Questi ultimi 10 000 anni è spesso
accaduto che l’umanità si sia trovata in situazione d’incertezza
di fronte a due modi profondamente diversi di interpretare la realtà.
Per la maggior parte della storia umana, Homo Sapiens ha vissuto da raccoglitore-cacciatore,
agendo collettivamente in modo cooperativo con le altre forme di vita,
vivendo in piccoli gruppi e comunità famigliari, in stretto contatto
con le forze elementali della natura e con SYLVA (Foresta in latino), sviluppando
stili di vita che sono alla base della grande “sylvilizzazione” dei popoli
“nativi”, “primordiali”, “tribali”, “indigeni”. Più tardi, a partire
del neolitico, addomesticando piante e animali, creando insediamenti stabili
e permanenti, creò strutture sociali ed istituzionali sempre più
gerarchizzate e centralizzate che hanno favorito la nascita delle prime
“grandi civiltà” (da Civitas, città in latino). Intorno al
mare mediterraneo in particolre, si svilupparono grandi regni e imperi,
quelli dell’Egitto, della Mesopotamia, della Persia, della Grecia e di
Roma, in corrispondenza con l’avvento di nuove credenze religiose, dell’agricoltura
e dell’allevamento, della metallurgia. Queste innovazioni permisserò
di accumulare risorse, conquistare nuovi territori e dominare altri popoli.
Vittime di questa visione “patriarcale”
(anche i dei presero forme maschili) e “civilizzatrice”, non fu solo la
natura e l’ambiente – deforestazione e desertificazione -, ma furono anche
donne e uomini concreti portati in schiavitù o sui campi di battaglia.
Con il passato del tempo, tale visione si diffuse in tutto il mondo. Tra
i grandi centri di diffusione ci fu l’Europa per quasi 2000 anni, che 500
anni fa si salvo dalla fame, dalla miseria e dalla guerra conquistando
l’America.
Oggi, in pieno Terzo Millenio, dopo 200
anni di produzione industriale e di sviluppo capitalistico, siamo vivendo
un momento grave per l’umanità intera che coincide con una fase
a guida unipolare del mondo. Essa si è confermata all’inizio degli
anni novanta dopo il crollo dell’Unione Sovietica e ha corrisposto ad un’onda
nuova di politiche neo-liberali e all’emergere del cosiddetto “mercato
mondiale”, una nuova figura mitica nel Pantheon della civilizzazione con
le sue proprie istituzioni (banca mondiale, fondo monetario internazionale,
organizzazione mondiale del commercio, ecc.), che può essere interpretato
come un grande regime di accumulazione mondiale nuovo, il funzionamento
della quale è sottomesso alle priorità del capitale privato
e finanziario, quest’ultimo essendo altamente concentrato nelle mani di
poche aziende che cercano ad avere il massimo controllo sui flussi di energia,
sulle attività industriali e commerciali, sui servizi, sulle telecomunicazioni
e i mass media.
Il risultato di queste dinamiche è
da un lato una violenta competizione geopolitica e geo-economica che vede
crescere il ruolo degli USA , e dei suoi alleati, come “gendarme del mondo”
(nei Balcani, in America Latina, in Asia Centrale e Medio-Oriente) per
garantirsi risorse strategiche e territori di conquista economica, dall’altro
una polarizzazione sempre più forte della ricchezza tra le regioni
del mondo, e tra gli individui all’interno delle regioni, che raggiunge
livelli senza precedenti dove 20 % del mondo sta sfruttando e consumando
l’83% delle risorse del pianeta, e dove le nostre scelte quotidiane sono
sempre più condizionate da regole elaborate e condivise da una minoranza.
Per fare un esempio, appoggiandosi su dati dell’UNDP, l’economista francese
Serge Latouche riferisce che le tre persone più ricche del mondo
possiedono una fortuna superiore al PIL totale dei 48 paesi più
poveri.
Un problema maggiore di questo “trend”
è che un potere sempre più concentrato e centralizzato in
poche istituzioni ha sempre significato minore flessibilità nel
rispondere alle nuove sfide sociali ed ambientali, e una maggiore vulnerabilità
rispetto a pericoli interni ed esterni.
L’11 Settembre ad esempio, ha fatto emergere
in modo ancora più chiaro questa vulnerabilità, alla quale
si risponde con maggiori investimenti nell’apparato militare, di sicurezza
e di controllo dell’informazione, spesso alle sole spese dei cittadini.
E allora che 4/5 dell’umanità vivono in povertà e 2/3 vivono
in miseria assoluta, che basterebbero 13 miliardi di dollari per risolvere
il problema della fame e della sanità per un anno in tutto il mondo,
si parla di investire – tra USA e Europa – da 500 a 700 miliardi di dollari
in armi (rinnovando anche tutto l’armamentario nucleare per quanto riguarda
gli USA).
Diventa sempre più evidente agli
occhi di tutti che questa “globalizzazione” entra in conflitto con qualsiasi
forma di miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza dell’umanità,
ostacolando le libertà individuali e collettive e il riconoscimento
alla maggioranza dei popoli e delle persone dei diritti universali i più
fondamentali, come la salute, l’alimentazione, la casa, l’educazione, la
cultura. E oramai, i perdenti non sono più solo i cittadini dei
paesi cosiddetti “sottosviluppati” o “in via di sviluppo”, ma anche paesi
che avevano raggiunto un certo livello di “sviluppo”. Il caso recente dell’Argentina
è forse quello che meglio degli altri illustra questa nuova situazione.
Davanti a un quadro così triste,
la nostra riflessione potrebbe a mio avviso orientarsi in due direzioni.
La prima in relazione ad una migliore comprensione e identificazione dei
meccanismi e delle dinamiche che partecipano alla costruzione del “mercato
globale”; l’altra in relazione a quella delle nuove pratiche sociali e
delle soluzioni alternative della società civile – e non solo -
che caratterizzano la “globalizzazione dal basso”. Essa purtroppo
trova pochissimo echo nei media – sempre più controllati da pochissimi
grandi gruppi - se no in termini spesso negativi, di opposizione alla globalizzazione
mercantile.
E´ vero che tale movimento – “il
movimento dei movimenti”- è un movimento di resistenza, e a volta
di dissidenza; ma è soprattutto un movimento per la sopravvivenza
della specie umana. “There a whole world there outside” come diceva qualcuno,
un mondo in costruzione che cerca di offrire un’alternativa che non sia
il romanticismo di tornare indietro, o la vita più o meno primitiva,
un mondo sicuramente difficile da inquadrare perché fatto a reti
e da tanti nodi, un mondo che deve ancora emergere, prendere coscienza
di se stesso e maturare la propria identità.
“All’internazionale del terrore, si deve
opporre l’internazionale della speranza” diceva il Comandante Marcos, diventato
famoso alla metà degli anni novanta come simbolo della resistenza
delle comunità indigene nel Chiapas. Mi è sembrata
importante e profetica questa proposta, sopratutto se si pensa alla
speranza non come ad un sogno, ma come ad un’azione dinamica, quotidiana,
quella di fare emergere, ri-emergere, e mettere al primo posto dimensioni
“dimenticate”, “nascoste”, “emarginate”, “escluse” della vita - come ad
esempio i rapporti intrinsechi che ci legano alla natura, all’universo,
ma anche a nostri territori e comunità di riferimento, e in fine
di conto a noi stessi; rapporti che hanno guidato per milioni di anni la
vita dell’umanità su questo pianeta, l’unico che abbiamo.
La “mercantilizzazione” del mondo distrugge
sia i legami sociali sia quelli spirituali – intendendo “spirituali” come
fuori dalla nostra percezione diretta – e tende a ridurre la nostra percezione
e identificazione del mondo e della realtà ad una sola dimensione,
quella materiale. Diventa sempre più forte il contrasto tra città
e campagna, tra ricchi e poveri; prevale il consumismo e l’individualismo
privato da un lato, la rassegnazione e il servilismo dall’altro.
E qui ritorno più vicino a noi,
al nostro Mediterraneo, ad adoperare parole di Platone e della sua tradizione
che dicono che ci sono tre organi per abbracciare il reale. Sono le tre
forme di empeiria, di esperienza che sono 1/ l’esperienza concreta e sensibile,
con cui entriamo nel mondo materiale (Ta aistheta), 2/ l’esperienza riflessiva,
intellettuale, noetica, con cui entriamo nel mondo delle idee (Ta noeta)
e 3/ l’esperienza sovraconoscitiva, globale, affettiva, che transcende
il logos (Ta mystika). Per i greci l’ordine della natura , del reale era
immutabile, la sua armonia comprensibile solo attraverso la ricerca di
una “giusta misura”, di un equilibrio dinamico tra le sue tre dimensioni:
quella materiale, spirituale e affettiva.
Questa riflessione ci mette inevitabilmente
in linea con alcuni insegnamenti delle grandi religioni, con quelli più
primordiali, quelli che sicuramente rappresentano nel mondo di oggi la
sfida più difficile per l’Homo oeconomicus – quella che ci porta
lontani dalla “ragione logica” e dalla “ragione economica” e certamente
più vicini alla “ragione del cuore” e alla “ragione dell’anima”.
Quando mi riferisco alla “ragione economica”,
lo faccio come l’economista americano Herman Daly, che ci ricorda
che quello che chiamiamo oggi “economia” non è altro che “crematistica”,
quest’ultima intesa come tecnica la cui specificità è procurare
dei beni. Daly si riferisce ad Aristotele che ben 2300 anni orsono faceva
una chiara distinzione tra le due parole, indicando oikonomia come arte
della misura dell’uso della casa/del territorio, e chrématistikè
come tecnica dell’acquisizione delle ricchezze. In pratica, nella sua opera
“Politica, Libro I”, il grande teorico si interrogava, fra l’altro, su
come conveniva di subordinare quest’ultima alla prima. Quando è
subordinata all’economia, la crematistica tende a rispondere ai bisogni
della comunità, finalizzandosi al soddisfacimento delle necessità.
Liberata dalle regole della economia, diviene arricchimento fino a stesso.
La ricerca di un saggio equilibrio – un
equilibrio dinamico – tra le tre dimensioni intrinseche della realtà
è sicuramente una via da intraprendere se vogliamo uscire dalla
crisi attuale dell’umanitá. Arte, scienza e sapienza dell’abitare
umano (ecologia, economia e ecosofia) sono le tre dimensioni dell’essere
umano. Qui potrei citare Raimon Panikkar, il grande filosofo dell’intercultura.
Panikkar afferma che “La trinità non è un monopolio
cristiano e neanchè di Dio. La trinità è l’ultima
struttura della realtà, è quella visione che considera la
realtà costitutivamente relazionale fra tre poli distinti ma inseparabili.
“ Dio da solo non esiste, come dall’altro l’uomo da solo non esiste, e
come infine il pianeta Terra da solo non esiste.
Nell’organizzare queste due giornate di
riflessione e discussione, abbiamo voluto rispondere ad una esigenza tutta
nostra nell’ambito del progetto Med2000, quella di non svincolare il problema
dell’economia da quello dell’uomo, delle comunità, dei territori,
dell’ambiente e di Dio. La crisi che conosciamo oggi non è solo
economica; è anche antropologica e teologica, e nessuno si può
salvare da solo.
Oggi e domani parleremo di economia, di
religione, ma soprattutto di comunità: chiesa, umma, israele, perché
la comunità è il grande cerchio, il cerchio dei cerchi, il
terreno fertile sul quale fare nascere il fiore che si chiama speranza
e infine “a-more”.
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