(Piano dell'intervento)
Sottovalutazione degli aspetti
culturali negli studi sull’immigrazione.
Mancanza di una tradizione
di studi sull'islam.
L’immigrato visto come forza
lavoro; portatore di problemi ed emergenze.
Sia da destra (controllare,
limitare, espellere) sia da sinistra (aiutare, difendere, regolarizzare).
Difficoltà della
cultura di sinistra a confrontarsi coi temi dell’identità, della
religione (oppio dei popoli).
Deriva da ciò:
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Atteggiamento prevalente nel
dibattito sull’islam in Italia consiste nel riferirsi a stereotipi (generalizzando
l’esempio peggiore: islam in alcuni Paesi, generalizzazioni di particolari
interpretazioni del testo sacro, ecc).
-
Nessun interesse per il fatto
sociale rappresentato dall’immigrazione e su come si sta evolvendo la realtà
culturale e religiosa nell’immigrazione.
-
Il mio contributo sarà
una riflessione sulle evoluzioni delle religioni in Italia. A partire da
una ricerca a Bologna: diverse comunità studiate; ruolo dei ricercatori
etnici; creare ponti con le realtà culturali; obiettivo: considerare
l’immigrato come persona, non come emergenza; L’islam è una delle
religioni studiate.
-
Accennerò a tre linee
di evoluzione:
A. Cambiamenti nell’identità
del musulmano immigrato
B. Cambiamenti nelle organizzazioni
per adattarsi alle leggi e alla costituzione.
C. Cambiamenti dovuti all’adattamento
al contesto giuridico e costituzionale
A. Evoluzioni nell’identità
del musulmano.
Centralità della religione.
Eppure, la religione è
centrale, soprattutto per i musulmani immigrati: 99,6% si dichiara musulmano;
70% praticanti; 30% non praticanti.
L’immigrazione porta a porsi
le domande che stanno alla base del sentimento religioso: Quale è
il senso della mia esperienza?
La globalizzazione non porta
al melting pot ma ad un accresciuto bisogno di identità. Non assistiamo
alla fine delle religioni, ma al loro fiorire, sia pure in forme differenti.
L’accresciuto bisogno di
identità e appartenenza in una società estranea spinge ad
essere più consapevoli e creativi: la religione non è più
un dato ambientale ma qualcosa che va costruito, deciso in forme individuali
o di gruppo; i luoghi di culto non fioriscono naturalmente ma vanno costruite,
contrattando gli spazi in un ambiente spesso diffidente od ostile.
Segno di questo bisogno
è il fatto che gli intervistati vivono l’islam come un patrimonio
importante che vogliono conservare a qualsiasi prezzo.
Molti dichiarano che per
loro la religione è diventata più importante nell’immigrazione
di quanto lo fosse nel paese d’origine.
Questo non significa una
intensificazione del fanatismo o dell’ortodossia:
chi ha compiuto ricerche
empiriche distingue in genere fra
-
un islam comunitario, legato
a correnti ideologiche islamiche (le più diffuse: "Fratelli Musulmani"
UCOII; visione wahabita della Lega musulmana). Questa forma che coinvolge
una minoranza (10% che non vorrebbe integrarsi e una piccola quota 4% che
vorrebbe islamizzare l’Italia).
-
Un islam privatizzato o atomizzato:
si tratta della grande maggioranza di “laici” che vuole integrarsi e accettare
le leggi italiane.
Quest'ultima forma manifesta
l'accettazione della separazione fra stato e religione; il concetto che
la religione riguarda la sfera privata; quindi il principio della laicità
dello stato.
Negoziazione dell’identità.
Un atteggiamento opposto
a quello che svaluta l’etnia e la religione consiste nell’esaltazione della
diversità e della sua protezione. Via americana alla multiculturalità
che incapsula e gerarchizza le comunità. Alla base sta un’idea statica
di identità.
Nella realtà dell’immigrazione
le identità sono invece mutevoli e negoziate nel processo di integrazione
Uno spostamento importante
registrato negli intervistati musulmani è verso la costruzione di
una inedita identità interetnica su base religiosa. Moltissimi,
alla domanda che chiede di definire la propria appartenenza, rispondono
“musulmano” “arabo” piuttosto che marocchino, tunisino, pakistano, ecc..
Questa deriva senz’altro
dall’importanza che l’islam attribuisce al concetto di umma, la comunità
di tutti i credenti e all’ideale di un’unica realtà politico-religiosa
che abbracci l’intera comunità dei credenti.
L’immigrazione offre però
la condizione per tale ampliamento d’orizzonte frutto di negoziazione.
L’appartenenza all’islam è ciò che dà senso all’esistenza
del soggetto in quanto immigrato, che lo colloca e lo distingue dagli altri
immigrati e giustifica la sua diversità con gli italiani.
C’è anche un interesse
politico: l’identità interetnica permette più ampia visibilità
pubblica agli immigrati di religione musulmana ed una migliore capacità
di contrattazione con le autorità locali o nazionali.
Un interesse, anche inconsapevole,
che aiuta a comprendere perché nell’immigrazione molti dicono di
essere più credenti, di pregare di più, di sentirsi più
vicini ad Allah, ecc.
B. Ruolo dei centri
islamici nella formazione dell’identità.
La lingua.
I centri religiosi sono realtà
inter-etniche. La convivialità è possibile a condizione
che ciascuno rinunci ad una parte della propria visione della religione
e della cultura (abitudini, dialetti, abbigliamento) in favore di una visione
più generica ed essenziale.
L’aspetto più evidente
è l’adozione di lingue comuni a tutti: l’italiano nella moschea
di Bologna in cui la maggioranza dei frequentanti non è araba (Pakistani,
Senegalesi),
L’affermazione dell’italiano
come lingua è importante anche al fine di creare un islam italiano.
Problema centrale per poter firmare gli accordi con lo Stato che può
firmarli solo con cittadini italiani.
Il cambiamento di lingua
implica un cambiamento importante nell’identità: da un lato lo spostamento
verso un’identità intermedia interetnica, dall’altro l’interiorizzazione
di contenuti culturali e di sensibilità italiani che necessariamente
si integrano con quelli tradizionali.
La questione della lingua
è importante per la seconda generazione che con ogni probabilità
continuerà a vivere e lavorare in Italia.
Per favorire il mantenimento
dell’identità religiosa, i centri islamici organizzano infatti corsi
di arabo classico destinati ai più giovani. Per questi quindi, il
legame con la cultura dei genitori diviene virtuale ed astratto, si riferisce
ad una comunità multinazionale di parlanti arabo che non ha un territorio
concreto di riferimento, ma fa riferimento solo alla lingua e al testo
sacro nella quale esso è scritto.
Studiare gli aspetti linguistici
dell’immigrazione sarebbe quindi un modo per valutare il livello di integrazione
dei musulmani nella cultura e società italiane.
L’ideologia.
Un ruolo importante nella
diffusione organizzata di una particolare ideologia islamica è svolto
dall’UCOII che raggruppa circa il 50% dei centri e il 70% dei frequentanti
le moschee. Si tratta di una associazione che rivendica il suo collegamento
almeno ideologico con i Fratelli musulmani.
È importante quindi
analizzare i contenuti trasmessi. Tenendo presente comunque che i frequentanti
sono una minoranza dei musulmani in Italia (20% circa) e che molti di quanti
frequentano non condividono l’ideologia dell’UCOII.
L’analisi dei sermoni del
venerdì nella moschea di Bologna mostra come l’esperienza religiosa
viene proposta come l’elemento centrale per autodefinirsi e dare senso
alla propria presenza in paese straniero. I sermoni parlano sempre, in
modo esplicito, di cosa significa essere musulmani in un contesto straniero.
L’esperienza religiosa diviene
quindi una meditazione continua sull’identità musulmana e sui modi
di viverla nella quotidianità; è rappresentata come l’unico
fattore di continuità col passato e uno strumento per rapportarsi
al presente senza assimilarsi ai costumi locali. La speculazione dell’imam
si concentra sul tema della “nazione islamica” semanticamente opposta al
“mondo occidentale” fondato sul godimento immediato (di cibo, alcol, sesso)
e nella sua essenza inumano e inconsapevole.
All’opposto la “Nazione
islamica”, che deriva le sue leggi direttamente dalla religione rivelata,
è descritta come umana e giusta. La “nazione islamica” è
descritta sia come realtà fuori discussione ed autoevidente, sia
come un ideale e un compito da realizzare. In quanto ideale l’avvento della
“nazione islamica” sarà il rimedio a tutti i mali del mondo: una
medicina per tutti i popoli e tutti i tempi.
Obiettivo dell’UCOII è
l’islamizzazione dal basso, e nel rispetto delle leggi italiane, della
società. L’islam è infatti visto come l’unica religione che
possa dare un’anima ad un mondo che l’ha perduta. Infine, trattandosi di
un progetto divino, il suo avvento è un processo universale e inevitabile.
Al di là dei contenuti
più o meno fondamentalisti di queste posizioni – che del resto molti
credenti non condividono – va osservato come, attraverso il concetto di
“nazione islamica” e l’opposizione di questa alla società italiana
– in quanto parte del “mondo occidentale” – il discorso della moschea contribuisce
ala formazione di un’identità inter-etnica su base religiosa, a
cui esso conferisce una base trascendente, eterna, divina.
Ruolo dei centri islamici
nel processo di integrazione.
I centri islamici sono molto
diversi, nelle loro funzioni dal modello della moschea nel paese d’origine.
Svolgono infatti molti compiti diversi da quelli religiosi (lingua, socialità,
aiuto materiale e assistenza) sono associazioni culturali che in alcuni
casi si collegano alla ricca rete di altre associazioni presenti nel territorio
dell’Emilia Romagna.
Citerò a questo proposito
un esempio di come tale ruolo si esercita nella pratica, parlando di un’iniziativa
di recupero di giovani a rischio di devianza della moschea di Bazzano,
vicino Bologna: un centro islamico ben inserito nella realtà locale,
con ottimi rapporti con il comune, le autorità, la polizia, la società
civile, la chiesa cattolica.
Alcune delle persone più
attive nella moschea si recano, ogni sabato sera, in alcuni bar della
zona frequentati da giovani arabi dediti all’alcol e a forme di microcriminalità
e vi svolgono un lavoro di proselitismo religioso: li istruiscono sulla
gravità della punizione divina che li attende per i loro comportamenti;
cercano di riportarli sulla buona strada e li invitano a frequentare la
moschea.
La motivazione di questi
interventi è religiosa – recupero di fratelli che rischiano di perdersi
– ma mira anche a migliorare l’immagine pubblica della comunità
islamica e, in generale, dell’immagine che la comunità locale ha
dell’islam. Anche questo del resto è un obiettivo religioso: combattere
i pregiudizi che portano a confondere i musulmani con i terroristi, gli
spacciatori, i criminali è un dovere del musulmano e la premessa
per la diffusione dell’islam.
Del resto nella prospettiva
coerentemente islamica non c’è differenza fra obiettivi religiosi,
sociali o politici e i leader religiosi si considerano in un certo senso
come dei missionari dell’islam.
I giovani immigrati sono
particolarmente esposti al rischio di cadere nella criminalità o
in generale in comportamenti devianti. Essi infatti, più di tutti
sono portati ad interiorizzare gli obiettivi legittimi che la società
promette (realizzazione personale, successo lavorativo, denaro) ed esposti
alla frustrazione di non poterli perseguire con mezzi legittimi, per gli
stessi svantaggi della condizione di immigrati. Questa mancanza di corrispondenza
fra fini legittimi e mezzi legittimi a disposizione porta, secondo l’analisi
classica di R. Merton ad un doppio possibile esito, in entrambi i casi
nefasto: alcuni possono tentare di raggiungere i fini legittimi con mezzi
illegali e cadere quindi nella criminalità (spaccio, furti, ecc.);
altri, di fronte alla difficoltà, possono rinunciare al perseguimento
dei fini legittimi. In quest’ultimo caso, la mancanza di motivazioni e
di mezzi legittimi conduce a comportamenti autodistruttivi (uso di droghe,
alcolismo). Nel primo caso il soggetto vorrebbe assimilarsi in fretta ma
non ha i mezzi per farlo; nel secondo rinuncia ad ogni assimilazione.
L’intervento degli uomini
della moschea ha un effetto riequilibrante. Ricordando al giovane i suoi
doveri religiosi e riavvicinandolo alla moschea essi gli ricordano i valori
della sua cultura e i doveri verso la comunità, mentre lo aiutano
a ridefinire gli obiettivi che egli può ragionevolmente proporsi
nella condizione svantaggiata dell’immigrazione. Al sogno di un’illusoria
e rapida assimilazione si sostituisce una logica di integrazione graduale:
una traiettoria che prevede il passaggio attraverso la cultura d’origine
e la sua trasformazione, come condizione di un ingresso legittimo nella
società.
Il successo di questi interventi
non consiste solo nel numero, limitato, di giovani effettivamente “salvati”
e strappati ad un destino di esclusione. Consiste soprattutto nell’indicazione
di un percorso ideale – che l’esistenza stessa del Centro islamico rende
evidente e garantisce in virtù della sua visibilità pubblica
e del suo riconoscimento sociale. Il successo ottenuto in alcuni casi non
fa che confermare la validità di un percorso di integrazione (non
di assimilazione) che rimane a disposizione di tutti i membri della comunità
musulmana.
Evoluzione dei riti.
Anche nella ritualità
si è spesso attratti da aspetti superficiali e si perviene a giudizi
sommari. Stupiscono soprattutto alcune pratiche lontane dalla nostra sensibilità
(sgozzamento del montone).
Se osserviamo invece da vicini
vediamo che anche tali riti subiscono trasformazioni importanti. Osserviamo
ad esempio lo sgozzamento del montone, nel quale le norme di prevenzione,
imposte dai regolamenti italiani ed europei operano un cambiamento fondamentale.
Il sacrificio del montone
non può essere fatto spontaneamente senza il rispetto scrupoloso
delle normative in tema di macellazione, trasporto e conservazione asettica
della carne.
Non si tratta di cambiamenti
solo superficiali (come pretenderebbero i dirigenti delle moschee intervistati).
L’introduzione di queste norme determina infatti l’acquisizione e interiorizzazione,
da parte dei musulmani immigrati, di una diversa prospettiva, una particolare
forma mentis per cui la razionalità, l’efficacia, prevalgono sulla
spontaneità e l’intensità del rito.
È molto diverso sgozzare
il montone da sé con amici, tagliarlo a pezzi e distribuire la carne,
piuttosto che, come succede, delegare il lavoro a una macelleria autorizzata
che segue tutte le normative di una macellazione igienica e, alla fine
della catena vende i pezzi di carne confezionati sotto vuoto.
Allo stesso modo, è
diverso fare la circoncisione in casa, all’interno di una festa, o all’ospedale,
dopo aver svolto tutte le pratiche necessarie.
L’acquisizione di una mentalità
attenta alle procedure e alle ossessioni igieniche delle società
europee condiziona e subordina il rito. Tempi e modi burocratici (permessi,
domande, ritardi) ne fanno ormai parte e aggiungono nuovi significati.
Adesso gli immigrati celebrano,
forse senza saperlo, accanto ai significati tradizionali, anche l’avvenuta
accettazione e interiorizzazione delle norme e dei limiti della società
italiana e, quindi, l’appartenenza ad essa. La diversità radicale
dei contenuti oggetto di celebrazione, divenuta compatibile con le finalità
igieniche e burocratiche, trasforma il rito in un rituale di integrazione.
C. Verso un'islam italiano?(islam
e legislazione italiana)
L'Italia ha un modello di
mercato religioso basato sull'intesa di ciascuna religione con lo Stato
che prevede diversi gradi di riconoscimento.
-
la chiesa cattolica: ha un ruolo
speciale costituzionalmente riconosciuto
-
le religioni con cui lo stato
decide di firmare un'intesa e decide di collaborare - favorendo le specifiche
esigenze di culto - perché riconosciute compatibili con i suoi fini
e ordinamenti e facendole accedere all'8 per mille
-
religioni riconosciute come
enti morali, abilitate a compiere atti giuridicamente rilevanti mediante
propri ministri di culto.
-
associazioni non riconosciute,
per le quali valgono i principi della libertà religiosa riconosciuti
a tutti i cittadini.
È quindi importante
per l'islam firmare un'intesa, sia sul piano simbolico (è la seconda
religione) per uscire da una condizione di minorità e non riconoscimento
pubblico, sia sul piano finanziario, per poter contare su propri fondi
e non dover dipendere da Stati esterni.
Presentate tre bozze d’intesa
1. UCOII 1992 – cui si è
associato il Centro di cultura islamica
2. AMI 1994
3. CoReIs 1996
La firma dell'intesa è
ostacolata da due fattori principali
-
uno interno all'islam italiano
riguarda la difficoltà a trovare un accordo su chi deve rappresentarlo
nei confronti dello Stato.
-
Uno esterno dovuto agli interessi
di parti del mondo cattolico che ha paura di perdere la sua egemonia e
parte dei finanziamenti pubblici, e all'opposizione delle forze di destra
che perseguono una politica del sospetto verso l'insieme della comunità
islamica.
Non parlerò però
qui di queste difficoltà, ma dei cambiamenti in atto e prevedibili
nell'islam messi in moto dalla necessità di firmare l'intesa con
lo Stato.
A. La nuova legge prevede
un filtro del consiglio di stato che, se non entra nelle questioni dottrinali
e spirituali, verifica però se negli statuti vi siano principi in
contrasto con l'ordinamento giuridico italiano. Si pone quindi un tema
di fondo:
l'islam ortodosso non ha
la stessa visione dei diritti umani delle società occidentali soprattutto
in tema di diritto di famiglia, condizione della donna, eredità,
libertà di cambiare religione.
Si tratta di aspetti che
toccano questioni di fondo cui islam e occidente hanno dato nei secoli
risposte divergenti:
1. è possibile individuare
diritti umani senza il riferimento alla rivelazione divina?
2. è possibile interpretare
storicamente la rivelazione, riaprire la porta dell’interpretazione chiusa
molti secoli fa?
C’è da molti anni
un dibattito interno ai paesi musulmani, rimangono tuttavia aperte alcune
questioni:
1. schiavitù (teoricamente
ammessa dalla sharia)
2. apostasia – non libertà
di abbandonare l’islam
3. differente statuto di
musulmani e non musulmani
4. condizione giuridica
della donna, discriminata nei diritti familiari e matrimoniali
Se le organizzazioni islamiche
accettassero di sottoscrivere la nostra visione dei diritti come premessa
per l'intesa, si avrebbe quindi uno stravolgimento della tradizionale concezione
religiosa.
-
Le richieste presenti nelle
bozze sono quindi di lasciare da parte tutte le questioni su cui non può
esserci accordo, considerandole questioni "religiose".
-
Ciò significa che il
diritto di famiglia islamico tradizionale (poligamia, diversa visione del
ruolo dei coniugi, diritti dei minori) non può entrare nel patto.
-
Questi aspetti - che nell'islam
hanno rilevanza pubblica e giuridica - divengono privati e personali. Si
instaura di fatto una separazione fra sfera religiosa privata e sfera pubblica
inesistente nell'islam ortodosso, che incide profondamente nel modo soggettivo
di vivere la religione.
B. Lo stato richiede,
per poter trattare, l'esistenza di "ministri di culto" che siano responsabili
dell'attività delle organizzazioni religiose e siano abilitati a
compiere atti religiosi rilevanti come: matrimoni, rappresentanza, contratti.
Quella che nell’islam è
una guida, spesso occasionale e non strutturata, viene trasformata in ministro
autorizzato e stabilizzato: iscrizione al fondo pensione, esonero da obblighi
militari, suo mantenimento permanente, definizione di un ambito specifico
di attività definito “ministero culturale e devozionale”
È un modello che rispecchia
la concezione cattolica e il modello è quello del sacerdote e del
parroco: nell'islam non esiste un "ministro di culto" di questo tipo.
-
La necessità di designare
"ministri di culto" trasforma l'organizzazione religiosa; introduce una
figura inesistente, che probabilmente finirà con l'attribuirsi un
ruolo reale e centrale - paragonabile forse a quello del parroco nel cattolicesimo.
-
Ad esempio. il "ministro di
culto" (figura inesistente) celebra (concetto inesistente) un "matrimonio
religioso" (inconcepibile nell'islam) che ha effetti civili (si instaura
una dicotomia fra civile e religioso)
-
Allo stesso tempo la moschea
potrebbe, in virtù dei nuovi compiti amministrativi e di rappresentanza
richiesti, assumere compiti e modi di funzionamento tipici della parrocchia.
-
Queste trasformazioni, necessarie
per la vita di una religione minoritaria, possono suscitare reazioni violente
in coloro che vorrebbero preservare l'ortodossia: islam comunitario, gruppi
fondamentalisti.
C. Più in generale,
la necessità di stabilire un interlocutore rappresentativo dell'islam
in grado di contrattare col potere statale per la firma dell'intesa e per
la gestione delle controversie, porterà inevitabilmente a costituire
strutture religiose centrali, nazionali. Anch'esse inesistenti nell'islam
che non prevede alcuna struttura ecclesiastica centralizzata.
-
Tali strutture "rappresentative"
di tutto o di una parte dell'islam italiano probabilmente svolgeranno anche
un ruolo di controllo e gestione della religione, tutela dell’ortodossia.
-
Esse saranno inoltre portate
a regolare maggiormente e controllare la partecipazione e l'appartenenza
dei fedeli, poiché da esse deriva la loro rappresentatività.
In contrasto con la tradizione islamica che non prevede obblighi di frequenza,
appartenenza, partecipazione.
-
Dall'altro lato l'esistenza
di tali strutture introduce una distinzione inesistente fra religione (si
potrebbe forse dire chiesa?) e stato.
-
Mentre lo stesso accordo introduce
elementi di laicità e di accettazione di leggi non islamiche nella
stessa religione.
D. In definitiva la necessità
di firmare l'accordo con lo stato porta a profonde trasformazioni nell'islam
italiano rendendolo meno dissimile dalla forma religiosa prevalente in
Italia, rappresentata dalla Chiesa. Struttura centrale con organi di governo
che abilita i ministri, li autorizza, fissa le festività, nomina
i docenti nelle scuole, crea scuole islamiche, strutture periferiche di
tale organismo, ministri di culto che celebrazione i riti, ecc..
Si tratta di un processo
definito di "isomorfismo istituzionale" con cui le religioni degli immigrati
tendono a trasformarsi nell'immigrazione assumendo forme compatibili con
quelle dominanti nel paese ospitante.
In America lo spostamento
avviene in direzione del congregazionalismo (formazione di congregazioni
indipendenti, simili a quelle protestanti)
In Italia, probabilmente,
la direzione è verso forme che prevedano istanze rappresentative
centrali (modello chiesa) e strutture periferiche dotate di responsabili
e ministri di culto ben individuati (modello parrocchia).
Si tratta di un processo
che, se da un punto di vista ortodosso o fondamentalista rischia di modificare
l’islam, da un altro punto di vista, può essere visto come necessario
per una armoniosa convivenza e un più agevole dialogo con le altre
fedi e con la società.
In questo contesto va vista
la principale posta in gioco legata alla firma dell'intesa con lo stato
e consiste nell'individuare chi sia autorizzato a rappresentare l’islam
in Italia.
E. La posta in gioco
Come abbiamo visto, la grande
maggioranza dei musulmani non aderisce a nessuna associazione o centro,
preferisce una religione privata è disposta ad adattarsi e ad integrarsi.
I due gruppi più consistenti
UCOII e Lega Islamica (che raggruppano nell’insieme una piccola minoranza
di immigrati: 5-10% secondo Allam) esprimono l’uno una visione integralista
seppur legalitaria, mentre l’altro appare ancora legato agli interessi
e all’ideologia dell’Arabia Saudita che lo finanzia.
D’altra parte la grande maggioranza
degli immigrati che esprimono una religiosità privata e disposta
a laicizzarsi non sono rappresentati da alcuna organizzazione. (I due gruppi
islamici “laici” ed ecumenici che hanno presentato bozze d’intesa non hanno
alcuna rappresentatività).
Esiste quindi, al di là
degli interessi consolidati della Chiesa e della destra che rallentano
il riconoscimento dell’islam da parte dello stato, una reale difficoltà
a individuare un interlocutore.
Paradossalmente, firmando
l’intesa con l’UCOII, l’unica organizzazione che rappresenti alcune migliaia
di musulmani e che ha presentato una bozza d’intesa nel 1990 lo Stato legittimerebbe
una visione particolare dell’islam, e di fatto la imporrebbe alla maggioranza
come unica forma legittima.
Conclusioni.
Ho presentato più
che una relazione, una lista di temi su cui a mio parere è oggi
interessante centrare l’attenzione se si vuole evitare di cadere in visioni
stereotipate (poco importa se di destra o sinistra) che finiscono col ridurre
l’immigrato ad un insieme di problemi e di emergenze.
Tutto ciò richiede
tempo, apertura effettiva alle culture dell’altro, denaro per interventi
sistematici e, come accennavo all’inizio, la capacità di collaborare
con intellettuali etnici che servano da ponte fra le culture e stabiliscano
canali di comunicazione. |