IIL PIANO NAZIONALE PER LA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI TIPICI

di ROBERTO SPIGAROLO
Agronomo Presidente Associazione Consumatori Utenti Prov. di Milano

Da una relazione a un convegno organizzato dai Verdi della Provincia di Milano nel 1999)

E’ necessario studiare una strategia complessiva a livello nazionale e mettere in atto progetti localizzati di valorizzazione dei prodotti tipici e di qualità (pensare globalmente, agire localmente), per recuperare velocemente il tempo perduto e portarci al più presto al livello degli altri Paesi UE. Inoltre, la valorizzazione dei prodotti tipici ha come obiettivo fondamentale la difesa della biodiversità alimentare, e questa, a mio parere, è la strada maestra da perseguire nella battaglia contro la diffusione degli OGM in agricoltura e della conseguente produzione di cibi transgenici.
Bisogna tener presente un dato di fatto: oggi i consumatori acquistano i prodotti alimentari (ma anche gli altri) non solo per il loro "valore materiale", ma anche per altri motivi, che molti chiamano "valori immateriali". Ad esempio, perché sono stati fabbricati senza il ricorso al lavoro minorile, oppure con metodi ecologici, ecc., e sono disposti a spendere di più per essi. Da non trascurare affatto è il problema del recupero della diversità dei sapori e degli aromi. Basta ricordare in proposito il grande successo del Salone del gusto a Torino. Questo dovrebbe insegnarci qualcosa, pur con i limiti, che ci sono stati, dell’esperienza.
Per i motivi sopra citati definirei questi aspetti il "valore aggiunto culturale" dei prodotti. Per essere efficace, occorre che tale valore sia dichiarato, trasparente, controllabile, e volto "in positivo", cioè come qualcosa che si "aggiunge" al prodotto, e non qualcosa che gli manca. La battaglia finora condotta contro i prodotti transgenici è stata appunto una battaglia "contro", volta necessariamente in negativo, quindi una battaglia, su posizioni di "difesa" (sacrosanta, intendiamoci). Perché invece non attaccare? Lanciamo una campagna, che potrebbe avere il titolo: "La biodiversità è una ricchezza della natura, perché crearne dell'altra?".
Due proposte in merito. Si potrebbe proporre ai consumatori una linea di prodotti "naturalmente biodiversi": alcune varietà di frutta molto saporite e particolari (ne abbiamo a bizzeffe), oppure anche prodotti trasformati dall'industria con ingredienti non solo naturali, ma che siano anche particolari, allo scopo di recuperare aromi e gusti tradizionali. Si potrebbe scrivere sull'etichetta: "Prodotto ottenuto per mezzo di una lunga selezione compiuta dalla natura", o qualcosa del genere. Ci sono degli agricoltori e delle industrie di trasformazione disposte ad aderire (io ne conosco diverse), e su questo argomento c’è anche il consenso delle principali associazioni dei consumatori. Occorre naturalmente studiare un piano per un’efficace valorizzazione dei prodotti. Bisogna far capire anche che l'agricoltura ecocompatibile, e quella biologica, non consistono soltanto nel ridurre o eliminare i prodotti chimici, ma anche nel conservare la biodiversità alimentare.
Proponiamo delle feste "biodiverse" in cui, per esempio, accanto alle fragole nelle quali è stato inserito il gene del pesce artico, facciamo assaggiare anche le decine di varietà di fragole nostrane, e così via. Il fine di queste iniziative è far "toccare con mano" che le attuali tendenze all'omogeneizzazione dei prodotti, tra le quali la produzione di alimenti transgenici è la punta di diamante, cancella la biodiversità, ma che la biodiversità alimentare è l'unica vera alternativa all'appiattimento dei gusti. La "controtendenza" in questo senso è già in atto, anche se minoritaria. Occorre sostenerla e amplificarla, e, soprattutto, fare un lungo e capillare lavoro educativo sulla riscoperta dei gusti tradizionali e sulla valorizzazione della diversità alimentare.
Di contro, nonostante il nostro Paese disponga di una grande e diversificata tradizione alimentare, non riusciamo a valorizzare adeguatamente i nostri prodotti sul mercato internazionale, salvo lodevoli ma purtroppo rare eccezioni. Per fare un esempio: l’Italia dispone di meno della metà dei marchi di qualità riconosciuti a livello internazionale rispetto alla Francia.
I punti fondamentali di tale strategia dovrebbero essere i seguenti: - Lo stretto legame con il territorio: tutte le attività dovranno essere sitospecifiche, cioè legate ad un territorio omogeneo da un punto di vista colturale, che possa garantire il mantenimento di standard produttivi (quantitativi e qualitativi) costanti. Lo sviluppo di una produzione di qualità: dovrà essere posta un’attenzione particolare sui fattori di qualità nell’intero processo produttivo, intendendo con questo termine: la qualità dei prodotti, valutabile da un punto di vista nutrizionale, igienico-sanitario e sensoriale; la qualità ambientale, realizzabile mediante la scelta di tecniche di produzione a ridotto impatto sull’ambiente. - La valorizzazione dei prodotti: la certificazione della qualità del processo produttivo, effettuata in tutte le sue fasi, consentirà di valorizzare i prodotti ottenuti con appositi marchi di qualità, che avranno la funzione di garantire la qualità dei prodotti, da un punto di vista alimentare e ambientale e di difendere i produttori onesti, eliminando la concorrenza scorretta, nonché di certificare la provenienza dei prodotti da un determinato territorio (denominazione di origine). - La costituzione di un Ente nazionale che si occupi della promozione dei prodotti tipici italiani.
Bisogna garantire una maggiore e più qualificata presenza italiana in sede Europea per tutelare le produzioni mediterranee (ortofrutta, vino, olio, ovicaprini, ecc.) tradizionalmente meno sostenute di quelle continentali e che oggi, in un quadro di riduzione complessiva degli aiuti, sono ancor più penalizzate. Sostenere le esportazioni e difendere il «made in Italy», con la creazione, sull’esempio di Francia e Germania, di un’agenzia, a capitale misto pubblico-privato, rivolta a sostenere i prodotti delle piccole e medie imprese che non hanno la dimensione economica per organizzarsi con una struttura commerciale all’estero.

(da un progetto di legge presentato dai Verdi)
L’Istituto Nazionale per la valorizzazione della diversità biologica e alimentare avrà il compito prioritario di studiare e proporre progetti di valorizzazione dei prodotti tipici, ottenuti con tecniche e sistemi ecocompatibili, mediante la realizzazione di una politica di marchio che garantisca sia il consumatore che il produttore (da concorrenze sleali), e di definire degli standard di qualità generali ai quali i prodotti dovranno conformarsi. Tale funzione verrà svolta mediante azioni di coordinamento, orientamento e stimolo delle attività svolte localmente dagli Enti territoriali e dai Consorzi dei prodotti certificati con marchi di qualità. A tale scopo verrà creato presso l’Istituto un Servizio di valutazione nazionale dei progetti di valorizzazione dei prodotti, che avrà la funzione di monitorare lo stato di avanzamento dei progetti stessi e di garantire la coerenza della certificazione dei marchi di qualità dei singoli prodotti con gli standard di qualità generali sopra citati.