Maurizio Zambelli

OBERLAND: PARADISO SCI ALPINISTICO

UNA SETTIMANA PER SOGNARE

Partiamo da Grindelwald sul trenino carico di turisti giapponesi con scarpe di vernice ai piedi e macchina fotografica al collo. Dopo una panoramica salita sino ai piedi del mitico Eiger, trasbordiamo sull’ultima cremagliera che, percorrendo tutto il tragitto in galleria all’interno della parete nord dell’Orco, ci depositerà con i nostri zaini al Jungfraujoch, la stazione ferroviaria più alta d’Europa a mt. 3454. La giornata è bellissima e subito, dalle vetrate della stazione scavata nella viva roccia, notiamo il panorama che è veramente stupendo. Il decantato Oberland Bernese merita senza dubbio la sua fama mondiale. Sotto lo sguardo incredulo e preoccupato dei giapponesi presenti, usciamo sul ghiacciaio e, calzati gli sci, infilato lo zaino in spalla, iniziamo il breve tratto di discesa che ci porterà sul pianoro sottostante. La nostra avventura è iniziata: ci aspettano sette giorni di ferie da trascorrere in questo posto meraviglioso. L’unica speranza è che il tempo tenga come da previsioni meteo. Sotto un sole cocente iniziamo la salita verso la Mònchjochhutte, meta della nostra prima notte in Oberland. Subito il nostro sguardo e le nostre mire sono attratti dal Mónch (mt. 4093). Raggiunta, sci ai piedi, la cresta sud, ci dividiamo: Giovanni e Giuseppe decidono di dirigersi al rifugio. Carlo e io invece, lasciamo sci e zaini, agganciati i ramponi e, percorrendo tratti nevosi alternati a roccette, ci dirigiamo verso la cima. All’improvviso la vista sulla parete sud dell’Eiger e sulla Jungfrau viene a mancare per l’arrivo di una serie di nuvole che coprono le vette più alte. Raggiungiamo la cima e ci rendiamo conto di essere oltre i 4000 metri perché il fiato si fa corto e la stanchezza comincia a farsi sentire. Pensiamo che solo questa mattina eravamo a Lecco in riva al lago con i primi germogli verdi sulle piante, ed adesso a distanza di poche ore siamo a quattromila metri, in quello che viene definito il più vasto complesso di ghiacciai d’Europa. La discesa è velocissima e recuperati gli sci ci dirigiamo verso la Hutte, desiderosi di caldo e riposo. La mattina seguente, sveglia alle 4,30 e costatato il tempo stupendo, colazione di rito, punte degli sci rivolte verso la seconda meta, la Jungfrau. Ripassiamo sotto la stazione di Jungfraujoch e puntiamo decisi verso l’evidente scivolo che da inizio alla salita della famosa cima, anche riprodotta sulla confezione di un nolo cioccolato svizzero. Mimetizziamo il materiale eccedente in un crepaccio e continuiamo, alleggeriti, la salita. Il tempo si mantiene magnifico e la vista di tante cime allevia la fatica. Raggiungiamo così a quota 3885 il colle del Rottalhorn. Lasciamo gli sci e con picozza e ramponi, ci apprestiamo a superare gli ultimi trecentocinquanta metri che ci separano dalla vetta. La salita avviene lungo l’impegnativa cresta sud-est. Con il cuore in gola per la quota, ma anche per l’emozione, raggiungiamo finalmente la meta. Lo spettacolo che si ammira a trecentosessanta gradi è stupendo: ghiacciai, cime e poi ancora cime e ghiacciai a perdita d’occhio. Il cielo è senza una nuvola e ci da la carica per la discesa che si presenta bella e appagante. Difatti si dimostra all’altezza delle nostre aspettative e dopo 1200 metri di dislivello raggiungiamo l’enorme Konkordiaplatz. Si tratta di un grande bacino ghiacciato formato dalla confluenza di ben cinque ghiacciai, in cui lo spessore del ghiaccio pare raggiunga i settecento metri. Il rifugio Konkordiahutte è arroccato su uno sperone roccioso e 150 metri di scala a pioli in ferro lo separano dal ghiacciaio. Sistemiamo gli sci presso un crepaccio e ci arrampichiamo sulla "scala santa" che ci porta al rifugio. Dopo una cena calda e un meritato riposo siamo pronti per partire verso un altro 4000. Il mattino seguente, infatti, il tempo e di nuovo bellissimo. La meta designata e il Gross-Grunhorn, 4043 metri di quota. La salita nel freddo dell’alba è impegnativa perché, non esistendo traccia, dobbiamo cercarci la strada fra gli innumerevoli crepacci. Dopo quattro ore di salita siamo sul colle a quota 3680 e qui, come da copione, abbandoniamo gli sci e raggiungiamo la meta. Siamo molto soddisfatti perché in tre giorni abbiamo salito tre 4000 in condizioni meteorologiche ottimali. Ritorniamo alla Konkordiahutte angosciati da tutti quei gradini della scala a pioli che portano alla Capanna. Il mattino seguente è ancora bel tempo; invece del riposo programmato, decidiamo di salire il Gross Wannenhorn. 3905 metri. Risaliamo dal Konkordiaplalz il ghiacciaio Grùneggfirn e all’improvviso ci troviamo di fronte l’imponente Finsteraarhorn. Lasciamo sulla sinistra il rifugio e raggiungiamo la cima da noi prescelta. Da qui possiamo ammirare ai nostri piedi il famoso Aleschgletscher che scende verso valle per venti chilometri come un enorme fiume bianco, e davanti a noi il Finst. Durante la discesa intuiamo che il tempo cambierà presto: difatti appena raggiunta la Finsteraarhorhutte comincia a nevicare copiosamente. Il rifugio è stracolmo perché gli arrivi sono stati numerosi e le partenze, per il tempo pessimo, pressoché nulle. Nevica tutta la notte, e il mattino seguente, a posto della cima del Finst, ci assaporiamo dopo una notte su panca, la cima di una cuccetta lasciata libera da alpinisti spagnoli scesi a valle. Dedichiamo l’intera giornata al riposo, paghi delle cime dei giorni precedenti. La mattina seguente il tempo non migliora, le ferie stanno per finire, quindi decidiamo di raggiungere il rifugio Hollandiahutte a 3235 metri. Avvolti nella nebbia e sotto la neve, dopo sei ore di cammino, durante le quali ci rendiamo conto delle distanze in Oberland, raggiungiamo il rifugio. Da qui, tempo permettendo, domani si potrebbe salire all’Abeni Flue a quota 3962. Dormiamo al caldo sperando il bel tempo per l’indomani. Infatti, alle cinque il cielo è fantastico. Senza perdere tempo mangiamo, inforchiamo gli sci e iniziamo la salita. Tutto è bianchissimo, rinnovato dalla nevicata degli ultimi due giorni e ogni tanto, dall’Aletshhorn, si sentono tuonare le valanghe. Dalla vetta si vede quasi tutto il percorso effettuato in questi giorni di vacanza e il rimpianto è inevitabile. La discesa è di ben 2300 metri di dislivello, la neve è polverosa, e allora... "a buon intenditor, poche parole!".Arriviamo a Blatten e l’avventura è veramente finita. Davanti a una buona birra ormai l’Oberland è uno stupendo ricordo, presente nella nostra mente e pronto per essere raccontato a chi crede nello sci-alpinismo come ci crediamo io e i miei compagni.