BIOGRAFIE DELLA RESISTENZA ROMANA

 

A   Ferdinando Agnini

Studente di medicina, di 19 anni. Nato a Catania il 24 agosto 1924 da Gaetano e da Giuseppina Longo. Nell'ottobre del '43, insieme a Nicola Rainelli, fu uno dei principali fondatori dell'Arsi, l'associazione degli studenti universitari, di carattere repubblicano e progressista, di cui facevano parte giovani di differenti opinioni politiche (tra cui Lallo Orlandi Posti), collegati con alcuni gruppi clandestini, specie di operai. All'inizio gli scopi fondamentali dell'Arsi consistevano nella raccolta di armi e nella diffusione del giornale "La nostra lotta". Poi, insieme a numerosi antifascisti di Monte Sacro, i giovani dell'Arsi portarono a termine numerose azioni di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Nomentana, sulla via Salaria, nei quartieri dei Prati Fiscali e di Pietralata. A fine novembre il rettore emise una circolare in cui si ammettevano agli esami i soli studenti che rispondevano ai bandi della Repubblica di Salò. Per reagire al sopruso, il 3 gennaio del '44 Agnini e Gianni Corbi dell'Arsi e i rappresentanti dei giovani del Pci, del Movimento dei cattolici comunisti, del Psiup e del Partito d'Azione, diedero vita al Csa, il comitato studentesco di agitazione, diretto dal giovane comunista Maurizio Ferrara. Con irruzioni improvvise, distribuzione di volantini e azioni di forza, il Csa riuscì a far sospendere i corsi e gli esami di scienze, di medicina, di lettere, di legge, di architettura e di ingegneria. Alla metà di febbraio Agnini fu tra i fondatori dell'Usi, l'Unione studenti italiani, a cui aderivano gli studenti di tutti i partiti. Poi entrò a far parte della Brigata Garibaldi del Pci. Ma il 24 febbraio, a seguito di delazione di due spie (Armando Testorio e Franco Sabelli), fu arrestato e portato al commissariato di polizia di zona, dove subì sanguinose percosse. In seguito la polizia arrestò anche il padre Gaetano, per costringere il giovane a rivelare i nomi dei suoi compagni di lotta. Furono rinchiusi entrambi nel carcere di via Tasso. Ferdinando fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine, il padre invece sfuggì alla morte.

 

Antonio Ayroldi

Maggiore, di 37 anni. Nato a Ostuni (Brindisi) il 10 settembre 1906 da Vito e da Emira Dell'Edera. Nel ‘25 entrò nell’esercito, come allievo sottufficiale dell’8° reggimento del Genio, specialità telegrafisti, a Roma. L’anno dopo guadagnò la prima promozione, a caporale. Fece rapidamente carriera, nel ‘33 divenne tenente. Quando scoppiò la guerra, fu inviato in Libia, al comando del XX corpo d’armata. Dal febbraio del ‘41 al dicembre del ‘42 partecipò alle operazioni di guerra in Africa settentrionale, meritando sul fronte la croce italiana al valor militare e la croce di ferro tedesca. Qui maturarono le sue convinzioni antifasciste, come testimoniano le lettere alla famiglia. Rientrato a Roma allo Stato maggiore, dopo l’8 settembre del ‘43, nonostante i bandi tedeschi e italiani, non si arruolò nell’esercito della Repubblica Sociale, e si nascose per qualche settimana nella clinica Bianca Maria. A novembre entrò nella banda militare comandata dal colonnello Ezio De Michelis, che faceva parte del Fronte clandestino di Montezemolo. Il suo ruolo era importante: organizzò una rete di informazioni nella città, teneva i collegamenti con le bande dei Castelli e del Lazio Sud, trasportava documenti e carichi di armi e munizioni. Ricercato dalla polizia, il 2 marzo del ’44 fu arrestato dai tedeschi insieme ad altri partigiani e rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 11. Fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’argento al valor militare.

 

Pilo Albertelli

Professore di filosofia, di 36 anni. Nato a Parma il 30 settembre 1907 da Guido e da Angelina Gabrielli. Sposato con Amelia De Martino, aveva due figli. Il padre, deputato socialista, fu costretto a trasferirsi a Roma con la famiglia dopo un attentato da parte dei fascisti. Nel '28 il giovane fu arrestato perché aveva organizzato un'associazione di studenti cospiratori contro il regime. Tradotto nel carcere di San Vittore a Milano, fu condannato a cinque anni di confino, poi tramutati in tre anni di vigilanza speciale. Nel ‘30 si laureò in lettere e filosofia, all'Università di Roma, con una tesi su Platone e un relatore d'eccezione: Giovanni Gentile. Si dedicò poi all'insegnamento, da "dissidente dalla patria ufficiale". Nel ’32 ottenne la cattedra a Livorno e nel ’35 fu trasferito nella capitale, al liceo Umberto I. Nel '39 ottenne la libera docenza di storia della filosofia antica all'Università di Roma. Lasciato l'insegnamento, nel '42 insieme a Ugo La Malfa fu uno dei fondatori del Partito d'Azione nella capitale e collaborò a "L'Italia libera", l’organo clandestino del gruppo romano. L'8 settembre del '43 combattè a Porta S. Paolo, poi diede vita alle formazioni di Giustizia e Libertà, raccogliendo armi e munizioni, arruolando volontari, procurando documenti falsi, organizzando i primi atti di sabotaggio. Il 20 settembre, in via Eleonora Duse, ai Parioli, insieme a Giovanni Ricci fece saltare una mina a miccia rapida alla caserma della Mvsn. Assunse il comando della zona di S. Giovanni ma, poiché era ricercato dai tedeschi, fu trasferito al comando delle squadre del quartiere Ostiense-Garbatella. Fu incaricato di mantenere il collegamento tra tutti i capizona e diventò membro del Comitato militare romano del Cvl. Il primo marzo del '44 la spia Priori, che da tempo si faceva passare per un compagno di lotta, lo consegnò ai sicari della banda fascista di Pietro Koch. Trasportato alla Pensione Oltremare di via Principe Amedeo, fu percosso senza esito. Quando i fascisti minacciarono di arrestare la moglie per torturarla in sua presenza, tentò di togliersi la vita, lanciandosi verso la finestra semiaperta, ma fu bloccato. Cercò anche di tagliarsi le vene con il vetro dell’orologio. Trasferito a Regina Coeli con le costole rotte e il corpo maciullato, fu fucilato il 24 marzo del '44 alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Ettore Anzaloni

Nato a Roma il 16 settembre 1897, ivi morto il 21 maggio 1968,
tipografo. Conosciuto da tutti in Trastevere come socialista, nel gennaio del 1921 Anzaloni aderì al neonato Partito comunista e cominciò a stampare nella sua tipografia il foglio "Il Comunista", organo del PCd’I. Questa sua attività gli valse per anni intimidazioni ed aggressioni da parte dei fascisti. Nel 1926 il tipografo, dopo l’ennesimo pestaggio, decise di emigrare all’estero, contando di poter mettere a profitto in terra straniera le sue capacità di stampatore. Purtroppo, in Francia Anzaloni non riuscì ad integrarsi e se ne tornò a Roma. Qui riprese il lavoro e riannodò pure i contatti con il movimento comunista clandestino finché, nel 1941, non fu arrestato. L’11 marzo 1942 il tipografo fu processato con un gruppo di operai romani comunisti. Il Tribunale speciale gli inflisse quattro anni di reclusione, che Anzaloni non scontò interamente grazie alla caduta del fascismo.
Scarcerato, Anzaloni tornò alla sua tipografia, che divenne, durante
l’occupazione, uno dei principali centri per la stampa di materiale clandestino della Resistenza romana.

 

Ettore Arena

Tornitore, di 21 anni. Nato a Catanzaro il 17 gennaio del 1923. In servizio come allievo elettricista nella Marina militare, si trovava a Venezia al momento dell’armistizio. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, riuscì fortunosamente a giungere a Roma, dove risiedevano i suoi famigliari. Nella capitale, prese parte alla resistenza armata militando, sin dall’ottobre 1943, nelle file del movimento "Bandiera Rossa". Nel dicembre dello stesso anno, Arena fu arrestato con altri membri della sua formazione e un mese dopo fu processato da un tribunale di guerra tedesco. Condannato a morte con altri coimputati, il giovane fu fucilato con loro a Forte Bravetta,  il 2 febbraio del 1944. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Vito Artale

Tenente generale di artiglieria, di 62 anni. Nato a Palermo il 3 marzo 1882 da Antonino e da M. Anna Amodei. Arruolato nell'esercito, combattè come artigliere nella guerra italo-turca e poi nella prima guerra mondiale. Trasferito al servizio tecnico dell'esercito, diventò responsabile della vetreria d'ottica, raggiungendo il grado di tenente generale. Nel ’43, sotto la sua guida, l'impianto di via Marsala divenne il più grande stabilimento italiano per la costruzione di vetri ottici. Dopo l'occupazione tedesca di Roma, entrò nella Resistenza, distinguendosi per l'organizzazione di sabotaggi ai danni dei nazisti. Proseguiva intanto il suo incarico alla vetreria, opponendosi agli ordini dei tedeschi che gli intimarono di smontare i macchinari della fabbrica per trasportarli in Germania e rifiutandosi di consegnare i nominativi e gli indirizzi dei propri operai. Fu allora collocato a riposo, ma non cessò la propria azione contro il nemico, sottraendo macchinari, accessori e strumenti di misura dalla caserma della Cecchignola, controllata dalla polizia tedesca, e nascondendo tutto il materiale in un deposito preso in affitto. In un altro locale clandestino celò invece gli strumenti che era riuscito a portare via dagli stabilimenti militari di via Marsala. Per evitare che gli operai fossero indotti dal bisogno a lavorare per i tedeschi, continuò a fornire loro le paghe. Tutto ciò che non riusciva a sottrarre agli occupanti, lo sotterrava sotto il pavimento degli stabilimenti o lo rendeva inutilizzabile. Fu arrestato dalla Gestapo il 9 dicembre del ‘43 nei locali della fabbrica, mentre cercava di convincere gli operai assoldati dai nazi-fascisti a non smontare i macchinari e i forni elettrici della vetreria. Condotto in via Tasso, vi rimase per quasi quattro mesi, gravemente ammalato. Il 24 marzo del '44 fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare.

 

B   Ugo Baglivo

Avvocato, di 33 anni. Nato il 24 novembre 1910 ad Alessano (Lecce) da Salvatore e da Luisa Bregoli. Sposato, aveva una figlia (Simonetta). Laureatosi in giurisprudenza a Roma, con il massimo dei voti, frequentò un corso di perfezionamento in Germania, intraprendendo poi la carriera universitaria. Ma nel '35 un collega lo denunciò per antifascismo e "attività antinazionale" e fu condannato a tre anni di confino a Gioiosa Jonica. Costretto alla libera professione di avvocato, dopo l'arresto di Mussolini contattò altri antifascisti e, tramite Carlo Concetti e Guido Calogero, aderì al Partito d'Azione. L'8 settembre del ’43, a Trastevere e a Porta San Paolo, armato solo di una bandiera tricolore, fece ogni sforzo per organizzare formazioni volontarie che affiancassero i militari nella difesa della capitale. Durante la Resistenza, fu uno dei partigiani più attivi, raccogliendo e distribuendo armi; diffondendo la stampa clandestina; chiedendo finanziamenti per la guerra di Liberazione; stabilendo piani per le azioni di sabotaggio militare. Fu arrestato il 3 marzo del ’44 insieme a due amici e compagni di lotta, gli avvocati Donato Bendicenti e Giuseppe Vegas. Rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, la mattina del 24 marzo, nonostante fosse venuto a sapere della tragica sorte che lo attendeva e potesse darsi alla fuga, restò al fianco dei compagni del Partito d'Azione. Lo stesso giorno fu fucilato alle Fosse Ardeatine.

 

Pietro Benedetti

Ebanista, di 41 anni. Nato ad Atessa (Chieti) il 29 giugno 1902 da Filippo e da Maria Cinalli. Sposato, aveva quattro figli (Filippo, Rosa, Ivana e Tina). Iscritto alla Gioventù socialista, nel '21 fu uno dei fondatori del Pci di Atessa, diventando in breve tempo segretario della sezione locale. Nel dicembre del '25, mentre si recava a Lione, in Francia, come delegato dell'Abruzzo al III Congresso del partito, fu fermato al confine. Trovato in possesso di passaporto falso, fu tradotto per tre mesi di carcere in carcere e poi liberato. Nominato segretario della federazione comunista di Chieti, tenne i contatti con gli esiliati in Francia. Nuovamente arrestato nel '32, fu processato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato e scarcerato poco dopo, grazie a un'amnistia. Trasferitosi a Roma l’anno seguente, riprese l'attività antifascista e, dopo l'armistizio, divenne commissario politico della 1^ zona, che comprendeva i quartieri Prati e Monte Mario. La sua bottega era un luogo di riunione e di discussione di giovani antifascisti, ed un centro di smistamento della stampa clandestina. Il 28 dicembre del '43 fu arrestato dal capo della squadra politica della Questura, Domenico Rodondano, nel suo laboratorio d'ebanista in via Properzio n. 39, dove fu scoperto un deposito d'armi. Portato in Questura insieme al fratello Antonio e ai suoi operai, fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, e poi in via Tasso. Processato una prima volta il 29 febbraio del '44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu condannato a 15 anni di reclusione. Il primo aprile, in un nuovo processo, la sentenza fu modificata in condanna a morte. Fucilato il 29 aprile sugli spalti del Forte Bravetta, da un plotone della Pai (Polizia Africa Italiana).

 

Rosario Bentivegna

Medico. Nato a Roma il 22 giugno del 1922. Già negli anni del liceo fu un attivo antifascista. Nel '39, con Leonardo Jannaccone, Corrado Nourian e Nino Baldini, costituì  un gruppo detto di "unificazione marxista", che attirò presto l’attenzione della polizia fascista. Arrestato nel 1941, dopo la scarcerazione nel 1943 aderì al Pci. Con l’armistizio e la formazione dei Gruppi di azione patriottica (GAP), fu tra i più valorosi protagonisti della Resistenza, con il nome di battaglia di "Paolo", sia a Roma (assalto a militari tedeschi in piazza Barberini, attacco ad un corteo fascista in via Tomacelli) che nella zona di Palestrina, dove comandò formazioni partigiane. Il 23 marzo del 1944 con Carla Capponi (che sarebbe poi diventata sua moglie e da cui ha avuto una figlia, Elena), fu tra i principali autori dell’attentato di via Rasella. Pochi mesi dopo la liberazione della Capitale, il 21 settembre del '44 Bentivegna decise di continuare la sua lotta contro i nazifascisti in Jugoslavia e in Montenegro, come commissario politico della divisione partigiana italiana "Garibaldi". Rientrato in Italia dopo la conclusione del conflitto, per un paio d’anni fu redattore del giornale l’Unità, prima di riprendere gli studi e di dedicarsi alla professione di medico. Dirigente di base del Pci, è stato anche docente di Medicina del Lavoro. E' stato decorato di medaglia d'argento e di medaglia di bronzo al valor militare per la sua attività partigiana a Roma. Membro dell'Anpi, dal 2001 è vicepresidente dell'associazione della provincia di Roma.

 

Luigi Bianchi D'Espinosa

Magistrato. Nato a Napoli l'11 gennaio del 1911. Antifascista, discepolo di Benedetto Croce, si laureò in giurisprudenza e vinse il concorso di magistratura. Al momento dell'armistizio dell'8 settembre del '43 era giudice presso il Tribunale di Firenze. Si unì ai primi nuclei di partigiani che tentavano di sottrarre armi ai magazzini militari. Ricercato dalla polizia, si trasferì a Roma. Qui divenne agente di collegamento della giunta militare del PdA, diretta da Riccardo Bauer. Svolse intelligente opera di propaganda verso gruppi della Guardia di finanza, portandoli nelle file della Resistenza. Compì anche rischiose missioni spostandosi fra Roma e Firenze per conto degli organi dirigenti del partito. Dopo la liberazione della capitale, dal luglio al settembre del '44 fu aggregato all'VIII Armata britannica come ufficiale di collegamento tra questa e le unità partigiane. Nel dopoguerra è stato pubblico accusatore in vari processi contro i fascisti, presidente di sezione presso il Tribunale di Milano, docente universitario, e ha pubblicato vari saggi di carattere giuridico.

 

Alfeo Maria Brandimarte

Maggiore delle armi navali, di 38 anni. Nato a Loreto (Ancona) il 31 gennaio 1906 da Aristide e da Adria Astolfi. Sposato con Ada Frediani. Laureatosi ad appena 22 anni in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino, poco dopo vinse il concorso per ingegneri industriali indetto dalla Marina. Nominato capitano, fu destinato all'Accademia di Livorno quale insegnante di elettrotecnica ai corsi superiori di specializzazione per gli ufficiali delle armi navali. Nel '35 fu inviato a Mogadiscio, dove impiantò una stazione radiotelegrafica, e poi ad Addis Abeba dove, in breve tempo, riuscì a far funzionare la stazione radio distrutta dagli abissini in ritirata. Nel '37 diventò vicedirettore dell'Istituto elettrotecnico dell'Accademia. Promosso maggiore, nel '41 passò a dirigere un'azienda militare di guerra. Dopo l'8 settembre, entrò nel Fronte militare clandestino di Montezemolo. Era a capo di una banda che aveva il compito di compiere atti di sabotaggio. Comunicava via radio con gli Alleati, falsificando documenti e sottraendo armamenti e materiale elettrico ai tedeschi. Un giorno, travestito da ufficiale tedesco, s’impadronì di tre autocarri carichi di armi e di munizioni destinate alla Marina fascista. Arrestato dalle SS il 23 maggio del '44, in seguito a delazione, e rinchiuso nella cella n. 3 di via Tasso, fu fucilato il 4 giugno del '44 in località La Storta dai tedeschi in fuga da Roma. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Marcello Bucchi

Sottotenente di artiglieria, di 23 anni. Nato a Roma il 18 ottobre 1921 da Luigi e da Maria Nella Parisi. Diplomatosi all’istituto geometri, nel ’43 fu chiamato alle armi a Padova, dove prestò servizio di prima nomina. L’8 settembre sottrasse ai tedeschi il materiale e le armi del proprio reggimento e fuggì alla guida di un furgoncino, con un altro ufficiale e con tre soldati. Scampato a diversi scontri a fuoco con i nazisti, raggiunse Roma. Qui entrò in contatto con il Fronte militare clandestino e con don Giuseppe Morosini, aiutandolo nella sua opera di assistenza alle bande partigiane romane. Ma il 4 gennaio del ‘44 i tedeschi lo catturarono, insieme a don Morosini, davanti al Collegio Leoniano, su delazione di una spia. Fu portato all’Albergo Flora e poi rinchiuso a Regina Coeli, nella cella n. 447 del terzo braccio politico. Condannato a dieci anni di carcere dal Tribunale militare di guerra tedesco, il 24 marzo fu fucilato alle Fosse Ardeatine.

 

Paolo Buffa

Docente universitario. Nato a Milano il 14 novembre del 1913 da Ernesto e da Pierina Guarnoli. Valdese, di famiglia antifascista, sotto il Regime frequentò il gruppo comunista di Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli e Aldo Sanna, pur non impegnandosi direttamente nell'attività politica clandestina. Concluso il liceo, s'iscrisse alla facoltà di Medicina dell'Università di Roma. Dopo l’occupazione tedesca della capitale, entrò in clandestinità e il 10 settembre partì per il Sud, insieme agli amici Paolo Petrucci e Aldo Sanna, con lo scopo di partecipare alla formazione di un corpo di "Volontari per la libertà". L’impresa fallì. Sanna decise di rimanere e collaborò con gli inglesi. Lui, Petrucci e Giaime Pintor si misero in viaggio verso Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma l’1 dicembre del ’43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, Pintor perse la vita a causa dello scoppio di una mina. Rientrati nell’Italia libera, Buffa e Petrucci si unirono agli Alleati che li addestrarono a lanciarsi con il paracadute (a Monopoli) e alle azioni di sabotaggio (ad Ischia). Due settimane dopo, il 16 gennaio del ’44, con un aviolancio furono paracadutati su Monte Rotondo, da dove raggiunsero Roma, ospiti della fidanzata Enrica Filippini, che collaborava con il partito comunista. Qui svolsero intensa azione di propaganda antinazista, partecipando alle manifestazioni studentesche. Ma il 14 febbraio le SS tedesche irruppero nell’abitazione della Filippini, arrestandoli insieme alla padrona di casa e a Vera e Cornelio Michelin-Salomon. Fu condotto prima in via Tasso e poi trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli. Il 23 marzo del '44 fu processato dal Tribunale militare tedesco e assolto dalle accuse. Ciò nonostante fu trattenuto in carcere insieme a Petrucci (che poi fu ucciso alle Fosse Ardeatine). Fu liberato solo il 4 giugno del '44, quando gli angloamericani arrivarono a Roma. Riprese contatto con gli inglesi e fu inviato nelle valli di Cuneo, con il grado di tenente, quale istruttore e ufficiale di collegamento delle formazioni partigiane GL. In questa veste partecipò alle fasi finali della liberazione del cuneese. Nel dopoguerra, alla fine del '45, ha sposato Enrica Filippini-Lera. Si è laureato ed è entrato nell'Istituto di patologia generale, diventando professore emerito. Ha insegnato all'Università Roma e, dopo un soggiorno di lavoro in Inghilterra, nel '56 si è trasferito all'Università di Modena dove ha vissuto fino al giorno della morte, il 7 febbraio del 2000.

 

Bruno Buozzi

Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, nel 1881. Operai e poi capo reparto alla Marelli e alla Bianchi iniziò bene presto attività sindacale nella Fiom (Federazione italiana operaia metallurgici).
Dopo la Grande Guerra fu uno dei massimi rappresentanti, con Ludovico D’Aragona, dell’attività sindacale durante la il "biennio rosso".
Da sempre di fede socialista viene eletto al Parlamento nel 1919, 1921 e 1924.
Nel 1926 espatriò in Francia dove continuò l’attività antifascista unitaria nella Concentrazione antifascista in cui assunse posizioni riformiste in continuità con la tradizione migliore del socialismo italiano, quella di Turati e di Treves.
Nel 1942 fu arrestato dai tedeschi e consegnato al governo fascista italiano che lo condannò al confino da cui fu liberato, dopo l’8 settembre dal nuovo governo Badoglio che lo nominò commissario per i sindacati dei lavoratori dell’industria.
Nel 1944 i tedeschi in fuga lo arrestarono e lo assassinarono fucilandolo a La Storta, nella provincia romana.

 

C

Fortunato Caccamo

Carabiniere, di 21 anni. Nato a Gallina (Reggio Calabria) il primo febbraio 1923 da Antonio e da Maria Cuzzocrea. Soldato di leva nel '41, fu congedato nel marzo del '42 e nel settembre dello stesso anno si arruolò nella Legione carabinieri di Roma, per una ferma di tre anni, prestando servizio alla Stazione Termini. Iscrittosi all’università, il 9 e il 10 settembre del ’43 partecipò alla difesa di Roma. Il 7 ottobre, quando il comando tedesco dispose l'evacuazione dei carabinieri dalla capitale, si diede alla macchia, unendosi alla banda dei carabinieri guidata dal generale Filippo Caruso. Il suo nome di battaglia era "Tito". Nei mesi successivi la banda Caruso, collegata al Fronte militare clandestino di Montezemolo, fu protagonista di varie azioni nella zona dei Monti Albani e di Palestrina, in collaborazione con la formazione guidata dai maggiori Ebat e Dessy. Catturato su delazione il 7 aprile del '44, a Piazza Bologna, mentre trasportava importanti documenti, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso per 37 giorni e più volte torturato. Trasferito a Regina Coeli, fu sottoposto a processo e il 9 maggio fu condannato a morte dal Tribunale militare di guerra tedesco. Fu fucilato alle ore 10 del 3 giugno, il giorno prima della liberazione di Roma, sugli spalti di Forte Bravetta, da un plotone della Pai (Polizia Africa Italiana), insieme a Costanzo Ebat, Mario De Martis e altri tre partigiani. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Franco Calamandrei

Nato a Firenze il 21 settembre del 1917 da Piero. Si laureò in giurisprudenza all'Università fiorentina nel '39, ma i suoi interessi andavano alla letteratura. Dopo aver collaborato a Firenze con varie riviste letterarie ("Rivoluzione", "Campo di Marte"), si trasferì a Roma. Nel '43 si iscrisse al PCI. Partecipò alla Resistenza romana come vice-comandante dei Gap, con il nome "Cola". Fu a capo della formazione che organizzò l'azione di via Rasella, del 23 marzo del '44. Fu anche protagonista di una rocambolesca fuga dalla pensione Jaccarino, in via Romagna, adibita a carcere dai torturatori della banda Koch. Insignito di medaglia d'argento al valor militare, dopo la Liberazione lavorò a Milano al "Politecnico" di Elio Vittorini e a "l'Unità" come corrispondente da Londra (1950-53), inviato in Cina (1953-56) e nel Vietnam ('54). Nel '68 fu eletto al Senato e fu rieletto nelle legislature successive. È stato vice-presidente della commissione esteri, della Commissione d'inchiesta sulla P2 e della commissione del Consiglio d'Europa per i rapporti con i parlamenti nazionali, fino alla sua morte, nel settembre del 1982.

Giordano Calcedonio

Carabiniere, di 27 anni. Nato a Palermo l'11 luglio del 1916. Arruolatosi volontario nella Legione carabinieri di Roma, dopo aver conseguito il titolo di studio ottenne di frequentare la Scuola allievi ufficiali di Firenze. Sopraggiunto l'armistizio, rientrò a Roma e durante l'occupazione tedesca entrò a far parte della formazione partigiana comandata dal generale Filippo Caruso. Distintosi in numerose azioni, nel gennaio '44 venne catturato e, due mesi più tardi, ucciso dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44.

 

Luigi Cano

Tenente colonnello dei carabinieri. Nato a Iglesias (Cagliari) il 1905. Dopo l’armistizio, entrò a far parte del Fronte militare clandestino della Resistenza, guidato da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Fu protagonista di varie azioni di sabotaggio e di importanti missioni di guerra, sfuggendo tre volte alla cattura. Arrestato dalle SS in seguito a delazione, fu rinchiuso in via Tasso, nella cella n. 12, dove fu sottoposto a torture. Il 3 giugno del ’44, il giorno prima della liberazione di Roma, fu deportato dai tedeschi in fuga al Nord e poi in Germania. Riuscito ad evadere, aiutò altri compagni a fuggire. Medaglia d’argento al valor militare.

 

Carla Capponi

Nata a Roma il 7 dicembre del 1918 da Giuseppe e da Maria Tamburri. Studentessa di Legge, subito dopo la caduta del fascismo cominciò a collaborare attivamente con il Pci, tramite Gioacchino Gesmundo. L'8 settembre del '43 a Porta San Paolo salvò un ufficiale italiano ferito.   Nell’ottobre del 1943 per procurarsi un’arma (i suoi compagni dei Gap gliela negavano, perché preferivano riservare alle donne funzioni di appoggio), rubò la pistola a un milite della Gnr, che si trovava vicino a lei in un autobus superaffollato. Entrò poi a far parte del Gap comandato da Carlo Salinari, insieme al fidanzato Rosario Bentivegna (poi diventato suo marito), con il nome di battaglia di "Elena". Partecipò a varie azioni contro i tedeschi, tra cui l'attacco alle carceri di Regina Coeli. Da sola fece saltare in aria un automezzo tedesco e attaccò postazioni tedesche. Il 23 marzo del 1944 fu tra gli organizzatori e gli esecutori dell’attacco di via Rasella contro un contingente dell’esercito tedesco.  Fu anche vicecomandante di un'unità partigiana nei pressi di Roma, a Palestrina e sui Monti Prenestini. Riconosciuta partigiana combattente con il grado di capitano, è stata decorata di medaglia d’oro al valore militare per aver partecipato, si legge tra l’altro nella motivazione, "alle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo di avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia abitata della città di Roma". Più volte parlamentare del PCI, membro della Commissione Giustizia nei primi anni settanta, ha fatto parte fino all'ultimo del Comitato di presidenza dell’ANPI. Recentemente aveva pubblicato, per i tipi de "il Saggiatore", un volume sull’attività dei GAP a Roma dal titolo "Con cuore di donna". E' morta a Zagarolo (Roma) il 24 novembre del 2000.

 

Mario Caracciolo di Feroleto

Generale. Nato a Napoli nel 1880. Di nobile famiglia napoletana, ufficiale di carriera, alternò il comando di reparti (partecipando alle due guerre mondiali) agli studi e all'insegnamento di storia e arte militare. Diresse per alcuni anni la "Rivista di artiglieria e genio". Nel corso della seconda guerra mondiale ebbe il comando della IV, della II e, in ultimo, della V Armata. L'8 settembre del 1943 fu tra i pochi generali che cercarono di sopperire con proprie iniziative alle carenze degli alti Comandi. La zona affidata alla sua armata, comprendente la Toscana, l'alto Lazio e La Spezia, fu quella che resistette più a lungo e più efficacemente ai tedeschi. A La Spezia gli alpini - sostenuti dallo stesso C. finché fu possibile tenere i collegamenti - impedirono ai nazisti di raggiungere la calata del porto prima che le navi dirette a Malta prendessero il largo. In taluni casi (Siena, Orvieto), l'iniziativa - il cui centro operativo era a Viterbo - non ebbe apprezzabili rispondenze, ma in altri settori, come l'importante nodo ferroviario di Chiusi, venne seguita da una resistenza salda e organizzata: elementi della Divisione "Ravenna" al comando del colonnello Frau, tennero Chiusi fino all'11 settembre; e sino a quella stessa data resistettero anche le posizioni di Radicofani, Abbadia San Salvatore e Piancastagnaio agli ordini del colonnello De Bonis. Nella lotta clandestina, la sua vicenda e quella e del suo Comando furono movimentate. Trasferendosi verso Orte, nei pressi di Amelia, si vide tagliata la strada da un reparto della III "Panzer" tedesca: nella scaramuccia che ne seguì, il generale si trovò a combattere insieme alle forze popolari. Respinti i tedeschi ripiegò su Firenze, dove si fece promotore di ultimo ormai impossibile tentativo di difesa della città. Era il 12 settembre : le notizie provenienti dal resto d'Italia, in mancanza di ulteriori disposizioni dall'alto lo indussero a sciogliere il Comando. Quello stesso giorno raggiunse Roma e si pose a disposizione del generale Caviglia, collaborando poi col Comando della città aperta. Il 24 settembre riuscì a stento a sottrarsi all'arresto da parte dei tedeschi. Passato nella clandestinità (sul suo capo pendeva una taglia di 20.000 lire), entrò in contatto con il colonnello Montezemolo. Il suo contributo alla organizzazione del Fronte militare clandestino, che egli cercò di sviluppare anche in direzione dei "volontari" civili attraverso contatti con alcune personalità politiche antifasciste (tra le quali Gronchi), gli ottenne la proposta da parte di Montezemolo di assumere il comando delle forze clandestine operanti nell'Italia Centrale. Ma ancora prima che la proposta si concretasse, gli uomini della banda Koch, violando l'extra-terntorialità del monastero di San Sebastiano dove era rifugiato, lo trassero in arresto. Dalle mani dei fascisti passò in quelle delle SS tedesche nelle carceri di Verona, poi di Venezia e infine di Brescia, dove fu processato insieme con i generali Robotti, Gariboldi, Vecchiarelli e Rosi. Il Tribunale speciale fascista, sulla base di uno scritto durante la cui redazione era stato catturato (e che egli pubblicherà, dopo la Liberazione, col titolo "E poi? La tragedia dell'esercito") lo condannò a morte, pena commutata in 15 anni di carcere perché mutilato di guerra. Nel periodo di detenzione. prima e dopo il processo, il generale ebbe contatti con la Resistenza, tramite reclusi politici e cappellani delle carceri nelle quali era detenuto, finché fu liberato dai partigiani, il 25 aprile del 1945. Nel dopoguerra pubblicò vari saggi, tra cui "Tradimento italiano o tedesco?" (1946), "Le sette carceri di un generale" (1948), "L'ultima vicenda della V Armata", studio apparso postumo sulla "Rivista Storica Italiana", 1957-1958. Morì a Roma nel 1954.

 

Luigi Castellani

Impiegato del ministero dell'Interno, di 39 anni. Nato a Roma il 19 maggio 1904 da Giuseppe e da Costanza Pini. Iscrittosi giovanissimo alla Scuola d'arte del Comune di Roma, in via S. Giacomo, fu allievo di Attilio Giuliani, uno dei maestri dell'incisione italiana. Assunto come "fattorino" al ministero dell'Interno, divenne poi "usciere capo" del gabinetto del ministro. Di idee socialiste, nel '38, avendo saputo in anticipo dell'emanazione delle leggi razziali, avvertì i conoscenti ebrei. Salvò anche un gruppo di antifascisti italiani a Parigi, segnalando che tra di loro c'era una spia al soldo del Regime. Incisore di indubbie qualità, eccelleva nel campo della xilografia. Alcune sue opere parteciparono ad alcune esposizioni internazionali, come le "Biennali" di Milano e Venezia. Dopo l'8 settembre del '43 entrò nella Brigata Matteotti, agendo come "infiltrato" al Viminale, retto in quel periodo da Guido Buffarini Guidi, e aiutando molti ricercati politici a sottrarsi alle grinfie della polizia. Il 4 aprile del '44, mentre cercava di trovare un rifugio per il cognato Luigi Ceci, accanito e attivo antifascista, fu arrestato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, presso il III braccio (cella 279), da dove il 23 maggio fu trasferito in via Tasso. Nella notte del 3 giugno insieme a 13 compagni (tra cui Buozzi e Dodi) fu costretto a salire su un camion delle SS che abbandonavano la capitale per l'avanzata degli Alleati. Il giorno successivo Castellani e i compagni furono fucilati dai tedeschi in un vallone presso la tenuta La Storta.

 

Giuseppe Celani

Ispettore capo dei servizi annonari, di 42 anni. Nato a Roma il 28 agosto 1901 da Giovanni e da Adelaide Scaparro. Di nobile famiglia romana (il padre era conte), in gioventù fu uno sportivo di valore, soprattutto in campo automobilistico. Massone, era iscritto all’Unione nazionale della democrazia, fondata da Placido Martini. Dopo il 25 luglio del '43 aderì al Partito Democratico del Lavoro. Durante l’occupazione tedesca, avvalendosi della sua carica di capo degli ispettori annonari, forniva lasciapassare falsi e provvedeva all'alimentazione dei patrioti, ai collegamenti tra i vari gruppi e alla diffusione di giornali e fogli clandestini, di ogni colore politico. Arrestato nel pomeriggio del 26 gennaio del '44 su delazione delle spie Corsetti e Grasso, fu rinchiuso in via Tasso, nella cella n. 6, e sottoposto a torture di ogni genere. Il 24 febbraio fu trasferito a Regina Coeli. Sperava di cavarsela con una lieve condanna, non essendo stato provato nulla a suo carico. Ma il 24 marzo fu prelevato dai tedeschi e fucilato alle Fosse Ardeatine.

 

Ottavio Cirulli

Artigiano calzolaio, di 37 anni. Nato a Cerignola (Foggia) il 2 ottobre 1906 da Michele e da Nella Cirulli. Cattolico comunista, dopo l’avvento del fascismo, per sfuggire al confino, per breve tempo emigrò clandestinamente in Russia. Sposato con Anna Vannulli, aveva cinque figli (Michele, Giuseppe, Anita, Gina, Maria). Dopo il 25 luglio del ‘43 aderì a Bandiera Rossa. Durante l’occupazione tedesca collaborò attivamente al gruppo Malatesta-Iacopini, che operava nel quartiere Trionfale, reclutando persone per attività antifascista e nascondendo armi e agenti segreti inglesi nel sottoterrazzo del palazzo in cui abitava. Il 6 dicembre partecipò alla distribuzione di volantini inneggianti alla Resistenza all’uscita dei cinema romani, sfuggendo per un pelo alla cattura, a differenza di molti suoi compagni. Fu arrestato l’11 dicembre su delazione di una spia, in casa di Enzio Malatesta (Piazza Cairoli 2), mentre insieme a questi, a Gino Rossi e a Carlo Merli, stava architettando un’azione di sabotaggio alle Capannelle, contro automezzi tedeschi. Fu rinchiuso a Regina Coeli, nel terzo braccio politico. Condannato a morte il 30 gennaio del ’44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta il 2 febbraio insieme ad altri dieci partigiani, tra cui Malatesta, Merli, Rossi, Iacopini, Sbardella e Arena.

 

Saverio Coen

Commerciante, di 33 anni. Nato a Roma il 5 ottobre 1910 da Pellegrino Enrico e da Sara Bondì. Sposato con Carla Colombo, aveva due figli (Pier Enrico e Gian Carlo). Si laureò in giurisprudenza all'Università La Sapienza, poi andò a lavorare presso il negozio di tessuti e di abiti della famiglia, in via del Tritone. Nel '35 partecipò alla guerra d'Africa, in Abissinia, come sottotenente dei carristi. Di religione ebraica, dopo l'emanazione delle leggi razziali del '38 fu costretto a cambiare identità e a procurarsi documenti falsi. Durante l'occupazione tedesca collaborò con il servizio segreto inglese. Nel gennaio del '44 fu arrestato dalle SS in Piazza Colonna, e rinchiuso in via Tasso. Trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio dei detenuti politici, fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Medaglia d'argento al valor militare.

 

Eugenio Colorni

Filosofo e docente. Nasce a Milano nel 1909 da famiglia ebraica mantovana. Dopo gli studi al Liceo-Ginnasio "Manzoni" di Milano, nel 1926 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Milano, dove segue le lezioni di G.A.Borgese e di P. Martinetti, con cui si laurea nel 1930 con una tesi su Leibniz. Dopo un giovanile entusiasmo per il sionismo, aderisce all'antifascismo militante, collaborando con "Giustizia e libertà". Dopo gli arresti del 1935, prende contatto con il Centro interno socialista, di cui diviene uno dei maggiori responsabili. Arrestato nel 1938, è confinato a Ventotene, dove stringe amicizia con Altiero Spinelli e Ernesto Rossi e aderisce alle idee federalistiche. Partecipa alla stesura del Manifesto europeista di Ventotene, nell'agosto del 1941. Il manifesto è diffuso grazie a Colorni che trasferito da Ventotene a Melfi di Puglia, nel maggio del '43 riesce a fuggire, dandosi alla vita clandestina. Il 27 agosto del 1943 a Milano, in casa di un grande scienziato, Alberto Mario Rollier, Colorni insieme a Spinelli è tra i fondatori del Movimento Federalista Europeo, che si propone di diffondere le idee contenute nel Manifesto. Rientrato a Roma, riprende il lavoro politico collegandosi al ricostituito Partito Socialista di Unità Proletaria. Dopo l'8 settembre è capo redattore dell'Avanti! e organizzatore del centro militare del partito.  Ferito da una pattuglia della Banda Koch il 28 maggio 1944, muore due giorni dopo all'Ospedale San Giovanni di Roma, all'età di 35 anni.

 

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo

Colonnello di Stato Maggiore, di 42 anni. Nato a Roma il 26 maggio 1901 da Demetrio e da Luisa Dezza. Sposato con Amalia Dematteis, aveva cinque figli (Manfredi, Andrea, Lydia, Isolda e Adriana). Ufficiale degli alpini nella guerra 15-‘18, al termine del conflitto entrò nel Genio militare. Si laureò in ingegneria civile nel '23. Volontario nel '37 in Spagna, fu promosso tenente colonnello per merito di guerra. Nel '40 fu chiamato al Comando Supremo e assegnato allo Stato Maggiore generale. Nominato colonnello, nel ’42 assunse le funzioni di capo scacchiere in Africa. Dopo l'arresto di Mussolini, il capo del governo Badoglio lo chiamò allo Stato Maggiore dell'esercito. L'8 settembre il generale Calvi di Bergolo gli conferì l'incarico di capo dell'Ufficio Affari Civili del comando di Roma Città Aperta. Il 23 settembre, quando i tedeschi circondarono il ministero della Guerra per arrestare Calvi e i suoi collaboratori, sfuggì all’arresto ed entrò in clandestinità. Fedele al re e alla monarchia, divenne l'animatore e il capo del Fronte militare clandestino, sotto il falso nome di ingegnere Giacomo Cataratto (che poi cambiò in professor Giuseppe Martini). In breve tempo mise su numerose bande militari e un servizio informazioni efficientissimo, con diramazioni nel centro e nel nord del Paese. Collegato via radio con il legittimo governo del Sud, teneva per suo conto i collegamenti con il Cln e forniva notizie importantissime al Comando Alleato. Considerato da Kappler il suo più temibile nemico, fu catturato dai tedeschi il 25 gennaio del ‘44 insieme all'amico Filippo de Grenet, mentre usciva da una riunione con il generale Armellini. Fu rinchiuso in via Tasso per cinquantotto giorni; più volte torturato, non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia!". Medaglia d'oro al valor militare.

 

Eugenio Curiel

Nato a Trieste l'11 dicembre del 1912 da Giulio. A sedici anni, nell'ambiente liceale, maturò idee antifasciste. Conseguito il diploma, si iscrisse inizialmente alla facoltà di ingegneria all'Università di Firenze, ma passò poi al corso di fisica. Discepolo del noto fisico Bruno Rossi, lo seguì all'Università di Padova, dove si laureò nel '33 col massimo dei voti. Cultore di studi filosofici, strinse amicizia con l'intellettuale comunista Atto Braun, che gli fece leggere le opere di Marx. Insieme a Braun, a Guido Goldschimd e a Renato Mieli, costituirono una cellula comunista clandestina. Nel '34 il gruppo fondò un giornale universitario, "Il Bo", che trattava temi sindacali e fu diffuso in molte fabbriche d'Italia, mascherato come giornale fascista. Inviato a Parigi, prese contatto con i dirigenti del partito, e tornato in Italia elaborò un piano di infiltrazione all'interno delle organizzazioni di regime, diventando dirigente del settore culturale del GUF. Nel '38, però, in seguito alle leggi razziali, fu esonerato dall'insegnamento universitario. L'anno dopo, mentre cercava di passare clandestinamente in Francia, fu fermato dalla polizia francese e imprigionato in Svizzera. Rientrato a Trieste, il 23 giugno del '39 fu arrestato, detenuto per alcuni mesi nel carcere di San Vittore a Milano e infine condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Lasciò l'isola solo il 21 agosto del '43, dopo la caduta del fascismo. Si recò prima in Veneto, per organizzare il movimento antifascista, e poi a Milano, dove adottò il nome di battaglia di "Giorgio", divenne uno dei dirigenti dell'"Unità" clandestina e della rivista "La nostra lotta" e il principale animatore del Fronte della Gioventù a livello nazionale, chiamando a partecipare alla Resistenza i giovani comunisti. Il 24 febbraio del '45, a Milano, una squadra di fascisti lo riconobbe per strada. Ferito da una prima scarica di mitra, si rialzò cercando rifugio in un portone. Fu raggiunto e finito a colpi di mitra. Medaglia d'oro alla memoria.

 

D  

 Gerardo De Angelis

Autore cinematografico, di 45 anni. Nato a Taurasi (Avellino) il 18 aprile del 1898 da Modestino e da Alfonsina Padovano. Sposato con Amelia Ramasco, aveva quattro figli (Maria Vittoria, Liliana, Maria Clotilde e Modesto). Diplomatosi geometra, frequentò l’Accademia di Modena. Partecipò alla Grande Guerra come tenente di complemento. Successivamente entrò nell’Aeronautica. Lasciata la carriera militare, tentò la strada del commercio. Insieme a un amico rilevò la pensione "Quisisana" di Capri. Poi aprì un ristorante nelle vicinanze dell’aeroporto di Ciampino, ma nel ’38 il terreno gli fu espropriato. Trasferitosi a Roma, si dedicò al cinema. Iscritto al partito socialista fin da giovane, per lavorare utilizzò lo pseudonimo di Dino Santelige e cominciò facendo doppiaggio. Alla Scalera Film entrò in amicizia con Anna Magnani e il marito Goffredo Alessandrini, Roberto Rossellini e Regina Bianchi. Scrisse numerosi soggetti, uno dei quali – "Il ponte di vetro" – fu rappresentato nelle sale nel ’4o, per la regia di Alessandrini. Avventore del Caffè Aragno, vi conobbe Ignazio Silone, Cesare Pavese, Renato Angiolillo e Tommaso Smith. Fondò anche una società cinematografica, la Gedea Film. Dopo l’armistizio, fu tra i primi a organizzare la Resistenza nella capitale con il gruppo "Pensiero e Azione" che ebbe frequenti contatti con Sandro Pertini e Antonello Trombadori. Ma il 10 dicembre del ’43, in seguito a delazione, fu arrestato dalle SS in un locale nei pressi di piazza Barberini, dove si svolgevano le riunioni clandestine. Rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, nel terzo braccio (cella n. 357), il 2 febbraio del '44 fu trasferito in via Tasso. Torturato, non rivelò i nomi dei compagni e fu condannato a morte. Rientrato il 22 febbraio a Regina Coeli, il 24 marzo fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’argento alla memoria.

 

Ugo de Carolis
Maggiore dei carabinieri, di 45 anni. Nato a Caivano (Napoli) il 18 marzo del 1899 da Federico e da Beatrice Fossataro. Il 30 aprile del 1917 frequentò il corso allievi ufficiali di complemento presso la Scuola Militare di Caserta. Fu promosso aspirante ufficiale di complemento e destinato all'87° Rgt. Fanteria operante in zona di guerra. Nominato sottotenente, nel gennaio del 1918 fu trasferito al 12° Reparto d'Assalto, sul fronte del Piave, e in giugno partecipò al combattimento di Lasson, meritando la medaglia d'argento al valor militare. Nel dopoguerra, nel '21 passò all'Arma dei Carabinieri, a Trento e a Trieste, e poi nel '34 fu assegnato alla Divisione Carabinieri della Tripolitania. Rientrato in Italia, presso la Legione di Roma, nel '34 venne promosso capitano. Nel '36 partì volontario per la Somalia, dove partecipò all'offensiva dell'Ogaden, distinguendosi nella conquista di Gunu Gadu e conseguendo la medaglia di bronzo al valor militare. Di nuovo in Italia nell'aprile del '37, in novembre gli venne affidato il comando della Compagnia Tribunali di Roma. Promosso maggiore nel '42, fu destinato al Comando dei Carabinieri presso la Commissione italiania di armistizio con la Francia. L'8 settembre del '43 era a Torino. Rientrato a Roma, fu tra gli organizzatori della formazione partigiana di carabinieri che operava nell'ambito del Fronte Militare Clandestino e che era guidata dal generale Filippo Caruso. Di questa formazione lui era capo di stato maggiore. Per i suoi spostamenti utilizzò il falso nome di Roberto Tessitore, vestendo l'abito religioso dei lasalliani. Arrestato il 23 gennaio del '44 in seguito a delazione, insieme al colonnello Giovanni Frignani e al capitano Aversa, fu rinchiuso nelle carceri di via Tasso e torturato. Fu ucciso dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Raffaele De Luca

Avvocato. Nato il 24 marzo 1874 a S. Benedetto Ullano (Cosenza) da Florindo e da Pasqualina Mazzuca. Di umili origini (il padre era bracciante e la madre filatrice), in gioventù studiò a Napoli dove si laureò in giurisprudenza. Fu anarchico, poi aderì al Psi e fu eletto sindaco di Paola. Trasferitosi a Roma per sfuggire alle persecuzioni del fascismo, fu tenuto sotto controllo dalla polizia quale "socialista" e compreso nell’elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate circostanze. Nel ’41 diede vita al gruppo comunista di "Scintilla" con Ezio Lombardi, Francesco Cretara, Orfeo Mucci, Pietro Battara, Aladino Govoni. Nell’agosto del ’43 fu tra i fondatori del Movimento comunista d’Italia, entrò nel comitato esecutivo e divenne direttore del giornale "Bandiera Rossa". Il 6 dicembre fu uno dei principali organizzatori della distribuzione di volantini antifascisti davanti ai cinema romani. Arrestato il 4 dicembre, fu rinchiuso a Regina Coeli, con l'accusa di stampa clandestina ed organizzazione di bande armate. Interrogato, ammise tutte le proprie responsabilità e il 24 gennaio del ’44 fu condannato a morte dal Tribunale militare di guerra tedesco. Rifiutò di firmare la domanda di grazia, ma riuscì lo stesso a sfuggire all'esecuzione perché, grazie all'aiuto di alcuni antifascisti che operavano all'interno del carcere, fu dichiarato "intrasportabile" al luogo della fucilazione, a causa di una malattia. Uscì dal carcere il 4 giugno, il giorno della liberazione di Roma. Nel dopoguerra continuò a militare nelle file del Movimento comunista d’Italia. Nel ’47, a settantatrè anni, chiese l’iscrizione al Pci. La federazione romana accolse la domanda ma la Direzione respinse questa decisione. De Luca, umiliato dal rifiuto, si ritirò a vita privata.

 

Mario De Martis

Studente di lettere, di 23 anni. Nato a Sassari il 20 settembre 1920 da Aurelio e da Teresa Armando. Tenente pilota, l’8 settembre del ’43 fu sorpreso vicino a Grosseto da militari tedeschi, mentre tornava da una missione, e fatto prigioniero. Riuscì ad evadere e a raggiungere Roma, dove entrò a far parte del Fronte militare clandestino di Montezemolo, con le mansioni di aiutante maggiore della Banda "Napoli". Qui svolse azioni di sabotaggio, di raccolta e di distribuzione di materiale clandestino. Arrestato dalla Gestapo il 28 marzo del ’44 in Piazza della Libertà, in seguito a un tranello organizzato da una spia infiltrata nella banda, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso. Più volte torturato, fu poi trasferito a Regina Coeli. Condannato a morte il 9 maggio dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu fucilato alle ore 10 del 3 giugno sugli spalti di Forte Bravetta, insieme a Fortunato Caccamo, Costanzo Ebat e altri tre partigiani.

 

Salvatore Di Benedetto

Insegnante. Nato a Raffadali (Agrigento) il 19 novembre del 1911 da Alfonso e da Teodora D'Alessandro. Laureato in giurisprudenza, iscritto al PCI, fu arrestato nel '35 a Siracusa, mentre svolgeva il servizio militare, e condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Liberato, si trasferì a Milano e continuò l'attività politica, collaborando con la direzione nazionale del partito e con l'Unità clandestina, insieme a Elio Vittorini, Renato Guttuso, Alicata, Pompeo Colaianni, Pietro Ingrao, Ernesto Treccani, Gillo Pontecorvo, Celeste Negarville, Giancarlo Paietta e Giansiro Ferrata. Fu uno dei protagonisti della grande manifestazione di Milano del 25 luglio del '43, in seguito alla caduta del fascismo. Arrestato insieme a Vittorini e Ferrata, fu rinchiuso per diversi giorni nel carcere di Varese e poi in quello di S. Vittore, a Milano. Rilasciato, dopo l'8 settembre del '43 fu tra gli organizzatori della Resistenza in Lombardia, in stretto contatto con Luigi Longo, prima occupandosi del giornale delle formazioni partigiane, intitolato "Il combattente", e successivamente come ispettore delle Brigate Garibaldi, con compiti di collegamento e di trasmissione di direttive e di informazioni. Trasferitosi a Roma su incarico del partito, assunse il nome di battaglia di "Aurelio", operando nei Castelli Romani e nel ternano. Nel corso di un'azione di guerra a Tivoli fu gravemente ferito. Guarito, riprese l'attività politica. Grande invalido, nel dopoguerra è stato eletto deputato del PCI nella circoscrizione di Palermo per diverse legislature.

 

E Costanzo Ebat

Tenente colonnello d’artiglieria, di 33 anni. Nato a Livorno il 4 maggio 1911 da Giovanni e da Carlotta Lazzerini. Decorato nella seconda guerra mondiale con la medaglia d’argento al valor militare. Nell’autunno del ’43 entrò a far parte del Fronte militare clandestino, nella Banda Napoli, con compiti di rilevamento dell’organizzazione difensiva tedesca, in particolare nella zona di Civitavecchia. Poi passò alla Banda "Billi", insieme al colonnello Salvati. Il suo nome di battaglia era "Costanzo". Arrestato dai fascisti il 30 marzo del ’44, in seguito a delazione di una spia infiltrata nel gruppo, riuscì a far sparire una serie di rotolini di carta sottile su cui erano tracciati piani e disposizioni di grande rilievo a fini militari. Rinchiuso in via Tasso, fu più volte torturato. Trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio, il 9 maggio fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco e condannato a morte. Fu fucilato da un plotone della Pai alle ore 10 del 3 giugno, il giorno prima della liberazione della capitale, sugli spalti di Forte Bravetta, insieme a Fortunato Caccamo, Mario De Martis e altri tre partigiani. Medaglia d’oro al valor militare.

 

F

Alberto Fantacone

Avvocato, di 27 anni. Nato a Roma il 25 settembre 1916 da Armando e da Giuseppina Nunnerico. Tenente del 2° Reggimento Bersaglieri, tre mesi dopo l'inizio della guerra rimase mutilato alla gamba sinistra in seguito a una grave ferita riportata a Kiorguzath, sul fronte greco-albanese. Insignito della croce di guerra, fu messo temporaneamente in congedo. Si laureò in giurisprudenza nel '42. L’8 settembre del ’43 era in servizio presso il distretto militare di Arezzo. Quando si costituì la Repubblica di Mussolini, rifiutò di arruolarsi nell’esercito repubblicano e tornò a Roma insieme alla moglie e alla figlia. Qui entrò nella Resistenza, nelle file della Banda Neri (Partito d’Azione), col compito di fornire ai compagni documenti di identità falsi. Fu arrestato dalle SS tedesche il 28 gennaio del '44, su delazione di tre spie, mentre partecipava a una riunione clandestina. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 13, fu più volte torturato. Il 23 febbraio fu trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio dei detenuti politici (cella n. 282). Morì fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’argento al valor militare.

 

Riziero Fantini

Operaio, di 51 anni. Nato il 6 aprile 1892 a Coppito (L'Aquila) da Adolfo e da Maria Apollonia Ciotti. Sposato con Marziana Taggi, aveva quattro figli (Adolfo, Furio, Romano, Polimnia). Di famiglia socialista, appena quindicenne s'iscrisse a un circolo del Psi del suo paese. Nel ‘10 emigrò negli Stati Uniti, dove aderì al movimento anarchico, conoscendo Sacco e Vanzetti, collaborando con i giornali degli emigranti italiani e viaggiando nel Centro America per propagandare le idee dell'anarchia. Nel '21 tornò in Italia per formare un comitato pro Sacco e Vanzetti: si stabilì per qualche tempo nelle Marche, dove il movimento anarchico era molto forte, tenendo numerosi comizi in favore dei due italiani sottoposti a processo dalle autorità americane. Con l'avvento del fascismo fu schedato dalla polizia e costretto a trasferirsi a Roma, nel quartiere di Montesacro. Nel '40 entrò nel Pci e divenne responsabile di una cellula clandestina del partito. Dopo l'armistizio organizzò la Resistenza a Montesacro con un gruppo di altri operai antifascisti. Fu arrestato dalle SS il 23 dicembre del '43, insieme ai figli Adolfo e Furio. Rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli, fu più volte torturato. Sottoposto a processo sommario, fu fucilato il 30 dicembre sugli spalti di Forte Bravetta, con i compagni Italo Grimaldi e Antonio Feurra. Fu uno dei primi martiri di Roma.

 

Dardano Fenulli

Generale di brigata, di 54 anni. Nato a Reggio Emilia il 3 agosto del 1889 da Saverio e da Gelastrina Rosa Ferrari. Entrò giovanissimo nell'Accademia militare di Modena e nel maggio del ‘12 fu nominato sottotenente di Cavalleria. L'anno dopo fu impegnato in Cirenaica e in Tripolitania, dove restò fino al ‘14. Dopo lo scoppio della Grande guerra, partecipò ai combattimenti a Cima Bocche e Col Briccon e in Val Posina, meritando due encomi solenni. A conflitto concluso, passò al Reggimento Nizza Cavalleria. Nominato tenente colonnello nel ’34, due anni dopo era in Africa Orientale, capo della base intendenza di Euda Jesus. Conquistata l'Etiopia, fu assegnato all'Intendenza di Asmara come capo dell'ufficio di Stato Maggiore. Qui tra il '38 e il '39 comandò le truppe coloniali italiane contro i ribelli, guadagnando la medaglia d'argento al valor militare. Durante la seconda guerra mondiale, al comando del Reggimento Lancieri "Vittorio Emanuele II", partecipò alle operazioni belliche in Jugoslavia. Nell'aprile del '43 divenne generale di Brigata e vicecomandante della Divisione "Ariete". In questa veste il 9 e 10 settembre prese parte alla battaglia per la difesa di Roma, alla guida di una colonna corazzata nei pressi di Ciampino. Poi insieme al colonnello Montezemolo contribuì a creare il Fronte militare clandestino - una rete di informazione, di collegamento e di coordinamento dei militari fedeli al re - collaborando con i gruppi antifascisti della Resistenza. Ma nel gennaio del '44 fu arrestato dalle SS e rinchiuso in via Tasso, nella cella n. 8. Torturato da Kappler in persona, non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Giordano Bruno Ferrari

Pittore. Nato a Roma il 28 luglio del 1887. Figlio dello scultore Ettore, fu presidente dell'Accademia di Belle Arti di Roma, membro della giuria per l'Esposizione di San Francisco del 1915, nonché capo dell'Ufficio artistico dell'Enciclopedia italiana. Dopo l'8 settembre del '43 partecipò attivamente alla Resistenza romana, facendo del suo studio di via Margutta un centro di ritrovo e collegamento di patrioti. Si occupò personalmente della raccolta e della trasmissione di informazioni. Tratto in arresto nel maggio del '44 sotto l'accusa di spionaggio a favore del nemico, sostenne le peggiori torture senza cedere. Condannato a morte, venne fucilato a Forte Bravetta il 24 maggio del '44, pochi giorni prima della liberazione della capitale. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Franco Ferri.
Docente universitario. Nato a Roma il 20 agosto del 1922. Laureato in Lettere, allievo della Scuola normale superiore di Pisa. Ebbe i primi contatti con il PCI nel '41. Trasferitosi a Roma, dopo l'armistizio entrò nelle file della Resistenza, aderendo ai GAP. Arrestato, fu torturato dalla banda Koch. Dopo la liberazione della capitale, si arruolò volontario nei Gruppi di combattimento "Cremona", prendendo parte alle operazioni belliche sul fronte del Senio, dove rimase ferito. Per la sua attività partigiana è stato decorato con medaglia d'argento al valor militare. Nel dopoguerra è stato membro del Comitato centrale del PCI e direttore dell'Istituto Gramsci. Ha insegnato all'Università di Messina e ha pubblicato vari saggi sulla storia del movimento operaio e del PCI.

 

Anna Enrica Filippini-Lera

Nata a Roma il 27 luglio del 1914 da Giuseppe e da Maria Antonietta Azzoni. Entrò in contatto con gli ambienti antifascisti nella seconda metà degli anni Trenta, attraverso il gruppo comunista di Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli e Aldo Sanna. Nel '37-'38 s'impegnò nella raccolta di fondi per le Brigate in Spagna. Nel '40 s'iscrisse all'Università di Roma, alla facoltà di scienze biologiche. Alla fine del '42 collaborò con Sanna alla redazione e alla diffusione del giornale clandestino comunista "Pugno chiuso". Dopo l'8 settembre del '43, entrò nel comitato studentesco di agitazione, distribuendo volantini e svolgendo attività di propaganda, e successivamente aderì insieme all'amica Vera Michelin-Salomon alla cellula del Pci di Piazza Vittorio, diventando responsabile del lavoro femminile del VI Settore. Fu arrestata il 14 febbraio del '44 dalla Gestapo, dietro denuncia, nella sua abitazione, insieme al fidanzato Paolo Buffa, a Paolo Petrucci, a Vera e a Cornelio Michelin-Salomon. Interrogata a via Tasso, fu poi rinchiusa nelle carceri di Regina Coeli, nel terzo braccio tedesco. Il 23 marzo del '44 fu processata dal Tribunale militare tedesco e condannata insieme all'amica Vera a tre anni di carcere duro, da scontare in Germania. Il 24 aprile del '44 furono trasportate a Firenze su un camion e lì caricate su un carro bestiame. Raggiunsero Monaco il 1° maggio e furono detenute nel carcere di Stadelheim. Da Monaco furono trasferite per un giorno a Dachau, ma riportate a Monaco perché "non ebree" e perché "regolarmente processate e condannate da un Tribunale militare tedesco". Infine il 29 maggio furono destinate al carcere femminile di Aichach (Alta Baviera), dove si trovarono tra prigioniere politiche provenienti da ogni parte d'Europa, e anche tra detenute per reati comuni. Furono liberate dalle truppe americane il 5 maggio del '45. Rientrarono in Italia il 2 giugno. Nel dopoguerra, alla fine del '45, ha sposato Paolo Buffa. Ha vissuto a Roma e, dopo un soggiorno in Inghilterra, nel '56 si è trasferita a Modena.

 

Aldo Finzi

Giornalista. Nato a Legnano (Verona) il 20 aprile del 1891. Direttore de Il Corriere del Polesine ed esponente del fascismo agrario, fu designato sottosegretario dell'Interno nel primo ministero Mussolini. Nel febbraio 1923 sposò la nipote del cardinale Vincenzo Vannutelli. Alla fastosa cerimonia prese parte, a fianco del cardinale, Benito Mussolini. Fu costretto a dare le dimissioni dalla sua carica il 14 giugno del 1924, quando venne coinvolto insieme a Cesare Rossi e a Emilio De Bono nel delitto Matteotti (risultò che lui, tra l'altro, controllava direttamente il quotidiano Corriere Italiano, il cui direttore, avvocato Filippo Filippelli, era strettamente implicato nella attuazione del fosco crimine). Il 30 maggio del 1924. mentre Giacomo Matteotti pronunciava il suo discorso alla Camera, dal banco del governo lui aveva ripetutamente interrotto con espressioni minacciose. Cesare Rossi pubblicò successivamente un memoriale, nel quale veniva indicato come colui che aveva consegnato al sicario Dumini il denaro per la fuga. Dopo il delitto Matteotti, cadde nell'ombra. Si parlò ancora di lui per certe sue imprese sportive. come motociclista e pilota di aereo. Nel 1924, espulso dal Partito fascista per motivi "disciplinari", si ritirò a vivere in una sua azienda agricola presso Terracina. Qui fu arrestato dopo l'armistizio, per essersi espresso pubblicamente contro il fascismo nel periodo successivo al 25 luglio. Incarcerato a Regina Coeli, venne di lì prelevato e poi trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44.

 

Mario Fiorentini

Docente universitario. Nato a Roma il 7 novembre del 1918 da Pacifico e da Maria Moscatelli. Sposato con Lucia Ottobrini. Ebreo, durante il Ventennio svolse attività clandestina in Giustizia e Libertà e nel PCI. Dopo il 25 luglio del '43, diede vita alla formazione "Gli Arditi del Popolo" insieme ad altri compagni, tra cui Fernando Norma, Antonio Cicalini, Antonello Trombadori e Lucia Ottobrini. Il 9 settembre, con Alcide Moretti e Adriano Ossicini, prese parte ai combattimenti di Porta San Paolo. Nell'ottobre del '43 formò e diresse i Gap centrali "A. Gramsci" e "Carlo Pisacane", con il nome di battaglia di "Giovanni", operando nella IV Zona. Prese parte a numerosi azioni, tra cui l'attacco di via Rasella e l'attacco al carcere di Regina Coeli. Dopo la liberazione di Roma, fu paracadutato al Nord, operando in Liguria, Emilia, Lombardia e Piemonte, come ufficiale di collegamento dell'OSS, il servizio segreto americano, con il nome di battaglia di "Dino". E' stato decorato con 3 medaglie d'argento al valor militare e 3 croci di guerra al merito, e con la medaglia della Special Force (GB) e la medaglia Donovan dell'OSS (Usa). Autodidatta, nel dopoguerra ha iniziato gli studi liceali e poi universitari, diventando docente di geometria superiore all'Università di Ferrara. I suoi studi di matematica sono stati ripresi e approfonditi da autorevoli specialisti in tutto il mondo.    

 

Edmondo Fondi

Commerciante, di 49 anni. Nato a Velletri il 3 maggio 1894 da Stefano e da Maria Monteferri. Sposato con Ioele Missori. Partì volontario per la guerra ‘15-’18; combattè come "garibaldino" sul fronte delle Argonne e fu mutilato. Dopo l'8 settembre del '43 entrò nella Resistenza e aderì a Giustizia e Libertà, organizzando le bande partigiane di Velletri. Arrestato in febbraio dai tedeschi, mentre era in partenza per portare armi e munizioni ai patrioti dei Castelli Romani, fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, nel terzo braccio. Fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del ‘44.

 

Genserico Fontana

Tenente dei carabinieri, di 25 anni. Nato a Roma il 26 gennaio 1918 da Luigi e da Carolina Giungamino. Sposato con Rina Innocenti. Laureato in Giurisprudenza, nel ’38 si arruolò nell'esercito, frequentando il corso allievi ufficiali di Spoleto. Nel '40, con il grado di sottotenente del III reggimento Granatieri, combattè prima in Albania, poi in Grecia, dove perse un occhio per le ferite in battaglia, meritando una croce di guerra al valor militare. Promosso capitano, alla fine del ’42 fu trasferito all'Arma dei carabinieri. Assegnato al XXVI battaglione mobilitato, passò in seguito alla legione del Lazio, assumendo il comando ad interim della tenenza dell'Aquila. In questa veste fu il custode di Mussolini a Campo Imperatore. Dopo l'8 settembre rimase al proprio posto all'Aquila, ma fu accusato di essere badogliano. Avvisato dai propri sottufficiali dell'imminente arresto da parte dei tedeschi, si diede alla macchia. Tornato a Roma, entrò nella Resistenza e organizzò i carabinieri sbandati. Lo stesso fece anche all'Aquila, dove si recò diverse volte con documenti falsi. Riuscì a raggruppare intorno a sé circa 200 militari dell'Arma, organizzandoli in otto squadre che presero da lui il nome di "Nucleo Fontana". In ottobre sfuggì una seconda volta alla cattura da parte dei tedeschi, ma il 10 dicembre, in seguito a delazione, fu arrestato con l’accusa di spionaggio nell'ufficio dell'avvocato Realino Carboni, in via della Mercede, dove era andato a ritirare del denaro necessario alla lotta. Insieme a lui furono catturati e rinchiusi a Regina Coeli anche il tenente Romeo Rodrigues Pereira e il brigadiere Candido Manca. Presto lui e Pereira furono raggiunti in carcere dalle mogli: avevano cercato di comprare la loro libertà, ma erano state tradite da un maresciallo tedesco. Fu fucilato il 24 marzo del '44 alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Gaetano Forte

Commerciante. Nato a Napoli il 14 ottobre del 1919. Chiamato alle armi nel 1940, dopo due anni trascorsi sul fronte orientale fu trasferito nella Legione territoriale carabinieri di Roma. Dopo l'armistizio prese parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana. Combattente nella banda partigiana comandata dal generale Filippo Caruso, partecipò a numerose azioni. Catturato dalla polizia tedesca e torturato, venne ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Roberto Forti

Pittore edile. Nato a Roma il 7 giugno del 1905. Attivo antifascista, militante comunista dal 1926, nel 1942 fu condannato dal Tribunale speciale a dieci anni di reclusione quale dirigente, dice la sentenza, "insieme a Pompilio Molinari, di una organizzazione comunista che aveva fatto numerosi proseliti nell'ambiente universitario". Detenuto nel carcere di San Gimignano fino alla caduta del fascismo, fu tra i primi nella guerra di liberazione. Nella notte tra 1'8 e il 9 settembre, con Lindoro Boccanera, Luigi Longo e Antonello Trombadori prese in consegna due autocarri carichi di fucili, pistole e munizioni consegnati dal generale di corpo d'armata Giacomo Carboni. Dopo aver provveduto quella stessa notte, insieme a Boccanera, a distribuire l'armamento in quattro diversi depositi della capitale, all'indomani si trovò a Porta S. Paolo tra i popolani che, con quelle armi, si battevano contro i tedeschi. Durante l'occupazione nazista fu tra gli organizzatori della lotta armata, membro del Comando militare della piazza di Roma e svolse un'intensa attività finché venne arrestato il 28 dicembre del '43. Deportato il 4 gennaio del '44, insieme ad altri 470 antifascisti romani, nel campo di Dachau e poi a Mauthausen, rientrò in Italia dopo la liberazione. Grande invalido di guerra, decorato di medaglia d'argento al valor militare, è stato dirigente nazionale dell'ANPI e dell'ANED. In collaborazione con Lorenzo D'Agostini ha scritto un saggio sulla storia della Resistenza romana: "Il solè è sorto a Roma" (1965), e con Fernando Etnasi ha curato un'antologia sui campi di sterminio: "Notte sull'Europa" (1958).

 

Giovanni Frignani

Tenente colonnello dei carabinieri, di 46 anni. Nato a Ravenna l'8 aprile 1897 da Angelo e da Eugenia Savini. Sposato con Lina Castellani, aveva un figlio (Paolo). A 18 anni, nel maggio del ‘15, si arruolò come volontario nell'esercito e all’inizio partecipò alla guerra nel Corpo Nazionale Volontari Ciclisti. Ammesso alla Regia Accademia di fanteria e cavalleria, ne uscì con il grado di sottotenente. Nel giugno del ’18 combatté sul Piave e fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare. L’anno dopo fu trasferito all’Arma dei carabinieri, prestando servizio a Parma, a Medicina e a Trieste. Promosso capitano nel '29, fu chiamato a Roma come capo del servizio informazioni del Corpo d'Armata, incarico che rivestì per cinque anni. Comandò in seguito la Compagnia Tribunali e, con il grado di tenente colonnello, il Gruppo interno dei RR.CC. di Roma. Nel giugno del '43 entrò in possesso di documenti segreti tedeschi da cui risultava che Hitler considerava l'Italia come zona di occupazione; ne informò il duce che ordinò il suo trasferimento in Francia. Il provvedimento non fu mai eseguito. Il 25 luglio infatti, su ordine del re, lo stesso Frignani arrestò Mussolini, all'uscita da Villa Savoia. Dopo l'armistizio, aderì al Fronte militare clandestino di Montezemolo. Raccolse al suo fianco numerosi carabinieri, assistendoli e organizzandoli nella banda "Generale Caruso", della quale divenne il capo con il maggiore Ugo De Carolis e i capitani Raffaele Aversa e Carmelo Blundo. Catturato dai nazisti il 23 gennaio del '44 a casa della signora Elena Albini, in seguito a delazione della spia Aldo Di Prima, fu tradotto nel carcere di via Tasso, insieme alla moglie Lina e ai commilitoni Aversa e De Carolis. Rinchiuso nella cella n. 2, in compagnia del generale Martelli Castaldi, fu più volte torturato, anche in presenza della moglie. Fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Medaglia d'oro al valor militare.

 

G

Ariosto Gabrielli

Nato a Roma il 29 ottobre 1907. Comunista e attivo antifascista, nel giugno del 1928 fu arrestato e deferito al Tribunale speciale, che però lo assolse per insufficienza di prove. Fu quindi confinato a Ponza e a ventotene. Dopo l'armistizio prese parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana.

 

Manlio Gelsomini

Medico, di 36 anni. Nato a Roma il 9 novembre 1907 da Ugo e da Sparta Notari. Si laureò nel ‘31 in Medicina e Chirurgia all'Università di Siena, esercitando poi la libera professione. Nel gennaio del '34 fu ammesso alla Scuola di Sanità Militare di Firenze e ottenne la nomina a sottotenente. Ultimato il servizio di leva, tornò a Roma e aprì uno studio in Piazza del Popolo. Nel maggio del '43 fu richiamato alle armi con il grado di tenente e prestò servizio come ufficiale medico. L'8 settembre partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo per la difesa della capitale; in seguito entrò nel Fronte militare clandestino di Montezemolo. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, gli fu affidato il compito di raccogliere i militari sbandati a nord di Roma e i giovani renitenti alla leva fascista disposti a lottare contro i nazisti e di recuperare tutto il materiale possibile del disgregato esercito italiano. In poche settimane organizzò e coordinò le bande del Concentramento Militare "Monte Soratte", nel viterbese, e del Concentramento Militare "Sant'Oreste", in provincia di Roma e nel reatino. A capo di una delle bande del "Monte Soratte", compì azioni di sabotaggio a linee ferroviarie e telefoni e assaltò automezzi militari tedeschi. Oltre a partecipare alle azioni militari, curava i partigiani feriti e ammalati ospitati in ricoveri di fortuna o improvvisati ospedali. Proprio per dare soccorso a un partigiano, il 13 gennaio del '44 cadde in una trappola che gli era stata tesa dalle SS, avvertite da una spia. Fu rinchiuso in via Tasso e torturato più volte. Durante la prigionia, scrisse poesie. Per convincerlo a parlare i tedeschi arrestarono e condannarono a morte anche la madre, che passò un mese in carcere (la pena non fu eseguita). Fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Medaglia d’oro al valor militare.

 

Valentino Gerratana Nato a Scicli (Ragusa) il 14 febbraio del 1919: Laureato in Legge. Nel '39. mentre frequentava il corso allievi ufficiali a Salerno, con altri antifascisti, tra cui Giaime Pintor, ebbe i primi contatti con l'organizzazione comunista clandestina. Dal '42 si impegnò nell'attività antifascista e dopo la caduta di Mussolini prese parte al lavoro di riorganizzazione del PCI a Roma. Dall'8 settembre del '43 alla liberazione della capitale fu tra i promotori della Resistenza romana e partecipò alla lotta nelle file dei GAP. Nel dopoguerra ha diretto le Edizioni Rinascita, curando la pubblicazione in Italia dei classici del marxismo.

 

Gioacchino Gesmundo

Professore di filosofia, di 35 anni. Nato a Terlizzi (Bari) il 20 novembre 1908 da Nicola e da Raffaella Vendola. Cattolico, fin da giovanissimo sentì una forte inclinazione verso il socialismo utopistico e la figura di Giuseppe Mazzini. In seguito studiò il pensiero di Marx e di Lenin. Nel ’28, trasferitosi a Roma, s'iscrisse all'Istituto superiore di Magistero, dove si diplomò nel '32. Insegnò prima al liceo di Formia, poi, dal '35, al liceo scientifico "Cavour". Il suo insegnamento, che andava oltre i programmi della scuola fascista, allargandosi anche ad argomenti "proibiti" come il Risorgimento o la Questione Meridionale, proseguiva anche fuori dalla mura scolastiche: riceveva a casa i propri alunni, in un palazzo popolare di Porta Metronia, iniziando molti di loro alle idee del comunismo. Il 25 luglio del '43 lo trovò già in piena attività organizzativa del Pci, al quale aveva aderito a inizio anno per tramite di Giovanni Roveda. Dopo l'armistizio fu a capo del movimento che riuscì ad impedire l'inizio delle lezioni da parte dei professori collaborazionisti. La sua casa diventò un centro di lotta contro i nazifascisti, prima come redazione clandestina dell'Unità, poi come arsenale di armi per i Gap. Amico personale di don Pietro Pappagallo (anche lui originario di Terlizzi), Gesmundo era infaticabile: era a capo del servizio di controspionaggio del Pci, teneva corsi di formazione ideologica dei compagni di lotta, scriveva articoli, preparò una storia completa del comunismo (andata purtroppo perduta), diffondeva copie dell'Unità, armato di un pennello e di un barattolo di vernice tracciava sui muri scritte inneggianti al Pci e alla libertà. Fu arrestato dai tedeschi il 29 gennaio del '44, pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, durante una perquisizione fattagli dalla polizia fascista mentre stava preparando un'azione di sabotaggio, gli furono scoperti in casa due sacchi di chiodi, a tre punte. Rinchiuso in via Tasso nella cella n. 13, torturato più volte, tentò di togliersi la vita per non parlare. Il 24 marzo fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco, condannato a morte e quello stesso giorno fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Maurizio Giglio

Tenente di fanteria, di 23 anni. Nato a Parigi il 20 dicembre 1920 da Armando e da Anna Isnard. Frequentò il liceo classico a Roma e dopo la maturità si laureò in giurisprudenza. Amava lo sport: la caccia, lo sci, il nuoto, l’alpinismo, l’automobilismo. Nel ‘40 si arruolò volontario per la campagna in Grecia, dove combattè valorosamente. Ferito, fu costretto al riposo forzato per mesi e fu decorato con una medaglia di bronzo al valor militare. Dopo la guarigione, fu comandato presso la commissione d’armistizio con la Francia, a Torino. Ma egli definiva la vita di ufficio "una specie di imboscamento". Ottenne di tornare a un reggimento e fu assegnato all’81° fanteria di stanza nella capitale. L’8 settembre del ‘43 combattè contro i tedeschi a Porta San Paolo nella battaglia di Roma. Poi si diede alla macchia nel Sud, nei pressi di Benevento. Superata la linea tedesca, si mise a disposizione della V Armata americana e, dopo un breve periodo di addestramento, cominciò a collaborare con l’Oss, il servizio segreto americano. Il 28 ottobre tornò nella capitale e, per ingannare il nemico e agire tranquillamente durante il coprifuoco, entrò a far parte della polizia ausiliaria repubblicana. Compì missioni al Sud, procurandosi notizie di carattere militare che poi trasmetteva via radio al Comando Alleato. Preparava inoltre basi per il passaggio di partigiani e militari nell’Italia liberata, in contatto con la spia americana Peter Tompkins. Nella sua attività trovò anche il sostegno di un sacerdote, monsignor Nobles, che nascondeva la sua radio trasmittente nella chiesa di S. Agnese, a Piazza Navona, e gli faceva da "palo", quando si metteva in contatto con gli Alleati. La sua attività fu febbrile: era dappertutto, tanto che fu soprannominato "il Cervo". Il 17 marzo del ‘44, mentre trasportava la radio su un galleggiante, fu fatto arrestare dalla spia fascista della banda Kock, Walter Di Franco. Condotto alla pensione Oltremare, fu torturato e seviziato, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare.

 

Leone Ginzburg

Docente universitario e dirigente editoriale, di 34 anni. Nato ad Odessa (Russia) il 4 aprile 1909 da Fiodor e da Vera Griliches. Ebreo, sposato con Natalia Levi, aveva tre figli (Carlo, Andrea e Alessandra). Giunto in Italia da bambino, studiò prima a Viareggio e poi al Liceo D’Azeglio di Torino. Qui si laureò in lettere nel ’31 con una tesi su Maupassant. Nel ’32 ottenne la libera docenza di letteratura russa. Vinse una borsa di studio e si recò a Parigi dove frequentò l'ambiente degli emigrati antifascisti (Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini). Nel gennaio del '34 fu esonerato dall'insegnamento per essersi rifiutato di prestare giuramento al PNF. Arrestato il 13 marzo insieme a Carlo Levi, nel novembre dello stesso anno fu condannato a quattro anni di carcere dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per la sua appartenenza a Giustizia e Libertà. Scontò due anni nel penitenziario di Civitavecchia, poi, grazie a un'amnistia generale, il 13 marzo del ‘36 fu scarcerato. Per la sua condizione di vigilato speciale, gli fu preclusa ogni forma di collaborazione a riviste e giornali. Si dedicò quindi soprattutto al lavoro editoriale: dal ‘33 collaborava con Giulio Einaudi alla fondazione dell'omonima casa editrice, e ne divenne uno dei principali ispiratori. Nel ‘40 fu assegnato al confino a Pizzoli (L'Aquila). Dopo il 25 luglio del '43 fu uno degli organizzatori del movimento Giustizia e Libertà, aderendo poi al Partito d'Azione. Durante l’occupazione tedesca, insieme a Muscetta e Fancello, diresse l'"Italia libera", l’organo romano del Partito d'Azione, di cui curava la stampa nella tipografia clandestina di Via Basento 55. Arrestato dalla polizia fascista il 20 novembre, a seguito di irruzione nella tipografia, fu rinchiuso in un primo momento nel reparto italiano di Regina Coeli, grazie ai documenti falsi in suo possesso, da cui risultava chiamarsi Leonida Gianturco. Ma ai primi di dicembre i tedeschi scoprirono la sua vera identità e così fu trasferito nel terzo braccio, quello dei prigionieri politici. Percosso e ridotto in fin di vita, morì in carcere il 5 febbraio del ‘44.

 

Giorgio Giorgi

Ragioniere, di 23 anni. Nato a S. Agata Feltria (Pesaro) il 6 marzo 1921 da Giuseppe e da Alma Andreani. Iscritto alla facoltà di scienze economiche dell'Università di Roma, lavorava come impiegato nello stabilimento della ditta Innocenti. Dopo l'8 settembre del ‘43, entrò a far parte del Partito d'Azione e fu tra i suoi militanti più attivi. In comunicazione con le bande dei partigiani nei Castelli romani, fu tradito da una spia mentre stava preparando una spedizione di armi, munizioni e vestiario a un capitano inglese nascosto nella boscaglia. Arrestato dai fascisti, fu fucilato il 24 marzo del '44 alle Fosse Ardeatine.

 

Massimo Gizzio Studente, di 19 anni. Nato a Roma nel 1924. Allievo del Liceo "Dante Alighieri", aderì al PCI all'inizio del '43 e in maggio fu deferito al Tribunale speciale. Dopo l'armistizio prese parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana, aderendo al Comitato studentesco che si era costituito per dirigere l'agitazione contro gli invasori tedeschi e i fascisti. Il 29 gennaio del '44 il Comitato proclamò uno sciopero generale di protesta in tutte le scuole di Roma. Un folto gruppo di studenti del Liceo "Dante Alighieri", con alla testa Vincenzo Lapiccirella, Carlo Lizzani e Massimo Gizzio, si portò a manifestare in piazza della Libertà. Qui la milizia fascista sparò contro i giovani, ferendo gravemente Gizzio che, ricoverato all'ospedale di Santo Spirito, morì l'1 febbraio del '44.

 

Aladino Govoni

Dottore in scienze economiche, di 35 anni. Nato a Tamara (Ferrara) il 17 novembre del 1908 da Corrado. Laureato in scienze economiche e commerciali. Capitano di fanteria del 1° Reggimento granatieri in Roma, dopo aver prestato servizio nei Balcani, al momento dell'armistizio si trovava nella Capitale. Dopo essersi battuto contro i tedeschi alla testa della sua compagnia alla Cecchignola e a Porta San Paolo, sfuggì alla cattura ed entrò nel movimento clandestino, nelle file di Bandiera Rossa, guidando numerose azioni di guerra contro i nazifascisti. Nel febbraio del '44 fu arrestato dalla polizia tedesca e sottoposto a tortura, finché il 24 marzo venne ucciso nella strage delle Fosse Ardeatine . Suo padre, il famoso poeta Corrado Govoni, che pure era stato fascista, nel novembre del '44 pubblicò un poema intitolato "La fossa carnaia ardeatina". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Giuseppe Gozzer

. Dottore in legge, di 30 anni. Nato a Magré (Trento) nel 1914. Partecipò nel '35 alla guerra in Africa Orientale e nel '37 a quella di Spagna. Congedatosi e conseguita la laurea in giurisprudenza, nel '40 fu richiamato alle armi. Passato nei paracadutisti, fu promosso capitano nel 3° Battaglione del 185° Reggimento fanteria della Divisione "Nembo". L'8 settembre del '43 si trovava a Roma, riuscì a sfuggire ai tedeschi e si uni al fronte della Resistenza. Catturato dai nazisti nel gennaio del '44 per l'opera partigiana svolta, uscì di prigione solo il 4 giugno, giorno della liberazione della Capitale. Ottenne di riprendere subito un posto nella lotta e venne paracadutato nella Carnia. Nominato capo di stato maggiore presso il Comando del Gruppo divisioni "Osoppo", alla metà di dicembre del '44 fu catturato a Chievolis (Pordenone). Inviato nel gennaio successivo nel campo di concentramento di Flossenburg e poi in quello di Herbruck (Germania), venne qui fucilato dai tedeschi nella prima decade del marzo del '45. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Giuseppe Gracceva

Giornalaio. Nato a Roma il 13 febbraio del 1906. Militante socialista, nel 1937 fu condannato dal Tribunale speciale, insieme a numerosi comunisti di Genzano (Roma), a cinque anni di reclusione che trascorse nel carcere di Civitavecchia. Dopo l'armistizio ha preso parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana, comandante delle squadre partigiane del partito socialista di unità proletaria.

 

Silvio Gridelli

Tenente carrista. Nato ad Aversa (Caserta). L'8 settembre del '43 si trovava a Roma. Il 10 settembre partecipò con la compagnia carri M alla battaglia di Porta S. Paolo contro i tedeschi. Inviato in ricognizione alla testa di un plotone, nonostante rimanesse ferito da un colpo d'artiglieria nemica, continuò a combattere, finché un nuovo colpo non lo uccise. Medaglia d'argento al valor militare alla memoria.

 

Vincenzo Guarniera

Meccanico. Nato a Catania il 14 aprile del 1906. Antifascista, fu deferito al Tribunale speciale, ma fu assolto dalle accuse il 31 maggio del '30. Arruolatosi nella leva di Marina, tornò sotto le armi nel '36, come motorista nel sommergibile "Goffredo". Conseguito il brevetto di pilota civile, all'inizio della seconda guerra mondiale fu assegnato all'Aeronautica. Decorato di medaglia d'argento al valor militare, raggiunse il grado di maresciallo. Dopo 1'armistizio, trovatosi a Roma, prese parte alla guerra di liberazione con il nome di "Tommaso Moro". Attivissimo comandante partigiano, alla testa di una formazione di Bandiera Rossa che raggiunse la forza di 172 uomini, compì azioni di straordinaria audacia nel territorio della capitale e nei suoi dintorni, tra cui - il 30 novembre del '43 - la liberazione dei condannati a morte di Forte Bravetta. I tedeschi gli davano la caccia e giunsero a porre sulla sua testa una taglia (astronomica per quei tempi) di 1.500.000 lire, ma tutto fu inutile. Attraversò più volte le linee nemiche sul fronte di Cassino e compì varie missioni a Napoli, rientrando poi sempre a Roma. Verso la fine del maggio '44 la banda intensificò la propria attività attaccando le colonne tedesche in ritirata sull'Aurelia, finché nella notte tra il 4 e il 5 giugno le unità della V Armata americana e delI'VIII Armata britannica liberarono Roma. Dopo la Liberazione ricevette le felicitazioni del generale Alexander che lo decorò della Bronzo-Star per "l'efficace, costante aiuto dato all'avanzata alleata verso Roma e per il prodigioso coraggio dimostrato", e lo definì "uno dei primi uomini della V Armata". Continuò a operare anche dopo la liberazione della Capitale. La sua ultima missione fu quella di attraversare le linee nemiche per portare al patrioti fiorentini 716.000 lire e 53 kg di medicinali. Tornato alla vita civile nel dopoguerra, riprese il suo lavoro di meccanico.

I

Romolo Iacopini

Operaio specializzato, di 45 anni. Nato a Roma il 9 febbraio 1898 da Nazzareno e da Maria Rischione. Fin da ragazzo aveva coltivato la passione della metallurgia, specializzandosi in caldaie a vapore e motori a scoppio. Combatté nella prima guerra mondiale e fu ferito in battaglia. Alla fine del conflitto si specializzò in apparecchi di precisione e fu assunto alla Scalera Film di Cinecittà. Comunista, dopo l'occupazione tedesca della capitale diventò capo di Bandiera Rossa nella V zona (quartiere Trionfale). Insieme ad altri esponenti socialisti e comunisti, organizzò un gruppo di alcune centinaia di partigiani, nascondendo prigionieri inglesi, compiendo colpi di mano contro convogli tedeschi, sottraendo armi e munizioni ai nazifascisti, diffondendo stampa clandestina. Il suo coraggio e il suo spirito di sacrificio gli fecero guadagnare l'appellativo di "Comandante di Trionfale". Pochi giorni prima dell’arresto, fu avvertito della presenza di delatori all'interno del suo gruppo, e in particolare di un tale Biagio Roddi. Il 6 dicembre del '43, quando fu organizzata una distribuzione "generale" di volantini in tutti i cinema romani, le SS andarono a cercarlo a casa, in via Leone IV, guidate proprio da Roddi. Iacopini, accortosi del pericolo, avvertì i compagni che si trovavano nel vicino Cinema Principe, salvando loro la vita, ma fu arrestato insieme ad Augusto Latini. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, vi rimase per oltre un mese, subendo 24 interrogatori e la tortura. Trasferito a Regina Coeli, il 28 gennaio fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco e condannato a morte. Fu fucilato il 2 febbraio del ‘44 a Forte Bravetta insieme a Ettore Arena, Enzio Malatesta, Carlo Merli, Gino Rossi, Guerrino Sbardella e altri cinque partigiani.

 

Antonio Iannotta

Ufficiale. Nato a Pignataro Maggiore (Caserta). Capitano di complemento. L'8 settembre del '43 si trovava a Roma ed entrò subito nel Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Montezemolo. Dopo l'arresto e la fucilazione di questi, divenne uno dei principali organizzatori del movimento, curando il collegamento tra le varie formazioni e adoperandosi per approvvigionare le bande partigiane che operavano fuori Roma. Ricercatissimo dalle SS e dalla polizia fascista, continuò la sua opera fino alla liberazione della capitale, il 4 giugno del '44. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Angelo Ioppi

Brigadiere dei carabinieri. Nato a Viterbo il 4 gennaio 1904 da Fioravanti e da Fortunata Feliziani. Nel '23 si arruolò nei carabinieri; dal ‘24 svolse servizio presso la stazione di Selci Sabina, quindi a Roma. Al termine della ferma decise di lasciare l'arma per affiancare il padre nel lavoro di bottega. Nel '27 si sposò con Ida Michelli, che gli diede quattro figli: Liliana, Rossana, Fatima e Giancarlo. Nel '40 fu richiamato in servizio, frequentò il corso allievi sottufficiali e l’anno successivo diventò vicebrigadiere, presso la Compagnia Comando della Legione "Lazio" a Roma. Dopo l'8 settembre del ’43 lasciò la caserma e si diede alla macchia nel viterbese. Quindi tornò a Roma, dove insieme a due compagni organizzò il battaglione clandestino "Mazon", che svolgeva principalmente opera di sabotaggio. Il 14 gennaio guidò un’azione armata contro il comando della polizia tedesca in via Tasso, lanciando due bombe a mano nel cortile interno. Il 7 marzo del '44 sfuggì fortunosamente alla cattura, dopo un'irruzione della polizia fascista nella bottega del marmista Viola in via del Vantaggio, dove furono trovate anche armi ed esplosivi. Il 10 marzo partecipò all'attentato di via Tomacelli contro una colonna di fascisti che proveniva dal cinema Adriano. Qualche giorno dopo fu arrestato dai tedeschi, insieme alla figlia, su delazione di una spia, mentre si trovava alla stazione ferroviaria di Piazzale Flaminio. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, subì torture per tre mesi. Il 3 giugno, il giorno prima della liberazione di Roma, i tedeschi lo fecero uscire dalla cella, per condurlo fuori città e fucilarlo. Con lui c’erano il generale Filippo Caruso, comandante delle omonime bande partigiane, ed altri ufficiali ed uomini politici. Ma il loro camion ebbe un guasto. Riportato in carcere, la mattina successiva fu liberato grazie al sopraggiungere delle truppe anglo-americane. Promosso maresciallo capo, nel giugno del 1962 è stato collocato nella riserva. Medaglia d'oro al valor militare.

L

Giorgio Labò

Studente di architettura, di 28 anni. Nato a Modena il 29 maggio 1919 da Mario e da Enrica Morpurgo. Durante la guerra era sergente del genio minatori. Dopo l'8 settembre del ‘43, combatté con i partigiani nella zona di Poggio Mirteto, con il nome di battaglia di "Lamberto", iniziando a mettere a frutto la conoscenza degli esplosivi maturata durante la militanza fra i minatori: fu opera sua l'ordigno esplosivo che il 19 settembre fece saltare in aria un treno carico di munizioni. A Roma, organizzò insieme a Gianfranco Mattei la "santabarbara" dei Gap comunisti, in via Giulia 25bis, in casa di Gino Mangiavacchi. Per quattro mesi confezionò esplosivi ed apparecchiature elettriche studiate di volta in volta in vista delle azioni di guerriglia, spesso partecipando di persona agli attentati. Per la fabbricazione degli ordigni andava alla ricerca dei materiali più strani; una volta attraversò a piedi l'intera città portando sei spezzoni d'aeroplano in una borsa della spesa. Il primo febbraio del ‘44 fu sorpreso dalle SS nel laboratorio di esplosivi insieme a Mattei, su delazione della spia Giovani Amidei, e rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 31. Fu tenuto legato mani e piedi per diciotto giorni. Nonostante le torture, negò ogni responsabilità. Condannato senza processo alla pena capitale, fu fucilato il 7 marzo sugli spalti di Forte Bravetta. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Antonio Lalli

Partigiano, di 41 anni. Nato a Perugia il 10 maggio 1902 da Luigi. Sposato con Ersilia Carucci, aveva un figlio (Luigi). Dopo l’armistizio, entrò nella Resistenza aderendo al movimento di Bandiera Rossa. Arrestato, fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Condannato a morte dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta il 4 marzo del '44.

 

Epimenio Liberi

Commerciante, di 23 anni. Nato a Popoli (Pescara) il 16 luglio 1920 da Gaetano e da Teresa Delfini. Sposato con Giovanna, ebbe tre figli. Partecipò alla seconda guerra mondiale con il grado di sergente. Di sentimenti antifascisti, l'8 settembre del '43 partecipò ai combattimenti di Porta S. Paolo per la difesa di Roma. Dopo la caduta della città, aderì al Partito d'Azione, aggregandosi alle bande partigiane del "Monte Soratte". Fu arrestato dai tedeschi sotto Natale, il 20 dicembre, mentre la moglie era in attesa del terzo bambino. Tradotto nel carcere di via Tasso e torturato, il 14 gennaio del '44 fu trasferito al terzo braccio di Regina Coeli, nella cella n. 382. Qui strinse amicizia con don Giuseppe Morosini, che scrisse per il nascituro una celebre "Ninna Nanna per soprano e pianoforte". Fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo.

 

Carlo Lizzani

Regista cinematografico. Nato a Roma nel 1922. Studente universitario, durante la Guerra di liberazione fu attivo nella Resistenza romana, tra i dirigenti del Comitato studentesco di agitazione. Il 29 gennaio del '44 guidò la manifestazione di giovani che si sarebbe conclusa con l'uccisione, da parte dei militi fascisti, dello studente Massimo Gizzio. Membro del PCI, collaboratore delle riviste "Cinema" e "Bianco e nero", nell'immediato dopoguerra si inserì nel filone del neorealismo italiano, esordendo come attore in un film di Aldo Vergano ("II sole sorge ancora"), lavorando poi come aiuto-regista di Giuseppe De Sanctis, Roberto Rossellini, Alberto Lattuada, e infine come regista. Il suo primo film ("Achtung banditi!"), un lavoro sulla Resistenza genovese realizzato nel 1951 con pochi mezzi finanziari per una cooperativa di antifascisti, ottenne un caloroso successo iscrivendosi tra i più riusciti di quegli anni. Tra i suoi film successivi, sono da ricordare "Ai margini della metropoli" (1953); "Cronache di poveri amanti" (1955), dal noto romanzo di Vasco Pratolini sui primi anni del fascismo a Firenze; "Lo svitato" (1958); "Esterina" (1960); "Il Gobbo" (1961), su alcuni aspetti della Resistenza romana; "L'oro di Roma" (1963), sulla razzia degli ebrei durante l'occupazione tedesca della Capitale; "Il processo di Verona" (1964), sul noto processo intentato nella repubblica di Salò contro Galeazzo Ciano e gli altri gerarchi dissidenti; "La vita agra" (1965), tratto dal racconto autobiografico di Luciano Bianciardi; "Svegliati e uccidi" (1966); "Requiescant" (1967); "Banditi a Milano" (1968); "Crazy Joe" (1973); "Mussolini ultimo atto" (1974), sulle ultime ore del dittatore fascista; "Storia di vita e di malavita" (1975).

 

Lucio Lombardo Radice

Docente. Nato a Catania il 10 luglio del 1916. Di famiglia antifascista, aderente al movimento liberalsocialista, e poi militante nell'organizzazione comunista clandestina, svolse attività politica a Roma, dove la sua casa era luogo di incontro di studenti e intellettuali avversi alla dittatura. Arrestato nel 1939 e deferito al Tribunale Speciale, nel 1940 fu condannato a 4 anni di reclusione. Riacquistata la libertà nel '43, riprese la lotta. Il 25 aprile del '43, in occasione della festività pasquale, fu tra gli organizzatori di una riuscita manifestazione contro la guerra in Piazza San Pietro. Dopo l'armistizio partecipò alla Resistenza romana. Nel dopoguerra divenne membro del Comitato centrale del PCI, e docente di matematica all'Istituto "Guido Castelnuovo" dell'Università di Roma. Studioso di pedagogia, nel 1955 fu nominato condirettore della rivista "Riforma della Scuola". Autore di saggi politici e scientifici, tra le sue opere principali si ricordano: "Fascismo e anticomunismo" (Torino 1946); "L'uomo del Rinascimento" (Roma 1958); "L'educazione della mente" (Roma 1962); "Gli accusati" (Bari 1972, vincitore del Premio Viareggio).

 

Giuseppe Lo Presti

Dottore in legge. Nato a Roma il 31 maggio del 1919. Laureato in giurisprudenza. Sottotenente dell'esercito, nel '40 partecipò alle operazioni belliche sul Fronte occidentale. Militante socialista, dopo l'armistizio prese parte alla Guerra di liberazione e fu tra gli organizzatori della Resistenza romana. Il PSI gli affidò il compito di dirigere la VI Zona, comprendente i quartieri Appio Esquilino e Celio. Catturato il 13 marzo del '44 a Roma, fu lungamente torturato nel Comando tedesco di via Tasso. Resiste stoicamente alle sevizie, salvando la vita a numerosi suoi compagni. Dieci giorni dopo l'arresto fu ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Roberto Lordi

Generale di brigata aerea in congedo, di 49 anni. Nato a Napoli l'11 aprile 1894 da Gregorio e da Rosina D'Antona. Sposato con Livia Boglione, ebbe un figlio, Roberto. Studiò al collegio dell'Annunziatella. Durante la prima guerra mondiale combatté come ufficiale dell'artiglieria di montagna, distinguendosi nelle battaglie dell'Isonzo e del Piave e guadagnando diverse decorazioni al valor militare. Laureatosi in ingegneria aeronautica al Politecnico di Torino, dal '23 prestò servizio in Libia come comandante dei bombardieri veloci dello "Stormo di ferro". Nel '27 realizzò il primo lancio collettivo di paracadutisti e l’anno dopo fu tra i protagonisti del raid Roma-Torino-Londra. Primo nel mondo sorvolò in aereo il massiccio del Tibesti, identificando la misteriosa oasi di Cufra. Nel '33 fu inviato in Cina, a capo di una missione militare. Qui conobbe il generale Chang-Kai-Schek, conquistando la sua fiducia, tanto da diventare capo di Stato Maggiore dell'aeronautica cinese e ottenere una serie di commesse per l'Italia, che però vennero gestite in maniera superficiale. La relazione negativa che spedì a Mussolini gli attirò l'avversione delle alte sfere militari, che nel '35 ne chiesero il rimpatrio e poi il collocamento a riposo. Per sopravvivere fu assunto, insieme all'amico Sabato Martelli Castaldi, al polverificio Stacchini di Roma. L'8 settembre del ’43 accorse a Porta San Paolo a combattere contro i tedeschi. Pur sofferente di cuore, entrò nella Resistenza e, quando il polverificio fu requisito dai tedeschi, sottrasse ingenti quantità di esplosivo per le bande partigiane della zona. Ospitò nella propria villa di Genzano ufficiali e civili ricercati dalle SS e organizzò formazioni armate sui Monti Prenestini ed intorno ad Alatri, in contatto radio con le truppe alleate. Quando il 7 gennaio del '44 il proprietario dello stabilimento fu arrestato, insieme a Martelli si presentò spontaneamente al comando tedesco. Rinchiuso nel carcere di via Tasso (cella n. 1) e torturato più volte, non rivelò il nome dei compagni di lotta. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Umberto Lusena

Maggiore, di 39 anni. Nato a Livorno il 20 settembre 1904 da Leonardo e da Susanna Giuliani. Ebreo, fu legionario fiumano all'età di sedici anni, e dopo aver frequentato l'Accademia militare di Modena diventò ufficiale di carriera. Nominato maggiore di fanteria, l'8 e il 9 settembre del '43, al comando del IV battaglione arditi paracadutisti del 183° Reggimento "Nembo", si oppose all'avanzata su Roma di una colonna di tedeschi rinforzata da mezzi corazzati, salvando la bandiera del battaglione. Dopo la battaglia, occultò ingenti quantitativi di armi e passò alla lotta clandestina, nelle file del Fronte militare clandestino di Montezemolo. Arrestato su delazione nel febbraio del '44 e rinchiuso in via Tasso, fu torturato, ma non tradì i compagni. Trasferito nel carcere di Regina Coeli, il 24 marzo fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valore militare alla memoria.

M

Enzio Malatesta Giornalista. Nato a Carrara nel 1914. Figlio di Alberto Malatesta, ex deputato socialista di Novara, nel 1938 conseguì la laurea a Milano. Successivamente insegnò al Liceo "Parini" e fu direttore della rivista "Cinema e Teatro". Nel 1940, a Roma, fu assunto come redattore del quotidiano "Giornale d'Italia". Dopo l'armistizio prese parte alla guerra di liberazione, nelle file del movimento Bandiera Rossa), e fu tra gli organizzatori delle cosiddette "bande esterne" nel Lazio. Catturato dai tedeschi e accusato di aver organizzato formazioni armate, si assunse coraggiosamente ogni responsabilità. Condannato a morte, venne fucilato a Forte Bravetta dai tedeschi il 2 febbraio del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Vittorio Mallozzi. Operaio. Nato ad Anzio (Roma) nel 1909. Membro dell'organizzazione comunista clandestina e attivo antifascista, fu costretto a espatriare. Nel 1936, allo scoppio della Guerra di Spagna, si arruolò nelle Brigate Internazionali, divenendo commissario politico e poi comandante di un battaglione di garibaldini. Ferito in un incidente motociclistico, rimase mutilato. Passato in Francia con il ritiro delle Brigate Internazionali, fu internato dal governo francese nel campodi Vernet. Dopo l'occupazione della Francia, fu consegnato alle autorità italiane che, riportatolo in Italia, lo confinarono a Ventotene. II 25 luglio del '43, caduto il fascismo, riacquistò la libertà e dopo 1'8 setternbre fu tra gli organizzatori della Resistenza a Roma. Alla testa di un gruppo armato diresse numerose azioni finché, durante la preparazione di un atto di sabotaggio, fu catturato dai tedeschi, condannato a morte e fucilato a Forte Bravetta il 31 gennaio del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Candido Manca
Brigadiere dei carabinieri, di 37 anni. Nato a Delianova (Cagliari) il 31 gennaio 1907 da Annibale e da Francesca Zucca. Nel '25 si arruolò volontario nei carabinieri. Prestò servizio a Roma, e dopo tre anni di ferma fu congedato. Rientrato a Cagliari, ottenne il diploma di ragioniere e fu assunto dal ministero dei Lavori Pubblici, nell'Azienda statale della strada. Fu richiamato in servizio una prima volta nel '35, per un anno, e di nuovo nel '40, con il grado di vicebrigadiere. Nel '43 era brigadiere, nella compagnia squadre reali e presidenziali di Roma. Dopo l'8 settembre, riuscì a sfuggire ai tedeschi che avevano occupato le caserme. Insieme ad altri 30 carabinieri sbandati che aveva raccolto con sé, entrò nella banda "Caruso", alle dirette dipendenze di Romeo Rodriguez Pereira. Nel corso della lotta, si distinse per lo svolgimento di azioni militari e per la raccolta di notizie. Fu catturato dalla Gestapo il 10 dicembre del '43, insieme allo stesso Pereira e a Genserico Fontana, mentre si stava recando da un contabile che procurava denaro ai partigiani. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, subì più volte la tortura, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Enrico Mancini
Commerciante, di 47 anni. Nato a Ronciglione (Viterbo) il 12 ottobre 1896 da Francesco e da Luisa Pizzuti. Sposato con Argia Morgia, aveva sei figli (Alberto, Bruno, Adolfo, Elettra, Mirella e Riccardo). Frequentò le elementari in una scuola del rione di Testaccio, a Roma. Assunto come apprendista in una bottega di falegnameria, diventò in breve tempo un ebanista specializzato. Durante la prima guerra mondiale prestò servizio di leva nell'Arma del Genio e nel '18 si congedò con il grado di sergente maggiore, premiato con una medaglia di bronzo e una croce di guerra. Aprì una bottega di falegnameria in via dei Conciliatori, vicino Porta San Paolo. Antifascista della prim'ora, rifiutò di aderire al regime e una squadraccia diede fuoco al suo negozio. Nel '42 fu uno dei primi ad aderire al Partito d'Azione, costituito clandestinamente a Roma da Ugo La Malfa, Pilo Albertelli ed altri; gli vennero affidati incarichi di responsabilità dirigenziale nei quartieri di Testaccio, Ostiense e Garbatella. Dopo l'8 settembre entrò nella Resistenza, come tenente partigiano della Brigata Garibaldi, e si prodigò con aiuti economici ai perseguitati politici, ai partigiani alla macchia e ai militari sbandati. Utilizzando un permesso di circolazione datogli dal conte Celani (direttore dell'Annona e partigiano), svolse opera di collegamento e di distribuzione d'armi e di materiale di propaganda. Arrestato il 7 marzo del ‘44 nel proprio ufficio dagli sgherri fascisti della banda Koch, fu trasportato nei locali della Pensione Oltremare, in via Principe Amedeo, e di lì trasferito alla Pensione Iaccarino, dove fu torturato per dodici giorni. In attesa di processo, il 18 marzo fu tradotto a Regina Coeli, nel terzo braccio. Fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine.

 

Alberto Marchesi
Commerciante, di 43 anni. Nato a Roma il 22 settembre del 1900. Militante comunista, espulso nel 1925 dalle Amministrazioni Statali per dichiarata opposizione al regime fascista, negli anni seguenti fu più volte fermato per azione cospirativa e sottoposto ad interrogatori . Dopo l'8 settembre 1943 diede vita al Battaglione "Volga" operante nei dintorni di Roma, facendo della propria casa e negozio un deposito di armi e materiale di propaganda e partecipando ad una serie di missioni. Arrestato il 12 marzo 1944 nella propria abitazione di Roma, in seguito a delazione, ad opera di SS tedesche, fu tradotto nelle celle di Via Tasso e torturato. Fu fucilato il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine fuori Roma, in rappresaglia all'attentato di via Rasella, con altri trecentotrentaquattro detenuti politici prelevati dalle carceri di Via Tasso e Regina Coeli. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Vittorio Marimpietri
Impiegato, di 26 anni. Nato ad Avezzano (L’Aquila) il 30 settembre 1917 da Orazio e da Maria Pompei. Valoroso combattente in guerra (fu proposto per la medaglia d'argento al valor militare), tornò ferito dal fronte, con i piedi congelati e un'ulcera duodenale. Dopo l’armistizio, entrò nella Resistenza, nelle file del Fronte militare clandestino di Montezemolo. Ma il 10 dicembre del '43 le SS tedesche, con la collaborazione di una spia italiana, lo arrestarono in casa con l'imputazione di essere iscritto alla Legione Garibaldina. Fu rinchiuso nel carcere di via Tasso, dove subì lunghi e snervanti interrogatori preceduti da giorni di completo digiuno. Trasferito a Regina Coeli, il 24 marzo del '44 fu fucilato alle Fosse Ardeatine.

 

Sabato Martelli Castaldi
Generale di brigata aerea in congedo, di 46 anni. Nato a Cava de' Tirreni il 18 agosto 1896 da Sabato Castaldi e da Argìa Martelli. Sposato con Luisa Barbiani, aveva tre figli (Giorgio, Vittoria e Sabatino). Partito volontario per la prima guerra mondiale, fu protagonista di più di cento voli di guerra, abbattendo diversi apparecchi nemici e conquistando sul fronte una medaglia d'argento e due medaglie di bronzo al valor militare. Ebbe una carriera brillantissima: fu uno dei piloti della Crociera delle capitali europee e uno degli organizzatori delle due prime Giornate dell'Ala, del Carosello aereo e della seconda trasvolata oceanica. Capo di gabinetto del ministero con Italo Balbo, a 36 anni era già generale, il più giovane d'Italia. Ma nel '34, quando presentò a Mussolini un memoriale sullo stato disastroso dell'aviazione italiana, fu posto in congedo assoluto, senza stipendio. Perseguitato dal Regime, solo nel '39 riuscì a ottenere un impiego stabile come direttore del Polverificio Stacchini. Il 9 settembre era a Porta San Paolo, insieme all'amico Roberto Lordi, con un fucile da caccia, a difendere Roma dai tedeschi. Subito dopo entrò a far parte del Fronte militare clandestino di Montezemolo, col nome di battaglia "Tevere". Fornì armi ed esplosivi ai partigiani del Lazio e dell'Abruzzo; aiutò a nascondersi ebrei, ufficiali, renitenti alla leva nella villa di Genzano dell'amico; incitò i giovani a resistere ai bandi della Repubblica di Salò; organizzò bande di partigiani ai Castelli romani, sui Monti Prenestini e intorno ad Alatri; trasmise rilievi di zone ed installazioni militari agli Alleati. Il 17 gennaio del ‘44, insieme a Lordi, si consegnò ai tedeschi per ottenere il rilascio del proprietario del Polverificio. Trattenuto da Kappler, fu rinchiuso nella cella n. 2 di via Tasso per 67 giorni e torturato, ma non parlò. Fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia". Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Placido Martini
Avvocato. Nato a Montecompatri (Roma) il 7 maggio del 1879. Già garibaldino a Domokos (Grecia), fu volontario nella Prima guerra mondiale e combattè nel Corpo di spedizione italiano in Francia. Durante gli anni della dittatura fascista. per il suo antifascismo (di ispirazione massonica) venne confinato a Ponza e. dopo il 1940, a Manfredonia e all'Aquila. Tornato a Roma nei 45 giorni del governo Badoglio, fondò l'Unione nazionale della democrazia italiana, partito di tendenze liberali, e il giornale Unione Nazionale. Dopo l'armistizio divenne capo delegato della Massoneria italiana di Palazzo Giustiniani e di quella scozzese di rito antico. Partecipò alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana. Catturato dalle SS il 22 gennaio del '44 in seguito a delazione, fu lungamente torturato nelle prigioni di via Tasso e infine fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Fausto Marzi Marchesi
Costruttore. Nato a Roma il 18 febbraio del 1905. Di educazione cattolica e di orientamento antifascista, sin dagli anni Trenta entrò in contatto con alcuni ambienti della Curia vaticana che avvertivano l'esigenza di differenziarsi dalla generale politica di appoggio e di esaltazione del governo fascista. Agli inizi del 1937, lasciando per qualche tempo le attività edili nelle quali era impegnato, si trasferì per un anno a Parigi, dove perfezionò la sua formazione ideologica e politica avversa al regime. Nella capitale francese ebbe contatti con la Concentrazione antifascista e poi con esponenti del PCI. Rientrato in Italia, svolse un lavoro di propaganda e di diffusione della stampa clandestina, soprattutto tra gli operai dei cantieri edili e tra i giovani di tendenze cattoliche. Era molto legato a una delle figure di primo piano del mondo vaticano, monsignor Mariano Rampolla del Tindaro, nipote del cardinale omonimo che era stato segretario dì Stato di Leone XIII. Grazie all'amicizia di questo alto prelato, uomo di grande apertura intellettuale e morale, segretario della Congregazione dei Seminari e vicino alla Segreteria di Stato della Santa Sede, riuscì a far arrivare in Vaticano alcune delle pubblicazioni clandestine del PCI. Tra queste vi era lo Stato Operaio che potè così essere consultato occasionalmente da alcuni giovani cattolici, critici del regime e interessati alla politica sviluppata dai comunisti italiani nei confronti delle masse religiose, tra i quali Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti e Gerardo Bruni. Nell'agosto del '38, per incarico del Centro estero del PCI, riuscì a organizzare, nel più assoluto segreto, un incontro ad alto livello tra monsignor Rampolla (in rappresentanza della Santa Sede) e due dirigenti comunisti italiani, Emilio Sereni e Ambrogio Donini. Tali contatti ebbero luogo alla Certosa della Valsainte sui monti della Svizzera centrale. Vennero affrontati e discussi alcuni temi d'interesse immediato per le due parti, non in vista di impossibili intese sul terreno politico e ideologico, ma per la necessità di lavorare a una collaborazione tra le forze cattoliche e marxiste in Italia, contro l'incombente minaccia di un conflitto mondiale (si veda, a) riguardo, la voce Democrazia cristiana). Il nuovo atteggiamento della Santa Sede dopo il patto di Monaco dello stesso anno 1938, con la capitolazione di fatto delle potenze occidentali di fronte ai piani aggressivi del nazismo e del fascismo, ne interruppe bruscamente il proseguimento e ne limitò per molti anni la portata effettiva. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, Marzi Marchesi, che nel frattempo aveva ripreso e sviluppato considerevolmente la propria attività industriale, anche per suggerimento del Centro estero del PCI, assolse alcuni compiti molto delicati, di carattere organizzativo e assistenziale. Dopo la caduta del fascismo entrò in rapporto diretto con il CLN a Roma e con i dirigenti comunisti Giorgio Amendola e Celeste Negarville; partecipò anche alla ricostruzione della Federazione comunista romana, diventandone uno degli esponenti. Dopo la liberazione della capitale (giugno 1944) fu chiamato a far parte della Giunta amministrativa provvisoria Doria in qualità di assessore all'Annona e vi rimase sino al novembre 1946. Il 10 novembre del '46 fu eletto consigliere comunale nella lista del Blocco del Popolo. Rieletto il 12 ottobre del '47 nella lista comunista. rimase in carica sino al 9 aprile del 1952. Poi si rirtirò gradualmente dalla vita politica militante.

 

Gianfranco Mattei.
Docente di chimica, di 29 anni. Nato a Milano l’11 dicembre 1916 da Ugo e da Clara Friedmann, primogenito di sette fratelli. Nel '38 si laureò in chimica all’università di Firenze, con il massimo dei voti. Assistente del premio Nobel Giulio Natta all’istituto di chimica industriale del Politecnico di Milano, ebbe poi l’incarico di insegnamento di chimica analitica quantitativa. In quegli anni iniziò alcune importanti ricerche sulla struttura e l’orientamento delle molecole polari, e si occupò di studi sulla produzione di detersivi sintetici. Dal ‘36 al ‘38 frequentò il corso allievi ufficiali a Pavia. Fin dal ‘37, con la sorella minore Teresita ("Chicchi") partecipava al movimento antifascista lombardo, e aveva stretto rapporti con il Partito d'Azione. Allo scoppio della guerra, fu chiamato alle armi. La sera del 25 luglio del ‘43, insieme a pochi altri docenti universitari, compilò un manifesto che reclamava un cambiamento radicale della vita universitaria. Nelle settimane successive fece la spola tra Firenze e Milano, tenendo i contatti fra i gruppi di antifascisti attivi nelle due città. Dopo l'armistizio, costretto ad allontanarsi da Milano dove il padre era ricercato (aveva diretto la Confederazione dell'Industria durante il governo Badoglio), si trasferì nel lecchese e in Valfurva, dove si formavano i primi gruppi di partigiani. Nell'ottobre lasciò la Lombardia, dove era troppo conosciuto, e si recò a Roma per combattere il fascismo nelle file del Pci. Insieme a Giorgio Labò organizzò la "santabarbara" dei Gap, in via Giulia n. 25 bis. La produzione delle bombe migliorò dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo e vennero fabbricati anche nuovi tipi di ordigni, come una bomba a mano a "doppio effetto" molto utile contro i mezzi blindati. Diede un contributo anche alla progettazione degli attentati. Ma il pomeriggio del primo febbraio fu sorpreso dai tedeschi nel laboratorio e rinchiuso nel carcere di via Tasso insieme a Labò. Torturato, per non tradire i compagni nella notte tra il 6 e il 7 febbraio s'impiccò nella sua cella, con la cintura dei pantaloni.

 

Vera Michelin-Salomon
Bibliotecaria. Nata a Carema (Torino) il 4 novembre del 1923 da Giovanni Daniele e da Elvezia Guarnoli. Figlia di un ufficiale dell'Esercito della salvezza, trascorse la sua infanzia in varie città italiane. Nel '40 si trasferì a Roma, dove fu assunta come segretaria dell'Istituto professionale femminile "Colomba Antonietti". Protestante, si avvicinò ad ambienti antifascisti attraverso l'amicizia con Enrica Filippini Lera. Dopo l'8 settembre del '43, entrò nel comitato studentesco di agitazione, distribuendo volantini e svolgendo attività di propaganda, e successivamente aderì insieme alla Filippini alla cellula del Pci di Piazza Vittorio. Fu arrestata il 14 febbraio del '44 dalla Gestapo, dietro denuncia, nell'abitazione della Filippini, insieme all'amica, a Paolo Buffa, a Paolo Petrucci e al fratello Cornelio Michelin-Salomon. Rinchiusa in via Tasso per una settimana e interrogata, fu poi trasferita nelle carceri di Regina Coeli. Il 23 marzo del '44 fu processata dal Tribunale militare tedesco e condannata insieme alla Filippini a tre anni di carcere duro, da scontare in Germania. Il 24 aprile del '44 furono trasportate a Firenze su un camion e lì caricate su un carro bestiame. Raggiunsero Monaco il 1° maggio e furono detenute nel carcere di Stadelheim. Da Monaco furono trasferite per un giorno a Dachau, ma riportate a Monaco perché "non ebree" e perché "regolarmente processate e condannate da un Tribunale militare tedesco". Infine il 29 maggio furono destinate al carcere femminile di Aichach (Alta Baviera), dove si trovarono tra prigioniere politiche provenienti da ogni parte d'Europa, e anche tra detenute per reati comuni. Furono liberate dalle truppe americane il 5 maggio del '45. Rientrarono in Italia il 2 giugno. Nel dopoguerra ha vissuto prima a Torino e poi a Roma, ha militato nel Pci ed è diventata consigliere nazionale dell'Aned.

 

Pompilio Molinari
Operaio metallurgico. Nato a Roma il 14 gennaio del 1890. Sin da ragazzo militò nella Gioventù socialista e poi nel PSI, partecipando alle battaglie politico-sindacali degli anni che precedettero la Prima guerra mondiale. Negli anni 1915-18 fu attivissimo nella lotta per la pace. Nel 1920 fu tra i dirigenti dell'occupazione delle fabbriche a Roma. Aderì al PCI sin dalla fondazione. Tra gli organizzatori degli Arditi del popolo, combattè contro le squadre fasciste prima e durante la "marcia su Roma". Continuò a combattere il fascismo negli anni della dittatura e fu più volte confinato. Nel 1942 venne condannato dal Tribunale speciale a 12 anni di reclusione. Tra carcere e confino scontò complessivamente 13 anni. Dopo l'armistizio partecipò alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza romana, organizzando le formazioni partigiane. Fu, a Roma, l'ideatore del chiodo a quattro punte, micidiale contro gli automezzinemici. Organizzò la produzione clandestina di armi destinato ai partigiani nelle officine Broda e in altri laboratori della capitale. Per suo apporto come membro del Comando regionale delle Brigate Garibaldi, ebbe riconosciuto il grado di colonnello. Dopo la Liberazione diresse i metalmeccanici di Roma. Fu successivamente segretario della Camera del lavoro e infine direttore provinciale dell'INCA. Morì a Roma il 7 settembre del 1955.

 

Don Giuseppe Morosini 
Sacerdote, di 31 anni. Nato il 19 marzo 1913 a Ferentino (Frosinone) da Giuseppe e da Maria De Stefanis. Fu ordinato sacerdote il giorno di Pasqua del ‘37. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale come cappellano militare, presso il 4° reggimento di artiglieria di stanza a Laurana, in Istria. Congedato dopo le operazioni in Dalmazia, si stabilì a Piacenza dove diventò direttore spirituale in un collegio. Nel '43 fu chiamato a Roma alla direzione di una scuola per ragazzi profughi delle zone più colpite dal conflitto. Restò al suo posto anche dopo il 25 luglio, quando i gerarchi a capo dell'opera che sosteneva la scuola fuggirono dalla capitale, portando con loro tutti i generi alimentari destinati ai ragazzi e le riserve economiche dell'istituto. Dopo l'8 settembre entrò nella Resistenza, diventando il cappellano della banda partigiana "Mosconi" di Monte Mario, alla quale forniva assistenza morale, ma anche servizi concreti: procurando viveri, indumenti, scarpe. Compì missioni segrete, acquistò e nascose armi e diresse il servizio di informazioni. Fu anche cappellano della formazione "Bandiera Rossa". Carpì ad un ufficiale svizzero addetto all'Ufficio operazioni dello Stato maggiore della Wehrmacht una copia del piano operativo dello schieramento delle forze tedesche sul fronte di Cassino, e lo fece pervenire al Comando supremo degli alleati. Catturato il 4 gennaio del '44 davanti al Collegio Leoniano, insieme al tenente Marcello Bucchi, su delazione della spia Dante Bruna, fu portato prima all'Albergo Flora, poi in diverse stazioni delle SS, ed infine rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli, nella cella 382. Torturato, resistette alle sevizie e non rivelò mai i nomi dei suoi assistiti. In carcere si prodigò in favore dei compagni di pena e degli ebrei reclusi. Fu condannato a morte il 18 marzo dal Tribunale militare di guerra tedesco; venne respinta anche la domanda di grazia presentata dallo stesso Papa Pio XII. Fu fucilato il 3 aprile a Forte Bravetta, dopo avere celebrato l'ultima messa: la prima scarica non lo uccise (avendo tutti i soldati sparato in aria) e allora fu finito con un colpo di pistola alla nuca dall'ufficiale fascista. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Marisa Musu
Nata a Roma nel 1925 da Domenico e da Bastianina Martini. I genitori erano originari di Sassari, legati ai Berlinguer, di idee antifasciste. Entrò nell'organizzazione clandestina del PCI nel '42, ad appena sedici anni, insieme ad Adele Maria Jemolo, sua compagna al Liceo Mamiani, tramite Lucio Lombardo Radice (che poi sarebbe diventato marito di Adele). Iscrittasi all'università di fisica, dopo l'armistizio partecipò alla battaglia per la difesa di Roma e successivamente aderì ai Gap, con il nome di battaglia di "Rosa", nella formazione guidata da Franco Calamandrei, della quale facevano parte tra gli altri Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini. Partecipò a varie azioni contro i tedeschi, tra cui quella di via Rasella, del 23 marzo del '44. Fu catturata dalla polizia il 7 aprile, insieme a Pasquale Balsamo e a Ernesto Borghesi. Il commissario Antonio Colasurdo e il commissario De Longis, che erano in collegamento con il CLN, li spacciarono per una banda di rapinatori. Così Balsamo e Borghesi furono rinchiusi a Regina Coeli, nella sezione dei detenuti comuni, e lei nel carcere femminile delle Mantellate. Dopo il tradimento di Guglielmo Blasi, prima che questi ne rivelasse l'appartenenza ai Gap, si finse malata e a fine maggio, all'Ospedale Santo Spirito, con l'aiuto di alcuni medici legati alla Resistenza, riuscì ad evadere. Nel dopoguerra si sposò con Valentino Gerratana e fu insignita della medaglia d'argento al valor militare. Continuò l'attività politica nel PCI, lavorando per anni con Enrico Berlinguer nel movimento giovanile comunista e nella Fgci e entrando a far parte del comitato centrale del partito. Dopo la separazione con Gerratana, si è unita ad Aldo Poeta, da cui ha avuto tre figli (Sergio, Claudio e Giovanna). Giornalista a "Paese Sera" e a "L'Unità", è stata inviata a Praga nel '68, in Vietnam, in Mozambico e in Palestina.

 

O

Orlando Orlandi Posti (detto Lallo)

Studente, di 18 anni. Nato a Roma il 14 marzo 1926 da Luigi e da Matilde Servoli. Dopo l'8 settembre del '43 aderì al Partito d'Azione e fu uno degli animatori dell'Associazione Rivoluzionaria Studentesca Italiana (Arsi), insieme a Ferdinando Agnini. Il 3 febbraio del '44 fu informato di una retata dei tedeschi nel quartiere di Montesacro e corse ad avvertire gli amici, salvandoli dall'arresto. Ma prima di darsi alla fuga, passò a salutare la madre e cadde nelle mani delle SS insieme all'amico fraterno Nicola Rainelli. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'argento alla memoria.

N

Arrigo Paladini

Sottotenente di artiglieria. Nato a Roma il 10 aprile 1921 da Eugenio e da Elsa Czech. Frequentò il liceo classico romano Umberto I, dove fu allievo del professore antifascista Pilo Albertelli. Allo scoppio della guerra fu chiamato alle armi, nel 5° Reggimento artiglieria "Superga" di Torino. Nel '41 partì volontario per la Russia con il corpo di spedizione del Csir. In seguito al congelamento di un piede, nel '42 fu rimpatriato in Italia. Lo stesso anno frequentò il corso per allievi ufficiali a Sabaudia. Nominato sottotenente, fu destinato a Padova. L’8 settembre del ‘43 fuggì dalla caserma di Padova, occupata dai tedeschi, e si unì alle prime bande partigiane in Abruzzo, con il nome di battaglia di "Eugenio". Da lì decise di passare le linee nemiche e si presentò al Comando Alleato, che lo impiegò come ufficiale del Sim, il servizio segreto militare italiano, presso l'Oss americano (la futura Cia). Gli fu affidato il collegamento con le forze partigiane dell’Italia centrale. Il 4 dicembre sbarcò con il sommergibile Axum a Pesaro e si recò a Roma con le radio clandestine, assieme a una seconda missione guidata da Enrico Sorrentino. Dopo la fucilazione di Maurizio Giglio divenne il responsabile delle trasmissioni radio con il governo del Sud e il comando Alleato, in contatto con la spia americana Peter Tompkins. Arrestato il 4 maggio insieme a Sorrentino, in seguito a delazione, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 2. Qui fu torturato a sangue. Per farlo parlare, i nazisti minacciarono di uccidere il padre e poi gli comunicarono l’avvenuta esecuzione (in realtà il padre era morto da alcuni mesi in campo di concentramento). Minacciarono anche di arrestare la madre e la fidanzata. Ma lui non cedette. Condannato a morte, la notte tra il 3 e il 4 giugno si salvò insieme a trenta compagni, mentre i tedeschi in fuga lo stavano conducendo al luogo della fucilazione. Fu provvidenziale un guasto al camion, che ritardò la partenza quel tanto che bastò per l’arrivo degli anglo-americani. Laureato in lettere, nel 1985 divenne il direttore e il principale animatore del Museo Storico della Liberazione Nazionale che sorge proprio nello stabile di via Tasso dov’era stato rinchiuso. Morì a Roma il 24 luglio del ‘91.

 

Francesco Pepicelli

Carabiniere. Nato a Sant'Angelo a Cupolo (Benevento) nel 1906. Volontario nella Legione dei Reali Carabinieri di Roma nel marzo del '26, fu promosso vicebrigadiere nel '34. L'anno dopo fu mobilitato in Africa Orientale e partecipò all'aggressione fascista all'Etiopia. Rimpatriato nel '38 e promosso brigadiere, comandò diverse stazioni dei carabinieri nel Lazio. Chiamato nel '40 alla segreteria del capo di stato maggiore, nel marzo del '42 conseguì la promozione a maresciallo. Dopo l'armistizio del '43, prese parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana, con la formazione partigiana "Generale Caruso". Dopo essersi distinto in numerose azioni, fu arrestato dalle SS tedesche e atrocemente torturato. Venne fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44.

 

Luigi Perna

Studente, di 22 anni. Nato ad Avellino nel 1921. Era iscritto alla facoltà di giurisprudenza. Sottotenente di fanteria, l'8 settembre del '43 comandava il plotone esploratori del 1° Battaglione del I Reggimento Granatieri di stanza a Roma. Quando i tedeschi mossero all'attacco della capitale, fu tra i più valorosi difensori della città, distinguendosi in vari episodi al ponte della Magliana, all'EUR e nel quartiere della Montagnola, finché venne colpito a morte. Nel '46 l'Università di Napoli gli ha conferito la laurea ad honorem. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

Raffaele Persichetti

Tenente dei granatieri, di 28 anni. Nato a Roma il 12 maggio 1915 da Giulio, famoso chirurgo, e da Amalia Alliata. Frequentò il ginnasio all’istituto Visconti e il liceo al S. Apollinare. Ottenne la licenza liceale da privatista, nel '33, al liceo Mamiani. Dopo la laurea in Lettere nel '37, seguì il corso allievi ufficiali di complemento e diventò ufficiale del I reggimento dei Granatieri di Sardegna, partecipando all'addestramento delle reclute. Dal ‘39 insegnò storia dell'arte all'istituto "De Merode" e al liceo Visconti di Roma, dove rimase fino al '43. Nella primavera del '40 un gruppo di fascisti irruppe nell'istituto per costringere docenti e studenti a una dimostrazione in favore della guerra. Persichetti si oppose al sopruso con la forza, difendendo uno dei colleghi, il sacerdote Giorgi. Uno degli squadristi lo colpì al capo con un bastone, provocandogli una seria ferita. Chiamato alle armi, fu inviato prima sul Fronte Occidentale, poi nel ‘41 partecipò alla spedizione in Grecia, combattendo sulla frontiera con l'Albania come tenente di complemento dei Granatieri di Sardegna. Rimasto invalido, nel '42 fu collocato in congedo assoluto. Iscrittosi al Partito d'Azione, dopo l'armistizio, il 10 settembre, in abito civile e sommariamente armato accorse a Porta S. Paolo, sulla linea di fuoco dei granatieri, schierati in battaglia contro i tedeschi. Qui incitò con le parole e con l'impegno i commilitoni all'estrema resistenza, soccorse i feriti, partecipò al combattimento con il moschetto e la mitragliatrice, fino alla morte, per un colpo alla testa. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Sandro Pertini

Nato a Stella (Savona) il 25 settembre del 1896. Laureato in giurisprudenza e in scienze politiche e sociali. Partecipò alla prima guerra mondiale, poi intraprese la professione forense. Socialista, dopo una prima condanna ad otto mesi di carcere per la sua attività antifascista, fu condannato nel '26 a cinque anni di confino. Si sottrasse alla cattura e si rifugiò prima a Milano e poi in Francia, dove ottenne asilo politico. Ma pure nel paese che lo ospitava e dove lavorava anche da muratore, subì due processi per la sua attività politica. Tornato in Italia nel '29, Pertini venne arrestato e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato lo condannò a 11 anni di reclusione. Ne scontò sette e poi venne assegnato per otto anni al confino: rifiutò di chiedere la grazia, anche quando la domanda fu firmata dalla madre. Tornato libero nell’agosto del '43, entrò nel primo Esecutivo del Partito socialista italiano. La libertà per Pertini dura poco: catturato dalle SS a Roma, fu condannato a morte e incarcerato a Regina Coeli nell’attesa dell’esecuzione. Evase dal carcere con Giuseppe Saragat e raggiunse Milano. Qui - siamo nel '44 - assunse la carica di segretario del Partito socialista nei territori occupati dai tedeschi e diresse, in rappresentanza dei socialisti, la lotta partigiana. Conclusa la lotta armata, per cui fu insignito di medaglia d’oro al valor militare, si dedicò al giornalismo e alla vita politica. Fu direttore dell’"Avanti!" dal '45 al '46, del quotidiano genovese "Il Lavoro" nel '47, di nuovo direttore dell’"Avanti!" dal '50 al '52. Nel '45, diventò segretario del Partito socialista italiano di unità proletaria e deputato all’Assemblea costituente; nel '48 senatore; fu eletto deputato dal '53 al '76; vice Presidente della Camera dei deputati nel '63; fu nominato presidente della stessa Assemblea nel '68 e nel '72. Fu eletto Presidente della Repubblica il 9 luglio del '78, con 832 voti su 995, al sedicesimo scrutinio. Rimase al Quirnale fino al 23 giugno dell'85. Da quell'anno è stato senatore a vita, quale ex Presidente della Repubblica. E' deceduto il 24 febbraio del '90.

 

Salvatore Petronari

Commerciante, di 39 anni. Nato a Roma il 25 febbraio 1904 da Davide e da Angela Martelli. Sposato con Fernanda, aveva una figlia. S'iscrisse al partito socialista nel ‘19; due anni dopo aderì al Pci di Bordiga e di Gramsci. Studente autodidatta, era detto "l'avvocatino" per le capacità d'eloquio. Nell'ottobre del '22, insieme a cinque compagni (tra cui Achille Mastrosanti), fu tra i pochi ad opporsi ai fascisti che occuparono Roma, accogliendo a fucilate e fermando per oltre due ore alla Batteria Nomentana una colonna di camicie nere. Entrò a far parte degli "Arditi del popolo" del Pci. Perseguitato dal Regime fascista e ripetutamente fermato per controlli, nell'aprile del '33 fu arrestato per tentato espatrio clandestino e scontò sei mesi di carcere. Nonostante ciò proseguì la sua battaglia personale: ogni primo maggio e ogni 7 novembre (anniversario della rivoluzione russa) le vie del quartiere Ostiense si riempivano, per opera sua, di scritte e di manifestini antifascisti e inneggianti al comunismo e alla libertà. Nel febbraio del '37 fu nuovamente arrestato per vilipendio al regime e confinato per due anni (alle isole Tremiti e a Ponza). Fu liberato nel Natale del '38. Granatiere, l'8 settembre del '43, armato di moschetto, combatté a Porta San Paolo per difendere la città dai tedeschi. Nei mesi successivi fu uno degli animatori dei Gap comunisti: eseguì numerosi trasporti di armi, raccolse sottoscrizioni per la lotta contro i nazisti, distribuì giornali e volantini clandestini. Arrestato a fine dicembre in seguito a delazione di una spia (il tenente dei bersaglieri Mastrocinque), fu rinchiuso nel carcere di via Tasso e torturato. Fu condannato a morte dal Tribunale militare di guerra tedesco e fucilato a Forte Bravetta il 20 gennaio del ‘44.

 

Paolo Petrucci

Professore, di 26 anni. Nato a Trieste l’1 agosto 1917 da Carlo e da Emilia Predolin. Nel ’39 si laureò in lettere antiche all’Università di Roma. Nel ‘41 fu chiamato alle armi e combattè in Africa come ufficiale di complemento dei Granatieri di Sardegna. Rimpatriato per malattia, nelle ore successive all’armistizio partecipò ai combattimenti contro i tedeschi a Palidoro. Dopo l’occupazione di Roma, entrò in clandestinità con il nome di Pietro Paolucci. Il 10 settembre partì per il Sud, insieme agli amici Paolo Buffa e Aldo Sanna, con lo scopo di partecipare alla formazione di un corpo di "Volontari per la libertà". L’impresa fallì. Sanna decise di rimanere e collaborò con gli inglesi. Lui, Buffa e Giaime Pintor si misero in viaggio verso Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma l’1 dicembre del ’43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, Pintor perse la vita a causa dello scoppio di una mina. Rientrati nell’Italia libera, Petrucci e Buffa si unirono agli Alleati che li addestrarono a lanciarsi con il paracadute. Due settimane dopo, il 16 gennaio del ’44, con un aviolancio furono paracadutati su Monte Rotondo, da dove raggiunsero la capitale, ospiti di Enrica Filippini, che collaborava con il partito comunista. Qui svolsero intensa azione di propaganda antinazista, partecipando alle manifestazioni studentesche. Ma il 14 febbraio le SS tedesche irruppero nell’abitazione della Filippini, arrestandoli insieme alla padrona di casa e a Vera e Cornelio Michelin-Salomon. Petrucci fu condotto prima in via Tasso e poi trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli. Nonostante fosse stato assolto dalle accuse, fu trattenuto in carcere e fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo.

 

Giaime Pintor

Scrittore, di 24 anni. Nato a Roma il 30 ottobre del 1919 da Giuseppe e da Adelaide Dore. Trascorse la sua fanciullezza a Cagliari, tornò a Roma a sedici anni, nel '35, per proseguire gli studi al Liceo "Mamiani". Iscritto ai GUF, si avvicinò presto al movimento antifascista clandestino. Dal '38 collaborò a vari settimanali e a riviste culturali, tra cui "Oggi", "Letteratura", "Campo di Marte", "Primato", sotto gli pseudonimi di "Mercurio" e poi di "Ugo Stille". Nel '39 partì per il servizio militare, al corso allievi ufficiali di Salerno, dove aiutò Lucio Lombardo Radice a costituire una cellula comunista. Si laureò in giurisprudenza all'Università di Roma nel giugno del '40. Richiamato alle armi, venne inviato come sottotenente sul fronte occidentale, al seguito del 51° Fanteria. Poi, dopo un breve periodo a Perugia con il suo reggimento, fu assegnato a Torino, presso la commissione di armistizio con la Francia. In questa veste ebbe la possibilità di fare da tramite fra l'antifascismo in via di riorganizzazione e i "dissidenti" dell'esercito. A Torino cominciò anche la sua collaborazione con Giulio Einaudi e la sua casa editrice, dove aveva come amici e compagni di lavoro Felice Balbo, Cesare Pavese, Leone Ginzburg e Massimo Mila. L'8 settembre del '43 si trovava a Roma e fu tra i giovani che chiamarono il popolo ad appoggiare la resistenza di reparti armati a Porta San Paolo. Fallita la difesa della capitale, l'11 settembre superò le linee tedesche e si recò a Brindisi e poi a Napoli, sotto il falso nome di Ugo Stille. Ottenne dal quartier generale inglese di formare un gruppo di patrioti. Insieme a Paolo Buffa e a Paolo Petrucci si mise in viaggio verso Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma il 1° dicembre del ’43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, davanti a Castelnuovo al Volturno, perse la vita a causa dello scoppio di una mina. Presso l'Einaudi sono state pubblicate alcune sue opere postume: "Il sangue d'Europa" (1950), "Il colpo di Stato del 25 luglio e alcune pagine e documenti inediti" (1974) e "Doppio diario 1936-1943" (1978). Tra le numerose traduzioni, uscite sempre presso Einaudi, si può ricordare quella di Rilke, "Poesie" (1942).

 

Luigi Pintor

Giornalista. Nato a Roma il 18 settembre del 1925 da Giuseppe e da Adelaide Dore. Trascorse la sua fanciullezza a Cagliari, poi tornò a Roma, dove si avvicinò al movimento antifascista clandestino. Fratello di Giaime, partecipò alla guerra di liberazione nelle file dei GAP. Arrestato dalla banda Koch, sfuggì alla condanna a morte. Nel dopoguerra è stato membro del Comitato centrale del PCI, redattore e poi condirettore de "l'Unità", deputato alla Camera dal 1968 al 1972. Nel '69 fu radiato dalle file del PCI con il gruppo del "Manifesto", insieme ad Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Lucio Magri e Massimo Caprara. E' stato più volte direttore del "Manifesto".

 

Antonio Prosperi

Impiegato delle Poste, di 34 anni. Nato a Poggio Cinolfo (L’Aquila) l’8 agosto 1909 da Luigi e da Calliope Pignotti. Sposato con Rinalda Emiliani, aveva tre figli (Annamaria, Irma e Gabriella). Dopo l’armistizio, entrò a far parte del IV nucleo "carseolano" della Brigata partigiana "Tiburtina Valeria", che operava nel Lazio e nella provincia dell’Aquila, sotto il comando di Enrico De Angelis. Fu particolarmente attivo nella raccolta di informazioni militari, nell’assistenza ai prigionieri alleati e nell’approvvigionamento di viveri, indumenti e armi per le bande partigiane e per i renitenti alla leva. Fu arrestato dai tedeschi in un’abitazione di via Quattro Fontane (angolo via Rasella) il 23 marzo del ’44, nelle ore successive all’attacco dei Gap, insieme con il cognato Umberto Pignotti, il fratello del cognato Angelo, e il cugino Fulvio Mastrangeli. Il giorno dopo fu fucilato dalle SS alle Fosse Ardeatine.

 

R

Guido Rattoppatore

Operaio, di 30 anni. Nato a Lione (Francia) il 14 giugno 1913 da Raffaele e da Sola Rattoppatore. Rimase orfano di padre a due anni. La madre tornò in Italia, a Roma, dove si unì a Guido Damiani. Dopo le elementari, fu assunto come operaio specializzato presso le officine Atag, sulla via Prenestina. Appassionato di ciclismo, si iscrisse all'Uvi (Unione ciclopedistica italiana) e partecipò come dilettante a numerose gare. Durante il servizio di leva fu arruolato come ciclista presso la I Compagnia del ministero dell'Aeronautica. Cominciò a frequentare i gruppi antifascisti e nel '36 entrò a far parte della cellula comunista di Campo dei Fiori. Nel '40, richiamato alle armi, fu inviato prima a Gorizia poi a Cisterna, come caporal maggiore di fanteria. Alla firma dell'armistizio abbandonò l'esercito e si arruolò nei Gap comunisti. Fu nominato capo-settore e responsabile militare della IV zona che comprendeva i rioni Borgo, Ponte-Parione, Regola-Campitelli. In questa veste organizzò le squadre di partigiani, mettendo in piedi depositi di armi e munizioni, cercando e trasmettendo notizie, passando da una riunione all'altra e partecipando di persona a molte azioni armate. Collaborò anche con Mattei e Labò alla "santabarbara" dei Gap di via Giulia. Ma il 28 gennaio del '44, mentre insieme all'amico Umberto Scattoni stava per attaccare l'albergo Aquila d'Oro, uno dei covi dei nazifascisti, la spia Giovanni Amidei li tradì e furono arrestati dalle SS, dopo un inseguimento per i vicoli della capitale. Rinchiuso nel carcere di via Tasso e torturato (il giorno prima dell’esecuzione gli tranciarono le dita della mano destra), fu fucilato il 7 marzo sugli spalti di Forte Bravetta.

 

Domenico Ricci

Impiegato, di 31 anni. Nato a Paliano (Frosinone) il 9 gennaio 1913 da Felice e da Filomena Frasacco. Sposato, padre di cinque figli. Aderente al Partito d’Azione, faceva parte della squadra militare comandata da Italo Pula. Fu arrestato da agenti della P.S. nella piazza di Centocelle e rinchiuso nel carcere di via Tasso. Fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del ‘44.

 

Raffaele Riva

Operaio, di 47 anni. Nato a S. Agata Bolognese (Bologna) il 29 dicembre 1896 da Alfredo e da Carolina Parmigiani. Sposato con Maria Luigia Nepoti, aveva due figli (Walter e Leda). Combattè nella Prima guerra mondiale. Fu catturato e rinchiuso nel campo di concentramento di Simundenosberg. Cattolico di sinistra, con l'avvento del fascismo fu costretto a lasciare il suo paese per sfuggire alle persecuzioni del fascio locale. Dopo un anno di permanenza in Garfagnana, si trasferì nel quartiere Montesacro di Roma, dove vivevano molti emiliani e romagnoli. Fu schedato come antifascista dalla polizia che gli impose il domicilio coatto, ma ciò nonostante continuò l'attività politica, in clandestinità. Dopo l'8 settembre del '43, insieme ad altri antifascisti organizzò la Resistenza a Montesacro: azioni di boicottaggio, raccolta di armi per le bande armate, diffusione di volantini contro i tedeschi. Ma la rete dell'Ovra si strinse e così, su delazione di una spia, il 23 dicembre fu arrestato nella sua abitazione e rinchiuso nel carcere di via Tasso. Trasferito al terzo braccio di Regina Coeli, nella cella n. 346, fu sottoposto a processo sommario dal Tribunale militare di guerra tedesco e fucilato il 31 gennaio del '44 sugli spalti di Forte Bravetta, insieme all'amico Giovanni Andreozzi. Prima di cadere, gridò "Viva l’Italia libera!".

 

Romeo Rodrigues Pereira

Tenente dei Carabinieri, di 25 anni. Nato a Napoli il 29 novembre 1918 da Romeo e da Elena Masi. Nel '38 entrò all'Accademia militare di fanteria e cavalleria di Modena, dalla quale uscì nel '40 con il grado di sottotenente dei carabinieri. Lo stesso anno, il 15 settembre, si sposò con Marcella Duce. Nel '41 fu nominato comandante di plotone nel Gruppo Squadroni territoriali di Roma. Poco dopo gli fu affidato il comando della 660^ Sezione Carabinieri motorizzata in Africa Settentrionale. Rimase sul fronte per pochi mesi, dal 15 novembre del '41 al 25 gennaio del '42, partecipando a numerose azioni in prima linea e guadagnando sul campo una medaglia di bronzo al valor militare. Si ammalò e dovette tornare in Italia, dove assunse il comando della Tenenza di Roma-Ostia e poi a quella di Roma-Appia. L'8 settembre del '43 si oppose all'ingresso dei tedeschi nella capitale, catturando alcuni prigionieri. Il 7 ottobre fu arrestato dai tedeschi e deportato in Germania, ma durante il viaggio, a Pordenone, riuscì a fuggire. Rientrato a Roma, costituì una banda di carabinieri che agiva nell'ambito della formazione partigiana comandata dal generale Filippo Caruso. Il 10 dicembre fu catturato dai tedeschi, durante una riunione clandestina con il tenente Genserico Fontana, il brigadiere Candido Manca e il colonnello Giuseppe De Sanctis. Condotto prima nel carcere di via Tasso e poi al III braccio di Regina Coeli, fu più volte torturato. Per farlo parlare, fu arrestata anche la moglie Marcella, che con la consorte di Fontana aveva cercato di organizzare la fuga dei due militari, ma era stata tradita da un maresciallo tedesco. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Manlio Rossi Doria

Nasce a Roma nel 1905. Compiuti gli studi liceali, nel 1924 si iscrive al corso di Scienze Agrarie dell'Università di Portici (NA): la scelta, già consapevolmente politica é di dedicare il proprio impegno al mondo agricolo e al Mezzogiorno. Gli anni di Portici sono gli anni in cui il suo spontaneo antifascismo, nel contatto con altri giovani tra i quali Giorgio Amendola, e maestri come Giustino Fortunato, si precisa sino a sfociare nell'adesione al Partito Comunista. Nel 1930 é arrestato e condannato a quindici anni di carcere; grazie a due amnistie torna in libertà nel 1935. Matura frattanto un graduale distacco dal Partito Comunista dal quale viene espulso nel 1939. Nel giugno del 1939 é nuovamente arrestato e inviato al confino in Basilicata. Liberato alla caduta del fascismo torna a Roma dandosi all'attività politica; nel 1943, al primo convegno del Partito d'Azione, é eletto nel comitato esecutivo; dopo l'8 settembre é attivo nella Resistenza romana; viene arrestato di nuovo e riesce ad evadere da Regina Coeli.
Gli anni della lotta al fascismo e della militanza nel Partito d'Azione sono gli anni dell'amicizia con Dorso testimoniata dalla importantissima e fitta corrispondenza fra i due.
Nel dopoguerra insegna all'Università di Portici, dove fonda il Centro di specializzazione; é il principale animatore della Riforma agraria in Calabria. Nel 1962 si iscrive al P.S.I.; nel 1969 e nel 1972 é eletto senatore nel Collegio dell'lrpinia. Nel 1975 per motivi di salute abbandona la vita politica, non cessa però il suo impegno sia con regolari collaborazioni giornalistiche, sia in particolare in occasione del terremoto dell'Irpinia, con contributi di analisi e di progetti.
Fin dalla fondazione, nel novembre del 1980, è stato il primo presidente del Centro Studi G. Dorso di Avellino. E' morto a Roma il 5 giugno 1988.

S

Tigrino Sabatini

Operaio, di 43 anni. Nato ad Abbadia San Salvatore (Siena) l’8 marzo 1900 da Enrico e Filomena Baiocchi. Lavorava alla Snia Viscosa di Roma. Fra i fondatori del gruppo "Scintilla", che avrebbe dato vita al movimento partigiano di "Bandiera Rossa", l'8 settembre del ’43 fu impegnato nella difesa di Roma contro i tedeschi nella formazione "Pepe", che per dodici ore riuscì a tenere impegnati alcuni nuclei di paracadutisti di Hitler alle porte della città. Diventò in seguito operaio alla Breda, e poi si fece assumere, con altri compagni di lotta, dalla ditta Cidonio, che lavorava per i tedeschi nella ricostruzione delle linee ferroviarie, per boicottare queste opere. Il suo nome di battaglia era "Badengo". In Bandiera Rossa aveva il compito di caposettore della seconda zona, che comprendeva il quartiere di Torpignattara. Fu catturato il 23 gennaio del '44, in seguito alla delazione di due compagni di lavoro, e condotto in via Tasso e in seguito a Regina Coeli. Fu processato una prima volta dal Tribunale militare di guerra tedesco, che lo condannò a cinque anni di reclusione. Il 14 aprile fu sottoposto a un secondo processo e condannato a morte. La condanna fu eseguita il 3 maggio a Forte Bravetta.

 

Giuseppe Saragat

Nasce il 19 settembre 1898 a Torino da una famiglia di origine sarda e ben presto aderisce al neonato partito socialista. Fin dalla gioventù è su posizioni riformiste, la stessa corrente dei padri storici del socialismo nazionale come Filippo Turati, Claudio Treves, Andrea Modigliani, Camillo Prampolini e Ludovico D’Aragona.

L’avvento del fascismo e della dittatura mussoliniana vedono il quasi trentenne Saragat collocarsi all’opposizione del nuovo regime ed imboccare la via dell’esilio: prima l’Austria e poi la Francia dove incontrerà e collaborerà con tutti i massimi esponenti dell’antifascismo in esilio: da Giorgio Amendola a Pietro Nenni. È in questo clima e alla luce di molte corrispondenze che gli giungono dalla Spagna, dove è in corso la guerra civile, che matura una profonda avversione per il comunismo sovietico e per ogni sua "propaggine" occidentale. Di converso comincia ad abbracciare il filone socialdemocratico nordeuropeo figlio della II Internazionale. 

La posizione saragattiana antisovietica fu assai lungimirante e poi confermata, nell’ultimo decennio del ‘900, dagli stessi avvenimenti storici, ma non altrettanto lungimirante fu l’accettazione acritica delle posizioni secondointernazionaliste che erano state travolte dalla Prima Guerra Mondiale e dal lungo primo dopoguerra che aveva visto, anche a causa della debolezza della sinistra fortemente divisa tra massimalisti leninisti e riformisti socialdemocratici, la genesi e l’instaurarsi in Europa delle dittature fasciste e nazista. 

Dopo la caduta di Mussolini, Giuseppe Saragat ritorna in Italia e, con Pietro Nenni e Lelio Basso, riunifica tutte le correnti socialiste dando origine al Partito Socialista di Unità Proletaria (Psiup) in cui, come in tutta la tradizione socialista, conviveranno sia le istanze riformiste, sia quelle massimaliste senza trovare, e anche questo fa parte della tradizione del socialismo italiano, un punto di sintesi e di accordo. 

Nel II Governo guidato dal demolaburista Ivanoe Bonomi, Saragat è Ministro senza portafoglio. 
Nelle elezioni per l’Assemblea Costituente i socialisti sono, con oltre il 20 % dei suffragi, il secondo partito italiano alle spalle della Democrazia Cristiana e superano per pochi voti i comunisti del Pci di Palmiro Togliatti. In quanto seconda forza politica della penisola, al partito del sol dell’avvenire va la presidenza dell’Assemblea Costituente, e Nenni, entrato nel frattempo nel Governo guidato dal democristiano Alcide De Gasperi (Dc), indica Giuseppe Saragat come candidato socialista per ricoprire tale carica e il leader riformista viene eletto con la convergenza di tutti i partiti antifascisti (Dc, Pci, Psiup, Pri, Pd’A, Udn, Pli) che costituivano i governi di unità nazionale. 

Ma è proprio in questi mesi che l’ennesima e insanabile rottura tra i due tronconi del socialismo italiano: da un lato il sanguigno e "popolare" Pietro Nenni si batte per una stretta collaborazione con i comunisti (fino a ipotizzare una unificazione dei due partiti della sinistra) e per una scelta neutralista sul piano internazionale, dall’altra parte il colto e raffinato Giuseppe Saragat, che si ispira ai modelli scandinavi, si oppone strenuamente a tale ipotesi. 

Le fratture in casa socialista, seguendo la peggiore tradizione, sono sempre insanabili e nel gennaio 1947 Giuseppe Saragat abbandona il Psiup con gli uomini a lui fedeli e dà vita ad un partito socialista moderato e riformista (che sarà per anni l’unico referente italiano del rinato Internazionale Socialista), il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (Psli). Tale partito pochi anni dopo, con l’unificazione con la piccola pattuglia dei membri del Partito Socialista Unificato (Psu) dell’ex ministro Giuseppe Romita, assumerà definitivamente il nome di Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi) di cui Giuseppe Saragat sarà unico leader. 

Il partito socialdemocratico assumerà ben presto posizioni molto moderate e filoatlantiche in contrasto con tutti gli altri partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti d’Europa. Su 115 deputati socialisti eletti nel 1946 ben 52 se ne vanno con Saragat che, pur non riuscendo mai a conquistare il cuore della "base" socialista riuscirà a portare nella sua orbita sindacalisti, giornalisti e intellettuali che ritorneranno nel Psi solo nella seconda metà degli anni ’60: in questa fase di fine anni ’40 il movimento socialista si trovava in una peculiare e paradossale situazione per cui Nenni e il Psi avevano i voti e i militanti, Saragat e il Psdi la classe dirigente e i quadri intermedi. 

Simultaneamente all’assunzione della guida della nuova creatura politica, Saragat abbandona la guida di Montecitorio alla cui presidenza viene eletto il comunista Umberto Terracini a cui spetterà l’onore di tenere a battesimo, insieme al Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (Dc) ed al Guardasigilli Giuseppe Grassi (Pli), la nostra Costituzione repubblicana. 

Nella primavera del 1947 De Gasperi si reca negli Usa ed al rientro estromette comunisti e socialisti dal governo varando una formula di governo quadripartito centrista composta, oltre che dalla Dc, dai repubblicani di Pacciardi (Pri), dai liberali di Einaudi (Pli) e dai socialdemocratici di Saragat (Psli) che assumerà la Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri. 

È la svolta moderata nella politica italiana che verrà confermata dalle urne il 18 aprile 1948 quando al Democrazia Cristiana sconfiggerà duramente con il 48,8 % dei voti, il Fronte Democratico Popolare, la lista unitaria della sinistra composta, per volontà di Nenni, dal Pci, dal Psi e da alcuni ex esponenti del Partito d’Azione, che si fermerà ad uno scarso 32% dei consensi. In questa competizione elettorale Giuseppe Saragat si presenterà alla guida di una lista, composta dal suo Psli e da alcuni ex membri del Partito d’Azione che non avevano aderito al tandem Togliatti-Nenni, con il nome di Unità Socialista conquistando un eccellente 7 % di voti: è questo il più alto risultato mai conseguito dai socialisti riformisti. 

Durante la prima legislatura i saragattiani, contro i quali si scateneranno l’ira e le accuse di tradimento della classe operaia dei comunisti, parteciperanno ai governi egemonizzati dalla Dc, ricoprendo, al pari delle altre forze laiche (Pli e Pri) un ruolo di comprimari, tanto che nel nuovo governo (De Gasperi 1948) Saragat sarà solo Ministro della Marina Mercantile.

Le elezioni del 1953 vedono la sconfitta del quadripartito centrista che, pur conservando la maggioranza numerica in Parlamento, non la mantenne nel Paese e, soprattutto, non riuscirono a far scattare il meccanismo elettorale pseudomaggioritario (la cosiddetta "legge truffa"). Saragat ed il Psdi furono duramente sconfitto ("cinismo cinico e baro" come disse lo stesso leader socialdemocratico) e il partito entrò in ruolo secondario nel panorama politico e partitico nazionale da cui non è mai più uscito. 

Saragat fu uno dei sostenitori dell’apertura ai socialisti di Nenni che dopo i fatti d’Ungheria del 1956, avevano abbandonato l’opzione frontista con i comunisti di Togliatti. Prima Fanfani e poi Moro guideranno governi di centrosinistra a partire dai primi anni ’60. Nel periodo 1966-69 si assisterà alla temporanea riunificazione dei due partiti socialisti, il Psu (Psi-Psdi Partito Socialista Unificati) con due cosegretari (Francesco De Martino e Mario Tanassi), ma con scarsi risultati elettorali (alle elezioni politiche del 1968 il Psu ebbe molti meno voti di quelli che avevano avuto 5 anni prima Psi e Psdi presentatisi separatamente).

Dopo essere stato Vicepresidente del Consiglio dei Ministri nei Governi Scelba (1954) e Segni (1955), Saragat fu Ministro degli Esteri nel I e II Governo Moro (1963, 1964) di centrosinistra. Nel 1964, dopo le dimissioni anticipate de Presidente della Repubblica Antonio Segni (Dc), una vasta coalizione di parlamentari di sinistra su indicazione di Giorgio Amendola (Pci) e di Ugo La Malfa (Pri) votava per Giuseppe Saragat come nuovo Capo dello Stato che, con i voti dei Grandi elettori di Pci, Psi, Psdi, Pri e buona parte della Dc (che aveva visto "bruciarsi" sia il suo candidato ufficiale Giovanni Leone) era il primo socialista a insediarsi al Quirinale. 

Leit-motiv della sua presidenza fu la Resistenza e la volontà di attivarsi sempre per la costituzione di governi di centro-sinistra. Gli anni della presidenza Saragat furono caratterizzati dall’inizio del terrorismo e dalla contestazione del ’68. Nel 1971 il democristiano Giovani Leone succede a Giuseppe Saragat (al quale sarebbe piaciuta una rielezione) nella carica di Presidente della Repubblica. Pochi altri uomini politici (Togliatti e Spadolini) seppero coniugare l’azione politica con l’impegno culturale come Saragat. L’anziano leader socialdemocratico si spegne a Roma nel 1988 e toccanti furono le parole dedicategli sull’organo ufficiale del Pci, l’Unità, da uno dei suoi grandi avversari comunisti, Giancarlo Pajetta, che tirò un rigo sulle polemiche di quasi un cinquantennio prima, affermando: "Oggi è morto un compagno!".

 

Guerrino Sbardella

Operaio tipografo, di 28 anni. Nato a Colonna (Roma) il 4 gennaio 1916 da Pietro e da Augusta Luzi. Sposato con Francesca Nazio, ebbe due figli (Sandro e Roberta). Dopo l’occupazione di Roma da parte delle truppe tedesche, partecipò ad azioni di sabotaggio organizzate dalle bande di Bandiera Rossa, di cui era caposettore per la zona di Torpignattara. Combattè nel gruppo comandato da Romolo Iacopini, nel quartiere Trionfale. Organizzò un deposito d'armi a Villa Certosa, dove nascondeva pistole, mitra, fucili, cartucce e bombe. Il 6 dicembre del ’43 fu catturato dai fascisti mentre lanciava manifestini sovversivi dal loggione del cinema Principe. Riuscì a fuggire con l’aiuto di alcuni compagni, ma quella stessa notte fu arrestato dalle SS nella propria abitazione, su segnalazione di alcuni delatori. Rinchiuso nel carcere di via Tasso e seviziato, fu poi trasferito a Regina Coeli. Condannato a morte il 28 gennaio del ’44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, il 2 febbraio fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta, insieme a Romolo Iacopini, Enzio Malatesta, Ettore Arena e altri sette partigiani.

 

Emilio Scaglia

Guardia di Pubblica sicurezza, di 20 anni. Nato ad Antrona Piana (Novara) il 14 ottobre 1923 da Giovanni e da Filomena Brari. Il 10 ottobre del '43, dopo l’occupazione tedesca di Roma, si unì alla banda "Napoli" che operava nella capitale, al comando del colonnello Salinari, svolgendo compiti di collegamento. Fu arrestato dalle SS il 28 marzo del '44 a Piazza Esedra mentre era in attesa di un incontro con altri partigiani. Il 9 maggio fu processato a Palazzo Braschi da elementi della banda "Pollastrini". Fu fucilato il 3 giugno, vigilia della Liberazione, sugli spalti del Forte Bravetta da un plotone della Polizia Africa Italiana (Pai), insieme a Mario De Martis e altri quattro partigiani. Medaglia d'argento al valor militare.

 

Umberto Scattoni

Impiegato, di 43 anni. Nato a Roma il 20 agosto 1901 da Giuseppe e da Rosa Nori. Sposato con Vittoria Tarantini, padre di tre figli (Lea, Ugo e Mario). Nel '23 s'iscrisse alla Federazione giovanile socialista, e intanto frequentava ambienti anarchici e i comunisti. Assunto nel '37 come magazziniere alla Generalcine, fu licenziato l’anno dopo per "motivi politici". Per sfamare la famiglia lavorava di notte ai Mercati Generali; poi si mise in proprio come pittore edile. Allo scoppio della guerra, inveì per strada contro il fascismo e divenne un sorvegliato speciale: durante le adunate fasciste era convocato e trattenuto in questura. Il 10 settembre del ‘43 accorse a Porta S. Paolo per difendere Roma, insieme ad alcuni compagni del gruppo comunista di Campo dei Fiori, armati con pochi fucili. Il 22 settembre passò le linee da Cassino e si collegò alla V armata americana, allora attestata sul Garigliano. Rientrato nella capitale, entrò a far parte delle formazioni di Bandiera Rossa, compiendo atti di sabotaggio, trasportando armi, tenendo i contatti con i partigiani della provincia. Si recò anche al Comando alleato di Caserta, per conto del Gruppo Malatesta. Nei mesi successivi si avvicinò al Pci, fu nominato "capo-servizio" dei Gap di zona e divenne amico inseparabile di Guido Rattoppatore. Il 28 gennaio del '44, mentre si recava con Rattoppatore all'albergo Aquila d'Oro, sostituendo un altro partigiano per un’azione contro i tedeschi, fu arrestato su delazione di una spia all’altezza di Ponte Vittorio, dopo uno scontro a fuoco e un inseguimento. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, fu torturato, ma non rivelò nulla sui compagni di lotta. Ai primi di marzo fu trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio. Qui, anche se era in cattive condizioni di salute, si distinse per gli incoraggiamenti agli altri detenuti. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine.

 

Giovanni Senesi

Impiegato, di 18 anni. Nato a Roma il 20 ottobre 1924 da Flaminio e da Maria Cappelletti. Esattore di un istituto di assicurazioni, dopo l'8 settembre del ‘43 entrò nella Resistenza, nelle file di Bandiera Rossa. Arrestato, fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli insieme all’amico Alberto Giacchini, e fucilato il 24 marzo del ‘44 alle Fosse Ardeatine.

 

Gerardo Sergi

Sottotenente dei carabinieri, di 25 anni. Nato a Portoscuso (Cagliari) il 25 maggio 1918 da Salvatore e da Antonia Puddu. Completato nel '37 il servizio di leva a Cagliari, l’anno seguente si arruolò nei carabinieri e fu destinato alla Legione di Palermo. Nel '40 frequentò la Scuola Centrale dei Carabinieri di Firenze per il corso accelerato per allievi sottufficiali, dal quale uscì con il grado di brigadiere. Nel giugno dello stesso anno prese servizio presso la stazione di Palma di Montechiaro (Agrigento), per poi rientrare a Palermo. All'inizio del '41 partì per l'Albania con la 4^ brigata carabinieri. Dopo l’armistizio, entrò nelle file del Fronte militare clandestino della Resistenza guidato da Montezemolo, collaborando attivamente con la Banda "Caruso". Arrestato dai tedeschi, fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del ‘44. Medaglia d’oro al valor militare.

 

Simone Simoni

Generale di divisione, di 63 anni. Nato a Patrica (Frosinone) il 24 dicembre 1880 da Antonio e da Rosa. Sposato con Mercedes Biscossi, aveva quattro figli (Gastone, Piera, MariaPia, Vera). Ufficiale di carriera, prestò servizio per 35 anni nell'esercito, partecipando a tutte le campagne militari italiane dalla Libia in poi, conseguendo numerose decorazioni e scalando tutti i gradini della scala gerarchica, fino al grado di generale. Durante la Prima Guerra Mondiale, si distinse alla battaglia di Caporetto, dove riuscì a tenere testa per due giorni all'avanzata nemica, al comando di un piccolo gruppo di uomini. In quell’occasione fu catturato dai tedeschi e relegato in un campo di prigionia in Germania per due anni. Nel '32 fu collocato nella riserva per un'infermità dovuta a una ferita riportata in guerra. Grande invalido di guerra, l'8 settembre del '43 fu fra i più convinti sostenitori della necessità di difendere la capitale dai tedeschi, e per questo motivo subì un attentato da parte dei fascisti. Entrato a far parte del Fronte militare clandestino di Montezemolo, fece del proprio ufficio e della propria casa centri di azione cospirativa ai quali facevano capo, oltre ai generali Fenulli e Cadorna, numerosi ufficiali dell'esercito e uomini politici quali Lussu, Bonomi e Siglienti. Nascose ed aiutò ufficiali e soldati e svolse numerose missioni. Arrestato dalle SS il 22 gennaio del '44, nella sua abitazione, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 12. Torturato più volte, per estorcergli una confessione fu anche condotto davanti al plotone d'esecuzione. Senza risultato. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

T

Manfredi Talamo

Ufficiale dei carabinieri, di 48 anni. Nato a Castellamare di Stabia (Napoli) nel 1895. Tenente colonnello dei carabinieri, dal giugno del '38 fu assegnato al Servizio informazioni militari (SIM), a Roma. Dopo l'armistizio, entrò a far parte del Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Montezemolo. Arrestato dalle SS tedesche, fu incarcerato e torturato, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo del '44 per rappresaglia alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

 

V

Fabrizio Vassalli

Dottore in scienze economiche e commerciali, di 35 anni. Nato a Roma il 18 ottobre 1908 da Arturo e da Bice Ferrari. Sposato con Amelia Vittucci. Nel '30 si arruolò volontario nell'esercito. Intanto si era iscritto alla facoltà di scienze economiche e commerciali. Ottenne la laurea nel '33, e nel '39 fu richiamato in servizio in Sardegna, dove rimase fino al '41 come ufficiale di artiglieria. Promosso capitano, fu inviato in Albania. Alla firma dell'armistizio era al comando di una batteria contraerea nell'isola di Saseno (Dalmazia). Scampato agli eccidi tedeschi raggiunse l’Italia del Sud con mezzi di fortuna e si mise messo a disposizione del Governo legittimo, che aveva sede a Brindisi. Si offrì volontario per attraversare le linee nemiche e portare nella capitale occupata un cifrario necessario per il collegamento fra il Comando alleato di Brindisi ed il Fronte militare clandestino romano. Per oltre cinque mesi collaborò con il colonnello Montezemolo nel servizio informazioni o in azioni di sabotaggio e comandò, con il nome di battaglia di Franco Valenti, la formazione del Fronte Clandestino che da lui prese il nome di "Gruppo Vassalli". La sua banda si occupava di raccogliere informazioni sul traffico di truppe e sui mezzi di trasporto tedeschi, inviandole poi a Montezemolo che a sua volta le faceva pervenire al comando alleato. Le riunioni del gruppo avvenivano spesso nella sua dimora, in via di Villa Massimo 13. Fu catturato dalle SS il 13 marzo del '44 in via del Babuino, insieme alla moglie Amelia, a Giordano Bruno Ferrari, suo cugino per parte materna, Salvatore Grasso, Pietro Bergamini, Corrado Vinci, la moglie di questi, Jolanda Gatti, e Bice Bertini, tutti membri del gruppo. Fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli dove subì più volte la tortura. Fu condannato a morte il 27 aprile dal Tribunale militare di guerra tedesco, al termine di un processo sommario. Il 24 maggio fu fucilato a Forte Bravetta, insieme a Ferrari, Grasso, Vinci e Bergamini. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia". Medaglia d'oro al valor militare "sul campo".

Z

Carlo Zaccagnini

Avvocato, di 30 anni. Nato a Roma il 1° luglio del 1913. Tenente di complemento di fanteria, nel 1940 fu chiamato alle armi e mandato
in Africa Settentrionale. Ferito gravemente, nel maggio del 1941 fu congedato e rimandato in Italia come invalido di guerra. Dopo l’8 settembre del '43 fu tra i primi che s’impegnarono nella lotta clandestina a Roma, dove  fondò, insieme all’avvocato Placido Martini, l’Unione nazionale della democrazia italiana, un movimento di tendenza liberale, che fece presto proseliti negli ambienti forensi e militari della Capitale. Zaccagnini con il suo gruppo, oltre che nell’attività politica, s’impegnò anche nell’azione partigiana, riuscendo a liberare giovani antifascisti caduti in mano ai tedeschi. Quelli dell’UNDI, in seguito a delazione, caddero tutti nelle mani dei fascisti.
Zaccagnini, rinchiuso nella prigione di via Tasso, vi fu sottoposto per due mesi a tortura, senza mai rivelare nulla ai suoi aguzzini. Fu trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Biografie a cura di Mario Avagliano