Maurizio Zambelli
KALAALLIT NUNAAT: OLTRE L’ULTIMA FRONTIERA
Groenlandia, con i suoi 341000 Kmq è l’isola più grande del mondo. Il suo nome significa "terra verde", ma per il clima variante da artico a sub-artico è tutt’altro che verde.
La maggior parte dell’isola è ricoperta da un’immensa calotta di ghiaccio che per estensione è seconda al mondo solo al continente Antartico. Da questa calotta, scendono verso il mare in ampi canaloni, innumerevoli ghiacciai da cui si staccano in estate migliaia di icesberg. Lo spessore di questa calotta glaciale nella parte centrale dell’isola raggiunge i 3300metri circa e appoggia sulle rocce dello scudo Groenlandese, geologicamente parte dello Scudo Canadese.
Subito dopo l’atterraggio nel piccolo aereoporto di Kulusuk, giovedì 20 Aprile 2000, sulla pista in terra battuta riscaldata per sciogliere il gelo, il clima, la luce e gli odori del posto sono proprio come me li immaginavo! Il freddo è secco, la luce è bianca lattiginosa tipica dell’estremo Nord e l’odore dei cani da slitta molto simile a quello selvatico dei lupi. Già questo primo impatto mi carica di entusiasmo e con ansia aspetto l’elicottero che trasporterà me e i miei compagni di viaggio ad Ammassalik, distante in linea d’aria solo 50 km, ma in questa stagione irraggiungibile via terra.
Il volo radente sul mare ghiacciato pieno di icesberg, è emozionante! La superficie del mare è immobile, così come immobili sono gli enormi icesberg che galleggiano in essa. Tutto sembra fermo nel gelo dei-20°C. In lontananza, noto ghiacciai a perdita d’occhio, che finiscono nei numerosissimi fiordi della costa. Dopo 20 minuti di volo, l’elicottero atterra sul piccolo spazio bianco coperto di neve di Ammassallik. L’avventura è veramente iniziata! Il trasferimento di tutto il bagaglio alla Red Hause di Robert Peroni è veloce. Prepariamo i piani, le cartine e ascoltiamo attentamente i consigli di Robert utili per i sette giorni successivi, e pieni di ansie e interrogativi, tentiamo di addormentarci.
Nel silenzio della notte artica, il latrato dei cani da slitta è continuo, il vento sibila freddo sulle case di legno e il freddo è intenso. La differenza con i rumori notturni a cui siamo abituati in Europa è netta!
Niente automobili, televisioni, voci. Solo vento e cani! In Groenlandia, ogni famiglia di Inuit ha come patrimonio personale oltre che la piccola casa di legno dipinta con colori vivaci, almeno due mute di cani. Con essi, si spostano, vanno a caccia e si divertono. All’esterno di ogni abitazione, di notte, questi bellissimi cani vengono legati e attendono latrando il momento della corsa attaccati alla slitta.
Gli Inuit, il cui significato è "uomini veri", sono un popolo di cacciatori, e ancora oggi nel 2000, per loro ogni preda di caccia è concessa. (Foca, bue muschiato, lepre artica, qualche renna) La selvaggina catturata, rappresenta cibo per la famiglia e le parti meno pregiate, cibo per i cani. Con le varie pelliccie, gli Inuit confezionano indumenti, guanti, cappelli e calzari, conciando le pelli in modo molto artigianale. Il procedimento della concia e il basso tasso di umidità dell’aria non consentono per fortuna, di conservare le pellicce per esportarle in Europa.
Il tempo sembra essersi fermato! I ritmi di vita sono quelli legati al corso della natura e non quelli decisi da altri uomini. L’alternarsi del giorno e della notte, le stagioni, le lune, scandiscono le attività degli Inuit. Il modo di attaccare i cani alla slitta (a raggiera e non in linea come in Alaska), i comandi vocali per direzionare la muta, i giorni in cui cacciare, i periodi di riposo sono tramandati da secoli con un codice di comportamento invidiabile per noi Europei.
Adeguandoci immediatamente a questo stile di vita, la mattina del 21 Aprile, carichiamo tutto il nostro materiale sulle due slitte che ci porteranno sul posto consigliato da Robert in cui piazzare il nostro piccolo"campo base". La partenza delle due slitte con noi a bordo è da batticuore! Con precisi e secchi comandi, il muscher guida i cani attraverso l’immaginaria pista che attraversa i fiordi ghiacciati, valica due passi, attraversa un imprecisato numero di laghi ghiacciati, risale due tondeggianti panettoni e si ferma nel punto esatto da noi indicatogli poche ore prima sulla sommaria cartina a disposizione. L’affiatamento fra uomo e cane è impressionante! Sembra che entrambi capiscano che l’esistenza dell’uno è strettamente legata a quella dell’altro.
Il freddo è intenso e per scaldarci, prepariamo velocemente ma con cura, quello che sarà il nostro "Residence Groenlandia" che ci ospiterà i giorni successivi. Il silenzio è assoluto! Per persone come me che sono abituate al rumore quotidiano della vita industriale, ci vuole un po’ di tempo per abituasi al silenzio. Il solo muovere la pala da neve per sistemare i blocchi di ghiaccio vicino la "cucina", provoca un rumore forte.
I tempi qui sono Groenlandesi e non Italiani. Un esempio: dal momento in cui ho sete, a Ballabio, apro il rubinetto in cucina e nel giro di tre secondi la mia sete è soddisfatta. Qui, devo accendere il fornello a benzina, badando bene a non togliere i guanti, prendere della neve pulita, aspettare che si sciolga e bolla, quindi aggiungere una bustina di the e dopo circa venti minuti di lavoro, finalmente bere!
Anche le notti sono diverse! Nel mio sacco a pelo, con una temperatura esterna di –15°C, -25°C, sono solo con il calore del mio corpo e il sonno a volte tarda a venire. Durante questi momenti, la mia mente vaga per le bianche distese groenlandesi, alaskiane, norvegesi, russe, francesi, americane e valsassinesi. Condizionato poi dai racconti di Robert sugli orsi bianchi che attaccano l’uomo (fucile da guerra russo 1908 datoci in prestito per ogni evenienza!) sogno di essere un lupo che rincorre una lince sulla superficie bianca dei fiordi ghiacciati. Corro, corro a perdifiato, senza raggiungerla! Poi d’improvviso mi sveglio. Mi sono addormentato con le braccia fuori dal sacco a pelo e adesso ho freddo. Mi copro completamente ed il sogno riparte. Raggiungo la lince e con lei vago senza meta sotto una fitta nevicata…..Vengo interrotto nel mio scorrazzare in libertà da Giovanni che mi chiama alla realtà! Sono le 8.00 e bisogna alzarsi, preparare la colazione calda e abbondante ma soprattutto decidere la cima da salire.
Il muoversi con gli sci in questi ambienti è il massimo che uno sci-alpinista, selvatico come me, possa desiderare. Gli spazi sono amplissimi, l’isolamento assoluto, la natura imparagonabile, la neve ottima e la consapevolezza di essere in un luogo talmente esclusivo…..fa il resto! Mi gusto ogni passo cadenzato della salita e assaporo ogni curva nella polvere delle discese, come se stessi vivendo un momento unico.(carpe diem). La vita in comune con i miei compagni di avventura è una vera lezione di vita. In questi momenti vige tacita la massima "uno per tutti, tutti per uno". A distanza di qualche mese, mi fa sorridere l’idea televisiva del Grande Fratello! Una situazione artefatta e pilotata che non ha niente a che vedere con il vero vivere in comune con persone diverse!
Secondo me, dopo queste esperienze, ognuno di noi ne esce più maturo e consapevole dei propri limiti, ma sicuro delle proprie forze, in pace con se stesso e con il mondo che nonostante tutto e tutti gli ruota attorno, consapevole della propria impotenza nei confronti della natura ma altrettanto sicuro della propria personalità e la propria determinazione di vivere.
DIARIO DI VIAGGIO
Amici di avventura:
Giovanni Anderis, Antonio Curtabbi, Massimo ChissottiGiovedì 20 Aprile: Partenza da Lecco e via Copenhagen, Islanda, Kulusuk, arrivo a Tassillak alla Red Hause di Robert Peroni (Medico, alpinista, esploratore e autore di molte "prime traversate" con gli sci della Groenlandia. Nativo di Bolzano attualmente risiede a Tassillak e dedica agli Inuit la maggior parte dell’anno)
Venerdì 21 Aprile: Trasferimento con le slitte per circa 30 Km e piazzamento del campo base. Quota 75 mt. Visto l’orario e la luce ancora a disposizione per molte ore, considerando poi il tempo buono, decidiamo di effettuare la prima salita in terra Artica. Raggiungiamo la cima quotata 1050 mt che sta proprio dietro il nostro campo. Risaliamo tutti i pendii, compreso il ghiacciaio, con gli sci ai piedi e solo per gli ultimi 80 mt di cresta di misto utilizziamo i ramponi
Sabato 22 Aprile: Tempo sereno e freddo, risaliamo il ripido canale che sta di fronte al nostro campo e raggiungiamo un’enorme plateau ghiacciato che richiede più di un ora per il suo attraversamento. Perdiamo circa 100 mt di quota per immetterci sul ghiacciaio che con pendenza costante porta ad un enorme imbuto ghiacciato, creato dal vento Polare. Qui lasciamo gli sci e con picozza e ramponi raggiungiamo la nostra seconda cima in un dedalo di canalini fra formazioni di ghiaccio simili a cavolfiori veramente suggestivo. Torniamo al nostro campo alle 15.00, è già in ombra e il freddo si fa sentire.
Domenica 23 Aprile, Pasqua2000: Sopra le nostre teste filtra la luce del sole nonostante il tempo nebbioso. Decidiamo salire la cima individuata il giorno precedente alle spalle del nostro campo e parallela a quella salita il primo giorno. Anche per questa salita, dobbiamo lasciare gli sci al termine di un canale dalla pendenza sostenuta (45°) e percorrere gli ultimi metri di cresta a piedi. La discesa così come la neve sono da brivido! Non contenti, a metà discesa, risaliamo sci in spalla una larga cresta che porta alla cima di un singolare "corno". Rientriamo al campo soddisfatti e bruciati dal sole. In attesa della cena proviamo il fucile in un tiro a segno che denuncia chiaramente la nostra mancanza di dimestichezza con le armi.
Lunedì 24 Aprile: Partenza alle 8.40. Il cielo è coperto. Risaliamo i pendii che alle spalle del nostro campo risalgono ad un evidente passo a q.375 mt. Togliamo le pelli di foca e, abbassandoci di circa 150 mt, mettiamo piede sul ghiacciaio. Lo risaliamo per circa i 2/3 della sua lunghezza e poi decisamente svoltiamo su di un altro ghiacciaio, un po’ più ripido del primo, che termina in un anfiteatro granitico eccezionale. Finchè possiamo, teniamo gli sci, ma con l’aumentare della pendenza ormai prossima ai 45° li togliamo e rimontiamo il canale che porta alla cima q.1352.La più alta di tutta l’isola di Ammassallik. Il tempo nel frattempo è peggiorato e iniziamo la discesa nella bufera Artica. Nonostante l’utilizzo del posizionatore satellitare "Magellano", ad un certo punto imbocchiamo un ghiacciaio parallelo a quello risalito. Questo errore ci costa ulteriori due ore di sforzi per ritrovare la nostra traccia di salita, ci porta però a risalire un ulteriore cima a q.650. Rientriamo al campo alle 16.40 esattamente dopo otto ore di cammino. Siamo stanchi e provati dal freddo. Anche l’altimetro non dà speranze per il tempo di domani.
Martedì 25 Aprile: Nevica fitto. Non ci resta che starcene al campo, cercando di riposare, scaldarci e aspettare l’evoluzione del tempo!
Mercoledì 26 Aprile: Nevica ancora. Il nostro "Residence" è quasi sepolto dalla neve. Lavoriamo di pala per liberare il campo e per scaldarci un po’. Per passare il tempo, indiciamo un torneo, prima pomeridiano poi serale e notturno di tresette. Ogni tanto ci rifugiamo nei nostri sacchi a pelo per mantenere il calore corporeo e così messi, riusciamo solo a parlare. I discorsi finiscono quasi sempre su ricordi di viaggi passati, di cime salite da ognuno di noi, di programmi per il futuro vicino e lontano, di donne, di amori e di passioni personali. Non ultimo, il proposito di organizzare la prossima trasferta alle isole Hawaii. Anche lì c’è un vulcano, il Mauna Kea, che potrebbe essere sciato! Il problema potrebbe essere convincere mia moglie vedendomi partire da casa sì con gli sci nella sacca ma nel borsone tutti i costumi da bagno e i pantaloncini corti!
Giovedì 27 Aprile: Il tempo è ancora pessimo! Oggi è il giorno fissato conTobias (il muscher Inuit) per venirci a recuperare con i suoi cani. Intuiamo che con queste condizioni climatiche sarà impossibile per lui rispettare l’appuntamento. In fretta decidiamo il da farsi. Smontiamo completamente il nostro accampamento, accatastiamo tutto il materiale, tenendo negli zaini il minimo indispensabile e prendiamo la via del ritorno. Per fortuna, anzi per nostra precauzione, avevamo memorizzato sul GPS il percorso fatto a bordo delle slitte il 21Aprile.Senza alcuna visibilità e aiutati dalla tecnologia, ripercorriamo fedelmente tutto il tragitto. Finalmente, dopo circa 25 km, arriviamo sul fiordo Kong Oscar Havn. In lontananza, nella bufera, intravediamo le minuscole casette di legno del paese dipinte in modo vivace (giallo, rosso, verde): sono gli unici colori nel paesaggio bianchissimo! Capiamo a questo punto il motivo di tali colori! Robert, con il cannocchiale, ci ha visti! Arriviamo alla Red Hause. Subito ci invita ad una sauna che ha preparato calda per noi. Ci sembra di rinascere!
Venerdì 28 Aprile: Giornata di riposo in attesa dell’elicottero che ci porterà in aeroporto a Kulusuk. Ci mettiamo in contatto con Tobias che non sa più come scusarsi! Ha comunque effettuato due tentativi con le sue mute di cani per venire a recuperarci, ma le condizioni della neve e dei fiordi erano veramente proibitive.(Tobias e Robert, recupereranno il nostro materiale i primi di Maggio e ce lo invieranno a Malpensa)
Sabato 29 Aprile: A malincuore salutiamo Robert, e viste le condizioni meteo decisamente migliorate anche elicottero ed aereo possono prendere il volo e riportarci a casa. Trascorriamo una serata in Islanda bevendo birra e mangiando salmone, la bellissima avventura è finita! Sorvolando i ghiacciai dell’Islanda però i nostri occhi si incontrano! Forse l’anno prossimo?!