il manifesto - 27 Gennaio 2004

Una staffetta nell'orrore del secolo
Ondina Peteani fu catturata da una pattuglia tedesca l'11 febbraio del 1944 a Vermigliano (Ronchi dei Legionari) e rinchiusa nel comando delle SS di Piazza Oberdan a Trieste. Aveva diciannove anni. Era nata a Trieste il 26 aprile 1925 e aveva cominciato giovanissima l'attività antifascista nel cantiere navale di Monfalcone in contatto con il gruppo dell'università di Padova guidato da Eugenio Curiel. Tanto che a fascismo ancora in auge era già stata arrestata altre due volte, riuscendo sempre a scappare. Nell'inverno del `43 si unì ai gruppi partigiani sul Carso che avevano formato il "battaglione triestino": in seguito è stata riconosciuta «prima staffetta partigiana d'Italia».

Dal carcere di piazza Oberdan fu deportata ad Auschwitz alla fine del marzo '44. Sul braccio le tatuarono il numero 81672. A quei giorni si riferisce il ricordo che pubblichiamo in questa pagina. La memoria, inedita, è molto più lunga, ed è stata scritta da Ondina nel 1989 su richiesta dell'Aned di Milano che conserva un archivio di testimonianze. Il brano si interrompe con il trasferimento al Lager di Rawensbruck. Poi, nell'ottobre del `44, Ondina fu trasferita ancora in una fabbrica di armi nei pressi di Berlino. Durante una marcia forzata che doveva riportarla a Rawensbruck riuscì a fuggire dalla colonna dei prigionieri: era ormai aprile. La testimonianza si chiude con il ricordo della liberazione e del difficile ritorno a casa, attraverso la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Jugoslavia. A Trieste riuscì ad arrivare solo il 2 luglio 1945: «Per un lunghissimo periodo - è il suo racconto - mi sentivo molto vecchia, indifferente alla sfrenata voglia di divertirsi, di ballare che c'era in giro... cercavo di evitare di parlare anche con i miei: desideravo solo essere lasciata in pace».

Dopo la guerra Ondina Peteani ha esercitato la professione di ostetrica, mantenendo l'impegno politico nel Pci, nell'Anpi e nel sindacato. Negli anni Sessanta con il marito Gian Luigi Brusadin aprì la prima agenzia degli Editori Riuniti nel Triveneto. Il Lager l'aveva però segnata. Ai malanni fisici negli ultimi anni della sua vita si aggiunse la depressione nervosa e l'anoressia. Secondo chi le è stato vicino Ondina era rimasta segnata dalla prigionia, di cui pure parlava pochissimo, e rifiutava quel cibo che non poteva condividere con i compagni. E' morta a Trieste nel gennaio 2003. Il figlio Gianni le ha dedicato il sito www.ondina-peteani.icqs.com (a. fab.)