Maurizio Zambelli

ELBRUS VULCANO BIANCO

Ed eccomi anche questa primavera, a preparare sci e zaino per una nuova avventura sci-alpinistica. Nonostante le promesse fatte alla moglie e alla figlia, di effettuare una vacanza in Italia, o quantomeno vicino a casa, ecco all'ultimo momento la proposta tentatrice di Marino ed Antonio di varcare la "cortina" Russa per salire e naturalmente scendere con gli sci il Monte Elbrus. L'Elbrus è un vulcano spento, ricoperto dai ghiacciai, situato nel Caucaso, che con i suoi 5642 metri era considerata la cima più alta della vecchia Europa. Dopo le inevitabili corse burocratiche per il visto e le scartoffie di rito, eccoci seduti sui vellutati sedili del DC9 Swiss-Air che, via Zurigo, ci conduce a Mosca. Con noi c'è una rappresentanza alpinistica sovietica appartenente al Club-Sportivo-Kamaz di Mosca, ospite del CAI-Lecco nella settimana antecedente la nostra partenza. Durante questa settimana hanno avuto il piacere di salire, sci ai piedi, le cime più belle della nostra Valtellina (Cevedale, Gran Zebrù, Palon De La Mare. Tresero) ed ora sono impazienti di mostrarci le cime più prestigiose del Caucaso, Elbrus, Gumaci ecc. La mattina del 7 Maggio, primo trasferimento in aereo a Mineralije-Vode, e da qui, con un pullman per 5-6 ore, fino all'albergo situato in posizione strategica per eventuali gite sci-alpinistiche. Il tempo sembra buono, il vitto e l'alloggio hanno bisogno di un periodo di rodaggio, comunque, è regola adeguarsi alle usanze dei paesi in cui si è ospiti. La mattina dell’ 8 Maggio, la sveglia è di buon'ora (ore 4.00). La cima prescelta per il primo assaggio di Caucaso è il Pic-Gumaci, una cima di 3900 mt. che è la prova d'esame per un cittadino russo per potersi fregiare del "titolo" di Alpinista. Lo scenario è molto bello, morene e ghiacciai si inseguono fino alle cime, che in lontananza si stanno illuminando con i primi raggi del sole. La salita sul ghiacciaio non presenta particolari difficoltà, se non quelle tecniche di una salita tra crepacci. Con gli sci raggiungiamo la sella a quota 3600. Da qui, calzati i ramponi, guadagniamo velocemente la cima. Le condizioni atmosferiche sono buone e vediamo per la prima volta la cima più alta del Caucaso, il Monte Elbrus che svetta in lontananza. La discesa ci riserva non poche fatiche perché le condizioni della neve non sono delle migliori. Resta comunque una gran bella sciata, contornata dallo scenario stupendo del ghiacciaio Gian-Kuat. La mattina seguente, con una teleferica, raggiungiamo quota 3200 sulle pendici dell'Elbrus. Il tempo è bello e sembra di essere vicinissimi alla cima nonostante ci separino 2300 metri di dislivello e uno sviluppo enorme. Calzati gli sci e messo in spalla lo zaino, abbastanza pesante, in cui abbiamo viveri per quattro giorni, incominciamo la salita verso il rifugio/bivacco " Priut 11 " situato a quota 3900. La cima è sempre davanti a noi e la forma ricorda proprio il seno di una donna. C’è stato appunto confermato dai componenti dei "Salvadores" (equivalente del nostro Soccorso Alpino) che il nome Elbrus deriva appunto da questa somiglianza. Anticamente era un vulcano attivo, difatti mantiene in mezzo alle due cime, un'enorme calotta piana e ghiacciata, che doveva essere il cratere principale. I "Salvadores" ci avvisano di prestare molta attenzione durante la salita e la discesa, perché dai crepacci che disseminano il ghiacciaio, spesso fuoriescono gas provenienti dall'interno dell'ex vulcano. Questi gas, peggiorano notevolmente la respirazione, già affannosa per la quota, e provocano nausea e sonnolenza. Con tutti questi pensieri nella testa, raggiungiamo il " Priut 11 " verso le 13.00. Sistemiamo il nostro materiale negli spazi che il nostro accompagnatore Andrey ci aveva riservato e, vista la bellissima giornata, decidiamo di salire ulteriormente per acclimatarci. Senza zaini né sci. incominciamo a salire. Stiamo tutti molto bene e, passo dopo passo, raggiungiamo la soglia dei 5000 mt. Ormai il sole sta per calare e così ritorniamo ai nostri sacchi a pelo lasciati al rifugio. Durante la perlustrazione pomeridiana abbiamo notato che la salita non è su neve ma su ghiaccio vivo, trasparente, causato da una bufera e dal vento terribile che nei giorni precedenti aveva causato 9 vittime. Il tempo è ancora buono, ma via-radio sentivamo che domani in giornata peggiorerà. Questo ci fa meditare e. durante il consulto serale, decidiamo di affrontare gli ultimi 1600 mt. di dislivello senza gli sci ma solo con i ramponi e di portare con noi qualche bandierina per segnarci il percorso. Inoltre la salita alla cima sarà anticipata a domani invece che il giorno dopo. Questo non ci consentirà di fare acclimatazione ma, viste le previsioni del tempo, è inevitabile tentare comunque. La mattina dopo alle 5.00 sveglia e colazione. Alle 6.00 in punto incominciamo la salita. Raggiungiamo quota 5000 e all'orizzonte si notano minacciosi accumuli nuvolosi. Ben presto siamo attorniati da una nebbia fittissima che non ci permette di vedere. Continuiamo in punta di ramponi la salita ancora per un'ora circa finché, giunti sulla calotta del cratere, la situazione diventa veramente disastrosa. La visibilità è ridotta a zero. Alcuni di noi sono più avanti, però non riusciamo a vederli. Facciamo un rapidissimo consulto e decidiamo, anche se manca ormai pochissimo alla cima, di tornare indietro. A fatica, e con molta attenzione, cerchiamo la traccia che riporta al rifugio. Dopo 3 ore di discesa entriamo finalmente nel bivacco. Fuori ormai è tempesta di neve. Il gruppo che era davanti non è ancora in vista e cominciamo a preoccuparci. Carlo - Giovanni - Antonio - Massimo e Mauro arrivano dopo circa mezzora. Rapidamente ci interroghiamo e veniamo a sapere che nessuno di noi è riuscito ad arrivare sulla cima vera e propria. Chi si è dovuto fermare a 25 mt. dalla stessa e così via, chi a 100 e chi a 200 mt. L'importante, a questo punto, visto il tempo era di essere lì al riparo tutti insieme. Il pensiero dei dispersi della settimana precedente (tra cui un italiano, giornalista della rivista Alp) era troppo recente per non essere considerato e valutato. Con il rammarico della cima non raggiunta per pochi metri, ognuno di noi si addormenta sperando nelle condizioni meteorologiche del giorno dopo, perché è sottinteso che se il tempo si mette al bello, c'è il conto aperto con quei sospirati 25 mt. che ci separavano dalla cima. Purtroppo la mattina seguente il tempo è brutto e le previsioni non danno miglioramento neppure per il giorno dopo. Scelta di rigore: calzare gli sci e scendere a valle. Ci aspettano 2000 mt di dislivello! Scendiamo con condizioni di neve ottime, un po' meno quelle di visibilità, però tutto sommato la sciata è divertente e appagante. Ben presto il fondo valle è raggiunto. Dopo le strette di mano, ci dirigiamo, sci in spalla, verso il nostro alloggio. La mattina seguente, il tempo non è ancora bello, però non nevica più. Decidiamo di fare una perlustrazione, sci ai piedi, in una delle numerose valli che conducono agli svariati ghiacciai della zona. Scegliamo, su suggerimento di Victor, capo dei "Salvadores" il ghiacciaio che porta al passo del Garvash. Ogni tanto qualche occhiata di sole passa dalle nuvole e ci lascia ammirare dei paesaggi stupendi. In queste zone, gli atleti russi, annualmente indicono gare di arrampicata su ghiaccio. Spesso lo sguardo cerca in lontananza il "Vulcano-Bianco" che però resta nascosto da nuvole di tempesta. Ormai la nostra vacanza volge al termine. Torniamo a Mosca dove ci aspettano i nostri amici moscoviti che nel frattempo hanno preparato tutto per farci assaporare al meglio il nostro ultimo giorno in terra Sovietica. Serata per assistere ad un famoso balletto in un altrettanto famoso teatro, pranzo in Piazza Rossa per il saluto di rito. Saliamo sull'aereo che ci riporterà in Italia. Siamo soddisfatti di aver visto anche questa volta posti nuovi, conosciuta gente nuova e di aver comunicato la nostra voglia di sci-alpinismo. Resta il ricordo delle persone con cui abbiamo vissuto per 10 giorni, comunicando esperienze di vita quotidiana e di alpinismo.