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ROMANZI | La giornata di un professore | |
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La giornata di un professore
La sveglia La giornata iniziò bene. Era ancora avvolto nelle
lenzuola quando il piccolo Kevin venne a raschiare il copriletto con le
zampe. Il barboncino ripeté più volte l'operazione, lino a quando
Oreste, spazientito, dopo averlo accarezzato sulla testa, non lo lontano
con una spinta decisa. Visto che Oreste non voleva saperne di alzarsi, Kevin
saltellando passò nella stanza successiva, dove dormivano i due figli
maschi, per dare anche a loro la sveglia. Dopo un po', Oreste udì un'imprecazione seguita dal
tonfo di una pantofola contro lo stipite, e vide una macchia nera
attraversare di gran carriera il vano della porta della sua stanza e
rifugiarsi sotto il letto. La terza cameretta, quella di sua figlia, era
territorio esclusivo di Gregory, l'altro cane della famiglia, un
barboncino leggermente più alto di Kevin, completamente bianco, che ogni
mattina con passo felpato entrava nella stanza e guadagnava la sua
postazione sotto il lettino. Non
l'avrebbe mollata fino a quando la figlia, terminato di prepararsi,
sarebbe scesa giù per la colazione. Gregory, durante questa occupazione,
legittima o abusiva a seconda del punto di vista della figlia o della
moglie, impediva a chiunque di entrare nella cameretta e se qualcuno
tentava di forzare il blocco, rischiava di rimetterci un polpaccio.
Le lezioni erano oramai finite e, mentre Oreste e i
figli si attardavano a letto, la moglie era scesa già da un pezzo al
pianterreno a preparare la
colazione..........................................
il gatto : Maù
Il pranzo di commiato con gli studenti dell'ultimo anno
Allora Oreste, che già era in piedi, prese
per primo la parola. Parlò delle aspettative dei giovani e delle
difficoltà che avrebbero incontrato nel realizzarle. Disse che essi erano
nati in un momento difficile, in cui grande era la disoccupazione
giovanile in Italia, ma li esortò a non
disperare perché di lì a poco, con l’avvio dell’Euro, le cose
sarebbero di certo cambiate in meglio. Parlò dell’impegno forte e
costante con cui andavano affrontati gli studi universitari, per evitare
di rimanere invischiati nelle sabbie mobili dei fuori corso e non riuscire
più a laurearsi. Ricordò che la vita è come una moneta, che il Signore
ci ha donato al momento della nascita e alla fine della nostra vita ci
chiederà conto di come l’abbiamo spesa. Erano queste le considerazioni che di
solito faceva in tali occasioni. Stavolta, però, era andato oltre. Da un
po’ aveva oltrepassato la quarantina ed i suoi occhi vedevano il mondo e
gli alunni sotto una luce diversa rispetto a qualche anno prima. Sentì il
bisogno di aggiungere: -- Questa forse è l’ultima occasione in cui ci
ritroviamo tutti insieme. L’anno scolastico oramai volge al termine e
molti di voi in questi ultimi giorni smetteranno di frequentare le lezioni
per studiare a casa con maggiore impegno in vista degli esami. Con gran
parte di voi non mi incontrerò più, tuttavia non vi è gioia maggiore
per me di essere riconosciuto e salutato da un “vecchio alunno” del
quale, pur non ricordando più il nome, riesco, osservandolo con
attenzione, a intravedere nel suo volto le sembianze di quand’era
giovane studente. Anche se, come è naturale che sia, dopo la maturità le
vostre strade e la mia si divideranno, sappiate che la vostra assenza mi
accompagnerà per sempre. Io a voi ho insegnato una cosa che potevate
benissimo apprendere da altri: la ragioneria, e una cosa che avreste
certamente trovato da soli: il senso critico.
Voi a me avete dato infinitamente di più: mi avete dato la fortuna
di unire mestiere e passione, che in questo mondo equivale alla felicità. Diede uno sguardo ai colleghi che,
abbandonata l’aria scherzosa, avevano assunto un aspetto assorto, serio,
come del resto i ragazzi, e riprese: -- Se volgiamo lo sguardo indietro e
guardiamo a questi anni trascorsi insieme, una cosa risulta subito
evidente: questi anni sono stati molto diversi per noi professori e per
voi alunni. Per voi sono stati anni di crescita, di emancipazione dai
genitori, di scoperta del mondo, degli altri e di voi stessi. Sono questi
gli anni più belli della vita, gli anni dell’adolescenza, che non è un
tempo diverso dall’età adulta, ma un paese diverso, e può abitarvi
soltanto chi è giovanissimo come voi o chi ha una fantasia così grande
da conservarsi sempre giovane. Sono anni felici anche se a voi sono
apparsi lenti, sono sembrati non trascorrere mai. La maggiore età che
tutti voi avete conseguito in
quest’anno è stata più volte agognata. Mancavano pochi mesi e vi
sembrava lontanissima. Con essa sarebbe arrivata la patente, la possibilità
di ritirarsi più tardi il sabato sera: i genitori non avrebbero avuto più
nessuna scusa a cui appigliarsi. -- Per noi docenti -- continuò Oreste -- questi anni trascorsi assieme a voi, hanno avuto tutto un altro sapore, perché la vita non è come l’acqua di fontana, che più scorre e più fresca diventa.
Almeno per me, questi anni, a guardarli adesso, appaiono come anni passati velocemente. Sono fuggiti! Con l’età mi sono reso conto, ancorché gli orologi vogliano convincerci del contrario, che il tempo non scorre sempre con la stessa velocità. Esiste il tempo fisico e il tempo dell’anima. Alla vostra età, il tempo appare lento, impacciato, come andare in salita. E questa sensazione vi resterà fino ai venticinque anni. Poi il tempo sembrerà fermarsi, non per molto però, solo per pochi anni, circa una decina, fino ai trentacinque anni, mettiamo, per qualcuno anche fino ai quaranta. Superata la quarantina, il tempo incomincia a correre. Sembra un treno che, dopo aver percorso un’irta china, raggiunta la vetta, inizia la discesa, dapprima lentamente, poi più veloce: addirittura a volte si ha la sensazione che la corsa sia vorticosa, inarrestabile. E non si vede chiaramente dove conduca questa corsa.
O non si
vuol vedere. E questa discesa, questi anni, vanno affrontati “con coppe
ricolme di vino”. Qui, versandosi dalla brocca vino nero fino
all’orlo, alzò in alto il bicchiere e, invitando gli studenti ed i
colleghi a fare altrettanto, disse: -- Chi non vede il fondo, non vede il
mondo! -- e vuotò tutto d’un fiato il calice di vino. --
E’ un motto, che, qualche anno addietro, -- continuò, -- ho
sentito pronunciare ad un vostro compagno in una cerimonia identica a
questa e che ho fatto mio, a riprova che in classe si viene a creare
un’osmosi culturale tra insegnanti e discepoli, e non sono solo gli
alunni ad apprendere dai professori. Concluse, calcando le ultime parole,
scatenando così gli applausi di tutti i presenti.
(Da "La giornata di un professore" pag. 67) " LETTERE ITALIANE" di Alfredo Guida Editore via port' Alba 19 Napoli www. guida it E.Mail: libri@guida.it
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