Rassegna stampa
Viaggio in Bosnia, il Paese che non c'è
Bosnia: l'incubo della diga. Il conflitto fra le diverse comunità assume una piega incontrollabile
Bosnia, violata l'ultima tregua
Strage a Sarajevo tra la folla in fila per il pane: 8 morti e 50 feriti
Per la Bosnia una proposta delle grandi potenze
Testimonianze. Parlano le donne bosniache. Gli abusi e la prigionia: finché è tardi per abortire
Il progetto di liMes - Ricostruzione: le vere rovine sono fuori da Sarajevo
REPORTAGE / Da Sarajevo fino a Banja Luka attraverso tre frontiere, quattro monete e un muro di odio
Viaggio in Bosnia, il Paese che non c'è
Parla la leader serba Plavsic: Lo Stato costruito a Dayton frantumato in una miriade di enclave
di Massimo Nava
DAL NOSTRO INVIATO BANJA LUKA - C'è un'indelebile aria di solennità davanti al «Banski Dvor», il palazzotto asburgico sede della presidenza serbo bosniaca. Qui, fra corridoi lustri e imponenti colonnati, si è insediata Biljana Plavsic. Ecco una vera capitale, verrebbe da esclamare fra giardini ben curati e isole pedonali dove i giovani guardano vetrine di moda modestamente europea. Zagabria è a meno di duecento chilometri, Jajce, memoria storica della fondazione della Jugoslavia, a meno di settanta, Sarajevo a 235. Ma per arrivare a Banja Luka le distanze chilometriche si fanno abissali come il divario fra la normalità e l'assurdo del dopoguerra bosniaco. E' un viaggio nella commedia, tragicomica come i protagonisti che l'hanno voluta, fra immense distruzioni e parodie di nazionalismi ormai coperti dalla stanchezza e dal senso di una sconfitta collettiva. Si parte da Sarajevo con in tasca i dinari della Bosnia musulmana, unita dagli accordi di Dayton con le altre etnie, ma di fatto smembrata in istituzioni tricefale, presidenze collegiali, rappresentanze politiche di etnie che non si riconoscono e che non trovano accordi nemmeno sui prefissi telefonici, sulle poste, sul colore della bandiera, sulla «lottizzazione etnica» degli ambasciatori. A nord, dopo Zenica, si entra in un'enclave croata, difesa a colpi di cannone dalle mire serbe. Le bandiere sono quelle di Zagabria, la benzina si paga in kune croate, bambini in bicicletta fanno il pic-nic sul fiume ed esibiscono le maglie a scacchi bianco-rossi della nazionale di calcio. Nei bar si beve caffè turco. A Doboj comincia il territorio della Srpska Republika, la Repubblica dei serbi di Bosnia, a sua volta ormai divisa fra l'area di Banja Luka e quella di Pale. I soldati della Nato montano la guardia al ponte di ferro, unica possibilità di passaggio fra targhe in latino e in cirillico. I tassisti croato -bosniaci aspettano i pochi serbi che si avventurano da questa parte e lo stesso fanno i tassisti della Srpska Republika. Loro accettano dinari serbi (la stessa moneta che circola a Belgrado), dinari bosniaci e kune, ma preferiscono i marchi tedeschi, il vero lasciapassare in tutto il territorio. Gli affari uccidono anche l'odio. A pochi chilometri, verso est, c'è l'Arizona market, un chilometro di terra di nessuno dove croati, musulmani, serbi e montenegrini commerciano e vendono di tutto in perfetto accordo. Sigarette, auto rubate, jeans, beni di consumo, moda italiana e alimentari passano senza problemi ogni frontiera e ogni barriera etnica. E l'area di Banja Luka volta le spalle ai contadini e ai falchi di Pale, fino a ieri fratelli di sangue e di battaglia, sapendo che l'antico benessere può ritornare soltanto con la reintregazione. Nell' Hotel cadente, chiamato ancora «Bosnia», è aperto il casinò. Il paesaggio collinoso rivela ferite terribili e dimenticate. A Derventa, nessuna casa croata ha resistito alle «tigri» di Arkan, il capo dei volontari serbi che attuarono la pulizia etnica per conto di Belgrado. Su queste strade dissestate e fra queste rovine, la polizia serbo-bosniaca, colonna portante dello strisciante colpo di stato attuato dalla Plavsic, più che prepararsi ad eventuali scontri, utilizza il radar antivelocità. Mentre i telefonini entrano a tratti nella rete croata, il poliziotto di Banja Luka minaccia di inviare un rapporto a Belgrado. Se lo facesse, il rapporto arriverebbe prima di una cartolina spedita a Zagabria o a Sarajevo. A Banja Luka, la commedia è all'ultimo atto. Convivenza multietnica e pezzi di storia sono stati cancellati e rasi al suolo. Una delle più belle moschee della Jugoslavia è un parcheggio. Molte chiese cattoliche sono state colpite. Qui, il vescovo croato venne sequestrato per mesi e molti sacerdoti e suore sono stati uccisi in nome della gloria serba e ortodossa, ma poi la città ricca di industrie e università si è gonfiata di profughi serbi cacciati dalla Croazia e dalla Bosnia e sistemati nelle case delle altre etnie: la conquista dei confini è stata ottenuta con il trasloco dei popoli. Adesso c'è Biljana Plavsic, una delle più invasate teoriche di questo trasloco, l'ex pupilla di Karadzic che abbracciava il comandante Arkan dopo le sue imprese. Con lei, nel palazzo asburgico, sedeva fino a qualche mese fa Nikola Koljevic, il grande studioso di Shakespeare, l'ex amico degli intellettuali di Sarajevo, che si è sparato alla testa la primavera scorsa aggiungendosi alla galleria di personaggi tragici che popolano lo scenario balcanico. Adesso c' è Biljana a promettere pace, giustizia e democrazia. Lo fa con mezzi anomali, facendosi appoggiare dalle truppe della Nato che ha sempre odiato, sostituendo il ministro della difesa con un generale e conquistando i ripetitori della televisione per stroncare la propaganda di Pale. La gente applaude e strappa i manifesti di Karadzic. Molti sperano in un accordo con Pale. Belgrado sembra strizzarle l'occhio e la Comunità internazionale li chiude sul passato per tenere sotto controllo il presente impazzito. Per far terra bruciata attorno a Karadzic tutto è lecito: anche la proposta di trasferire il tribunale dell'Aja in Bosnia, un compromesso che terrebbe buoni i serbi e agevolerebbe la svolta moderata della Plavsic. Sul muro del palazzo asburgico c'è la scritta «Europa», ma come è lontana.
Domenica, 12 aprile 1992
Bosnia: l'incubo della diga. Il conflitto fra le diverse comunità assume una piega incontrollabile
SARAJEVO. Dopo tutte le disgrazie che si sono abbattute sulla Bosnia Erzegovina ora c'è anche la minaccia di strage. I pericoli sono innanzitutto due, a Visegrad, la località famosa per il ponte sul fiume Drina, protagonista dell'omonimo romanzo del premio Nobel bosniaco Ivo Andric, dove uno squilibrato, un radicale musulmano, ha il controllo assieme a un gruppo di compagni armati della locale centrale elettrica, la maggiore in Bosnia Erzegovina. Si chiama Murat Sabanovic, e minaccia di far saltare la diga se non cesseranno gli attacchi contro la città musulmana lungo il fiume Drinan, che segna il confine tra la Bosnia Erzegovina e la Serbia. Secondo gli esperti Sabanovic dispone di sufficienti quantità di esplosivo per realizzare la sua minaccia. In quel caso su Visegrad e su tutto il corso del fiume che corre verso nord si abbatterebbero undicimila metri cubi di acqua al secondo. Una catastrofe per non parlare del fatto che l'acqua distruggerebbe diversi impianti dell'industria chimica che si trovano lungo il fiume. Una analoga minaccia viene da Gorazde, più a nord, dove un altro gruppo di estremisti musulmani controllano la fabbrica "Azot". I guerriglieri minacciano di versare nel fiume Drinan duecento tonnellate di ammoniaca, sempre se non cesseranno tutti i combattimenti in Bosnia Erzegovina. Nel caso questa minaccia fosse realizzata probabilmente verrebbero inquinati Belgrado e, secondo alcuni esperti, anche il Mar Nero. Invece il conflitto continua ad estendersi. I serbi continuano ad attaccare. Il punto più nevralgico è a Foca, nell'Erzegovina orientale. Dopo due giorni di combattimento i serbi sono entrati nella città e sulle moschee sventola la bandiera di Belgrado. L'occupazione di Foca provocherà probabilmente l'entrata in guerra del Sangiaccato, una regione di 180 mila musulmani radicali che si estende anche al Montenegro e alla Serbia meridionale. Tra gli altri punti nevralgici c'è senz'altro la Erzegovina occidentale dove prosegue la guerra aperta tra le forze croate e quelle serbo-federali. Inoltre l'Armata è entrata a Modrica, una città della Bosnia settentrionale, con il pretesto di impedire scontri fra le varie nazionalità. La popolazione locale, croati e musulmani, invece, afferma che non c'era alcun pericolo di tali scontri e s i organizza per attaccare l'esercito. A Sarajevo la vita si sta spegnendo. Non c'è più da mangiare, in molti quartieri non c'è acqua e elettricità. Non si può lasciare la città, perché è una trappola. Sui tetti si moltiplicano i cecchini, di notte entrano in azione i mortai e i cannoni. Molti giornalisti se ne sono andati finché erano ancora in tempo, ma è arrivata la BBC e la tragedia ora va in diretta televisiva, in mondovisione. Ieri è arrivato pure l'inviato della Cee, il diplomatico portoghese Josè Cuthiliero. Si è incontrato per due volte con i leader dei tre partiti nazionali e con il comandante della seconda zona militare che copre la Bosnia Erzegovina, generale Kukanjac. Non c'è invece stata la seduta plenaria dei negoziatori anche perché il capo del partito serbo Karadjic opera nella clandestinità e dice di non poter entrare a Sarajevo. Il consigliere partirà nelle prossime ore per l'Europa e la gente spera che da lì arrivi qualche segnale incoraggiante. Ieri la Comunità europea ha lanciato un appello per un immediato ristabilimento della pace nella Repubblica neoindipendente. In un comunicato emesso a Lisbona, la Cee ha chiesto ai governi di Serbia e Croazia di condannare le violenze. I Dodici hanno inoltre riaffermato il loro sostegno all'integrità territoriale della Bosnia. Il riconoscimento della Bosnia da parte della Comunità europea e degli Stati Uniti ha provocato un'escalation di violenza: le milizie serbe sono all'offensiva per conquistare fette di territorio bosniaco e i croati, che pubblicamente sostengono l'integrità della Repubblica, si stanno muovendo nello stesso senso per accaparrarsi fette di territorio. Il segretario generale dell'Onu Boutros Ghali, ribadendo la volontà di compie re ogni sforzo per una soluzione pacifica del conflitto in Jugoslavia, ha annunciato ieri che rimanderà in Bosnia-Erzegovina l'inviato speciale Cyrus Vance. Boutros Ghali non ha però indicato una data precisa per la nuova missione di Vance. Parlando a Ginevra, il segretario delle Nazioni Unite ha affermato che l'organizzazione mondiale "farà tutti gli sforzi necessari per il mantenimento della pace e della sicurezza nella regione". Eros Bicic
Martedì, 21 luglio 1992
Infuriano i combattimenti nonostante l' accordo di Londra e il comandante ONU generale Mac Kenzie chiude l'aeroporto di Sarajevo
Bosnia, violata l' ultima tregua
Bosnia,
violata l'ultima tregua Sospeso l'arrivo degli aerei con soccorsi umanitari.
Feriti due Caschi blu canadesi dalle schegge di una granata La Cee chiede che la
rappresentanza di Belgrado sia esclusa dalle Nazioni Unite e dalle
organizzazioni internazionali.
Martedì, 11 agosto 1992
Guerra
civile in Bosnia Erzegovina.
Karadzic, il capo delle milizie serbe in Bosnia
Venerdì, 28 agosto 1992
Strage a Sarajevo tra la folla in fila per il pane: 8 morti e 50 feriti
SARAJEVO . (r.e.) Ancora una strage di civili a Sarajevo, la capitale bosniaca da mesi sotto assedio. Un proiettile di mortaio è caduto su una strada in cui si trovavano decine di persone in fila per fare la spesa e acquistare generi di prima necessità. I morti sono stati otto . tra i quali un ragazzino di undici anni . e i feriti almeno una cinquantina, tra i quali molti bambini che accompagnavano le mamme al mercato. L'esplosione è avvenuta alle 8.30 in via Danilo Dacic, proprio vicino alla caserma "Maresciallo Tito" e di fianco al più grande forno della città. La bomba ha investito la gente in fila per il pane e le donne sono fuggite urlando con i loro bambini in braccio. Donne e anziani sono inciampati l'uno sull'altro tentando di mettersi al riparo. Il sangue delle vittime, dei feriti si è riversato sul pane che veniva distribuito e molti testimoni hanno riferito di arti umani saltati in aria. Un attacco simile si era già verificato lo scorso 27 maggio, quando 20 persone in fila per il pane erano state uccise. L'episodio aveva spinto il governo musulmano della Bosnia a interrompere la partecipazione alla Conferenza di pace organizzata dalla Cee e presieduta da Lord Carrington. Poche ore dopo un altro proiettile è esploso vicino all'ingresso di u n caffè del centro della città, provocando almeno nove feriti. L'Onu ha annunciato che i suoi caschi blu cercheranno di ripristinare l'energia elettrica nella maggior parte della capitale bosniaca, al buio da alcuni giorni. Inoltre cercheranno di aprire un corridoio fisso per l'invio di aiuti umanitari in partenza dalla città portuale dalmata di Spalato, in Croazia. Si tratterebbe del primo corridoio terrestre fisso per aiuti umanitari ed esso potrebbe trasportare ogni giorno, a bordo di cinque autocarri, 35 tonnellate di latte in polvere, altri generi alimentari e medicinali per le popolazioni bosniache provate dalla guerra civile. Un primo convoglio francese, accompagnato fino a Zagabria dal presidente del Parlamento europeo Simone Weil, è stato autorizzato dai guerriglieri serbi a proseguire la sua marcia verso la città bosniaca di Doboj. Radio Sarajevo ha riferito che i combattimenti proseguono in vari quartieri della capitale, con l'impiego di artiglieria e carri armati. Scontri tra musulmani e serbi si sono verificati anche nel Nord della Bosnia, a Brcko e a Gradacac, dove la moschea è stata colpita dall'artiglieria. L'emittente bosniaca ha riferito che continua a essere bombardata anche Gorazde, a Sud.Est di Sarajevo, dove sono rifugiati quasi 30 mila profughi e mancano l'acqua e la corrente elettrica. L'agenzia Tanjug di Belgrado, invece, ha detto che nella capitale bosniaca continua l'offensiva delle forze musulmane su tutti i fronti, per cercare di spezzare l'accerchiamento serbo. L'Ucraina ha inoltre categoricamente smentito le notizie su una sua presunta violazione delle sanzioni economiche dell'Onu nei confronti della Nuova Jugoslavia (Serbia e Montenegro), fornendo aiuti tramite imbarcazioni in navigazione sul Danubio. Il ministero degli Esteri di Kiev sottolinea che tali notizie non hanno alcun fondamento e che l'Ucraina intende osservare scrupolosamente le direttive delle Nazioni Unite nei confronti della Nuova Jugoslavia. Nel documento si afferma che negli ultimi due mesi imbarcazioni ucraine hanno effettuato operazioni di transito nel porto danubiano serbo di Prakhovo, dove le merci dalle unità navali sono state caricate su treni diretti a Skopje, in Macedonia. Tali operazioni . sostiene il governo di Kiev . non sono in contrasto con la risoluzione 757 dell'Onu, che autorizza ogni tipo di transito attraverso il territorio della Nuova Jugoslavia.
Domenica, 17 gennaio 1993
" black out " delle comunicazioni, ma secondo i serbi a Gornji Vakuf e iniziata la battaglia decisiva tra croati e musulmani
Per la Bosnia una proposta delle grandi potenze
ZAGABRIA . I mezzi di informazione croati e bosniaci hanno improvvisamente sospeso tutte le informazioni sugli scontri tra croati e musulmani a Gornji Vakuf, nella Bosnia centrale. Radio Zagabria si è limitata a riferire che "pare che i combattimenti siano cessati". "Non sono affatto cessati" affermano circoli militari serbi di Banja Luka. Secondo loro ieri pomeriggio è iniziata la battaglia decisiva, in cui vengono impiegate tutte le armi, dai carri armati ai cannoni e ai mortai pesanti. Per il momento i croati non sarebbero riusciti a stabilire il controllo della città e dintorni come intendono, poiché Gornji Vakuf si trova nella regione che secondo il piano di pace di Ginevra sarà controllata dai croati. Ancora bombe su Sarajevo Anche a Sarajevo si continua a morire. Continuano a bombardare il centro della città. Un'altra granata è caduta nella via Radojka Lukic. Ha ucciso un a persona e ferito numerose altre. Il bilancio di venerdì a Sarajevo è di dieci morti e quarantacinque feriti. Tuttavia l'attenzione degli osservatori militari è concentrata sulla Bosnia settentrionale, lì dove passa il corridoio che collega i territori che i serbi controllano in Bosnia e Croazia con la Serbia. Il capo dei serbi bosniaci Karadzic ha dichiarato a Belgrado di essere sempre più convinto che martedì prossimo il Parlamento della Repubblica serba ratificherà l'accordo sul futuro assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina, che egli ha già accettato a Ginevra, ma ha anche ripetuto che i serbi non rinunceranno mai al corridoio con la Serbia, perché per loro è di vitale importanza. "Lo avremo . Karadzic . o con le buone o con l e cattive". In tutta l'area si combatte praticamente senza sosta e nelle ultime ore le forze croate avrebbero ottenuto importanti risultati sul fronte settentrionale e sarebbero a soltanto un chilometro dalla città di Doboj dove i serbi sarebbero stati presi dal panico. La propaganda dei croati Contemporaneamente i croati bosniaci stanno conducendo un'intensa azione propagandistica tra i profughi bosniaci in Croazia, cercando di convincerli a tornare nelle loro terre e combattere per la liberazione. Alla possibilità che in Bosnia continui la guerra, continuano a pensare anche le grandi potenze. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Spagna hanno concordato una proposta di risoluzione che presenteranno al consiglio di sicurezza al fine di far rispettare il divieto di volo sulla Bosnia. La Russia però non ha voluto esprimersi in merito, preferendo aspettare l'esito del negoziato di Ginevra. Interessante è la notizia che i membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno ammonito la Croazia per le violazioni del cielo bosniaco. Al Palazzo di vetro è stato infatti reso noto che nella ultima settimana del '92 ci sono state ventisette violazioni, delle quali diciannove commesse dai croati. Eros Bicic
Mercoledì, 10 marzo 1993
Testimonianze. Parlano le donne bosniache. Gli abusi e la prigionia: finché è tardi per abortire
"Stuprata,
ma il figlio è solo mio" Racconta Selma: "A quale dei miei
violentatori somiglia questo faccino? Non mi importa più, lo tengo" Sui
"bambini dell'odio" anche l'imam di Croazia e Slovenia vicino alla
posizione della Chiesa cattolica
Lunedì, 2 agosto 1993
Bosnia, a Ginevra si ridiscute tutto. L'America decisa a intervenire in Bosnia con l'aviazione anche senza l'appoggio degli alleati della Nato
Gli
USA: "Libereremo Sarajevo" A Ginevra trattative ancora in alto mare,
ora Izetbegovic vuole ridiscutere tutto
Giovedì, 15 febbraio 1996
Il progetto di liMes - Ricostruzione: le vere rovine sono fuori da Sarajevo
Anticipiamo uno stralcio dell'intervento pubblicato integralmente sul prossimo numero della rivista «liMes» Della Bosnia abbiamo in occidente un'immagine parziale e deviata, interamente concentrata sulle città - soprattutto Sarajevo e Mostar. Questa immagine è stata creata dalle televisioni di tutto il mondo. Lo stereotipo è stato parallelamente avvalorato dalla miriade di funzionari internazionali - negoziatori, esperti, osservatori - che per anni hanno percorso la Bosnia secondo tracciati sempre uguali, precostituiti. E così schematizzano delle entità territoriali apparentemente omogenee, che in realtà sono molto più variegate. Ricordiamo che nel 1991, prima della guerra, sui 51.129 kmq della Repubblica bosniaca risiedevano nominalmente (ma in realtà erano di meno già allora, perché molti lavoravano all'estero) 4.365.639 abitanti, di cui il 43,7% musulmani, il 31,3% serbi, il 17,3% croati. Dopo quattro anni di combattimenti non ne restano che 3 milioni e 100 mila circa, di cui 1 milione e 700 mila musulmani, 500 mila croati e 900 mila serbi - ma si tratta di stime approssimative. Queste persone vivevano e vivono in un territorio in gran parte montuoso, coperto di boschi, solcato da ampie vallate e percorso da tre fiumi principali, la Bosna, la Neretva e il Vrbas. A parte le cinque principali città (Sarajevo, Tuzla, Banja Luka, Zenica e Mostar, dove nel 1991 si concentravano in tutto un milione di abitanti), la gente abitava in una miriade di villaggi e cittadine, oggi in gran parte distrutte e abbandonate. La popolazione che viveva nelle campagna è ora confluita nelle città, trasformandole in giganteschi alveari di sfollati. La distruzione in Bosnia non ha coinvolto solo e nemmeno principalmente le città. La guerra ha devastato soprattutto il territorio lungo gli assi di comunicazione dove si erano sviluppate cittadine e villaggi. Quanto alle principali città, distruzioni consistenti sono avvenute solo a Mostar e Sarajevo. A Mostar, in particolare, le milizie croate hanno completamente distrutto il settore Est (musulmano), già colpito dai bombardamenti serbi. Il problema della ricostruzione si pone quindi in termini globali: bisogna recuperare il territorio nel suo complesso, distribuendo le risorse tra città e campagna per non approfondire ulteriormente il solco scavato dalla guerra. Oggi in Bosnia non c'è più un villaggio o una campagna dove tornare, mentre le città già scoppiano di sfollati. La ricostruzione secondo Euroslavia Una ricostruzione vincolata alla distinzione tra le tre aree omogenee e limitata all'interno dei confini della Bosnia-Erzegovina rischierebbe di risolversi in una formidabile dispersione di risorse e non attiverebbe dinamiche di pace e di ripresa. Il punto debole è di voler canalizzare le risorse di beni e servizi attraverso il retroterra bosniaco servito dal porto croato di Ploce. Questa è la terra controllata dai «duri» croati di Erzegovina, che hanno istituito un sistema arbitrario di doppie dogane, con cui negli anni di guerra si sono assicurati consistenti «pedaggi» (e non solo). In questo «zoccolo duro» erzegovese si sono inoltre consolidati i traffici illeciti della criminalità internazionale. La scelta dello sbocco erzegovese è frutto di un'ottica di ricostruzione che vede come prioritario il territorio della Federazione croato-musulmana. Ma trascurare l'entità serbo-bosniaca significa prescindere dalle interconnessioni oggettive che, se utilizzate e valorizzate, avrebbero un effetto di moltiplicazione nel sistema economico interno e garantirebbero maggiori sbocchi verso le altre repubbliche ex jugoslave, e attraverso quelle verso i Balcani e il resto d'Europa. Vediamo invece quali alternative esistono assumendo un punto di vista diverso, quello del Progetto Euroslavia. L'asse Banja Luka-Doboj-Tuzla. Due aree dalle grandi possibilità di ripresa - Banja Luka e Tuzla - sono in questo momento divise dal confine tra Republika Srpska e Federazione croato-musulmana. Il corridoio della Posavina - che costeggia aree completamente devastate - è per entrambe più un motivo di imbarazzo politico che di vantaggio. D'altra parte, visto da Tuzla, il corridoio di Brcko è un passaggio a livello che finisce per strozzarne i traffici con la Croazia. Tenuto conto invece dei rapporti preesistenti fra Banja Luka e Tuzla, della loro comune proiezione commerciale a nord, del fatto che entrambe utilizzavano Doboj come perno geoeconomico, perché non ipotizzare con spregiudicatezza un circuito alternativo che giovi ad entrambe? Si tratterebbe di un asse euroslavo Banja Luka-Doboj-Tuzla che abbia come terminali esterni Slavonski Brod in Croazia e Lipovac in Serbia. L'asse Zenica/Travnik-Knin. L'aspetto fondamenta le di questo secondo asse euroslavo è il tentativo di rendere permeabile il tratto di confine fra Croazia e Bosnia, contiguo al Settore Sud della Krajina già abitata dai serbi. Con la conquista croata della Krajina e del vasto territorio serbo-bosniaco tra Drvar e Glamoc, Zagabria ha avviato un progetto di ripopolamento di quelle terre, basato sul ritorno dei croati nella Krajina e la reinstallazione di profughi croato-bosniaci, provenienti da altre zone della Bosnia. Come volgere in positivo un processo di pura colonizzazione, per certi aspetti forzata? Trasformandolo in un territorio aperto, attraversato da un asse di comunicazione e sviluppo che metta in contatto la Bosnia centrale musulmana con la costa dalmata tra Zara e Sebenico. Questo asse Zenica/Travnik-Knin potrebbe collegarsi a Banja Luka via-Jajce, aprendo intanto un corridoio umanitario per soccorrere gli oltre 200 mila sfollati serbi. L'asse Foca-Trebinje-Dubrovnik (o Niksic). Qui si tratta di rivitalizzare un'area serbo-bosniaca che può ritrovare una funzione solo emancipandosi dal baricentro di Pale. Il centro industriale di Foca è oggi pieno di sfollati e rischia di diventarlo ancora di più nel caso di un massiccio esodo serbo da Sarajevo. L'alternativa che qui proponiamo è di ridare respiro a questa regione serbo-bosniaca reinserendola nel contesto dell'area dalmato-montenegrina, nella quale ha sempre vissuto prima di esserne tagliata fuori dal secessionismo di Pale. La città croata di Dubrovnik avrebbe un o speciale interesse a questa connessione perché non ha alcuna vocazione a legarsi ai «duri» dell'Erzegovina. Se osserviamo adesso la cartina, notiamo immediatamente il relativo isolamento di Sarajevo. Il distretto di Sarajevo, con il corridoio e l'enclave di Gorazde, appare perdere la sua centralità geopolitica. Complessivamente, tra i territori conquistati dai serbi a est e quelli guadagnati dai croati a ovest, il retroterra musulmano di Sarajevo e della Bosnia centrale si è estremamente assottigliato e soprattutto non ha sbocchi né prospettive di sviluppo. Come riagganciare questa sorta di super-enclave «verde» agli assi euroslavi, che possono darle una funzione e un collegamento esterno? L'assedio a Sarajevo sarà veramente finito quando esisteranno i tre precedenti perni euroslavi cui la capitale bosniaca potrebbe allacciarsi. Abbiamo tracciato alcuni percorsi alternativi di ricostruzione avendo bene in mente che solo un approccio integrato, basato sulla permeabilità delle frontiere, sulla ricucitura delle «ferite» territoriali, sulla cooperazione fra tutte le repubbliche balcaniche e sulla prospettiva della loro comune ammissione in Europa può stabilizzare l'ex Jugoslavia. Al contrario, un'iniziativa umanitaria e un pro getto di ripresa che accentuassero le linee di frattura dentro e fuori la Bosnia sarebbero la premessa di ancor più tremendi conflitti.