Il mio nome è Arkanius Koral dei Dùnedain quinto figlio di Ciryaher e di Gilraen  Signore delle terre di Haradwaith.

Conservo nella mia mente pochi ricordi, immagini sfocate, dell’infanzia: il Castello della mia famiglia, dove insieme ai miei fratelli passavamo il tempo in allegri giochi, facendo disperare il nostro precettore che cercava, inutilmente, di insegnarci le prime nozioni di grammatica e di matematica; le serate davanti al grande camino, seduti intorno a nostra madre che prima di mandarci a dormire ci raccontava le epiche gesta di cavalieri senza paura, storie di grandi amori, oppure suonava dolci melodie che noi ascoltavamo incantati, osservando quella cara figura che ai nostri occhi appariva come un angelo; l’immagine possente di nostro padre, severo con tutti,  ma tenero e delicato con la sua sposa dalla salute malferma.

 Appena compii dieci anni fui convocato da mio padre.

Con lui ci recammo in uno strano posto lontano da casa, cavalcammo diversi giorni prima di arrivare; era un convento di monaci guerrieri; non dimenticherò mai  l’arco di ingresso, retto da colonne gemelle e, sul margine della strada, un grande albero dal tronco vigoroso, i cui rami si chinavano dolcemente come ad accogliere i nuovi arrivati.

 Le uniche parole che mi disse mio padre prima di affidarmi ai monaci furono: “Solo tuo fratello maggiore Menelith, il primogenito, potrà ereditare i titoli e le terre! Tu sei destinato a servire la Dea Themis, impegnati e onora la tua famiglia. Ti dono questo medaglione e questo pugnale, portali sempre con te.”….poi dopo aver lungamente discusso con uno dei monaci lo vidi risalire a cavallo e scomparire tra il granaio ed il mulino, sotto lo stretto portone ad arco del cortile esterno del convento.

Fu quella l’ultima volta che vidi un membro della mia famiglia.

I monaci mi accolsero benevolmente, guardandomi con simpatia. Fui presentato ai precettori e mi fu assegnato un letto nel dormitorio insieme ad altri ragazzi.

Restai in quel convento per sette anni, durante i quali imparai parecchie cose, anche l’arte dei duelli e dei combattimenti.

Nonostante mi trovassi bene sentivo crescere dentro me la voglia di andare via, fare nuove esperienze e, chissà, un giorno, riabbracciare i miei cari.

Erano passati pochi mesi dal mio diciassettesimo compleanno quando decisi di fuggire.

Una notte, raccolte le mie poche cose, scappai attraverso un buco nella recinzione, usato da molti ragazzi per qualche avventura nei paesi vicini, e presi la via dei campi, camminai per ore attraverso quel territorio che conoscevo bene per le lunghe passeggiate a cavallo fatte in tutti quegli anni, la temperatura mite e la luce della Luna mi facilitarono l’impresa; ormai albeggiava quando mi fermai esausto, ma felice, in un granaio dove mi riposai per qualche ora.

Iniziarono così i lunghi anni di vagabondaggio, che mi portarono a visitare decine e decine di paesi, e a conoscere centinaia di persone di razze diverse. A volte, giunto in un posto, rimanevo incantato da un tempio o da un castello maestoso o, più semplicemente, conquistato dalla cordialità degli abitanti e allora mi fermavo, anche per qualche mese, guadagnandomi da vivere come capitava.

Feci il contadino, il precettore, lavorai a bottega da alcuni artigiani imparando a dipingere e intagliare il legno, il carpentiere, il  suonatore in alcune feste di paese o alle feste private di ricchi mercanti.

Ovunque andavo, da ogni persona conosciuta, da ogni razza, dai vari mestieri ebbi modo di imparare qualcosa!

Ma non ci furono solo momenti felici, da vagabondo conobbi anche la fame, soffrii il freddo e la solitudine, vidi interi paesi spopolati da malattie e pestilenze e imparai a conoscere anche l’aspetto più terribile delle persone: villaggi rasi al suolo da orde di briganti, famiglie di contadini vessati dai Signori di quelle terre  che abusavano del proprio potere.

Un giorno, mentre mi riposavo all’ombra di un albero presso uno stagno, per cercare refrigerio dalla calura estiva, incontrai un cavaliere, giunto lì, guidato dal fato, alla ricerca di un posto sicuro dove riposarsi dopo un’estenuante battaglia.

Quell’incontro casuale cambiò la mia vita.

Il valente cavaliere era Aquarius.

Lo seguii nei suoi spostamenti, diventammo amici e passai molto tempo con lui; ebbi modo di vedere come con grande slancio aiutava i più deboli e combatteva contro qualsiasi forma di ingiustizia, mi parlò di altri cavalieri che come lui avevano votato la loro vita ai princìpi dell’Amor Cortese; era la prima volta che sentivo parlare della Cavalleria Errante!

Rimasi come folgorato, capii subito che quella era la strada che volevo seguire e gli chiesi come poter diventare anch’io un Errante…”Durante il giorno segui il sole calante, di notte segui la costellazione delle Spade Incrociate….arriverai in una vallata, lì si ergono le mura del Granducato di Lot, lì troverai il Castello degli Erranti. Ti presenterai al Pendrawen chiedendo di essere messo alla prova, se verrai giudicato degno ti faranno scudiero ed un cavaliere ti guiderà come tuo mentore.”

Fu così che giunsi fino a Lot, superai la prova ed entrai nella Cavalleria Errante, divenni scudiero del cavaliere Sinan Picas dè Sinfatony e, dopo un lungo apprendistato fui investito, infine, Cavaliere.

A Lot incontrai subito altri umani che come me discendono dalla stirpe di Tanit, riuniti in un Clan, e mi unii a loro, entrando a far parte del Casato dei guerrieri Pathmos, e conobbi anche molte altre persone che mi pregio ed onoro di considerare amiche, su tutte la Dama della Luce Pleiade che mi introdusse presso gli Erranti, milady Gigliobianco incantevole Solista dei Musicanti, l’Amicizia e l’Affetto uniscono per sempre i nostri animi, e infine colei che ha conquistato il mio cuore:  dama Melime Winterson Rhovànion, Iniziata dei Maghi dalle Vesti Bianche, colei che con la dolcezza ha incantato il mio animo da vagabondo facendomi provare ciò che credevo impossibile: il Vero Amore!

Questa è la mia storia, il resto continuo a scriverlo giorno dopo giorno vivendo a Lot, cercando di rispettare e di difendere i principi ed i valori in cui credo, con l’aiuto della Dea Themis e dei miei fratelli; ma un pensiero non mi ha mai abbandonato, un ombra che costante si insinua nei miei pensieri, che turba il mio riposo e alimenta il mio spirito di vagabondo e che un giorno, lo sento, mi spingerà a ripartire per terre lontane: Ritrovare la mia famiglia, riabbracciare mia madre, scoprire finalmente le mie origini. Solo poche notizie mi sono giunte in tutti questi anni, flebili tracce estrapolate dai racconti di altri vagabondi, ma la speranza vive, cosciente che un giorno riuscirò a placare ciò che arde in me: il richiamo del mio sangue!