Maurizio Zambelli

VAL MAIRA SKI TOUR

 

Venerdì 31 gennaio 1997, finita la settimana lavorativa, verso le 19.30, imbocchiamo l’autostrada Milano-Genova. Fa freddo, e per alcuni tratti, la nebbia è fitta-fitta. Superata Asti ci dirigiamo verso Fossano, e poi fino a Dronero, inizio geografico della Val Maira. Con me ci sono Giovanni e Paolo, sul tetto della Punto gli sci, e nel bagagliaio ricambi e materiale per tre quattro giorni. La Val Maira presenta, secondo quanto abbiamo letto, un ambiente splendido che talvolta ricorda angoli di Dolomiti, cinque centri fondo, e quello che più ci interessa, udite! udite! sessanta, dico sessanta itinerari sci-alpinistici. Valle Maira, quattordici comuni, centonovantaquattro borgate sparse in sedici valloni. La valle ha visto una fuga dei suoi abitanti verso la Francia e la pianura con uno spopolamento drammatico. I comuni più isolati, hanno un quarto degli abitanti di cinquant’anni fa. Le borgate nascondono chiese romaniche, affreschi del XV secolo e numerose abitazioni medioevali. Ma torniamo in argomento "pelli di foca". Sessanta gite sono un bel record per una singola valle! Arriviamo a Canosio che ormai sono le 22.30. Buio pesto! Non vediamo né affreschi, né chiese, né valli sciabili! Vediamo a malapena la Pensione Miramonti dove abbiamo telefonato in settimana per l’alloggio. Sistemiamo il nostro voluminoso bagaglio nella cameretta a tre e rimandiamo al mattino seguente la scelta della gita d’approccio in valle. Ci svegliamo di buon’ora e aprendo la finestra ci guardiamo esterrefatti; nonostante siamo a 1275 mt., intorno a noi ci sono almeno due metri di neve. Le nevicate copiose di inizio gennaio, qui, sono state veramente generose con gli sci-alpinisti. Consultiamo i nostri appunti davanti al caffè e latte e decidiamo. L’imbarazzo della scelta è comunque grande vista la quantità di itinerari e l’innevamento. In quattro minuti di auto raggiungiamo la località Torello a quota 1393 e da qui iniziamo la nostra prima gita piemontese. Nome della cima, vista la giornata senza una nuvola in cielo... Punta Tempesta! Pelli di foca sotto le solette e risaliamo la carrozzabile militare che percorre il fianco sinistro del Vallone di Marmera in direzione sud. Giungiamo dopo circa due chilometri alla Grange della Pieccia a quota 1893. Continuiamo fino a Gias Lauset. In corrispondenza delle baite semisepolte dalla neve, ci dirigiamo verso Est, per dei bei pendii intervallati da valloncelli e brevi impennate. Raggiungiamo quota 2400 dove, puntiamo verso Nord-Est anziché verso l’invitante Colle Sebolet, ci immettiamo nella parte superiore della Comba dell’Olivete. Da qui, per evidenti dossi, raggiungiamo la Cima della Punta Tempesta a quota 2679. Dalla cima il Monviso si erge davanti a noi con tono imponente, la pianura con la fitta nebbia fa da fondale al panorama. Togliamo le pelli e iniziamo la discesa sui pendii appena saliti. Nel vallone sottostante la Comba dell’Olivete, la neve è veramente polvere! Ne usciamo imbiancati sino al berretto, ma non per le cadute, ma per lo sfarfallamento dei cristalli di neve durante la ripida discesa. Siamo troppo entusiasti della situazione così, dopo aver consultato l’orologio prima e l’altimetro poi, decidiamo di incollare nuovamente le pelli di foca e risalire fino alla Punta Piovosa (sempre per stare in tema di bel tempo) che è esattamente sopra di noi.Trecentocinquanta metri di dislivello e siamo di nuovo su un’altra cima al cospetto del Monviso. Non più di cinque minuti perché il freddo è intenso e iniziamo la discesa. Esposizione Nord pieno, pendenza buona, neve naturalmente polverosa! Il divertimento continua, dopo la prima curva, altre settecentotrenta curve e 1300 metri di dislivello. Giungiamo alla Punto con una fame da lupi! Diamo fondo al salame piccante e alla bottiglia di rosso, dopodiché torniamo a Canosio. Per cena, abbondiamo in ravioli fatti in casa e saporita carne piemontese. Dopo decidiamo la salita per il giorno successivo, domenica. In esattamente sette minuti di auto raggiungiamo la località Preit q. 1540. Percorriamo con gli sci la strada di fondovalle fino a Servino q. 1817. La destinazione odierna è il Monte Cassorso q. 2776, salendo un pittoresco e largo canalone di ben 850 metri di dislivello. Questo canale, ben individuabile, con pendenza costantemente sostenuta raggiunge la cresta sovrastante la conca di Cadetta e il Vallone di Unerzio. Da qui, sempre con gli sci ai piedi, per cresta, in direzione Nord raggiungiamo la cima. Il dislivello totale della gita è solo di 1300 metri, ma la bellezza e la pendenza del canale la rendono una O.S.A. di tutto rispetto! Azzecchiamo anche l’ora per la discesa. Essendo il canalone esposto ad Est, la neve è ormai trasformata e lo strato di neve "grana grossa" sopra il fondo duro è dello spessore ideale: 5-6 centimetri. Ritorniamo soddisfatti alla Pensione Miramonti. Doccia calda e cena piemontese, vino compreso! Le previsioni del tempo anche per domani, lunedì, sono favorevoli quindi, cartina e relazioni alla mano, non resta altro che la discussione per stabilire la cima del giorno seguente. Questa volta con l’auto dobbiamo spostarci in una valle laterale, il Vallone d’Elva. Scendiamo in auto fino a Ponte Marmora, dopodiché subito a sinistra imbocchiamo il Vallone d’Elva. Nel percorrerlo, mi ricorda tantissimo per la conformazione del terreno e per il tipo di strada, la familiarissima Ballabio-Morterone. dopo circa mezz’ora alla frazione Chiosso Inferiore a quota 1530. Da qui in poi l’auto con catene, non serve più. Parcheggiamo, sistemiamo gli zaini e partiamo. La meta è il Monte Chersogno, esattamente 1500 metri sopra di noi, ma non visibile dal paesino. Seguiamo il vallone di Gias Vecchio fino al ripiano naturale a q. 2150. Da qui dobbiamo imboccare un vallone piuttosto ripido con direzione Ovest, fino a raggiungere un pianoro dominato dal Monte Chersogno. Finalmente si fa vedere! È 900 metri sopra le nostre teste, e la grossa croce si distingue contro il blu del cielo. Con leggera deviazione a Sud, risaliamo il ripido canale che conduce a q. 2880 ad est detta q. 2903 del Passo Chersogno. Da qui, per un ripido e faticoso pendio, giungiamo in vetta. La croce è veramente grande, e 900 mt. sotto di noi vediamo netta nella neve fresca la nostra traccia di salita. Spuntino veloce, poi via! La polvere è polvere, e la pendenza è pendenza! È fantastico! La fatica della salita è subito dimenticata. I cristalli freddi di neve ci riempiono gli occhiali, il colletto del "pile" e la bocca. La fatica di girare gli sci in queste condizioni è davvero poca. Arriviamo direttamente alla nostra auto con il fiato corto-corto, consapevoli di aver bruciato 1500 metri di discesa nella polvere bianca in meno di 45 minuti. Cambio di vestiti, quelli asciutti, dopodiché dobbiamo malvolentieri percorrere la valle con direzione Pianura Padana. Ci immergiamo in un mare di nebbia fittissima che ci accompagna fino a Malgrate. Bilancio più che positivo, peccato non avere altro tempo a disposizione!