Maurizio Zambelli
DI CIMA IN CIMA.....
22 Maggio 1993. Freschi e allenati dalla recente trasferta Norvegese, con ancora negli occhi i fiordi e i baccalà, ci troviamo con Antonio e Carlo ad intraprendere una sci-alpinistica "Alpina". Giovanni purtroppo è bloccato da impegni ferroviario-lavorativi, quindi a suo malincuore deve rinunciare alla compagnia. • Partiamo alle ore 15 circa da Lecco con destinazione Passo Maloja. Il clima è tipicamente primaverile/estivo, quindi le maniche corte sono d’obbligo, così come il gelato a Chiavenna. Con movimenti abitudinari di chi ha percorso centinaia di volte la stessa strada, Antonio guida, parlando di dislivelli, ricordi Norvegesi e strutture architettoniche lamellari. Raggiungiamo il Passo Maloja e parcheggiamo all’ombra. Prepariamo i nostri materiali che a fatica riusciamo a sistemare negli zaini volutamente piccoli. Ci incamminiamo con andatura rigida, dovuta ai Raichle sci-alpinistici, che stona con la leggiadria di alcune ragazze in scarpe da ginnastica, incrociate di ritorno da un probabile bagno di sole o di acqua nel lago di Cavloc. Costeggiamo la sponda orientale del lago, ammiriamo le amanti del sole rosso-crociato in bikini e giungiamo al laghetto artificiale di Pian Canin. Davanti a noi si staglia l’itinerario che conduce al Passo del Muretto, antica via di comunicazione con la Valtellina, mentre verso la nostra destra la valle continua fino alla Vadrec del Forno. Ci inoltriamo nella valle ormai in ombra, e sempre con gli sci sullo zaino, superiamo l’interminabile tratto morenico che ci separa dal torrente del ghiacciaio, che negli ultimi dieci anni, si è ritirato di parecchie centinaia di metri. Finalmente calziamo gli sci e le nostre spalle ci ringraziano. Incominciamo così la risalita verso la Capanna del Forno a quota 2574.La raggiungiamo che ormai fa buio, sono le 21 e per poco rischiamo di saltare la cena. Finalmente il gestore, si convince del nostro appetito e ci serve un brodo con uovo. Usciamo sul terrazzo del rifugio e ci assicuriamo di quanto aveva detto il meteo svizzero e cioè "alta pressione stabile a nord e sud delle Alpi". Il tempo tiene, quindi decidiamo di partire molto presto e provare a collezionare due cime già da noi salite con gli sci singolarmente, ma non nello stesso giorno. La cima del Monte Sissone e la Cima di Castello sono davanti a noi, la prima a sinistra e la seconda alla destra. Partendo molto presto ce la potremmo fare! Informiamo il gestore che le poche ore che ci restano, preferiamo trascorrerle sulle panche del soggiorno piuttosto che occupare le cuccette del piano superiore. Ci sistemiamo e "dormiamo" non più di tre ore. Partiamo dal rifugio con il ghiacciaio illuminato debolmente dalla luna. Scendiamo il pendio che porta sul Vadrec del Forno e mettiamo le pelli di foca. Risaliamo alla luce delle frontali in direzione sud costeggiando la base della bastionata ovest della Cima di Rosso. Le ombre generate dalla lampada frontale mi fanno ritornare bambino, quando faceva paura il buio, con i suoi silenzi e con i suoi improvvisi bagliori! Giungiamo così, seguendo il riferimento del caratteristico Ago di Cleopatra, alla testata del ghiacciaio. A quota 2800 mt puntiamo decisamente ad est, zigzaghiamo fra i numerosi e profondi crepacci, finché giungiamo per un ripido vallone fino all’ampia depressione fra la Cima di Rosso e il Monte Sissone. Fra pochi minuti giungerà l’aurora e il freddo è intenso. Il colore del ciclo cambia, si addolcisce, il rosso scuro lascia posto ad un rosa intenso per poi diventare chiaro per poi fondersi in un azzurro che più azzurro non si può, vista tutta la neve e il ghiaccio che ci circondano. Proseguiamo per il primo pezzo sulla dorsale con gli sci ai piedi, finché la pendenza ce lo consente, dopodiché calzati i ramponi raggiungiamo, facendo attenzione alle roccette finali ghiacciate, la vetta del Monte Sissone a quota 3330 mt. Davanti a noi la Sella di Pioda e la Nord del Disgrazia sembrano toccarsi con mano, vuoi per la vicinanza, vuoi per la particolare luce dell’alba. Soddisfatti per la prima cima della giornata ci apprestiamo, nonostante siano solo le 5,30 a scendere. Ritorniamo agli sci e, calzatili ci divertiamo in una discesa molto bella, resa tale da una neve dura tipicamente primaverile. Aggiriamo i crepacci superati al buio in salita e ben presto ci troviamo sul pianoro della Cadrec del Forno. In lontananza notiamo gli sci-alpinisti che sono partiti dal Rifugio qualche ora dopo di noi. Individuiamo il passaggio stretto e ripido che ci consente di rimontare il primo tratto di salita, e incollate le pelli ci apprestiamo a raggiungere la nostra seconda cima della giornata. Il sole ben presto ci raggiunge e ci obbliga ad uno spogliarello fuori orario! Il dislivello fin qui percorso comincia a farsi sentire. La pendenza di risalita è sempre buona, e dopo un paio d’ore, raggiungiamo il Passo del Cantun. Davanti a noi si apre uno spettacolo nuovamente unico. La valle che scende verso la diga di Albigna è ai nostri piedi, davanti al Badile, sulla nostra destra la Cima di Cantone e sulla sinistra la Cima di Castello. A questo punto togliamo le pelli di foca per iniziare un breve traverso in discesa, il cui primo tratto è abbastanza ripido. Raggiungiamo la Bocchetta del Castel a quota 3106. Qui siamo sull’itinerario di salita che parte dalla capanna de l’Albigna (2336 mt.) e porta alla vetta della Cima di Castello. La salita si svolge, sci ai piedi, su un ampia spalla fino ad una calotta nevosa. Lasciamo gli sci e raggiungiamo in pochi minuti la cima a quota 3388.Sono le 9 circa e nonostante la stanchezza siamo soddisfatti. Il tempo è stupendo, non si riesce a trovare una nuvola neppure usando il binocolo. Per non trovare neve brutta scendiamo subito. Le condizioni sono ottime e ci gustiamo senza alcuna fatica e con molta soddisfazione la discesa. Oltrepassiamo sciando la biforcazione di traccia che riporta alla Capanna del Forno e dirigiamo le punte dei nostri sci decisamente verso valle. Cerchiamo di sciare più pendio possibile finché ci ritroviamo sulla morena risalita la sera precedente. Da qui è obbligatorio togliere gli sci, riporli sullo zaino e proseguire a piedi. Il caldo, amplificato da tutti i residui morenici è veramente tanto e il nostro abbigliamento è troppo pesante per un clima così estivo. Grondanti sudore e con i piedi a pezzi, costeggiamo nuovamente il lago di Cavloc, scendiamo sulla comoda strada fino al parcheggio del Maloja. Assetati e accaldati raggiungiamo l’auto parcheggiata all’ombra. Sono passate esattamente 20 ore e abbiamo percorso uno sviluppo imprecisato (o meglio non calcolato!) e un dislivello totale di circa 2850 metri collezionando due belle cime. La soddisfazione settimanale ce la siamo presa! Occhio alla prossima!