La nuova visibilità del pluralismo
religioso
Più che parlare di pluralismo religioso
come un aspetto nuovo che interessa l'Italia è più indicato
parlare di maggiore visibilità del pluralismo religioso.
Il pluralismo religioso infatti da sempre
caratterizza ogni società nel mondo, non c’è nulla di nuovo
in questo. Anche nella realtà italiana esperienze religiose diverse
sono convissute nella storia. Oltre al gruppo cattolico maggioritario,
esistono da sempre realtà minoritarie, come ad esempio i protestanti
e i valdesi, la cui esperienza storica risale al 1200 e che si trovano
nell'area nord-occidentale della penisola, oppure i luterani nel nord-est,
soprattutto nelle realtà confinanti con il mondo tedesco. Pensiamo
poi ai cristiani ortodossi presenti a Venezia e a Trieste, con le loro
comunità greche, russe, serbe, rumene o ai Testimoni di Geova, una
presenza numericamente molto significativa e una realtà molto dinamica.
Con l’immigrazione inizia ad avere un certo peso anche la presenza dei
Pentecostali, pensiamo ad esempio ai ghanesi che hanno aderito a questa
versione del cristianesimo. Infine non possiamo tralasciare l’antica presenza
ebraica in Italia, dato che gli ebrei sono arrivati a Roma prima dei cristiani!
Oggi il mosaico delle fedi, oltre a queste
presenze tradizionale, diventa ancora più vario. Negli anni sessanta/settanta
i movimenti giovanili, in molte parti del mondo occidentale, Italia compresa,
hanno introdotto un rinnovamento della società anche in termini
spirituali. I giovani di quegli anni intraprendevano lunghi viaggi verso
luoghi lontani dal punto di vista geografico per vivere e abbracciare altre
esperienze spirituali/religiose: buddismo, induismo e diverse altre religioni
orientali, come la fede ba’hai. Per cui l’Italia fino ad oggi ha continuato
ad attingere dall’esperienza religiosa proveniente da altri contesti. Quindi
quando parliamo di credenti nel buddismo, nell'induismo e nella religione
ba’hai, spesso parliamo anche di cittadini italiani, di lingua e cultura
italiana.
Per quanto riguarda la religione islamica,
la presenza musulmana in Italia non rappresenta certo una novità:
pensiamo alla Sicilia o ad altre realtà del meridione nel periodo
medioevale o alle comunità presenti a Livorno intorno al '600; pensiamo
poi all’impero austro-ungarico, impero plurireligioso, che ha lasciato
tracce a Trieste o nel Trentino Alto-Adige della presenza di cittadini
e di soldati di religione musulmana (fra le altre): a Trieste si trova
il primo cimitero musulmano che risale proprio a quell’epoca mentre nei
cimiteri dell’Alto-Adige si trovano alcune tombe di soldati che sono rivolte
verso la Mecca. E poi non trascuriamo i numerosi cittadini italiani di
fede islamica. Con l’immigrazione l’islam si diffonde ulteriormente in
Italia, ma non è certo quello forte, dominante del periodo medioevale:
quello era il periodo d’oro della civiltà musulmana, mentre oggi
l’islam che torna a far parte dello spazio pubblico è quello degli
immigrati.
Di fatto, oggi, oltre al pluralismo autoctono
c'è quello rappresentato dagli immigrati. In base ai dati della
Caritas quasi il 47% degli immigrati presenti sul territorio italiano (dati
basati su quelli del Ministero degli Interni) sono di religione cristiana
(di cui più della metà di religione cattolica e quindi ortodossi
e protestanti). La presenza musulmana si aggira intorno al 36% e poi ci
sono tutte le altre realtà religiose, come buddisti, induisti, shintoisti,
animisti…
Dunque il pluralismo religioso è
sempre esistito. Ma perché oggi è più visibile?
Stiamo vivendo un periodo di unificazione
europea e questo significa che i confini diventano, anche dal punto di
vista religioso, frontiere porose, più facilmente attraversabili.
Se è vero che l’Europa è cristiana, ricordiamoci anche che
fra i cristiani ci sono cattolici, ortodossi, protestanti, e sono presenti
altre minoranze religiose tra cui quella musulmana. Solo nell’Europa occidentale
vivono 12 milioni di musulmani provenienti da diversi contesti. Poi ci
sono i musulmani europei: tra questi vi sono olandesi, francesi, inglesi
e, come si è detto, anche italiani. Negli anni sessanta e settanta
diverse persone hanno abbracciato l’islam nel loro percorso di ricerca
spirituale. Quindi il contesto di unificazione europea rende maggiormente
visibile questa pluralità e rimette in discussione il ruolo che
le diverse religioni possono dare alla costruzione europea. A ciò
contribuisce anche l’inclusione euroea di diversi fra i cosiddetti “paesi
dell’est”, dove le componenti ortodosse e musulmane sono molto consistenti.
L’ingrandimento dell’Europa verso Est implica l’entrata di queste nuove
componenti. Pensiamo che in Europa negli anni cinquanta, quando ebbe inizio
la costruzione dell’Unione Europea, esponenti politici di spicco di quel
periodo, come Schumann, Adenauer e De Gasperi, dichiaravano quanto segue:
“L’ispirazione cristiana, intesa come fondamento di una storia comune,
può essere considerata in questo contesto come una forza viva e
creatrice”. Quindi, negli anni cinquanta, nonostante l’Europa si definisse
laica, alcuni esponenti di spicco consideravano la religione cristiana
come forza viva e creatrice della stessa. Oggi invece nella dichiarazione
di Nizza per produrre la nuova costituzione europea si afferma che esiste
un “comune patrimonio spirituale dell’Europa”, quindi senza una definizione
precisa. Questo dimostra come il pluralismo religioso oggi venga riconosciuto
senza l'individuazione una particolare una “forza viva e creatrice per
l’Europa”, per quanto il dibattito sia ancora aperto.
Infine la visibilità è dovuta
anche al fatto che oggi si assiste ad un ritorno della ricerca del sacro,
di spiritualità, in particolare nei paesi ricchi, in una società
che si fonda su una forte visione materialistica, economicistica. Oggi
la dimensione spirituale viene recuperata nella vita quotidiana per contrapporsi
a questa visione dell’homo oeconomicus, materiale, che trae il proprio
riconoscimento da quanto produce e consuma.
Il ruolo della scuola
Poiché ciò che qui ci interessa
maggiormente è il vissuto religioso degli immigrati nel processo
di adattamento al nuovo contesto, possiamo chiederci in che modo la scuola
può recepire la funzione della religione in questo percorso. Sappiamo
bene in realtà che l’inserimento nella nuova realtà significa
spesso inserimento nel mercato del lavoro. In altre parole, l’inserimento
dell’immigrato è assolutamente assoggettato alle dinamiche del mercato
del lavoro. Quindi le regole e le dinamiche del mercato del lavoro incidono
moltissimo sull’inserimento delle persone. Di fatto l'immigrato che perde
lo status di forza lavoro perde anche la legittimità della sua presenza.
L’immigrato è tuttavia in primo luogo una persona e come tale possiede
una complessità identitaria, vive delle pluriappartenenze, tra le
quali c’è quella religiosa. Quindi la religione può costituire
un fattore importante nel ricostruire la nuova identità dell’immigrato.
Secondo Weber alcuni elementi identitari non sono facilmente sostituibili
e tra questi vi è quello religioso, che egli definisce un “carattere
intrinseco e permanente” A che cosa assolve la religione nell'esperienza
migratoria? Aiuta a ricostruire questa identità complessa, perché
nel contesto d’arrivo l’immigrato viene schiacciato sulla sua dimensione
economica. In questo caso, l’identità religiosa diventa un elemento
anche per conquistare un diverso riconoscimento da parte del gruppo maggioritario,
ad entrare in relazione con gli altri non solo come lavoratore. L'elemento
religioso aiuta pertanto anche a ricomporre l’identità della e nella
comunità.
Secondo alcune posizioni piuttosto semplicistiche,
il professare la medesima religione maggioritaria della società
di accoglienza facilita l’integrazione degli immigrati. Ma pensiamo agli
italiani emigrati in Francia: erano facilitati dalla vicinanza linguistica
e geografica e la religione era la stessa. Eppure l’inserimento degli italiani
in Francia non avviene attraverso la religione, ma attraverso le attività
sociali dei sindacati. Le condizioni sociali degli operai italiani in un
particolare momento della storia del movimento operaio in Francia hanno
costituito la base per l’inserimento. Ancora, quando gli italiani arrivarono
in Canada, soprattutto nel Quebec, altra zona francese di religione cattolica,
la gran parte di loro non andò a frequentare la scuola cattolica,
nè andò a frequentare i luoghi in cui si parlava il francese,
più affine all'italiano. Scelsero di parlare la lingua inglese e
scelsero la scuola protestante. Perché? Proprio per mantenere un'identità,
per meglio differenziarsi e mantenere i caratteri del proprio gruppo.
Questo per dire che le semplificazioni
sono spesso fuorvianti; nel caso specifico, non si può di certo
dire che a parità di religione l'inserimento sia automatico e non
sorgano problemi di identità. Al contrario, l'identità religiosa
permette di distinguersi dall’altro e di poter entrare in una relazione
che richiede un riconoscimento, crea spazi di confronto, consente una visibilità,
un accesso alle risorse e ai luoghi pubblici. In questo modo l'inserimento
non avviene in virtù di una presupposta "somiglianza", bensì
di una differenza che si pone in maniera dialettica.
Per questo è importante il riconoscimento
delle diverse realtà religiose e il considerarle parte integranti
della storia italiana di oggi. Habermas sostiene che la sfida odierna è
l'inclusione dell'altro, secondo un'ottica non di assimilazione ma di apertura
alla differenza. “L’inclusione dell’altro significa che i confini della
comunità sono aperti a tutti”. La comunità diventa quindi
un luogo aperto e vario, una visione opposta a quella che intende la comunità
come un'entità chiusa ed appartenente solo a chi vi è nato,
ha seguito un certo modello culturale ed un certo tipo di religione. Infatti
Habermas sostiene ancora che “i confini della comunità sono aperti
soprattutto a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono
rimanere” . La comunità deve dare quindi la possibilità di
esistere ed esprimersi anche a quelli che sono e si sentono diversi. Quindi
oggi nell’affrontare la questione del pluralismo religioso diventa necessario
collocarsi all’interno di quest’ottica: includere la differenza rispettando
la distanza nel riconoscimento e nel rispetto reciproco.
Arriviamo così al tema della scuola.
Che cosa può fare la scuola? Perchè proprio la scuola?
La scuola è interpellata direttamente
dalle trasformazioni che avvengono sul territorio. Le famiglie immigrate
che portano i propri figli nella scuola italiana portano anche altre esperienze,
importanti sul piano educativo e sul piano dell'appartenenza. Nel caso
di una diversa appartenenza religiosa, anche questa diventa strategica
sul piano della relazione proprio perché contiene elementi nuovi
che vanno ad arricchire il contesto scolastico. E di certo un'agenzia educativa
come la scuola rappresenta il terreno ideale per cominciare ad esplorare
queste differenze e a comprendere come sono vissute sia all'interno sia
all'esterno dell'ambiente scolastico. Inoltre la scuola, dovendo trasmettere
alle nuove generazioni contenuti e strumenti per leggere e vivere questa
società, deve tenere conto nella formazione degli alunni della pluralità
delle esperienze e dei vissuti che compongono tale società. E in
questi vissuti, in queste storie, la religione ha comunque una rilevanza,
“Una rilevanza legata al fatto che la componente religiosa ha investito
(e investe) l’intero complesso di vita, funzionando come importante modalità
di riferimento identitario. Essa ha informato di sé le tradizioni,
i riti della nascita e della morte, le prescrizioni alimentari, la simbologia
degli oggetti, la scansione dei tempi, il sistema delle feste, l’articolazione
degli spazi, i rapporti con le istituzioni del potere; ha attraversato
l’intera produzione storico-culturale-antropologica e influenzato la stessa
organizzazione sociale” .
La c.m. del 2 marzo 1994, n.73 dal titolo
“Dialogo interculturale e convivenza democratica: l’impegno progettuale
della scuola”, dà un significato sostanziale al dialogo interculturale
che non si esaurisce nell’enfasi culturalista, ma estende il concetto stesso
di democrazia introducendo l’inclusione delle nuove minoranze e delle relative
differenze. In questo riprende il pron. c.n.p.i del 13 aprile 92, nel quale
si conviene che “i valori che danno senso alla vita non sono tutti nella
nostra cultura, ma neppure tutti nella cultura degli altri: non tutti nel
passato, ma neppure tutti nel presente o nel futuro. Essi consentono di
valorizzare le diverse culture ma insieme ne rivelano i limiti, cioè
le relativizzano, rendendo in tal modo possibile ed utile il dialogo e
la creazione della comune disponibilità a superare i propri limiti
e a dare i propri contributi in condizioni di relativa sicurezza”. L’inclusione
dell’altro, della sua estraneità, diventa dunque centrale nel concetto
stesso di convivenza democratica.
Nella pratica, rimane il fatto che se fare
intercultura in termini non convenzionali o folcloristici è difficile,
un approccio interculturale alla religione risulta ancora più arduo
e rischioso. Se le iniziative volte a presentare il significato delle diverse
appartenenze religiose si fermano su un piano superficiale, non vengono
inserite in un percorso organico di studio, possono essere vissute dagli
alunni in termini meramente ricreativi.
Se le religioni, così come le culture,
sono considerate in termini statici ed unicamente espressivi si perde il
significato sociale delle stesse. Il compito della scuola in ambito interculturale
è infatti duplice. Da una parte deve saper prestare attenzione alle
specificità culturali, di cui la religione è parte fondamentale,
dall’altra deve poter cogliere e trasmettere agli alunni i cambiamenti
e le trasformazioni sia sociali sia culturali.
Una scuola che accoglie la diversità
e si propone di valorizzarla deve pertanto in qualche modo conciliare il
valore dell’appartenenza originaria con la realtà e le necessità
del cambiamento storico-sociale.
Una via potrebbe essere proprio quella
di rintracciare nelle varie discipline di insegnamento (dalla letteratura
alle scienze) le diverse interpretazioni e i segni lasciati da altri universi
simbolici culturali e religiosi (e certo i riferimenti non mancano). In
tale modo è possibile ripercorrere le trasformazioni e il cambiamento
sociale in termini di continuità e di incontro dinamico e dialettico
fra apporti differenti. Ciò può contribuire a spiegare il
cambiamento e nello stesso tempo valorizza le diverse appartenenze originarie,
che ritrovano così parte della loro storia e cultura dentro i diversi
ambiti del sapere e dentro i processi di trasformazione degli stessi.
Per questi motivi, un approccio educativo
a questi temi può considerare la religione come elemento importante,
a prescindere dalle convinzioni personali (credente o non credente) e anche
da concetti che siamo abituati a considerare come centrali nell’interpretazione
della realtà, ad esempio religione/laicismo.
Del resto gli intrecci fra queste due
sfere permangono anche nella stessa scuola italiana pubblica, che si definisce
laica, ma appende nelle classi simboli a chiaro contenuto religioso e basa
le proprie cadenze su un calendario ampiamente scandito da ricorrenze religiose
“Non è laica la scuola di stato quando istituisce al suo interno
un insegnamento confessionale come l’unico vero, ma neppure quando elimina
dai suoi programmi qualsiasi insegnamento religioso, reputandolo marginale
alla preparazione di giovani alla vita” .
Come si è già avuto modo
di osservare, l’importanza della religione nella storia dei popoli e nelle
relative espressioni culturali non può essere trascurata ai fini
della formazione e dell’educazione interculturale, perché anche
le religioni rappresentano delle visioni del mondo. “E’ a scuola che bambini
e bambine devono poter imparare ad analizzare la pluralità dei percorsi,
attraverso i quali i differenti popoli hanno costruito, nel corso della
storia, differenti ‘versioni del mondo’. E’ a scuola che possono affrontare
attività di analisi – confronto tra codici culturali diversi, ad
esercitare il pensiero a decentrarsi, ad allontanarsi dai propri modi di
leggere e interpretare la realtà –a guardare e a guardarsi con lo
sguardo degli altri- e a ritornare alla propria cultura arricchiti dall’esperienza
del confronto” .
Su questi aspetti è in atto una
riflessione in varie realtà scolastiche, portata avanti da diversi
organismi (a titolo indicativo Forum dell’intercultura della Caritas di
Roma, CEM Mondialità di Brescia, IRRSAE Puglia).
Una delle questioni sulle quali si concentra
l’attenzione è il rifacimento e la revisione dei testi scolastici,
spesso improntati in termini eurocentrici.
Altri aspetti riguardano la formazione
agli educatori e agli insegnanti, nonché la necessità di
far accogliere i cambiamenti introdotti dalle nuove presenze alle scuole
pubbliche come a quelle private convenzionate, in maniera tale da aprire
e adeguare i propri progetti educativi al valore dell’intercultura e della
presenza plurireligiosa.
*sociologo ricercatore dei
processi migratori e interculturali (STUDIO RES, Trento, studiores@tin.it
); insegna sociologia delle migrazioni presso l'Università Cà
Foscari di Venezia ed è docente al Master sull'immigrazione presso
la medesima università. |