…der schnee fällt…

 

….nevica copiosamente. I rumori sono ovattati e sembrano provenire da lontano. Le auto passano lungo la strada lentamente, ridimensionando la frenesia della velocità. Gli alberi del giardino si imbiancano e si incurvano sotto il peso della neve. Le persone che passano per la via sembrano avere invece un passo più veloce del solito, riducendo così il gap con le auto, restituendo al paese una dimensione più umana. Il fumo esce dai comignoli delle case salendo lentamente incontro ai grossi fiocchi di neve che scendono dal cielo. Tutto il paesaggio assume un'altra dimensione.

Le asperità del terreno si livellano, tutte le ferite inferte dall’uomo alla natura vengono coperte e mimetizzate. La neve, come un enorme tappeto copre un pavimento non più nuovo e ormai rovinato.

Ma fuori dai paesi e lontano dalle opere dell’uomo, cosa succede?

In Norvegia a 70 ° latitudine nord, mi  sono imbattuto in due importanti nevicate durante la traversata sud-nord delle alpi di Lyngen. Per  due volte la traversata ha dovuto interrompersi  a causa le abbondanti precipitazioni nevose. Chiuso nella tendina, l’unica occupazione per due giorni e due notti è stata quella di uscire ad intervalli regolari  per liberarla dalla coltre di neve. Nei tempi di pausa, il silenzio era talmente silenzio che riuscivo a sentire il rumore della neve che cadeva.

Cullato dal rumore lievissimo e nuovo, mi ricordo che i miei pensieri erano quanto mai vivi, rivedevo la mia vita, o meglio,  gli episodi che io volevo rivedere. Ma la cosa particolare era che potevo rivederli più volte, e ogni volta potevo decidere io le sfumature diverse da dare ai fatti. Con i ritmi di vita che ci siamo imposti, è difficile trovare il tempo per queste sensazioni. Può accadere solo al di fuori della routine di vita quotidiana e scatenata comunque da un evento placante e tranquillizzante quale potrebbe essere il cadere della neve.

Diametralmente opposti a questi, sempre legati al cadere della neve, ho anche vissuto momenti di tensione e pericolo unici.

Mi è molto difficile raccontare quest’esperienza accadutami qualche anno fa, ma penso valga la pena di farlo.

Era una domenica mattina come tante altre e la gita prescelta era stata da tempo individuata. Partiti da Ambrì nell’alto Ticino, con il cielo sereno ma con vento forte in quota, durante la salita incontriamo tre scialpinisti svizzeri e con loro saliamo alternandoci a battere traccia nella neve profonda fino a 300 mt dalle due cime che si presentano davanti a noi.

A questo punto ci separiamo, noi sul Madone e loro sul Poncione di Tremorgio. Durante la  loro discesa, il dramma. Un enorme slavina si abbatte sui tre scialpinisti svizzeri, seppellisce completamente due  di loro, mentre il terzo corre verso di noi a cercare aiuto. Immediatamente li individuiamo sotto circa due metri di neve, ma nonostante la velocità e l’affanno con cui scaviamo, quando li portiamo fuori dalla massa nevosa, per loro è troppo tardi. Ed io…… io ho pianto, ho pianto per i due giovani con la passione della montagna, ho pianto per non essere arrivato in tempo, ho pianto pensando che se anch’io fossi andato in quella direzione……

Penso che queste esperienze lascino un segno indelebile, un tatuaggio morale che si rende visibile ogni volta che si intraprende una sci-alpinistica.

I miei ricordi corrono molto indietro nel tempo quando da bambino l’arrivo della neve in inverno era come un enorme giocattolo con cui divertirsi e con cui passare interi pomeriggi finita la scuola. Per fortuna vedo che anche oggi, nonostante tutti i giochi elettronici, tecnologici, e quant’altro, l’arrivo della neve per i bambini del duemilaetre è ancora sinonimo di gioia e di grida allegre.

E poi penso che la neve faccia parte di un sogno: chi di noi non ha mai sognato una stanza calda, rivestita in legno, una finestra che apre lo sguardo sulla valle , senza telefono, tv, e tempi scanditi dall’orologio, l’immagine calma e rilassante dei bianchi larghi fiocchi…….