Medaglia d'oro della città di Parma a MARIO TOMMASINI per le battaglie civili volte al superamento dell'emarginazione delle persone in condizioni di debolezza e fragilità, per l'affermazione dei principi di solidarietà, amore e giustizia per il maggior benessere della nostra gente.
 

LISTA MARIO TOMMASINI - LIBERA LA LIBERTA'

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Le politiche sociali per una città accogliente

 

di Vincenzo Tradardi

 

Welfare: municipale, comunitario, familiare

Negli ultimi 10 anni, a Parma come altrove, sulla spinta del modello di sviluppo neoliberista, si sono affermati processi di depublicizzazione, esternalizzazione, aziendalizzazione e terziarizzazione che hanno segnato un progressivo appannamento e degrado della qualità dei servizi alla persona, quelli sociali oltre che quelli sanitari.

Eppure Parma, negli anni 70 e 80 era stata uno straordinario laboratorio di innova-zione, di costruzione di politiche nuove e di servizi concreti alla popolazione, un esempio per l’Emilia Romagna e per l’Italia. 

Oggi quella grande stagione di impegno sociale sembra lontana e rimossa. Le forze migliori che allora, e non si tratta solo di amministratori o politici ma anche di una straordinaria leva di operatori sociali, sostennero sul campo, con passione e dedizione la realizzazione di servizi e progetti nuovi, verso gli anziani, verso i minori, verso le famiglie, sono state umiliate e disperse da questa ondata di  falsa modernizzazione.

Quella grande stagione rischia anzi di essere completamente cancellata con conseguenze gravi per la qualità della vita dei cittadini di Parma, e per la capacità del Sistema Parma di mantenere i livelli di sviluppo, di civiltà e di coesione sociale  a cui era arrivato.

In una società che muta rapidamente, e non solo per effetto del forte ma prevedibile aumento della popolazione più anziana, (si pensi alle trasformazioni della famiglia e  del lavoro) la coesione sociale,la qualità della vita e la tutela delle fasce più fragili possono essere assicurate solo se l’amministrazione pubblica, il Comune, ha la capacità di interpretare e cogliere la domanda e i bisogni nuovi della popolazione e di esercitare una forte azione di governo e di innovazione.

Tutto questo la giunta Ubaldi, grande costruttrice di marciapiedi, non lo ha né capito né affrontato. E il suo bilancio consuntivo, per quanto scritto su  carta lucida e patinata, è un bilancio limitato e vecchio.

L’ arroccamento del Sindaco uscente, il rifiuto di confrontarsi con gli altri soggetti pubblici del territorio, la sua pretesa di cambiare, ignorando, anzi svalutando e cancellando la storia dei servizi e delle culture che si erano prodotte in anni di crescita, ha provocato guasti gravi. Questa chiusura ha anche impedito al Comune di essere un interlocutore autorevole della Regione, capace di difendere i propri servizi  e i diritti dei propri concittadini e di incidere sulle stesse scelte della Regione.  

Il caso dell’accreditamento nel campo dell’assistenza domiciliare agli anziani è sotto questo profilo, esemplare. Non fu certo un errore sfidare e anticipare le direttive sull’accreditamento che dovrebbero e dovranno venire dalla Regione. Sbagliato e fallimentare è stato  l’esito dell’operazione che non solo non ha corretto i limiti della precedente amministrazione di centro-sinistra ma se possibile li ha accentuati e esasperati.

Dall’assurdo  modello “Laertes” della Giunta Lavagetto (anni 96-98) che pretendeva di sostituire la competenza e la passione degli operatori, con schede e questionari che un Computer  avrebbe dovuto trasformare in una  rigida risposta a tutte le domande degli anziani,  e che avviò la prima diaspora di operatori “competenti” , si è passati ora al modello Tempi (minuti) e Metodi della giunta Ubaldi:  oltre 180 ponderose pagine di capitolato, 14 disciplinari, in cui , cronometro alla mano,   tutte le attività di cura, le prestazioni , vengono normate, codificate e temporizzate, in una una assurda riedizione della fabbrica fordista.

Nessuna innovazione dunque. Il Comune delega anche il controllo di qualità sulla gestione. La tanto vantata libertà di scelta del cittadino si rivela un bluff: solo pochissimi cittadini (si contano sulle dita di una mano) decidono di cambiare il così detto “fornitore”.  Perché sono soddisfatti? No, perché non esiste possibilità di scelta quando il rapporto non è paritario e quando l’offerta è esattamente la stessa, quale che sia il soggetto che offre il servizio. E continua il turn-over del personale, vera piaga di un servizio che crea disagio per i cittadini e che genera una condizione di lavoro fra le più logoranti.

Si capisce allora perché tanti parmigiani, quelli che possono permetterselo, si rivolgono al sommerso mondo delle extracomunitarie che sul piano della “cura” ovvero delle “procedure” potranno forse presentare difetti e lacune ma che sul piano del “care” (farsi carico) e  della continuità assistenziale assicurano risultati ben superiori.

C’è veramente da ricominciare tutto da capo, magari andando nei quartieri a cercare gli ultimi sopravvissuti spezzoni di una cultura e di una pratica comunitaria che per 20 anni aveva segnato la costruzione dei servizi territoriali agli anziani di alto profilo e in anticipo con l’applicazione di una corretta sussidiarietà dal basso.

Lo sappiamo: la giunta Ubaldi sostiene e sosterrà di aver incrementato i servizi almeno dal punto di vista quantitativo. Ma i dati sono lì a smentire anche questa pretesa.

Dal 1997 al 2000, la popolazione ultrasettantacinquenne del Comune di Parma è passata da 16.394 a 18.080 con un incremento del 10,3% . Non basta allora dire che le prestazioni sono aumentate; occorre valutare se la loro crescita è stata al passo  con  l’incremento della popolazione di riferimento.

 

La tabella A rappresenta l’andamento dell’offerta di servizi rispetto alla domanda nel quadriennio 1997-2000.

  Tab. A

 

1997

2000

variazione%

popolazione ≥ 75 anni

16.394

18.080

+ 10,3%

p.l. convenz. in C.P.+RSA

555

576

+3,8%

Posti convenzionati  in Centri Diurni

145

167

+15,1%

Assist. Domicil.   n° ore con oneri sanitari

68.700

70.457

+2,6%

Assegno di cura:  spesa ( in miliardi)

1,015

1,007

-0,8 %

 

 Come si vede, se si escludono i posti convenzionati  nei Centri Diurni che sono aumentati del 15% (pur restando al di sotto del parametro regionale) , per tutte le altre offerte si è in ritardo anche pesante rispetto all’incremento della domanda potenziale.

Ed è un fatto intollerabile che per semplice burocrazia e incapacità gestionale il Comune di Parma non riesca ad erogare neppure le limitate risorse messe a disposizione dalla Regione per gli assegni di cura! Nel corso del 2000 si è riusciti ad utilizzare  solo il 70% delle somme a disposizione con una conseguente minor spesa per l’Azienda Usl di oltre 400 milioni e con un peggioramento rispetto al 1997, anno  in cui la quota utilizzata era stata pari al 79% dell’assegnato.

Né dal punto di vista quantitativo né tanto meno dal punto di vista qualitativo, nel  quadriennio passato, i servizi sociali del Comune di Parma  almeno nel settore degli anziani hanno presentato una crescita.

Ma non diversa è la situazione in altri settori dei servizi alla popolazione.

Possiamo concludere che lo sviluppo dei servizi alla persona non ha tenuto conto dei reali mutamenti della domanda e dei bisogni, del manifestarsi di nuove povertà e di nuovi fattori di emarginazione.

 

Siamo dunque in una situazione in cui è necessario imprimere una svolta.

Le politiche sociali, il sistema di welfare,  devono essere considerate   una risorsa della comunità globalmente intesa, in una visione di sistema in cui l’economia non è separata dalla cultura, dall’ambiente, dalla mobilità, dalla scuola, dal sistema formativo, dalle politiche sociali e la Municipalità deve riacquistare un ruolo centrale nel campo del welfare, invertendo la tendenza a delegare compiti e responsabilità, deve tornare  ad essere un riferimento e una garanzia certa per tutti i cittadini, a cominciare dalle fasce più fragili.

La necessità di superare un welfare rigido, centralistico, assistenzialistico, non può significare la deriva verso forme di mercato sociale dove il cittadino è visto come cliente e  fruitore di prestazioni.

La sfida è quella di dimostrare che in questa città, pur nel mutare degli scenari e degli orizzonti politici ed economici, ci sono spazi di libertà per tutti, dai giovani agli anziani, per poter crescere insieme, attingendo alle risorse e alla creatività, alla cultura, alla capacità di fare, di intraprendere delle nostre comunità.

  A questa svolta diamo il nome di welfare municipale, comunitario, familiare.

Esso rappresenta la traduzione pratica di una sussidiarietà dal basso che vede i cittadini protagonisti delle scelte innovative, che supera quindi ogni forma di assistenzialismo, riconosce e tutela i diritti, promuove la creatività, garantisce opportunità per tutti, valorizza la partecipazione.

Una esperienza innovativa,  sotto questo profilo, è rappresentata dall’avvio nella nostra provincia, sotto il coordinamento dell’Amministrazione provinciale, in applicazione della legge 328/2001,  dei piani sociali di zona (P.d.Z.).

Questo processo si sta rivelando una grande opportunità e un grande investimento di risorse umane per sostenere il nuovo modello di solidarietà e di sussidiarietà che parte  dal basso e che fa delle Municipalità il punto di riferimento principale per il governo del territorio.

Non più dunque concezioni centralistiche, statali o regionali, calate dall’alto, ma capacità di interpretare e di valorizzare tutte le risorse, formali e informali, del territorio, dei comuni.

Si coglie, attraverso il lavoro sui Piani di zona, il valore di una politica che non contrappone Parma, il comune capoluogo, a tutti gli altri comuni, che non li considera subalterni al suo sviluppo ma che valorizza il territorio nel suo complesso, ne condivide la storia comune, ne comprende i punti critici, ma anche le interrelazioni, le sinergie e  sviluppa una idea di concertazione provinciale che valorizza le diversità e le risorse .

Le potenzialità di Parma restano grandi, sia per le culture e le competenze  che si sono accumulate nel tempo, sia per le risorse materiali e immateriali disponibili. 

Tuttavia sono anche evidenti e leggibili tutti i limiti e i rischi: una città post-industriale, che si trascina dietro tutti i limiti e i vincoli di una città e di una cultura di tipo industriale.

La giunta Ubaldi ha esasperato questi limiti alimentando l’ idea di una  città contrapposta al territorio, con una visione miope, riduttiva, centralistica, più preoccupata di rimarcare le differenze che impegnata in un sinergismo positivo con tutti gli altri soggetti.

La Giunta Ubaldi ha inseguito una idea di città basata sull’ordine, sulla gerarchia, sul controllo sociale. Di fronte a incertezze, timori, paure dei cittadini, ha risposto con i divieti, con le telecamere, con i blitz nei quartieri. È l’idea di una città assediata, di una città insicura, incapace di governare e risolvere i conflitti. La definizione di città cantiere suggerisce  essa stessa l’idea di una parte (l’impresa) contrapposta a tutto il resto.

 

 

Progetti per una svolta

Una svolta, la svolta che vogliamo disegnare, passa non tanto  attraverso analisi astratte  e culture generali, passa attraverso una progettualità concreta, partecipata .

Nella progettare bisogna cogliere le criticità , le priorità, i problemi, ma le soluzioni non devono più essere ricercata nella separazione e nella stratificazione. Occorre superare una visione della città articolata per categorie e per funzioni. Nel campo del welfare, non sono più praticabili soluzioni per categorie, perché esse  trascinano con se fraintendimenti, limiti, forme nuove di emarginazione e di ghettizzazione.

La logica di rispondere con un servizio a ogni problema non è più sostenibile.  La stessa concezione di “rete dei servizi”  che enfatizza l’offerta invece di valorizzare la domanda è da rivedere criticamente.

Una costante di tutti i progetti deve essere quella della partecipazione e del decentramento. Oggi, in una situazione caratterizzata a Parma e a livello nazionale da un decisionismo arrogante, dal soffocamento di ogni dialettica politica, ci si può chiedere a chi interessa la “partecipazione”. Possiamo rispondere che, certamente, la partecipazione non interessa ai “ricchi”, ai potenti. Loro possono farne. Della partecipazione e della legalità non possono farne a meno i cittadini della polis, i più deboli in particolare, perché la partecipazione, così come la legalità, sono gli strumenti fondamentali di auto-tutela e di democrazia. E solo promovendo la partecipazione, si possono recuperare e valorizzare le grandi risorse informali , amicali, di vicinato e del volontariato che esistono nella  città.

In termini concreti valorizzare la partecipazione significa riconoscere l’autorganizzazione dal basso.

Un segno concreto di questa volontà di valorizzare la partecipazione e di rifondazione del ruolo delle Circoscrizioni dovrà essere rappresentato dal trasferimento alle Circoscrizione della gestione di specifici capitoli di Bilancio, in particolare quelli che riguardano i servizi alle persone, a cominciare dai servizi per le persone anziane, fermo restando il potere della Municipalità di definire obiettivi e standard condivisi.

Ma sugli obiettivi occorre essere chiari. I problemi che la Città ha  di fronte ammettono diverse strategie di risposta i cui esiti sono molto diversi.

La nostra scelta è per politiche di inclusione, prevenzione, responsabilizzazione, contro politiche di istituzionalizzazione, di assistenzialismo, di controllo sociale.

In questo modo vogliamo riaffermare il valore delle persone, anche quando disabili, anche quando totalmente dementi, anche quando assolutamente improduttive rifiutando di consegnarle alle istituzioni (pubbliche o private) dell’esclusione assistenziale. 

 

 

1) La casa e l'abitare

La prima forma di inclusione sociale è rappresentata dalla casa, dal diritto alla casa. L’uomo senza casa è un uomo in esilio. Senza una casa è difficile, impossibile mettere radici e costruire un progetto di vita.

Il diritto alla casa va affermato per tutti:

1) per gli anziani non autosufficenti, in alternativa alla loro istituzionalizzazione in ospizi e case di riposo spesso fuori città ,     fuori provincia o fuori regione;

2) per i sofferenti mentali e i disabili in generale,  in alternativa al loro interna-mento nei nuovi luoghi di segregazione e di cronicizzazione, servizi di diagnosi e cura, case di cura, comunità e pseudocomunità, piccoli manicomi di provincia;

3) per le famiglie monogenitoriali, giovani donne con figli, famiglie monored-dito, soffocate ed emarginate da un mercato esoso dagli affitti;

4) per gli studenti dell’Università che non devono essere né sfruttati né ghettizzati ;

5) per i lavoratori extracomunitari i cui diritti di cittadinanza iniziano con il diritto alla casa.

Un Progetto per risolvere il diritto alla casa, un progetto poliennale, deve individuare, patners, risorse, strumenti attuativi, deve darsi obiettivi concreti in un arco di tempo ragionevole.

È possibile per i prossimi 5 anni progettare un piano che si proponga la costruzione di almeno 1.000 appartamenti, 200 all’anno: appartamenti protetti per anziani non autosufficienti, appartamenti per disabili, per giovani coppie e famiglie monogenitoriali, per lavoratori extracomunitari, per studenti.

Le risorse da impiegare sono diverse, gli apporti possono venire sia dal settore pubblico che dal settore privato, utilizzando tutte le opportunità che vengono offerte, a partire da una grande opzione e lancio di BOC (Buoni ordinari comunali) che valorizzino la capacità di risparmio della popolazione di Parma e la indirizzino verso opere di pubblica utilità e, al tempo stesso,  di sicuro rendimento. Il gestore dell’intera iniziativa potrebbe essere l’ACER (ex IACP), soggetto economico  che fa capo alla Provincia e ai Comuni.

Fondi statali e regionali devono essere indirizzati a questo obiettivo così come è necessario il coinvolgimento delle Fondazioni bancarie e quello  del capitale privato con investimenti in project-financing. Le stesse IPAB che operano nel settore dell’assistenza, gli IRAIA in particolare, devono avviare la riconversione del loro patrimonio e, insieme, una ristrutturazione ad appartamenti dei presidi esistenti.

Il Fondo sociale europeo può essere chiamato e coinvolto in progetti sperimentali di quartiere, volti a realizzare modelli integrati di pianificazione urbana.

 

Progetti Speciali

 

(A) Progetto speciale "anziani" non autosufficenti

  Per quanto riguarda gli anziani non autosufficienti sarà elaborato un Piano straordinario quinquennale che si muoverà su diversi obiettivi e attraverso diverse azioni positive.

a)      In via prioritaria verrà attivata una ricerca per individuare tutti gli anziani e anziane  non autosufficienti ricoverati in strutture residenziali fuori comune, fuori provincia o fuori regione e verrà offerta loro la possibilità di rientrare a Parma.

b)      Verrà avviata  la riconversione dei posti letto delle strutture residenziali, IRAIA prima di tutto,  in appartamenti protetti per almeno il 30% degli attuali posti letto convenzionati.

c)      Verrà avviato il progetto Casa con la realizzazione di almeno 250 apparta-menti protetti per anziani non-autosufficienti distribuiti in condomini misti  nelle 7 circoscrizioni.

d)      Verrà rielaborato tutto il sistema dell’accreditamento sulla base di:

1-     progetti personalizzati;

2-     presa in carico globale territoriale per quartieri o circoscrizioni  (progetti di comunità);

3-     bilancio partecipato di Circoscrizione.

e)      Verrà attivata  direttamente e tramite la Conferenza Sanitaria Territoriale una iniziativa nei confronti dell’Amministrazione Regionale volta a riformulare tutti gli interventi e gli standard previsti dalle direttive regionali:

             1-   Aumentare l’importo dell’assegno di cura a un valore pari almeno ai 3/4 di quanto le Aziende erogano sotto                   forma di oneri sanitari agli anziani ricoverati in strutture residenziali affinché gli anziani e le loro famiglie                   possano esercitare una effettiva libertà di scelta.

2-   Rivedere l’importo degli oneri sanitari per le strutture residenziali portandoli, come per altro previsto dal     DPCM del 14.2.2001  almeno al 50%  della retta complessiva.

3-   Rivedere l’importo della quota oraria per assistenza domiciliare (oggi fermo a 10.000 lire , 5.16 euro, come nel 1993!).

4-   Rivedere i criteri e i regolamenti di esenzione e di compartecipazione alla spesa dei familiari degli anziani non-autosufficienti, oggi punitivi nei confronti delle famiglie. 

f)        In sede di Piani di Zona e di Accordo di programma fra Distretto di Parma e AUSL rivedere i criteri di erogazione degli oneri sanitari garantendo:

                  1-   il riconoscimento di tutte le ore di assistenza domiciliare effettiva-mente erogate ad anziani non                         autosufficienti 

                  2-   il recupero di tutte le somme non impiegate o per ritardi burocratici o per mancato raggiungimento degli                         standard in modo da creare un sistema contabile unitario e  flessibile da utilizzare per incentivare e                         qualificare l’assistenza domiciliare;

                  3-   rielaborare la programmazione del piano per le cure palliative superando la logica degli hospice,                         potenziando gli interventi a domicilio e garantendo in tutte le strutture residenziali (ospedali, case di                         cura, case protette, RSA) criteri di assistenza ai malati terminali che garantiscano la dignità della                         persona.

g)      Avviare un progetto di valorizzazione dei sistemi di “care” domiciliare favorendo l’auto-organizzazione delle operatrici del sommerso (extracomuni-tarie) , promovendo l’integrazione con i servizi formali esistenti e offrendo opportunità di formazione-qualificazione.

h)      Rielaborare  e verificare con AUSL e AOSP i criteri e i protocolli per le dimissioni difficili, per impedire le dimissioni a rischio e i reingressi, per attivare canali certi e tempestivi di presa in carico da parte dell’assistenza territoriale, potenziando i servizi sanitari territoriali (ADI, NODO ecc.)

 

(B) Progetto speciale Salute Mentale

  Collocare nel campo delle politiche di Welfare gli interventi e i progetti per promuovere la salute mentale non significa negare la malattia, lo stato di malattia, significa invece sottolineare con forza come la sofferenza mentale ha bisogno di condizioni sociali, economiche, istituzionali e ambientali favorevoli per portare alla guarigione.  Sono ben note infatti e dimostrate la penetranza e la gravità delle disabilità dovute non solo alla noxa patogena ma all’assenza di sostegno o a sostegni sbagliati , non personalizzati, decontrattualizzatio, peggio, a processi veri e propri di oppressione e di sfruttamento.

È prassi attuale, purtroppo, la trasformazione delle persone con disabilità e improduttive, in produttive per altri. Succede che organizzazioni assistenziali, che utilizzano risorse pubbliche per scopi privatistici si candidano a “ripulire” il campo sociale dalle persone che presentano disabilità primarie effetto di malattie ad andamento lento e lungo nel tempo .

Di qui nasce l’urgenza di richiamare le organizzazioni sanitarie a dedicare risorse professionali  umane ed economiche al recupero delle “abilità”  sociali delle persone disabili, trasformando la medicina delle sanzioni, delle diagnosi e delle tecniche puntuali, in medicina sociale che partecipi e investi sui diritti delle persone con disabilità a vantaggio di tutta la comunità civile.

Il tentativo recente del dott. Righetti di introdurre questa innovazione di progetto nei programmi di salute mentale dell’Azienda Usl di Parma è fallito per l’opposizione di quanti avevano interesse a mantenere lo status quo. Ma i problemi restano e anzi si aggravano. La svolta  deve comunque maturare. Il Comune di Parma, nelle vicende di questi ultimi due anni  è stato assente, anzi , peggio , ha adottato forme di interdizione e di freno non esitando a rispolverare le viete teorie del malato mentale pericoloso a se e agli altri.

Il progetto speciale che proponiamo si basa sull’assunto della centralità della persona e del valore di legame nella comunità. Riaffermare il valore della persona vuol dire fare di tutto per non consegnarla alle istituzioni dell’esclusione assistenziale, sostenendo con più forza ( e più risorse) le famiglie, ricercando nuove forme di mutualità comunitaria perché aumenti la “capacità” della presa in carico”.

In questo senso del resto va il progetto obiettivo “salute mentale” e va una corretta applicazione della 328 e dei decreti delegati.

Di qui nasce o si ripropone la responsabilità del Comune nel garantire ai disabili psichici, come in generale per tutti i disabili, un habitat sociale che promuova il diritto alla casa, alla formazione-lavoro e alla affettività.

In questo senso i costi per l’acquisto di prestazioni sanitarie saranno trasformati in investimenti produttivi di salute, habitat sociale e benessere di comunità.

In concreto :

a)      dovrà essere ripresa tutta la tematica dei progetti riabilitativi personalizzati (budget di cura) attivando quelle forme  di welfare mix pubblico-privato capaci di garantire percorsi veramente riabilitativi a partire dalle situazioni  più gravi;

b)      dovrà essere trasferita l’ingente  mole di risorse dedicata oggi all’istituzio-nalizzazione in ospedali, reparti di diagnosi e cura, case di cura, comunità protette vecchie e nuove, piccoli manicomi di vecchia e nuova gestione (in una recente ricerca sul tasso di ospedalizzazione in psichiatria in Emilia Romagna, presentata al V Congresso  nazionale della Società italiana di epidemiologia psichiatrica del novembre 2001, Parma è al primo posto con un valore di 661,5 x 100.000 abitanti ; la vicina Reggio Emilia è a 383,3 x 100.000 abitanti);

c)      le cosiddette comunità protette, in quanto luoghi di cronicizzazione e di istituzionalizzazione dovranno essere superate;

d)      dovranno essere potenziati i Centri di salute mentale territoriali dotandoli anche della capacità di affrontare le crisi con servizi a 24 ore ;

e)      il Servizio di Diagnosi e cura, i TSO  (trattamento sanitario obbligatorio) dovranno sempre più diventare residuali rispetto alla capacità di intervento domiciliare e territoriale.

f)        La Municipalità dovrà svolgere i suoi compiti di facilitatore e di sostegno concreto alla famiglia e al sofferente mentale, garantendo tutti quegli interventi socio-sanitari a prevalente carattere sociale.

 

2) Il lavoro

Tutto ciò che avviene nel mondo del lavoro, ha un impatto immediato e concreto con il sistema della sicurezza sociale e con la qualità della vita nella città. Per questo, pur nel rispetto dell’autonomia dei rapporti fra mondo delle imprese e mondo del lavoro, il Comune non può essere assente e limitarsi a subire le conseguenze delle trasformazioni in atto.

1. Un primo e fondamentale ambito di intervento e di programmazione riguarda il lavoro come strumento di inclusione sociale  a tutela delle persone fragili,  come garanzia di un lavoro dignitoso e creativo, inclusivo e costitutivo dei diritti di cittadinanza. Troppo spesso anche su questo versante si sono avvallate scelte  prive di prospettiva. Si pensi all’uso reiterato ed assistenzialistico delle borse-lavoro. I percorsi alternativi ci sono se si riconosce la centralità della persona e se la persona diventa non oggetto di transazioni ma soggetto e protagonista di un suo originale percorso lavorativo.  Il mondo delle imprese, come è avvenuto nel passato, deve essere chiamato a dare il suo contributo. E uno spazio particolare deve essere occupato dal mondo della cooperazione non-profit , chiedendo ad essa di fare i conti al suo interno con tutte le derive assistenzialistiche e di riscoprire i suoi valori più forti di solidarietà e di socializzazione.  

2. Un secondo ambito di iniziativa  riguarda la politica dei tempi, il rapporto fra tempi di vita e tempi di lavoro. Occorre ripensare e praticare forme nuove di flessibilità intesa come diritto della persona  alla conciliazione fra il suo lavoro e la sua vita privata, e i compiti e le finalità che ad essa sono intimamente legati.  I timidi passi verso una nuova scansione dei diritti di cittadinanza indicano e suggeriscono le vie da seguire. La logica di subordinare il tempo della vita  al tempo del lavoro  ha effetti distruttivi, prezzi pesanti da pagare non solo per l’individuo, la donna in particolare , ma per la comunità. Oggi viviamo in una società post-industriale dove, se si supera la tradizionale e rigida separazione e scansione dei tempi (il tempo dello sviluppo e della formazione; il tempo del lavoro; il tempo, lungo, del pensionamento), se si superano i vincoli di genere, se si si superano le rigidità dell’impresa, è possibile per tutti avere una prospettiva di vita più affabile e più degna.

Può allora questa città, al di là della realizzazione di più posti in asili nido o scuole materne, immaginare e progettare un o stile di vita , una gestione dei tempi diversa e più flessibile in cui l’accudimento familiare sia riconosciuto nel suo valore affettivo e sociale?  Realizzare più servizi non modifica la qualità della vita e delle relazioni se queste sono subordinate esclusivamente ad una logica produttivistica  che condiziona tutte le altre esigenze dell’individuo.

La gestione dei tempi nell’organizzazione della città diventa allora una delle principali sfide per  migliorare la qualità della vita ,  con ricadute positive anche sulla stessa organizzazione produttiva in senso stretto.

3. Un terzo ambito di iniziativa riguarda il lavoro di cura.  Il  settore terziario , dei servizi alla persona  è già ora, e tanto più nella prospettiva prossima, uno dei settori destinati all’espansione per far fronte a un incremento della domanda.  Il lavoro di cura, le professionalità ad esso collegate, devono uscire da una collocazione di subalternità e di marginalità  che non riconosce in modo adeguato il loro valore , in termini di ruolo, di professionalità e sotto il profilo economico.  La qualità dell’assistenza non può essere separata dalla qualità e dalla dignità del lavoro di cura. E non ci si riferisce solo al lavoro “sommerso”. 

Quando si parla di valorizzazione e di potenziamento della domiciliarità nei servizi agli anziani e ai malati in generale, non si può accettare che questo possa avvenire a spese di professionalità non riconosciute e non valorizzate in modo adeguato.

Una particolare riflessione dovrà essere dedicata a una analisi del Terzo Settore e delle così dette Organizzazioni no profit, al fine di distinguere nettamente i soggetti  che effettivamente operano in termini di volontariato,  dai soggetti  che già oggi sono inseriti in una  logica di mercato.

Il rispetto e il riconoscimento del ruolo della Cooperazione sociale e soprattutto della professionalità e dell’impegno degli lavoratori-soci , non può essere confuso con la esigenza di un chiarimento  sui valori e sugli scopi della cooperazione sociale stessa .

Occorre impedire che sotto una unica definizione possano essere ricondotte esperienze e modelli, magari tutti legittimi, nel rispetto delle scelte che ogni soggetto fornitore di servizi  è libero di darsi,  ma profondamente diversi.

Gravi sono i danni , come dimostrano anche recenti esempi locali, che si producono al patrimonio di  valori fondanti della cooperazione sociale, quando, per incapacità di innovazione e di progettazione, il mondo della cooperazione accetta di non mettere in discussione i fini delle politiche sociali e si appiattisce nel ruolo di mero esecutore di compiti e di prestazioni.

Il rischio se continua questa deriva, è che i valori fondanti del movimento cooperativo, la solidarietà, l’equità, la libertà, la dignità della persona, vengano dispersi e di fatto ci si renda responsabili di politiche repressive e di esclusione sociale. Il campo dell’assistenza agli anziani e dell’assistenza ai sofferenti mentali offre purtroppo esempi concreti di questi rischi e di questa deriva.

Non tutte le responsabilità possono essere attribuite sotto questo profilo al mondo della cooperazione ma è forte l’esigenza di un confronto e di una chiarimento positivo al più alto livello possibile. 

4. Un quarto ambito di intervento riguarda i giovani e il lavoro. La paventata società del non lavoro si è tradotta, nella realtà,  nella società del lavoro flessibile e cioè del lavoro precario che interessa e colpisce soprattutto se non esclusivamente i giovani.  Gli effetti distruttivi della flessibilità se viene intesa solo come funzionale ai sistemi produttivi, alla competitività ed al mercato, sono incalcolabili. Se si scava infatti sotto la scorsa di una apparente piena occupazione, si scopre e si comprende  l’effetto a distanza in termini di disgregazione sociale che questa flessibilità trascina con se. Il boom dei lavori atipici, a tempo determinato ha effetti profondi , decostruttivi della persona e della famiglia. Se è vero che per molti giovani esso rappresenta un momento di transizione verso impieghi a tempo indeterminato, per altri e in particolare per i soggetti meno competitivi esso rappresenta una trappola da cui sarà sempre più difficile emanciparsi. La precarietà genererà, nel tempo, insicurezza e impossibilità a progettare la propria esistenza. Una riserva di mano d’opera a basso prezzo e a bassa, bassissima contrattualità si verrà a formare e influenzerà complessi-vamente il mondo del lavoro. A questa logica della flessibilità finalizzata al massimo profitto occorre sostituire una logica della flessibilità come ricerca e realizzazione della creatività e professionalità della persona. Nell’interesse anche dell’impresa.

 

 

Welfare come tempo di vita

Il benessere (welfare) associato al concetto di tempo libero evoca l’idea di un tempo non libero, il tempo di lavoro, ma nasconde un inganno. Troppo spesso infatti il tempo libero è un “non tempo” un tempo “vuoto”, un tempo privo di senso. 

Il custodialismo nel caso dei soggetti disabili è la manifestazione più estrema di questo rischio mortale, di questa distruzione del tempo.

L’industria dell’intrattenimento si incarica maldestramente di riempire i vuoti.  L’effetto finale è di estraneamento.  La qualità urbana decade.

Compito della Città è di superare questo iato, questa dissipazione di energie. Il piacere dell’ozio, e l’ozio intelligente può diventare la chiave di lettura per ridisegnare la città per valorizzarla come luogo fisico del presente, fra passato e futuro. Occorre superare la logica consumistica, dei quartieri del piacere, delle Disneyland, e riconquistare la città alla misura dell’uomo.

Ogni quartiere, ogni via , ogni piazza, in questa cultura mai delegata può ridiventare spazio comune , luogo di relazioni , di piacere e di ozio intelligente.

Ricreare questa città, pensarla non solo come spazio di transito ma come luogo di relazioni e di affettività è la sfida per combattere il degrado , la solitudine, alla lunga la disperazione. Non è soltanto la nostalgia di un passato, è un agire nuovo e trasversale della cultura, delle culture che animano la città.  Non più e solo luoghi deputati e separati, ma occasioni , incontri, stimoli per tutti.

Ripopolare marciapiedi e piazze, orti e giardini, portici, teatri e scuole.  Sconfiggere l’insicurezza con la conoscenza e lo scambio.  Non solo il centro storico ma le periferie oggi degradate e prive di identità forti , riconoscibili.

Governare la città oggi significa tutto questo, rendere tutto questo possibile, restituendola al cittadini , a cominciare dai bambini e dagli anziani.

 

 

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