Giuseppe Castiglione inedito

di Elio Pindinelli

1. Accenti autobiografici e teorizzazzione di una nuova società fllantropica nel romanzo La Cingallegra.

2. Scritti Thediti ed edizioni sconosciute.

1. Dopo gli ultimi interventi di Antonio Mangione, che all’opera del romanziere gallipolino ha dedicato gli studi1 più importanti, è difficile non concordare con il giudizio complessivo che del Castiglione scaturisce e che cioé attraverso la elaborazione di una cultura biblico-cattolica e classicistico-retorica, caratteri etnici e storici permanenti della cultura salentina e con timide aperture al romanticismo europeo ed italiano, si produsse in “uno dei meno secondari e meno neutri esempi di narrativa popolare regionale, tra favola delle tradizioni storiche e della realtà quotidiana e rivelazione dei simboll culturali più remoti e vitali del Salento” dovendosi moderare contestualmente il giudizio trionfalistico, certamente non estraneo ad un contagioso ma pur sterile orgoglio municipalistico, dettato nel secolo scorso da Emanuele Barba: “Genio del vero poeta estemporaneo, di gran lunga superiore a quella farraggine dei tanti saltimbanchi e mestieranti che sono la vergogna dell’arte3”.

Meno concordo invece col Mangione allorquando intravede nell’ultimo romanzo del Castiglione, La Cingallegra, una sorta di riformulazione della iniziale ideologia del trono e dell’altare in popolari valori epico-religiosi a differenza dei primi due romanzi, Il rinnegato salentino e Roberto 11 diavolo, strutturati sull’epos collettivo e sull’epos dell’eroe e sviluppati in chiave cattolico­legittimistica. La vicenda privata dei protagonisti di questi due primi romanzi si svolge nell’ambito delle cruente vicende dell’assedio turco di Otranto e di quello veneziano di Gallipoli per risolversi ambedue nell’estremo sacrificio dei protagonisti: ll rinnegato salentino che si riconverte alla religione cattolica e muore per la difesa della patria; Roberto 11 diavolo che placa il suo odio contro il generale Marcello nobilitandolo coll’eroismo nella resistenza all’assedio straniero, fino a morirvi sul patibolo.

Il romanzo la Cingallegra invece viene elaborato attorno alla vicenda privata del protagonista, Francesco Crisigiovanni, ricco e nobile patrizio gallipolino del secolo XVI, cui il fatto storico narrato, la cattura di un drappello di Turchi e la liberazione di schiavi operata il 1544 sull’isola di Sant’Andrea, è in funzione di ambientazione storica e di attualizzazione di una storicizzata condizione di Qasta della nobiltà locale in una realtà sociale contrassegnata da una permanente conflittualità tra plebei e aristocratici.

Il tutto sviluppato secondo modelli cattolico-populistici post manzoniani, nella prospettiva dell’era nuova apertasi con l’Unità d’italia e con la definizione, velleitaria e retorica, di un ruolo nuovo della nobiltà, mediata attraverso accenti autobiografici di una aderenza quasi assoluta e fin qui da tutti ignorati.

Racconta il Castiglione, in quest’ultimo romanzo, che Francesco Crisigiovanni, come tutti i patrizi, è uomo duro e tiranno verso il popolo che considera “vilissima torma di schiavi, creati solamente per servire il capriccio ed al dispotismo dei nobili4”

Un giorno egli “vero sacerdote di Venere Afrodisia a tutte le sozzure, a tutte le libidini rotto, che eran privilegio della sua casta, fatalment&” vede una vergine fanciulla, bella, pudica e santa di nome Maria. “Ma Maria era povera, povera tanto da provar spesso lo strazio della fame; era una meschina ed oscura donnicciola del popoio, era figlia del fango; quindi esser dovea la vittima del primo nobile che l’alto onore largito le avesse di gettarle il fazzoletto come il sultano alla più vaga odalisca5

Il nobile patrizio, non potendo altrimenti piegare la casta virtù della giovane, invia allora ambasciata nella sua casa per mezzo di un falso prete che convince lei ed i disgraziati genitori suoi ad accettare la falsa proposta di matrimonio avanzata sotto condizione.

“Voi non ignorate in quale altissima posizione sociale trovasi dalla Provvidenza collocato l’illustrissimo Crisigiovanni; nè ignorate quanti e quali sieno i pregiudizi del secolo in che viviamo. Se qualche cosa traspirar potesse di tal matrimonio, misericordia. Qual tristo governo farebbesi di un nome illustre... Le nobili donne della Città e di tutta la provincia griderebbero la croce contro la donnicciuola plebea, che osava usurpare il loro rango; e Io sposo, che nella scelta della sua compagnia badato non ha che alla virtù e alla bellezza, non curandosi di inzaccherare il suo contaminato blasone di fango plebeo, sarà mostrato a dito, schernito, vilipeso, odiato e diventerà infine la favola di tutti... E necessità perciò il coprire tal matrimonio col fitto velo di profondo ed inviolabile silenzio: anima viva non deve nulla saperne; ed ecco la ragione per la quale, a preferenza dei preti di Gallipoli, sono stato scelto per farvi tal proposta e per unirvi col rito della nostra santa Chiesa7”.

È lo stesso matrimonio segreto contratto dal Castiglione, nobile si sa pure Lui, con la popolana Fortunata Cingoli, abbandonata senza nome, il 3 febbraio del 1821, avvolta in miseri stracci sulla soglia di casa di una levatrice in Villapicciotti, che presentata alla ruota degli esposti dell’ospedale di Gallipoli era stata allevata amorevolmente da generose anime compassionevoli.

Il Castiglione, è vero, non ingannò la giovane, ma pur dovette ad essa consigliare il matrimonio di coscienza, che fu furtivamente celebrato in casa della stessa Fortunata il 21 aprile del 1842, non avendo avuto egli l’ardire di pubblicizzare una condizione giudicata disdicevole e condannata dalle rigide convenzioni sociali di casta.

Per il nostro romanziere quell’atto rappresentava l’unico possibile adempimento riparatore nei confronti di una madre, ma soprattutto di quella creatura, cui verrà imposto nome Maria Ernestina, che da qualche mese palpitava di vita nel seno materno e che vedrà la luce di lì a poco il 29.9.1842; memore certamente di un’altra creaturina, Maria Aurora, ed e questo fatto assolutamente inedito, nata certamente da questo sventurato rapporto con la giovane sedicenne Fortunata, il 24 dicembre del 1838, e due anni dopo, nella mezzanotte del i novembre 1840, miseramente spentasi tra le braccia della addolorata madre.

Dopo il matrimonio riparatore, un altro figlio nacque da questa unione, Emilio Andrea, il 5.11.1843, e crebbe accanto alla sorella nella casa materna mentre Giuseppe Castiglione forse meditava di abbattere finalmente il gelido muro delle convenzioni per giungere a dare formale pubblicizzazione ai suo matrimonio e legittimazione giuridica ai propri figli superstiti. L’atto di riconoscimento formale avvenne solo 14 anni dopo, il 5.5.1857, mentre il successivo 27 novembre, con decreto sovrano si sanciva l’esecuzione formale civile del matrimonio di coscienza celebrato 15 anni prima.

Anche ne La Cingallegra il protagonista Francesco Crisigiovanni ha avuto dall’ingannata sposa due gemelli, un maschio ed una femmina, i quali, abbandonati dal padre cinico e snaturato, vivono una fanciullezza dereiitta contrassegnata dalla fame e dalla miseria: il maschio, Bastiano, generoso e abile navigatore; la femmina, Maria Cingallegra, rapita bambina da girovaghi saltimbanchi e ritornata giovirietta senza che alcuno, neanche l’infelice madre, la riconoscesse più.

Solo Francesco, il padre snaturato, che invaghitosi della giovinetta l’aveva fatta rapire da prezzolati scherani e condurre al suo cospetto, nell’atto di consumare l’immondo incesto riconosce sul petto della Cingallegra la metà di quella moneta d’oro che egli stesso aveva appeso al collo dei figli al momento della nascita.

Il raccapriccio per l’azione nefanda che sta per consumare sulle carni dell’innocente figlia e la morte della adorata fidanzata, la nobile Ernestina Patitari, lo fa cadere in una estrema prostrazione combattuto tra l’idea di un estremo atto di espiazione sposando la madre di Bastiano e Cingallegra, e il desiderio di fuggire la società umana riparando in un Convento.

La decisione è presa. Lasciata ogni sostanza ai poveri, Francesco si ritira in convento, ma il giorno stabilito mentre sta per profferire i voti dinnanzi all’altare, la madre di Bastiano, che non conosce ancora la vera identità della Cingallegra, in un ultimo disperato appello, invoca l’unico possibile espiatorio atto di riparazione: “Mi riconosci tu? Io sono Maria la vittima sventurata delle tue turpi passioni e dei sacrileghi ed empi spergiuri. lo ero giovinetta, innocente, povera ma tu trion far non potesti della mia onestà. Allora sacrilego pro fanatore, chiamasti la religione complice di un satanico progetto... Or dimmi, mi riconosci tu? riconosci tu Bastiano...? Non ti dirò della sventurata sua sorella, che la giustizia di Dio mi tolse per sempre. Povera creatura... orfana reietta e sventurata chi sa a quale vita d’infamia condotta dalla tua barbarie. Per te, per te o sacrilego, soffersi l’onta e le riprovazioni di cui mi colpirono i miei concittadini, che pur mi amano tanto. Per te sacrilego provai tutti gll orrori della miseria e della fame; per te ho perduto due volte la ragione, ed ora qui al cospetto di... Dio.., al cospetto di tutto questo popolo che per tanti anni mi segnò d’infamia, guardandomi col disprezzo con cui si guardano le donne di mala vita; al cospetto di questi santi ministri di Dio, dimmi... mi riconosci tu?”.

E al cospetto di tutto il popolo, così come aveva fatto il Castiglione chiedendo con atto pubblico il riconoscimento formale civile del suo matrimonio di coscienza e dando un nome alla madre dei suoi figli, Francesco Crisigiovanni deve espiare e rigenerarsi “nei lavacri del pentimento9per riconciliarsi con la società, con il popolo.

“Si, illustrissimo; sii lo sposo di Maria, il padre di Bastiano e non solo il nostro amore e il nostro rispetto, ma anche la nostra vita ti daremo10urlava il popolo facendo naturale eco a quella sorta di teorizzazione, elaborata nel corso di tutto il romanzo con accenti anche risorgimentali, di una nuova società pur strutturata in ranghi ma riconciliata con se stessa e fondata su utopistici concetti di generico umanitarismo e filantropia.

“Circondatevi dei martiri della sventura;” scrive il Castiglione, “e quell’oro... serva a lenire un dolore, a rasciugare una lagrima... siatene il bene fattore (del popolo), il proteggitore;... esacrato e maledetto; fate ora che ognuno vi lodi e vi benedica...

Oh, se l’ambizione, il dispotismo, la tirannia non avessero posto le traveggole agli occhi della terra, con quanto ardore, con quanta riconoscenza sarebbero adorati dai popoli. Pane e sicurezza tutti ricercano, e qualunque sia la mano che pane e sicurezza largisce san sempre pronti a baciarla con un sentimento di gratitudine in finita11 “.

La richiesta di legittimazione non può quindi non essere accolta, poiché rappresenta l’ultimo estremo atto di espiazione, e Francesco Crisigiovanni avvicina allora al cospetto di Maria la giovane Cingallegra per rendere di pubblica ragione il riconoscimento della figlia da tutti creduta scomparsa.

“Maria.., tu in Bastiano mi hai donato un generosissima figlio, ed io nella Cingallegra ti dono una virtuosissima figlia, poiché ella è la nas fra piccola Maria, che ti fu rapita12’.

Riconoscimento e legittimazione, atto preliminare che era stato sottoscritto pubblicamente anche dal Castiglione prima dell’esecuzione formale giuridica del matrimonio segreto.

Il lavacro e poi la salvezza.

“E si appressarono, ed il sacro rito fu compiuta, fra le lagrime di gioia di tutto un popolo, esultante sino al delirio per quell’inaspettata e meravigliosa avvenimento13”.

2. L’elenco completo degli scritti del Castiglione, pubblicato da Mangione14, non comprende uno sconosciuto opuscoletto, uscito il 1850 dai torchi di Francesco Del Vecchio, che aveva officina al largo Piazzet~à di rimpetto le Centrali in Lecce, dal titolo Elogia funebre di Teresa Vércksca - Ravenna recitata da Giuseppe Castigllone, con dedica “al nobil uomo Giovanni Ravenna” e datato Gallipoli 25 marzo 1850.

L’elogio fu recitato certamente nella Cattedrale Chiesa di Gallipoli in cui èposto il sepolcro dei Ravenna sotto il patrocinio della Madonna del Soccorso ed in cui riposano le spoglie di Bartolomeo, marito di Maria Teresa Verdesca e autore delle Memorie lstoriche di Gellipoli, del quale il Castiglione aveva tracciato una breve biografia il 1847 sul napoletano Poliarama Pittoresca.

Una eco della intensa attività oratoria del Castiglione risuona nelle pagine di questo elogio in cui tra l’altro di sé stesso dice: “Funebre orator di marte, sano io fatto simile all’upupa malaugurata, che scioglie sinisfri stridi sul solco del cimitero. Quante morti deplorai. Dal frano dei re all’umile dimora del cittadina, ovunque spandendo mesti giacinti, i segreti della vita nella marte studiando, fui immensamente compresa dalla splendido nulla delle cose umane”.

A questa sua attività si riferisce ancora un’altra sconosciuta necrologia, Parole pronunciate sulla tomba di Giuseppe Guarna, pubblicata a pagamento sul periodico Il Paese di Napoli il 3 marzo 1860, che ci documenta anche nella lontana Satriano dell’apprezzamento di cui godette presso i contemporanei l’oratoria del Castiglione, la cui fama aveva certamente varcato i confini della propria patria.

Inedite invece sono due autografi che conserva il riordinato Archivio Storico Comunale di Gallipoli.

Il  primo, datato 25 novembre 1865, è una lettera indirizzata al Consiglio Comunale di Gallipoli, investito del problema di dare un collaboratore all’anziano bibliotecario a vita Can. N. M. Cataldi.

Quella lettera rappresentò forse l’ultima speranza per lo scrittore di ottenere un impiego retribuito, che gli avrebbe potuto alleviare la crudeltà della miseria e la penosità e sofferenza della lunga malattia prima dell’ultimo trapasso. Speranza tanto dura a morire e che aveva così amaramente segnato il cammino della sua miserà esistenza: “Male peggiore di tutti i mali, che

lusingando con le sue brillanti menzogne un affanno, che la sua intensità col tempo dis franca, col disinganna lo rinvigarisce e novelle forze gli dona15”.

lI 6 gennaio 1866 il Consiglio Comunale, su una terna di nomi (Giovanni Consiglio, Gaetano Tafuri e Giuseppe Castiglione), dopo una prima infruttuosa votazione nominava coadiutore della comunale di Gallipoli il notaio Giovanni Consiglio.

Agl’lllustrissimi / Consiglieri Comunali / di Gallipoli .//

lll.mi Signori//

Preintende il sottoscrit-/to che provveder dessi alla / nomina di un Coadiutore / al bibliotecario che soprin-/tende la biblioteca di / proprietà di questo Comune..

Se le SS.LL.II. lo / credono atto a disimpe-/gnar tali funzioni, ardi-/sce pregarle a volergliene affidare.ll

Nella fidanza che bene-/volmente saranno accolte / le preghiere di lui, prega le / SS. LL. a gradire l’antici-/pazione de’ suoi più vivi - ringraziamenti.//

Gallipoli 25 Nov. 1865 /

G. Castiglione

Il secondo inedito autografo è invece rappresentato dalla minuta di una supplica datata 24.7.1855 e indirizzata a nome del Decurionato e del Sindaco a 5. M. il re di Napoli al fine di ottenere da lui un intervento, che non ci fu, a favore della Chiesa extra moenia di 5. M. del Canneto, minacciata di rovina dalla furia del mare.

S.R.M. /

Sire // Il Sindaco e Decuriona-/to di Gallipoli, umilmente / prostrati appiè del glorioso / Trono della M. V. con l’ardenza di viva ed irrefre-/nabile preghiera, osano / implorarne la clemenza. //

Sire, la Chiesa dedicata / alla SS. Vergine sotto il tito-lo del Canneto, sita sul lido / di Gallipoli, cade in rovina. 11 L’azione distruggitrice delle / onde, ne minaccia le fondamen­/ta, e a tal punto le strugge / che temesi a ragione il veder / ad un tratto cangiato in / informe macia un tempio / che risuona ancora delle / preghiere degli uomini che / furono.//

La pietà de’ Gallipolini / accorse altra volta al riparo, / somme non lievi a tant’uopo / spendendo, ma l’elemento / distruggitore più forte essendo / del conservatore, progrediva / la rovina con foga dirotta, nè più lasciava speranza / di giungere al degiato punto / di duratura conservazione.//

Mancati i mezzi, e cresciuto / il danno, l’illustre e reli-/giosissimo Prelato che i destini / di questa Diocesi sapientemente / governa, si rivolse al paterno / e religioso cuore di V. M. / e la M. V. nel cui seno / ferve una stilla del sangue / di 5. Luigi IX largiva per / tal’opera un soccorso di D. 300 / da prelevarsi dai fondi dell’/Ammin.ne Diocesana di Gallipoli.//

Ma il Real Rescritto del / 14 Sett. 1853 che tanta reale / munificenza conteneva, restava / povero di effetto, poiché questo / V.ble Vescovo con suo foglio / del 26 d. mese ed anno / al Sindaco manifestava non / esistere nella Cassa della / Diocesana Commissione somma che sufficiente almen fosse a garantire le spe-/se ordinarie; quindi non / poter aver luogo la Sovrana munificenza.//

Che fare in tanto stremo? / a chi rivolgersi in tanta / iattura? All’anima augusta / di V. M., a quella religione / che unica, ardente ed indomata / le riarde il cuore./

Sire, pietà della Casa / di Dio; i Gallipolini offrono / volenterosi quanto possono, / ma èben poco all/esigenze dell’opera. Si / degni quindi la M. V. di / aprire il tesoro delle Sue / grazie, e versandone una / stilla a pro’ del tempio della Vergine Santa, aggiunga una novella fronda / al fulgidissimo serto / di cristiane virtù che la / fronte augusta le cigne. //

Iddio, e la Vergine / Santa abbian sempre / nella loro custodia la / M. V. e la sua regal famiglia.//

Gallipoli 24 Lug. 1855.

Inedita, infine, ancora resta una iscrizione che il Castiglione propose, nella riunione del Decurionato del 16.4.1855, doversi murare al porto, in segno di riconoscenza per l’opera svolta dall’intendente di Terra d’Otranto, Barone Carlo Sozy Carafa, ma per evidenti ragioni riscritta ed intitolata al re Ferdinando Il di Borbone secondo il testo pubblicato da Mangione16 e deliberato dal Decurionato cittadino nella riunione del 28.9.1855.

(Verbale Decurionato 16.4.1855 p. 165-67)

Alla gloria eterna

del

Cavaliere Carlo Sozy Caraf a

Barone di 5. Nicola

Delle terre Salentine

Intendente Sapientissimo

che l’Augusta, e benefica mente

di Ferdinando Secondo

Il Tito delle due Sicilie

Profondamente interpretando

questo Porto

Con cure infinite, e con prodigiosi sforzi

Creava

Il Municipio gallipolino

I pubblici voti secondando

Memoria ai posteri di sua riconoscenza

questa lapide pose

L’anno di nostra rigenerazione

MDCCCLV

(Deliberazione Decurionato 28.9.1855 p. 211)

All’Augusto, e Benefico Re

Ferdinando Il Borbone

Il Bene Amato

Padre dei popoli delle due Sicilie

Il quale

Col senno, e col cuore

Del Cavaliere Carlo Sozy Carafa

Delle Terre Salentine

Intendente sapientissimo

questo Porto chiuso

Filantropo, e Munificente

Creava

Il Municipio gallipolino

Questa lapide pose

L’anno di N.S. 1855

Memoria a’ Posteri

Della grandezza del benefizio

Della gallipolina riconoscenza

Iddio benedica il Re

NOTE

1. Cfr. Antonio Mangione, Castiglione inedito: manzonismo salentina (ed altro), Lecce Ediz. Orantes, 1985; Narratori salentini dell’ottocento. Forleo, Castiglione, Prudenzano, a cura di A. Mangione, Lecce Milella, 1981; Giuseppe Castiglione, li Rinnegato salentina ossia I Martiri d’Otranto, racconto storico del sec. XV, a cura di A. Mangione, Bologna Cappelli, 1974.

2. Narratori salentini dell’ottocento, cit. p. 23.

3. Emanuele Barba, Scrittori ed uomini insigni di Gallipoli, Gallipoli tip. Gallipolina, 1985, p. 9.

4. Giuseppe Castiglione, La Cingallegra. Storia gallipolina del secolo XVI, Napoli tip. Vico Freddo Pignasecca 15,1863, voI. Il p. 140. S. lbidem, p. 81.

6. lbidem, pp. 80/81.

7. lbidem, pp. 86-87.

8. lbidem, p. 153.

9. lbidem, p. 162.

10.    lbidem, p. 157.

11.    lbidem, p. 142.

12.    lbidem, p. 160.

13.      Ibidem, p. 162.

14.      Narratori salentini dell’ottocento, cit., pp. 201-203

15.      G. Castiglione, La Cingallegrea, cit., p. 134.

16.      Antonio Mangione, Castigllone inedito, cit., p. 81 n. 35.