Maurizio Zambelli

LA CIMA

La cima stava giusto davanti a me, leggermente velata da nuvole bianco latte. Poi d’improvviso un colpo di vento più forte degli altri ed ecco la sagoma della montagna stagliarsi nitidissima contro il cielo blu. Ormai mancava poco al suo punto massimo, segnato da un sasso quadrato. Il sole saliva lento alle mie spalle e proiettava la mia ombra sul ripido pendio bianco davanti a me. I miei movimenti sembravano avvenire al rallentatore. Il piantare la picozza, il ciclico avanzare dei miei ramponi sulla neve dura, aveva un non so che d’irreale. Gli sci, infilati nello zaino, mi facevano ondeggiare leggermente ad ogni singolo passo. Sembrava che il movimento cullasse la mia fatica! Il sudore sul collo faceva da lente al sole del mattino e a nulla serviva la crema protettiva. All’improvviso davanti a me, l’ultimo canalino, ripido più dei precedenti. Un passo dopo l’altro fino alla sua sommità, dopo di che un pezzo di cresta piana verso destra ed ecco finalmente la mia cima. Il sasso quadrato che avevo visto dal basso è veramente grande e ripara dal vento gelido che soffia da nord. Alla sua base si sta bene, fin troppo! Tolti lo zaino e i ramponi, tutto è già solo un ricordo. La partenza alle 3.30 dal Rifugio, il risalire ad intuito, il fiume con la luce della lampada frontale, il bagno fuori programma alle 4 di mattina con l’acqua gelata fin sopra il ginocchio, il canalone iniziale da percorrere con il filo delle lamine dei Dynastar piantato per qualche decimo di millimetro nella neve durissima. Per poi continuare in una larga vallata, contendendo lo spazio bianco a tanti, tantissimi stambecchi, finche arrivo ad un ampio spiazzo bianco, bianchissimo, freddo, freddissimo. Da qui, prendo il canale più bello, più selvaggio ma anche più stretto e ripido. Finchè riesco con gli sci ai piedi, dopo, aumentata esponenzialmente la pendenza, sci sullo zaino e ramponi sugli scarponi. Mamma mia com’é ripido! La fatica si fa sentire, il mio fisico reagisce bene. Ormai e abituato alle mie richieste. Lo paragono ad un motore automobilistico turbo diesel 6 cilindri. E pensare che vado matto per la Porsche! Nonostante non sia come un motore Porsche in breve supero, il dislivello del canalone e mi trovo a traversare i pendii che conducono alla fascia rocciosa sottostante la cima. Lo stare solo con la mia fatica fisica, mi aiuta a pensare. I pensieri sono rivolti a tutte quelle situazioni, cose o persone che solitamente passano senza lasciare traccia. Ma all’improvviso... Cosa succede, cos’é questo rumore penetrante! Mi guardo intorno. Destra, sinistra, alto, basso, mi preoccupo perché non vedo niente che emetta questo suono... Porca miseria e la sveglia del mio orologio! Sono le 3.15 di mattina, domenica 17 maggio 1998. Ci vogliono due o tre minuti per riportarmi alla realtà! Sono al Rifugio Pontese a 2100 metri di quota. Ho freddo e mi alzo in fretta per vestirmi, fare colazione e partire alle 3.30 come previsto la sera precedente per trovare condizioni di neve ideali. La meta è la Bocca di Gay (quota 3621 m).

Dati tecnici

Accesso in auto: Ivrea - Locana - Rosone – Vallone di Piantonetto – Lago del Teleccio.

Rifugio: Rifugio Pontese del Club Alpino sez. Pont Canavese.

Altre cime della zona: Punta d’Ondezana quota 3492 - Torre Gran S. Pietro quota 3692 - Becca di Valsorea quota 3369.