(16.03.03, made) -
“Hanno fallito perché non avevano cominciato dal sogno”. Questo pensavo mentre le “mie” All Stars perdevano, contro il Como, la gara decisiva per l’accesso alle semifinali del campionato. La frase, di Shakespeare, me l’aveva riportata alla mente la delusione spalmata come maple syrup (o sirop d’érable, se preferite) sulle tribune dell’orrendo impianto pinerolese. Saint Peters, che avevo trascinato fin là (e che abitualmente mi legge nel pensiero), scuoteva la testa:
— No Isobel, ti sbagli, le ragazze ci credevano, ma le avversarie si sono dimostrate più forti. —
— Io non intendevo parlare delle ragazze, ma dell’ambiente: la società, il coach, i tifosi; hanno inseguito un miraggio dopo avere vinto ad Agordo, mentre i sogni, quelli veri, si fanno ad inizio stagione. —
Credo che lui, il capo, abbia capito; il mio dubbio, irritante e persistente, è che qui, in Italia, manchi la capacità di focalizzare qualsiasi teoria sullo sviluppo della disciplina. Non mi riferisco all’All Stars, che fa miracoli nel deserto, bensì all’insieme dell’hockey italico. Seguitemi.
Dal mio posto privilegiato (sempre la terza poltrona alla sinistra di Saint Peters), vedo le macerie prodotte da incapacità, egoismo e trascuratezza. Fra meno di tre anni l’Italia ospiterà il massimo evento per gli sport invernali: i Giochi Olimpici. Per presentarsi al mondo, ci si aspetterebbe un certo entusiasmo, un fervore operativo, un azzeramento delle beghe interne, un’unione d’intenti. Invece, …ognuno tira la coperta dalla sua parte e se muore chi resta senza tanto peggio per lui, le regole sono interpretate secondo le esigenze del momento e dei singoli operatori, le colpe dei fallimenti sono invariabilmente attribuite ad altri soggetti (la federazione, gli arbitri, la malasorte…).
È vero che i campionati hanno struttura variabile ogni anno e fino al fischio d’inizio, ma è la FISG la sola colpevole? E questa bistrattata federazione, non è forse l’emanazione delle società?
Di questo discuterò con voi a fine stagione, ma c’è un punto che travaglia le mie vetuste, ormai virtuali, viscere: Torino e l’Olimpiade. Qui hanno fatto una squadra neanche male “per riportare l’hockey nel capoluogo piemontese”. Fatta e abbandonata. Oggi i torinesi setacciano pubblico a Pinerolo, ma nemmeno Tretiak, Karlamov e Gretzky avrebbero dato visibilità alla disciplina in un ambiente così freddo, disinformato, pigro.
La TV nazionale brilla per l’assenza e, quando c’è, per l’incompetenza dei giornalisti (v. Universiadi e lo sciagurato collegamento a Domenica In), i quotidiani ignorano qualsiasi sussurro non calciocentrico (Repubblica) o si cimentano con “dilettanti allo sbaraglio” (Stampa e Tuttosport). Dilettanti si nasce, e non c’è nessun male, ma professionisti si diventa cercando di essere almeno informati.
Di fronte allo scempio, CONI e TOROC tacciono (non hanno nulla da dire o se ne fregano), la delegazione di zona della federghiaccio tace. Bravi: è così che si affossa un evento!
Torno a parlare di donne. Forse è in campo femminile che l’Italia annovera il suo migliore hockeista: Sabina Florian. Attorno a lei, le sei squadre di A sono in grado di mettere insieme da venti a venticinque ragazze di tutto rispetto. Queste atlete, tutte tra i quindici ed i ventisei anni, hanno entusiasmo e temperamento per portare la nazionale ai Giochi Olimpici ed ottenere rispetto. Bisogna crederci. Bisogna che, in alto, qualcuno faccia i passi necessari alla diffusione dell’hockey in rosa e sostenga un movimento ancora troppo asfittico. Poi ci sarà da divertirsi.
Si sono divertiti intanto i tifosi valpiemontesi dell’All Stars. Il campionato ha messo in luce la crescita collettiva delle mie protette. Ci sono le “punte”, cioè le atlete entrate nel giro della nazionale, ma hanno acquisito maggior sicurezza anche le altre, lo testimonia una qualificazione mancata d’un soffio. Mi riservo un’analisi più approfondita e invito i dirigenti a crederci. Servirebbero un paio d’innesti e, più di tutto (insisto), un consigliere psicologico. Chi ha assistito all’ultimo incontro della stagione regolare, quello vinto contro i resti del Bressanone, non può che darmi ragione alla luce di incongruenze evitabili (rivalità evidenti e troppo individualismo). Servirà ancora l’antica compattezza.
Sono pochi due/tre anni per arrivare ad essere finaliste o conquistare il titolo? Se è così, per il futuro delle Stars, traggo dal mio personale repertorio di letture, una citazione conclusiva: “Io sogno cose che non sono mai esistite e dico: «Perché no?» (George Bernard Shaw).”
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