Maurizio Zambelli

GRANDE NORD

Spedizione fredda

Seconda parte

La notte porta ancora vento e neve, finché, appena schiarisce, decidiamo di spostare il campo in una posizione più sicura. Sotto una fitta nevicata, disseppelliamo le tende semicoperte dalla neve e ci spostiamo con tutto il materiale in un pianoro sottostante. Questa operazione ci tiene impegnati quasi tutto il giorno. Il mattino seguente non nevica più, quindi proseguiamo la nostra traversata. Raggiungiamo la cima piatta vista due giorni prima e proseguiamo lungo la facile cresta fino a quota 1191.Da qui dobbiamo obbligatoriamente fare un traverso da "Adrenalina purissima": il fianco della montagna è molto ripido e la recente nevicata rende questo passaggio molto delicato. Proseguiamo molto distanziati e notiamo con piacere che la consistenza della neve norvegese è superiore a quella Alpina, quindi passiamo indenni da questo mega-traverso. Raggiunta la bocchetta a quota 1150, dobbiamo togliere gli sci per abbassarci un centinaio di metri su sassi e neve. Rimettiamo gli sci e scendiamo ulteriormente nel vallone fino a quota 850.

Mettiamo con malavoglia le pelli e ci incamminiamo verso l’Ellendalterit (1328 mt.). La salita, nonostante il peso dello zaino, è effettuata con rinnovato ottimismo, visto che il tempo sembra mettersi al bello. Raggiungiamo dopo un breve tratto ripido di neve e sassi la cima a quota 1504, e subito iniziarne a scendere su un ghiacciaio molto bello. Dominando alti salti rocciosi, attraversiamo una piccola crepacciata e ci troviamo su un pendio di circa 150 mt. con pendenza 40 gradi. Indugiamo un po' prima di effettuare la prima curva, ma memori della consistenza della neve saggiata la mattina, diamo via libera alle nostre capacità sciistiche. Arriviamo velocemente sul pianoro del ghiacciaio Steindalsbreen, lo attraversiamo verso nord, finché raggiungiamo il colle a quota 997. Da qui, dominando il fiordo sottostante, scendiamo in un bellissimo vallone a pendenza costante fino a 350 mt. È tardi, sono ormai circa 12 ore che siamo in cammino, e la stanchezza si è già fatta sentire da un po'. Ci consultiamo, e visto il bei tempo, decidiamo di continuare ancora. Difatti, circa due ore dopo, ci troviamo in prossimità del vallone Slókedalen, dove, al riparo di due grossi massi innalziamo le tende. Sopra di noi inizia il bellissimo ghiacciaio che porta allo Jiekkevarri, la cima più alta di tutta la traversata (1870 mt.).Dormiamo poco, poiché la mattina seguente partiamo che è appena chiaro: le 3.00 circa. Risaliamo verso est, restando il più a destra possibile salendo per non essere sotto il tiro dei numerosi seracchi che incombono sulla salita. Arriviamo in mezzo a dei grossi crepacci, dai quali non troviamo via d'uscita se non togliendo gli sci e risalendo un ripido pendio sulla sinistra. Questo fuori programma ci costa una quantità di energie tale che dobbiamo, all'uscita del ripido, concederci una sosta non programmata. Ripartiamo sul pianoro ghiacciato a quota 1500 e seguendo una successione di creste, raggiungiamo la cima dello Jiekkevarri. Alle nostre spalle, data la giornata splendida, si vede gran parte dell'itinerario percorso, mentre davanti a noi, la continuazione della penisola adagiata sul mare semighiacciato. Iniziamo la discesa e cerchiamo con qualche difficoltà il passaggio ripido che ci consenta di passare dai salti rocciosi. Raggiunto il colle a quota 1400, ci apprestiamo a risalire i larghi e ripidi pendii che conducono alla cima del Kveita (1720 mt.). Ormai siamo abituati e ci sentiamo a nostro agio con questi ritmi, tipici di una traversata. Il mettere e togliere 5-6 volte al giorno le pelli di foca, ormai non rappresenta più un problema! Solo Giovanni ha qualche piccolo litigio con le sue pelli, che pur essendo nuove, spesso tendono a staccarsi (Mito svizzero crollato!). Raggiungiamo dopo un ripido traverso la calotta nevosa a 1700 mt. su cui posiamo il nostro campo. La serata è magnifica, non c'è una sola nuvola in cielo, e se non fosse per il freddo intenso, rimarrei per un bel po' a godermi il panorama! Costruiamo come il solito i muri fatti di blocchi di neve, atti a riparare le tende dal vento. L'architetto, oltre che dirigere i lavori, in questi casi deve anche operare di pala e picca! Dormiamo fiduciosi nel bel tempo, invece il mattino seguente siamo avvolti da una nebbia fittissima. Smontiamo il campo e pochi metri sopra di noi intravediamo un velatissimo sole. Prepariamo gli zaini e attendiamo la schiarita. Dobbiamo aspettare per circa 5 ore il momento opportuno per muoverci e individuare l'unico canale di discesa. Ormai è primo pomeriggio, e la strada da percorrere molta! Scendiamo per circa 300 mt. fino al Fugledalsbreen, contorniamo un singolarissimo imbuto di ghiaccio scavato dal vento e saliamo il Fugledaisskardet. Da qui, dopo circa due ore, scendiamo sul ghiacciaio Rypedalbeen, nella cui parte finale si presenta il tratto più ripido di tutta la traversata. La pendenza difatti aumenta sempre di più finché non ci troviamo davanti ad un canale di cui non riusciamo a vedere il fondo per la forte inclinazione. Fiduciosi nel fatto che sia quello giusto, scendiamo... È la prima volta che affrontiamo un 45° con uno zaino così pesante! Ogni curva provoca un abbassamento di traiettoria di parecchi metri, però, tutto sommato ce la caviamo egregiamente! Dal basso, sul lago ghiacciato, ammiriamo il ripido appena sceso e ci incamminiamo nel lungo piano Kvalvikdalen. Ormai sono le 20.00, ma vogliamo evitare il piazzamento di un altro campo, così decidiamo di continuare fino al paesino di Lyngseidet. La stanchezza è veramente tanta, così pure il tratto da percorrere. Per nostra fortuna troviamo un piccolo ruscello, così che possiamo dissetarci e riempire le borracce. Continuiamo il nostro avvicinamento al paese. Ormai è buio, meccanicamente percorriamo un traverso interminabile non vedendo l'ora di smettere di camminare e mangiare qualcosa. Finalmente sulla nostra destra, sulla riva del fiordo, intravediamo le poche luci di Lyngseidet. È fatta! Arriviamo che sono le 23.00. In un attimo ci scoliamo un bottiglione di coca e divoriamo dei biscotti secchi. Un comodo camping con tanto di bungalow riscaldati ci attende. Dopo otto giorni di completa solitudine e di freddo intenso, ci addormentiamo sotto caldi piumini d'oca sognando bianche distese ghiacciate e profondi silenzi.