno,
e per necessità difensive e per economia di spazi urbani, assicurassero
luce e prospetto ai comparti abitativi e delimitassero un ambito comune
di attività quotidiana vivibile nell’intimità familiare.
È fuori delle mura civiche il
nemico e psicologicamente è anche fuori delle mura familiari, che in
un contesto difensivo ben rappresentano il riparo capace di rasserenare
gli animi ed affrancarli da ogni timore e paura, ultimo rifugio, il più
dolce e rassicurante, oltre il quale non v’è ulteriore possibilità di
salvezza.
Anche
la struttura abitativa delle classi soggette o intermedie risentì di
questa impostazione ideologica e l’abitazione si sviluppò generalmente
su due piani, dove il contatto con l’ambiente stradale esterno era realizzato
esclusivamente per mezzo di un mignano,
sorta di balcone sporgente montato su mensole dalle svariate forme
fito-antropomorfe, dai chiari archetipici contenuti magico-esorcistici,
con un riferimento costante spaziale non solo di dipendenza gerarchica
bensì anche psicologica verso il centro, dove sorgevano i più grossi comparti
architettonici di chiara appartenenza nobiiare ergentisi lungo l’asse
centrale, nel cuore stesso della Città in cui era stato posizionato l’ultimo
rifugio e speranza dei deboli, il Duomo casa di Dio unica salvezza.
Gallipoli più di ogni altro centro
visse questa condizione di Città fortificata di confine che segnò profondamente
(6) per tutto il XVII secolo non solo la sua strutturazione urbanistica,
con conseguente condizionamento del decoro architettonico, ma anche la
stessa condizione ed i rapporti sociali tra le classi, che non furono
mai turbati da rivalità sia pure apparenti di facciata quali potevano
esprimersi nel fasto degli elementi decorativi ostentati in altri luoghi
in rapporto alla propria condizione sociale.
Il ruolo della nobiltà fu sempre
da tutti riconosciuto ed accettato e se l’emergenza strutturale edilizia
andava interpretata quale chiaro segno di potere e di preminenza economica,
non innescò, mancandone le ragioni e gli stimoli, apparenti meccanismi
di emulazione e confronto, essendo rimasta ogni sia pur limitata nuova
evidenza strutturale-architettonica circoscritta nell’ambito della stessa
classe di potere.
Sporadiche perciò furono nel
‘600, e tutte circoscritte al primo decennio, le manifestazioni più evidenti
di decoro architettonico non propriamente riportabili ad una tipologia
costruttiva militare, bensì riferibili alla nuova concezione urbanistica
rinascimentale della dimora signorile, con richiami architettonici romani
classici, ora espunti dai trattati pignoleschi(7) ora assemblati
con le più disparate tecniche e motivi tardo quattrocenteschi e protobarocchi(8).
Ma in sostanza se l’allontanarsi
graduale della morsa militare apparentemente poteva sembrare .dover aprire
ad una nuova edilizia abitativa più disponibile, sia pure moderatamente,
verso l’esterno, in effetti non mutò la tradizionale tendenza a chiudersi
verso l’interno col rifiuto quasi metodico di ogni appariscente decoro
ediizio.
Mancò d’altronde la materia prima,
quella bianca e tenera pietra leccese che una miriade di artefici avevano
imparato sapientemente a lavorare in un tripudio parossistico di forme
e di movenze inserite nel contesto urbano quale nuovo fantastico arredo
dal geniale estasiante risultato scenografico.
Qui in Gallipoli trionfa invece
il carparo, una dura pietra calcarea tufigna i cui granuli spessi ben
poco consentono in termini di complessa ed elaborata resa plastica.
Eppure il ‘600 vide in Gallipoli
una intensa attività edilizia affermatasi con la erezione della nuova
sontuosa Cattedrale e incessantemente continuata con la costruzione del
Convento e Chiesa di S. Francesco di Paola, della Chiesa della Purità
e di quella delle Anime, del Convento e Chiesa delle Teresiane e della
Chiesa dei Domenicani, mentre la Chiesa dei Riformati aveva rinnovato
proprio all’alba del secolo la propria struttura achitettonica ed il
1615 era stato innalzato l’oratorio dei nobili al dl sopra dell’aragonese
Chiesa di S. Angelo.
Ma le motivazioni sono chiare,
scaturite da spinte tontroriformistiche che comunque non arricchirono
ulteriormente l’arredo urbano poichè nudi ed insignificanti furono i
loro esterni quanto magnificente e sovrabbondante la decorazione degli
interni, per i quali molto lavorarono Giandomenico Catalano e Giovanni
Andrea Coppola.
Fece eccezione solo il fronte
della Cattedrale che, ultimato il 1696, l’architetto Giuseppe Zimbalo
chiuse verso il cielo tersissimo con delicato decoro dalla meravigliosa
fantasia spaziale, sviluppato mercè l’inserimento propizio della duttile
pietra leccese.
Ma tant’è l’esempio era già dato.
Di fronte al pericolo paventato dalla paura nata sulle spinte riformistiche,
la Chiesa Cattolica aveva affidato le proprie possibilità di ripresa
e di riaffermazione del proprio primato soprattutto alla struttura edilizia
ed al suo arredo.
Gallipoli viveva sul declinare
del ‘600 un periodo di grande splendore propiziato dai lucrosi traffici
oleari che avevano imposto su tutti i mercati europei il prodotto gallipolino,
portando benessere e prosperità economica a tutte le classi sociali,
evidenziando l’attestarsi però, sempre più a livelli emergenti, di quella
borghesia che ai traffici commerciali aveva legato le proprie fortune,
fino a raggiungere nel giro di pochi decenni posizioni economiche di
prestigio tali da insidiare le prerogative e le funzioni di potere della
ormai esausta nobiltà locale.
Fu
allora che a datare dal terzo e quarto decennio del XVIII secolo in ambito
architettonico ed urbanistico in Gallipoli si assistè ad un vero e proprio
rinnovamento sulla spinta di chiare aspirazioni borghesi a riaffermare
un proprio prestigio sociale, tanto più evidente quanto più fastosa anche
verso l’esterno fosse stata la propria dimora; coll’obiettivo ultimo mai
celato di raggiungere quello status di more
nobilium che li rendesse pari ai nobili nelle prerogative ma soprattutto
nella gestione del potere locale.
L’offensiva borghese sui piano
operativo fu micidiale, promossa e sostenuta soprattutto dai ricchi commercianti
napoletani attestatisi in Gallipoli in dipendenza dei commerci oleari,
nelle mani dei quali gradualmente erano pervenuti grossi comparti abitativi.
La risposta della nobiltà fu
dura ed immediata ma si illuse di poter salvare ruolo e prestigio, ormai
completamente compromessi, rinnovando l’arredo abitativo, ampliando le
proprie dimore, arricchendole nel decoro e nel fasto, aprendosi verso
l’esterno.
Anche l’evidenza architettonica
e scenografica dell’ampia scalinata in carparo commissionata il 1790 ed
eseguita da Diodato Longo e Giovanni De Vittorio per l’oratorio dei nobili(9),
il cui disegno fu certamente mutuato da esempi napoletani e Sanfeliciani,
fu voluta al fine di sempre più evidenziare, questa volta a livello di
intero sodalizio impegnato a tutelare con ricorso in Regia Camera la «
distinta caratteristica di nobiltà secondo
le qualità richieste con dispaccio regio del 19-10-1776 nella persona
del padre e dell’avo », le
insidiate prerogative (10).
Proprio quell’anno, il 27 settembre,
era stato pronunciato decreto col quale la Regia Camera statuì « non esservi in Gallipoli nobiltà, ma soltanto
un primo ceto, formato da benestanti, che vivono con civiltà, dall’entrate
dei loro effetti in
applicazione del quale, convocato pubblico Parlamento nei chiostri
di San Domenico ed eletti per il primo ceto « i negozianti benestanti
e quelli che vivono con decoro e civiltà » con assoluta esclusione dei
nobili, per il secondo ceto « notai giudici a contratti medici e speziali
», per il terzo « artieri e padroni di barche », interrompendo una tradizione plurisecolare fu eletto Sindaco il
commerciante Bonaventura Occhilupo.
Gli successero alla carica di
General Sindaco “Saverio Talamo, Giovanni Rossi, Giovanni de Pace, Gioacchino
Rossi, Costantino Rossi”, rappresentanti tutti di quella nuova classe
borghese in gran parte forestiera, napoletana e sorrentina, nelle cui
mani era di fatto l’intera ricchezza rappresentata dall’oro
liquido, come con felice espressione chiamò l’olio di Gallipoli l’immaginifico
vate D’Annunzio, che rafforzata in virtù di strettissima parentela e non
sdegnando, già dal primo ventennio del XIX secolo, matrimoni nobiliari
riuscì, anche rincorrendo l’acquisto di feudi rustici, a blasonare di
smaglianti smalti i portoni dei propri palazzi, simboli di agognate prerogative
e di acquistata fortuna.
Abbreviazioni
APSAG = Archivio parrocchiale di S. Agata-Gallipoli
ASCG = Archivio storico comunale di Gallipoli
ASL = Archivio di Stato di Lecce
BCG = Biblioteca comunale di Gallipoli
BPL = Biblioteca provinciale di Lecce.
1 GIULIO GAY, L’Italia meridionale e l’impero
bizantino, Firenze 1917, p. 171, n. 2. Secondo la Chronica del Cedrenus
la Città sarebbe stata ricostruita e popolata di coloni greci dall’imperatore
Basilio.
2 Cfr. Privilegio Carlo V spedito da Barcellona il 20-8-1519 rip. da L.
A. MICETTI, Memorie Storiche
della Città di Gallipoli, Ms. presso Biblioteca provinciale di Lecce:
« Itaque cum Universitas, et homines fidelissime
Civitatis nre Gallipolis nostri fideles dilectissimi precipua fidelitas
eorum erga serenissimos Predecessores nostros, et nos, ac statum nostrum
signa ostenderint, equum videtu,. ». Cfr. inoltre MICHELE PAONE,
Gallipoli dalla morte di Giovanni Antonio del
Balzo Orsini alla vigilia della presa dei Veneziani. In: Atti del
Convegno nazionale su « La presa di Gallipoli del 1884 ed i rapporti tra
Venezia e Terra d’Otranto », Bari, 1986.
3
Cfr. ETTORE VERNOLE,
Il Castello di Gallipoli, Roma 1933, p.
56, e 230-31 in cui l’autore riporta il seguente brano estrapolato dal
Roccio, Notizie memorabili
dell’antichità della fedelissima Città di Gallipoli, 1640, Ms. presso
BCG, pp. 34-35 « . . .standovisi in sospetto d’esser la Città invasa
de nemici, per stare alle frontiere del Turco, convien che vi si viva
con molta vigilanza et però si trova la gente atta all’arme divisa, et
repartita in 8 compagnie, ogn’una delle quali tiene li suoi Capitani,
alfieri, e Sargenti, de dette compagnie di fanterie, et ad ‘ogni cenno
si trovano tutti armati sotto
le loro insegne, et disposti nelli luoghi br segnalati nelle muraglie
pronti alle difese ».
4 ROCCIO, cit., p. 33: « E adornata di comodi Palazzi e di
buonissime Case così della Nobiltà, come del Popolo ha molte strade, parte
diritte, e lar-ghe; e parte stritte e serpeggianti che sono principal
requisito per la fortezza di una città...”
5
A.PETRIGNANI, Aspetti
funzionali e urbanistici dell’architettura militare, In: Castelli ed opere fortificate di Puglia, a cura di Raffaele De Vita, Ed. Adda, Bari 1974, p. 388.
6 La Città, per tale sua condizione di roccaforte
militare, fu soggetta a vincoli che condizionarono moltissimo anche lo
sviluppo urbanistico verso il territorio, sul quale restò in vigore quello
di servitù militare delle 330 tese (circa 690 m.) come pure l’altro, interno
alla struttura difensiva, delle 100 tese (circa 220 m.) con possibilità
di ricostruire senza poter apportare alcun aumento però di volume e di
altezza. Cfr. per tutti F. D’ELlA, La servitù
militare su la Città di Gallipoli, Gallipoli, Tip. La Sociale 1912.
7 Cfr i portali dei palazzi Munittola e Pizzarro.
8 Cfr. i palazzi Balsamo, Pirelli, D~Acugna ecc.
9 Elio PINDINELLI, La Confraternita dei Nobili e la Chiesa di S. Angelo In:
Gallipoli fatti personaggi e monumenti della nostra storia, Gallipoli,
1984.
10
VINCENZO TAFURI, Della Nobiltà delle sue leggi e dei suoi instituti
nel già Reame delle Sicilie..., Napoli, tip. degli Accantoncelli 1870,
p. 92. Per i necessari riferimenti alle vertenze sorte tra nobili e borghesi
cfr. Memoria per lo primo Ceto
della Città di Gallipoli s.l. (ma Napoli), s.st., 1777 .
Risposta a nome del Primo
Ceto, della Città di Gallipoli, alla scrittura per D. Rocco Piccioli,
s.l. (ma Napoli), s.st. 1777. BPL, Relazione
di Baldassarre Cito alRe sulla costituzione del Reggimento di Gallipoli,
Ms 11140. BPL, Relazione della Regia Camera sulla costituzione
del Reggimento di Gallipoli, Ms. 11/41.
11 A. ROCCIO, Memoria dell’antichità della Città di Gallipoli...,
Ms. 33/76 della BPL con le aggiunte del Parroco don Carlo Occhilupo,
1752, fol. 131v.
12 Ibidem. Cfr. FRANCESCO MASSA, Avvenimenti di Gallipoli dal 1798 al 1815,
Gallipoli, Tip. Municipale, 1877, pp. 17-19.
13 Cfr. VINCENZO DOLCE, Illustrazione suàli stemmi dipinti nella sala del palazzo comunale e codice
diplomatico gallipolitano (s.d. ma 2. a metà dell’800), Ms in Bibl.
comunale Gallipoli, p. 80. VINCENZO TAFURI, op. cit., pp. 121 e 128.
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